1848-1849: la rivoluzione a Ferrara

di Davide Nanni

Abstract

L’articolo analizza gli effetti sulla società ferrarese del biennio rivoluzionario 1848-1849. Ferrara, città periferica, ma non certo marginale nell’Ottocento italiano, visse da protagonista gli eventi che sconvolgono l’intera Europa durante la “primavera dei popoli” ed offrì un contributo importante al Risorgimento italiano.

Abstract english

1848-1849: the revolutionary wars in Ferrara

This essay analyses the effects produced by the 1848-1849 revolutionary wars on Ferrara’s society. This apparently peripheral city was in fact an important and strategic place during the 19th Century. Therefore it played a central role during the so-called “Spring of Nations” that disrupted Europe in that period, and made its contribution to the Italian Risorgimento.

Introduzione

Ferrara è famosa tra gli storici, e il grande pubblico, principalmente per i fasti del suo Rinascimento – legati indissolubilmente alla signoria estense – e per la nascita del fascismo agrario, nei primi anni Venti del Novecento. Poco studiati, e in genere liquidati come un periodo di semplice decadenza politica e culturale, sono i secoli della dominazione pontificia terminati, dopo la breve parentesi rivoluzionaria e napoleonica (1796-1814), nel 1859 con l’annessione al regno unitario. Eppure nella prima metà dell’Ottocento Ferrara era ancora una realtà viva e pulsante, molto diversa da quell’immagine decadentista di “deserta bellezza” coniata, un secolo dopo, dal D’Annunzio. Già crocevia di ampi traffici commerciali lungo il Po, dopo il 1815, la città estense assunse un ruolo strategico nel nuovo quadro geopolitico sancito a Vienna dai restauratori. Con il collasso dell’ordine napoleonico e l’annessione del Regno Lombardo-Veneto all’Impero austriaco, infatti, Ferrara divenne la principale porta d’accesso alle fertili pianure emiliano-romagnole e, di conseguenza, all’intera Italia centro-meridionale. L’importanza strategica del capoluogo estense venne riconosciuta solennemente dalla diplomazia europea: il trattato di Vienna restituì la legazione ferrarese allo Stato pontificio ma garantì anche, con l’art. 103, il diritto dell’Austria a presidiare militarmente la cittadella estense ed i forti costieri di Comacchio e Magnavacca. Questo particolare status quo incise profondamente sugli sviluppi del Risorgimento ferrarese: da un lato generò una tensione permanente tra l’Austria ed i pontefici circa il controllo delle legazioni, che sarebbe sfociato nella clamorosa crisi del 1847; dall’altro risvegliò la xenofobia popolare che aveva giocato un ruolo importante, pochi anni prima, nel crollo dei regimi filofrancesi. Xenofobia aggravata occasionalmente, non solo a Ferrara, da presunti sentimenti di superiorità razziale nei confronti dei rozzi contadini croati che componevano le guarnigioni imperiali (Beales, Bigini 2005). Inoltre, diverse opere di storia locale (Berselli 1980; Chiappini 1994; Panigada 1916; Sitti 1970) concordano nell’affermare che l’intera società ferrarese uscì profondamente trasformata dai cambiamenti introdotti durante gli anni della dominazione napoleonica ed avversò il ritorno al governo dispotico e centralista della Santa sede, per di più aggravato dall’occupazione straniera. Con l’arrivo delle truppe francesi, nel 1796, tutto era cambiato: le élite locali entrarono in contatto con le idee rivoluzionarie, apprezzarono la razionalizzazione amministrativa napoleonica e beneficiarono delle liberalizzazioni economiche. Ma fecero anche affari d’oro speculando sulle grandi proprietà ecclesiastiche confiscate e vendute all’asta dal nuovo regime. L’equilibrio politico, sociale ed economico del territorio estense cambiò profondamente: in città vennero meno le antiche corporazioni e si fecero strada nuove élite di proprietari e professionisti sensibili alle idee di libertà, laicità e nazionalità della Rivoluzione francese; nelle campagne i tradizionali rapporti agrari, fondati sulla proprietà estensiva e la “boaria”, entrarono in crisi ed aumentò il numero dei braccianti impiegati stagionalmente per il lavoro nei campi o nella manutenzione di strade ed argini. Questa realtà socio-economica, ancora legata a ritmi di lavoro preindustriali, subì una progressiva evoluzione nei decenni successivi, nonostante l’immobilismo della Restaurazione. Il governo pontificio, infatti, bloccò sul nascere qualsiasi sviluppo protoindustriale inasprendo i dazi doganali e ripristinando le antiche consuetudini cancellate dai francesi. Per questo la maggior parte dell’aristocrazia e della borghesia locale guardò subito con simpatia alle idee liberali ed alle iniziative patriottiche delle sette segrete prima, del movimento nazionale – mazziniano o moderato – poi. Le classi popolari, invece, mantennero una sostanziale apatia verso i primi moti risorgimentali: se in città maturarono presto sentimenti antiaustriaci, rintuzzati dalla propaganda patriottica, ed i popolani presero parte all’insurrezione liberale del 1831, nelle campagne il forte sentimento religioso e la tradizionale reverenza per l’autorità costituita giocò un ruolo favorevole alla conservazione dei rapporti politico-sociali preesistenti. Eppure, come dicevamo, le idee patriottiche incontrarono subito un terreno fertile nel ferrarese: nel 1817 venne scoperta dalla polizia austriaca una “vendita” carbonara, facente capo ad illustri esponenti del notabilato e dell’aristocrazia locale, molto attiva anche nel Polesine veneto mentre, nel 1831, Ferrara fu uno dei centri principali della rivoluzione liberale che infiammò l’Italia centrale. Questi episodi dimostrano come la realtà estense fosse partecipe dei cambiamenti storici e politici in atto nel resto della penisola e dell’Europa.

Le classi dirigenti cittadine in primis, ma anche le classi medie – soggette, fin dagli anni Trenta, alla propaganda mazziniana – erano informate di ciò che accadeva intorno a loro: riuscirono a bypassare la rigida censura pontificia ed a mantenere contatti con gli altri centri della penisola grazie ai commerci e, soprattutto, alla fiorente attività di contrabbando – mirabilmente descritta ne Il mulino del Po dall’abile penna di R. Bacchelli – favorita dalla vicinanza del confine e dall’aumento delle tariffe doganali imposte dal papato. Un ruolo molto importante, nello scambio interculturale come nella diffusioni delle idee patriottiche, lo giocarono inoltre gli studenti dell’antica Università locale ed i commercianti esteri – esemplare il caso dello scozzese Macalister – che soggiornarono in città per curare i propri traffici legati, soprattutto, all’export della canapa, coltura ricchissima nel ferrarese, all’epoca indispensabile per l’industria navale. Questa, in sintesi, era la realtà ferrarese prima che la ventata rivoluzionaria del 1848-1849 rimettesse in discussione gli equilibri politico-istituzionali dell’intero continente ed aprisse la via al progresso industriale ed al trionfo delle idee liberali. Le dinamiche rivoluzionarie di quel biennio esplosivo lasciarono un segno profondo nella coscienza degli europei, non solo nelle grandi metropoli, come c’insegna l’esperienza ferrarese, ed accelerarono sensibilmente il processo di unificazione nazionale in Italia e in Germania. Quest’articolo cerca di sintetizzare alcuni passaggi chiave della mia tesi di laurea magistrale Ferrara nel biennio rivoluzionario 1848-1849 che ha voluto far luce su un periodo ancora poco studiato a livello locale e nazionale.

L’articolo si basa sul lavoro di ricerca svolto principalmente sulle fonti d’archivio sopravvissute alle devastazioni dell’ultimo conflitto mondiale. Vorrei ringraziare, quindi, la direzione del Museo del Risorgimento e della Resistenza e dell’Archivio Storico del Comune di Ferrara per le immense agevolazioni ottenute durante la consultazione e riproduzione del materiale documentario. I saggi e le memorie citati o riportati in bibliografia hanno reso più semplice l’opera di ricostruzione e contestualizzazione degli eventi locali nel più ampio quadro storico italiano ed europeo. Importantissimi, sia per ricostruire gli eventi spiccioli che le passioni politiche del tempo, sono risultati i principali periodici locali coevi ai fatti narrati: la “Gazzetta di Ferrara” e la “Campana democratica del lunedì”, conservati presso la Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara. Infine una menzione speciale vorrei lasciarla all’opera di C. Panigada Ferrara dopo il 1849 ed i martiri del 53 (1916) che riproduce alcuni documenti importantissimi e, purtroppo, distrutti o perduti durante la guerra.

 

Ferrara nel 1848

Alla vigilia dell’anno che sarebbe passato alla storia come la “primavera dei popoli” Ferrara contava all’incirca 25-30 mila abitanti1. La grave crisi economica ed annonaria che tra il 1846 ed il 1847 colpì duramente l’intero continente europeo, ben descritta da Price (2004), si fece sentire anche nel ferrarese: cattivi raccolti, disoccupazione, fame preoccuparono non poco l’amministrazione pontificia e le stesse élite locali. Le tensioni sociali, esasperate in città dalla presenza austriaca e dalle misure repressive adottate dai legati pontifici dopo i moti del 1831, raggiunsero livelli di guardia.

Lo dimostra il fiorire, accanto ai tradizionali istituti di carità religiosa, della filantropia laica: nel 1838, su iniziativa di G. Recchi, nacque la Cassa di Risparmio, per prevenire lo sperpero ed il vizio tra le classi lavoratrici; nel biennio 1846-1847, invece, aprivano la Casa di ricovero e l’asilo per bambini indigenti di via Borgovado. Insomma, lo spauracchio del “comunismo” e della rivolta sociale spinse le élite ferraresi ad ingegnarsi per risolvere la povertà endemica e l’arretratezza economica del territorio. Ogni tentativo però venne frustrato dal rigido conservatorismo di papa Gregorio XVI. Tutto sembrò cambiare, improvvisamente, dopo il 16 giugno 1846 quando venne eletto papa Pio IX. Il nuovo pontefice avviò subito un’intensa politica riformatrice che colse alla sprovvista sia l’Austria che gli altri sovrani italiani innescando l’entusiasmo del popolo e dei patrioti. Sembrava fosse finalmente giunta l’ora del “papato liberale” teorizzato da V. Gioberti nel Primato morale e civile degli italiani (1843).

In realtà, come vedremo, i patrioti forzarono e strumentalizzarono l’azione del pontefice: Pio IX ed i suoi collaboratori intendevano sì modernizzare il vecchio Stato pontificio, ma entro i limiti posti dalla conservazione del potere temporale che consideravano una garanzia fondamentale per la libertà spirituale della Chiesa cattolica. Ad ogni modo l’equivoco neoguelfo offrì alle élite patriottiche la possibilità di mobilitare vaste masse popolari attorno alle loro rivendicazioni politiche facendo leva proprio sul sentimento religioso. I miti della retorica nazional-liberale, codificati negli anni precedenti, si saldarono con la simbologia della tradizione cattolica in un connubio che rese possibili, in tutta Italia, le vaste mobilitazioni popolari per ottenere le riforme (libertà di stampa, guardia civica, rappresentatività delle istituzioni, ecc.) e le costituzioni tra il 1847 ed i primi mesi del 1848 (Banti 2004). Dopo i fallimenti del 1831 e delle insurrezioni mazziniane in Romagna (1843-1845), anche a Ferrara, l’iniziativa patriottica fu presa saldamente tra le mani da una nuova, emergente e dinamica élite aristocratico-borghese che seppe sfruttare le aperture politiche concesse da Pio IX e dal nuovo legato, mons. Ciacchi. L’occupazione austriaca dell’estate 18472, ultimo e maldestro tentativo fatto da Metternich per bloccare la politica riformatrice del pontefice, aumentò l’avversione popolare verso lo straniero ed i “retrogradi”.

La grave crisi diplomatica che ne scaturì riportò Ferrara agli onori delle cronache internazionali e, contemporaneamente, diede ulteriore impulso alle riforme ed al programma politico dei moderati. Mise a nudo però anche la debolezza di uno Stato incapace di difendere militarmente i suoi confini. In questi anni emersero, accanto ad illustri esponenti del liberalismo locale come G. Recchi, il conte T. Mosti ed il giurista L. Borsari, altre figure provenienti dal ceto medio delle professioni come i cugini Mayr, il dott. C. Grillenzoni e l’imprenditore ebreo S. Anau. Furono loro a guidare la città nelle tormentate vicende del biennio 1848-1849. Le loro idee trovarono voce, dal 5 giugno 1848, sulle pagine della “Gazzetta di Ferrara”: foglio politico, scientifico e letterario nato grazie all’allentamento della censura governativa sulla stampa voluto da Pio IX il 15 marzo 1847. Il periodico ferrarese mise in chiaro sin dal primo numero i suoi princìpi e le sue intenzioni:

La Gazzetta di Ferrara registrerà nelle sue colonne i fatti più rilevanti della nuova vita politica italiana, ed Europea; e modesta come il suo nome e il suo formato, esprimerà sulle grandi questioni politiche legislative e amministrative, che sono per sorgere, il suo qualunque avviso, modesta sì, ma indipendente, ma imparziale, ma franca, ma ferma, attingendo la sua forza nella coscienza di non volere che quanto stimerà utile al nostro paese. La sua divisa sarà: nazionalità, indipendenza, libertà, eguaglianza, ordine pubblico3.

Imparzialità, rigore ed obiettività caratterizzarono effettivamente la linea editoriale della principale testata ferrarese che non nascose mai le sue simpatie liberal-moderate, anzi, ne fece un vanto. Soprattutto quando la situazione politica interna ed estera sembrò imboccare una svolta radicale:

Vi sono – ribadirono i redattori nel settembre 1848 – due maniere di giornali. Gli uni esclusivi difendono una sola opinione, combattono tutte quelle che sono opposte alla loro, e vogliono imporre il proprio giudizio ai lettori. Gli altri meno esclusivi non presuntuosi, e più tolleranti, accolgono le diverse opinioni, espongono il pro e il contro, e lasciano libero il giudizio al pubblico. […] La Gazzetta di Ferrara appartiene a questa seconda maniera di giornali. Da due soli estremi si guarderà sempre, dalle opinioni anarchiche, e dalle retrograde ((“Gazzetta di Ferrara”, a. I, n. 44, 25 settembre 1848.)).

Diversi studi (Banti 2004; Bergamini 2006; Villari 2009) hanno sottolineato l’importanza che la stampa, locale e nazionale, ebbe nell’articolare e sostenere il processo risorgimentale. Periodici d’opinione liberal-moderata come la “Gazzetta di Ferrara”, “Il Contemporaneo”, “Il Felsineo” e “Il Risorgimento” giocarono un ruolo chiave nella diffusione delle idee patriottiche tra le élite e i ceti medi al pari della stampa clandestina e, successivamente, di testate apertamente democratiche come “L’Italia del popolo” o, nel caso estense, la “Campana democratica del lunedì”. Mentre la rivoluzione sembrava dilagare i tutta Europa, dopo la svolta repubblicana della Francia (22-24 febbraio) e l’insurrezione della Sicilia contro il dispotismo borbonico (12 gennaio), in tutta Italia fiorì il dibattito politico-culturale. Le riforme e gli statuti concessi, sotto pressione popolare, dai sovrani italiani vennero salutati in ogni città da solenni celebrazioni religiose, giuramenti collettivi, inni patriottici e feste pubbliche. Le cronache ferraresi, ad es., riportano con enfasi i festeggiamenti spontanei e le fastose luminarie per onorare lo Statuto concesso da Pio IX il 14 marzo 1848: la carta riconobbe alcuni diritti e libertà essenziali ai sudditi dello Stato pontificio, definì istituzioni rappresentative e mitigò sensibilmente il dispotismo teocratico. Tuttavia le nuove istituzioni liberali e laiche rimasero sottoposte ai veti del pontefice e dei cardinali originando una querelle politico-istituzionale che sarebbe esplosa con maggior evidenza nei mesi successivi quando l’insurrezione dei patrioti lombardo-veneti e la guerra nazionale contro l’Austria avrebbero messo a nudo i limiti e le contraddizioni del sogno neoguelfo.

La guerra ed il Circolo nazionale ferrarese

Nel marzo 1848 la rivoluzione dilagò nelle provincie del vasto e multietnico Impero asburgico. Le élite nazionali insorsero contro il rigido centralismo e le politiche conservatrici del vecchio Metternich che, il 13 marzo, fu costretto alla fuga dai viennesi. Tra il 18 ed il 22 marzo anche Milano e Venezia insorsero con successo, costringendo le truppe del maresciallo Radetzky alla ritirata. Il giorno seguente l’esercito piemontese varcò il Ticino per soccorrere i “popoli della Lombardia e della Venezia”. Non sappiamo con certezza se, nella sofferta decisione di Carlo Alberto, abbiano pesato più il sentimento nazionale, le ambizioni dinastiche o la fretta di prevenire ulteriori sviluppi rivoluzionari. Gli storici stanno ancora discutendo (Cfr. Banti 2004; Beales, Biagini 2005; Candeloro 1970; Villari 2009). Fatto sta che nell’immediato, spinti dall’entusiasmo popolare, gli altri sovrani italiani decisero di appoggiare l’iniziativa sabauda. Un scelta presa più per opportunismo politico che per convinzione, come pensarono erroneamente i patrioti neoguelfi. Chi comprese subito l’inganno, ma non ebbe il peso politico necessario ad invertire la situazione, fu il repubblicano milanese C. Cattaneo che denunciò “quel ridicolo amoreggiarsi tra principi e popoli nel quale gli innamorati erano solo da una parte” (Cit. in Villari 2009, 174). Eppure proprio il “ridicolo amoreggiarsi”, esaltato dalla retorica nazional-patriottica, spinse migliaia di italiani, giovani soprattutto, a combattere e morire volontari nella prima guerra d’indipendenza. Ferrara si trovò nelle immediate retrovie del conflitto e vi partecipò offrendo volontari e supporto logistico-operativo. Nell’antica città estense, sin dai primi mesi del conflitto, confluirono migliaia di armati provenienti da ogni parte d’Italia. Celebre è il passaggio dei volontari romani, bolognesi e siciliani che cercarono, invano, di spronare le autorità cittadine ed i ferraresi stessi ad una risoluta azione militare contro la fortezza presidiata dagli austriaci. Caddero, invece, grazie all’azione congiunta delle truppe pontificie e dei volontari locali, i presidi costieri ed il 30 marzo Comacchio fu libera. Pochi giorni dopo le truppe pontificie del gen. Durando ed i volontari concentratisi a Ferrara iniziarono a varcare il Po, spronate dai rispettivi comandanti. Tra queste vi era anche un contingente di volontari ferraresi comandato dal conte Mosti, i “bersaglieri del Po”, che si sarebbe distinto con valore durante i combattimenti di Montebelluna, Cornuda, Treviso e Vicenza (maggio-giugno). Il volontariato militare diede un contributo importante al conflitto ed incentivò la partecipazione popolare al moto nazionale ed alle successive guerre risorgimentali. Tuttavia i comandanti pontifici sovrainterpretarono le reali intenzioni di Pio IX che, il 29 aprile, prese pubblicamente le distanze dal conflitto e smentì le illusioni neoguelfe. Le sue parole furono una doccia fredda per i patrioti ed incrinarono la coesione del fronte antiaustriaco. Confermarono però che il papa, data la dimensione universale e cosmopolita del suo magistero, non poteva certamente diventare un nazionalista, né patrocinare la guerra contro uno stato cattolico come l’Austria. Le parole e gli atti del pontefice provocarono le dimissioni del ministero laico presieduto, di fatto, dal ferrarese G. Recchi. Seguirono mesi di incertezza istituzionale e tensione tra Pio IX ed i suoi ministri laici, favorevoli alla guerra. Nemmeno la sconfitta delle truppe pontificie a Vicenza, il 10 giugno, risolse la situazione.

Anzi, il loro rientro a Ferrara venne salutato dalla municipalità col solo grido “Viva l’Italia”: nei proclami del gonfaloniere E. Righini non v’era più alcuna menzione a Pio IX. Eppure per alcuni mesi i moderati ferraresi cercarono di mantenere vivo il mito del “papa liberale” aizzando l’odio popolare contro i gesuiti “colpevoli” di aver ingannato il Santo Padre. Nel frattempo la guerra prese una piega nettamente sfavorevole al composito fronte italico: dopo l’allocuzione di Pio IX anche il re di Napoli, Ferdinando II, voltò le spalle alla causa nazionale ritirando le sue truppe. Infine i piemontesi, dopo alcuni successi, furono sonoramente sconfitti a Custoza e, in agosto, dovettero abbandonare il Lombardo-Veneto ed accettare un umiliante armistizio. Solo Venezia continuò a resistere grazie anche ai volontari napoletani che, disobbedendo gli ordini del re, erano rimasti al fianco del gen. Pepe: la loro drammatica scelta si consumò proprio a Ferrara che, in quei giorni convulsi, fu letteralmente al centro della grande Storia.

Dopo la disfatta piemontese i ferraresi rimasero improvvisamente esposti alla minaccia di una rappresaglia austriaca che non tardò a venire: tra luglio ed agosto le truppe di Lichtenstein e Welden compirono frequenti incursioni nelle legazioni pontificie creando notevoli disagi alle popolazioni e screditando il governo del papa-re. A nulla, infatti, valsero le proteste formali del prolegato Lovatelli e solo l’intervento diplomatico del viceconsole inglese Macalister riuscì ad ottenere il ritiro degli austriaci oltre Po. Il clima politico in città, e nel resto del paese, stava cambiando: ovunque sorsero circoli, aperti alla partecipazione popolare, per difendere le riforme ed ottenere la convocazione di una Costituente italiana. Obiettivi che si posero anche gli animatori del Circolo nazionale ferrarese fondato, nell’autunno 1848, dagli elementi più avanzati della borghesia cittadina.

Tra questi troviamo S. Anau, C. Grillenzoni, L. Borsari e C. Mayr – che in gioventù aveva simpatizzato per le idee mazziniane – ma alle sedute del Circolo parteciparono anche l’ex ministro Recchi e lo stesso prolegato Lovatelli, liberali fedeli al governo costituzionale di Pio IX. A Recchi, testimoniano gli articoli della “Gazzetta di Ferrara”, venne offerta persino la presidenza onoraria dell’associazione, anche se questi si defilò progressivamente dall’impegno politico in aperto disaccordo con le posizioni radicali e democratiche che prendevano piede in tutto lo Stato. Il Circolo si propose apertamente di unire “gl’uomini onesti di ogni condizione” per “cooperare al miglioramento morale e materiale del popolo, ed allo sviluppo dell’unione della libertà e della indipendenza Italiana”4. Inizialmente esso raccolse tutte le anime del movimento patriottico e cercò di coinvolgere attivamente, sovvenzionando diverse iniziative filantropiche, le classi popolari. Il proclama ai ferraresi del 14 ottobre, sottoscritto dall’intero gruppo dirigente, testimonia chiaramente il desiderio “di vedere ogni giorno crescere in esso l’elemento popolare; e che i cittadini d’ogni classe; gli artieri, che della società sono la parte più operosa e vitale, entrino nel Circolo e lo alimentino”5.

Tra i soci prevalse comunque l’orientamento moderato: nonostante l’impegno, ribadito in sede programmatica, di “tentare ogni via per affrettare le riforme delle nostre istituzioni” i patrioti ferraresi misero al centro della loro azione politica la “costituzione di un centro italiano e di una Rappresentanza nazionale”6. A tale proposito furono allacciati rapporti con gli altri circoli popolari e nazionali della penisola. Nel programma stilato da S. Anau, dunque, i princìpi – indissolubilmente legati – di nazionalità e libertà prevalsero sulle rivendicazioni politico-sociali del momento. La stampa fu il principale strumento di comunicazione impiegato dai soci per fare proseliti e guadagnarsi il sostegno popolare. La “Gazzetta di Ferrara” divenne, di fatto, la voce del Circolo nazionale ferrarese pubblicandone i proclami, informando delle attività i lettori ed attivando importanti campagne-stampa. Ricordiamo: la raccolta fondi per Venezia, assediata dagli austriaci, e per gli esuli lombardo-veneti; la campagna contro le discriminazioni antisemite, particolarmente apprezzata dalla numerosa comunità ebraica di Ferrara che, proprio nel 1848, aveva conquistato importanti diritti civili dopo gli anni bui del Ghetto7; le iniziative a sostegno di orfanotrofi e case di ricovero. Del resto recenti studi (Mattarelli 1999; Severini 2011) hanno dimostrato come, durante l’esperienza rivoluzionaria del 1848-1849, le libertà di stampa e d’associazione avessero messo finalmente i patrioti in condizione di competere col clero nell’opera di educazione e, in generale, nello stabilire saldi rapporti comunicativi con le masse popolari, guadagnandole alla causa nazionale.

Un vantaggio che sarebbe stato decisivo, anche a Ferrara, dopo la fuga improvvisa di Pio IX che, nel novembre 1848, si rifugiò a Gaeta dopo i torbidi seguiti all’uccisione del primo ministro P. Rossi. Dal suo esilio il papa prese definitivamente le distanze dal movimento liberale e minacciò la scomunica a tutti coloro che avessero collaborato col governo provvisorio e democratico che si era insediato a Roma. Ogni tentativo di riconciliazione fu vano mentre in tutto lo Stato aumentò d’intensità la propaganda democratica e mazziniana. Le autorità ferraresi, contando sull’appoggio del Circolo nazionale e dell’arcivescovo I. Cadolini, attesero l’evolversi degli eventi invitando alla calma i cittadini. Di fronte alla crescente incertezza istituzionale però i patrioti presero decisamente le redini della situazione:

Stringiamoci vieppiù in alleanza fraterna. Noi marceremo alla testa del movimento legale; e per questa via impediremo tanto le reazioni politiche governative, quanto le anarchiche; e solo a questo modo l’Italia sarà libera8.

Scriveva sulla“Gazzetta”, in quei giorni convulsi, S. Anau mentre il Circolo nazionale approvò all’unanimità un indirizzo che spronava il governo provvisorio, guidato dal porporato ferrarese C.E. Muzzarelli, alla “pronta attuazione di una costituente italiana in Roma eletta con suffragio universale e col più ampio mandato e la concentrazione delle truppe alla frontiera” (Mantovani 1999). Soluzione condivisa da tutti i circoli dello Stato romano, il 13 dicembre, al congresso di Forlì, dove prevalsero i democratici. Finalmente il 29 dicembre, dopo settimane d’incertezza politico-amministrativa, il governo e la Camera dei deputati sciolsero ogni riserva e convocarono l’elezione, a suffragio universale, dell’Assemblea nazionale costituente.

Ferrara repubblicana: il 1849

Dopo la fuga di Pio IX a Gaeta il movimento liberal-nazionale aveva preso in mano la situazione: ovunque i circoli popolari e nazionali avevano sostenuto e condizionato, mobilitando vaste masse popolari, i governi riformatori di Muzzarelli, Mamiani e Sterbini. La scelta della Costituente e del suffragio universale fu per loro un grande successo politico e, al tempo stesso, una scommessa da vincere ad ogni costo: il voto popolare, che all’epoca non aveva precedenti in Italia, doveva sancire il consenso interno al nuovo gruppo dirigente e legittimare agli occhi del mondo intero la svolta laica e democratica delle istituzioni romane. Una sfida difficile tenendo conto la vastità e la composizione del corpo elettorale (circa 750 mila persone, quasi tutte analfabete N.d.A.); le difficoltà logistiche e comunicative, aggravate dalla stagione invernale; l’aperta ostilità del clero che, soprattutto nelle campagne, svolse una vivace propaganda per il “non voto”. Non dimentichiamo che, il 1 gennaio 1849, Pio IX stesso impartì la scomunica a chiunque avesse votato o partecipato ai lavori della “mostruosa sedicente Assemblea nazionale generale degli Stati romani”.

Queste difficoltà non scoraggiarono affatto i patrioti romani che proseguirono la politica liberal-riformista dei precedenti governi e, attraverso i circoli, contrastarono la propaganda “astensionista” e reazionaria del clero. Un recente studio di Severini (2011) sottolinea proprio il ruolo cruciale svolto dai circoli tanto nella campagna elettorale e nella selezione dei candidati alla Costituente – che vennero individuati attraverso delle vere e proprie “primarie” ante litteram – quanto nel momento decisivo dell’affluenza al voto. Lo possiamo constatare anche nel caso ferrarese dove il Circolo nazionale svolse una vivace, capillare attività propagandistica sulla stampa, in città e nel contado; organizzò consultazioni interne per selezionare i 14 candidati che, in base al decreto del 29 dicembre, spettavano alla legazione ferrarese; creò un Comitato elettorale ad hoc per coordinare il lavoro dei circoli in provincia ed incentivare l’affluenza al voto sul territorio. Quest’ultimo agì tempestivamente come dimostra una circolare diffusa in provincia il 5 gennaio:

[…] il primo pensiero del Comitato è stato quello di dirigersi ai Circoli della Città da questo dipendenti, ai soci del nostro, ai corrispondenti, ai Cittadini di conosciuta probità ed amore patrio della Provincia, all’effetto che con noi dividono l’opera importantissima sia col promuovere ed istituire nel capoluogo e negli appodiati de’ Comitati figliali che illuminino l’opinione pubblica e facciano conoscere al popolo la nobiltà e grandezza dell’atto cui è stato chiamato sventando all’opportunità le macchinazioni di un partito retrogrado (Cit. in Mantovani 1999, 79.).

“Macchinazioni” frequenti soprattutto nelle campagne, dove molti parroci agirono per impedire o scoraggiare la partecipazione al voto, nonostante l’arcivescovo di Ferrara, mons. I. Cadolini, avesse rifiutato di amplificare la scomunica fulminata da Pio IX alla Costituente romana. Anche in città però non mancarono torbidi fomentati dalla guarnigione austriaca e dai reazionari che, dopo la fuga di Pio IX, vi si erano rifugiati dalle provincie vicine per sfuggire a vendette e rappresaglie. Una presenza denunciata più volte dalla stampa locale che, il 22 gennaio, si arricchì di una nuova, irriverente voce: la “Campana democratica del lunedì”. Tuono di Dio, voce del Popolo, morte degli empj – recitava l’eloquente sottotitolo del settimanale democratico diretto da M. Maccanti che raccolse subito le simpatie degli emigrati veneto-lombardi, degli studenti e delle classi medio-basse sensibili alla propaganda mazziniana. Il settimanale democratico irruppe sulla scena politica locale alla vigilia del voto per la Costituente e, quindi, non ebbe il tempo materiale di condizionarne l’esito che andò a tutto vantaggio del Circolo nazionale e dei moderati. Ad ogni modo ribadì il carattere “rivoluzionario” di quest’evento polemizzando vivacemente con la “Gazzetta” e la direzione del Circolo.

La sua infiammata prosa retorica si scagliò principalmente contro il clero ed i “sedicenti liberali” che “hanno veduto con dispiacere la Costituente perché amavano più l’anarchia, e i titoli e le cariche che le fanno corona che non il liberalismo”9. Un chiaro riferimento al prolegato Lovatelli che, il 17 gennaio, messo alle strette dalla scomunica papale, preferì lasciare la città e l’onere di organizzare l’imminente elezione generale ad una Commissione provvisoria presieduta dall’avv. C. Mayr; ma anche all’ex ministro Recchi che, a differenza di altri esponenti moderati, non nascose mai la sua profonda avversione alla Costituente ed al suffragio universale, pur condannando la fuga di Pio IX a Gaeta. Il settimanale democratico, inoltre, solidarizzò con lo studente A. Gennari che aveva criticato, sulla “Gazzetta” del 3 gennaio, l’elitarismo dei gruppi dirigenti locali osservando, ad es., che il Circolo nazionale, seppur composto di 600 individui, rimaneva “una cerchia di persone che forse meno hanno mestiere di istruirsi nella corsa politica mentre va ad escludere quella classe cui la educazione non poté istillare nobili principii, rettitudine di sentimenti e pensieri” (Cit. in Mantovani 1999, 85). Per contro la “Gazzetta” difese la linea moderata ed invitò i suoi lettori a scegliere con cura i candidati da mandare a Roma poiché “se da prima per abbattere il dispotismo poteva valere qualsiasi liberale, ora è duopo, a nostro avviso, distinguere il repubblicano dal costituzionale e fors’anche il moderato dall’esaltato”10.

Eppure, nonostante le divergenze politiche che sarebbero riemerse nei mesi successivi, liberali e democratici agirono di comune accordo per incentivare la partecipazione popolare al voto che, in tutto il territorio ferrarese, raggiunse livelli record: oltre 29 mila elettori si recarono alle urne, il 25 gennaio, su 62 mila aventi diritto11. Circa il 47%: la più alta affluenza elettorale mai registrata nello Stato romano. Furono eletti tutti i candidati proposti dal Circolo nazionale tra i quali spiccarono l’avv. C. Mayr, che di lì a poco divenne “preside” della provincia, ed il dott. C. Grillenzoni, che partecipò alla stesura materiale della Costituzione romana. Con una doppia elezione suppletiva, che interessò i collegi di Roma e Ferrara, il 24 febbraio anche G. Mazzini venne eletto alla Costituente: a Ferrara ottenne 8.201 preferenze su 16.164 votanti ma il repubblicano genovese scelse Roma. Il seggio ferrarese, tuttavia, rimase nelle mani dei mazziniani che, un mese dopo, elessero G.L. Ruffoni. Ferrara, quindi, nonostante la posizione periferica e l’incombente minaccia austriaca contribuì in maniera determinante al successo delle consultazioni che portarono alla nascita della Costituente e, successivamente, alla proclamazione della Repubblica romana il 9 febbraio 1849. Tale atto però avvenne in un contesto internazionale radicalmente mutato rispetto all’anno precedente e sostanzialmente ostile: in Francia, pochi mesi prima, il trionfo elettorale di Luigi Napoleone Bonaparte aveva sancito la sconfitta delle forze democratiche e popolari mentre le forze reazionarie e conservatrici avevano ripreso il controllo della situazione in Austria e nel Mezzogiorno borbonico.

I moderati toscani e piemontesi, inoltre, presero rapidamente le distanze dalla svolta repubblicana dei patrioti romani mentre ormai Pio IX invocava apertamente l’intervento militare delle “potenze cattoliche” per ristabilire il potere temporale della Chiesa. L’isolamento internazionale e la gravissima crisi economica interna non impedirono ai primi governi repubblicani e, successivamente, al più noto Triumvirato mazziniano l’avvio di un vasto piano di riforme politiche, economiche e sociali. Laicità dello Stato, eguaglianza del diritto, rappresentatività delle istituzioni, autonomia degli enti locali, riorganizzazione dell’esercito, lotta alla povertà, modernizzazione dei rapporti sociali e sviluppo economico: ecco le principali sfide raccolte dai patrioti romani che non rinunciarono mai al progetto di una più vasta Costituente italiana ed alla ripresa della guerra d’indipendenza. Tuttavia la scarsa partecipazione alle elezioni municipali del marzo-aprile 1849, che a Ferrara riaccesero lo scontro politico tra moderati e democratici, segnarono un primo allarme per le nuove classi dirigenti: disoccupazione, inflazione, aumento delle imposte stavano deteriorando il rapporto di fiducia tra i cittadini e la Repubblica.

A ciò dobbiamo aggiungere il problema della difesa e della tutela dell’ordine pubblico che, specialmente nelle provincie, rimase alquanto precario. La breve incursione austriaca a Ferrara del 19 febbraio sollevò in tutta eloquenza questo problema: la città era rimasta indifesa alla mercé del feroce maresciallo Haynau che, dopo aver rialzato gli stemmi pontifici, impose alle autorità locali un’ingente taglia, la consegna di alcuni ostaggi ed il riconoscimento dei pregressi accordi austro-pontifici sul rifornimento al presidio della cittadella ed il libero collegamento di questa con le forze imperiali del Veneto (Candeloro 1970, 425-426). Solo il deciso intervento del diplomatico inglese W. Macalister, ampiamente documentato dalle sue Memorie personali e dalla stampa locale, evitò “il bombardamento ed il saccheggio indiscriminato” di Ferrara mentre il preside Mayr, impotente, si rifugiava nella vicina Argenta invocando invano l’intervento militare del governo e delle città limitrofe. Quest’episodio fu il preludio alla vera e propria occupazione austriaca del territorio estense che pose fine all’esperienza repubblicana nel maggio successivo. Dopo la definitiva sconfitta dei piemontesi a Novara, nel marzo 1849, il governo imperiale decise di stroncare i fermenti democratico-rivoluzionari in Toscana e nelle Legazioni agendo con tempestività e fermezza. Il contemporaneo intervento franco-borbonico contro Roma, che però resistette eroicamente per alcuni mesi grazie all’abilità strategica di Garibaldi ed all’instancabile fede di Mazzini, suggellò il 4 luglio 1849 la fine di ogni speranza per i patrioti romani. Tuttavia questi riuscirono ad emanare in extremis la carta costituzionale che, nei suoi princìpi fondamentali, avrebbe ispirato, un secolo dopo, i padri costituenti della Repubblica italiana. Alcuni militi ferraresi perirono nella difesa di Bologna ed Ancona, assediate dagli austriaci, e della capitale. La città estense, invece, non ebbe il tempo di difendersi ed il preside Mayr, nuovamente costretto alla fuga, raggiunse Roma dove venne nominato ministro dell’Interno dal Triumvirato di Mazzini, Armellini e Saffi. Sulle porte dell’antico Castello estense vennero ripristinate così le insegne pontificia mentre gli austriaci assunsero temporaneamente il controllo civile e militare dell’intera città ed imposero ai ferraresi i rigori della legge stataria.

La trafila garibaldina ed i martiri del 1853

Due episodi segnano l’epilogo del lungo Quarantotto ferrarese: la trafila garibaldina dell’agosto 1849 e la morte dei patrioti Succi, Malagutti e Parmeggiani, fucilati dagli austriaci nei pressi della fortezza cittadina il 16 marzo 1853. Entrambi rimasero profondamente impressi nella memorie collettiva dei ferraresi che ne celebrarono annualmente la ricorrenza fino alla prima metà del secolo scorso. La trafila garibaldina è senza dubbio la più conosciuta a livello nazionale: caduta Roma, nel luglio 1849, Garibaldi compì una rocambolesca ritirata attraverso l’Italia centrale nel tentativo, poi fallito, di partecipare alla difesa di Venezia. Braccato dagli austriaci, che catturarono e fucilarono molti dei suoi compagni, dovette abbandonare l’impresa e trovò miracolosamente rifugio e salvezza nelle lagune di Comacchio e Ravenna. Si salvò, soprattutto, grazie all’intervento provvidenziale del patriota comacchiese G. Bonnet, più volte menzionato nelle sue Memorie. Durante la fuga morì di stenti la moglie del generale, Anita, ormai prossima al parto. Anni dopo questi episodi contribuirono alla diffusione del mito di Garibaldi nel ferrarese ed accese le simpatie popolari per le prime formazioni democratiche e socialiste. La fucilazione del possidente G. Succi, del giovane medico D. Malagutti e dell’oste L. Parmeggiani dimostrano invece la grande popolarità che avevano raggiunto, nel 1853, le idee patriottiche. Anche in una città periferica, com’era Ferrara, il messaggio di unità ed indipendenza lanciato nel biennio 1848-1849 conquistò il cuore di tutti. Se trent’anni prima il processo ai “carbonari” ferraresi aveva interessato pochi nobili e qualche notabile, tra il 1852 ed il 1853 gli austriaci – col beneplacito e la collaborazione delle autorità pontificie – arrestarono 44 persone provenienti da ogni ceto sociale, tra cui una donna e numerosi giovani. Nobili, possidenti, professionisti, studenti ed artigiani: tutti ormai erano compromessi con le organizzazioni patriottiche e mazziniane come documenta l’ampio studio di Panigada (1916). La morte di Succi, Malagutti e Parmeggiani rappresentò anche la fine dell’egemonia mazziniana sul movimento patriottico ferrarese iniziata alla fine del 1848. D’ora in poi l’iniziativa sarebbe tornata saldamente nelle mani delle élite moderate, vicine alla linea monarchico-costituzionale del Piemonte di Cavour: il tempo della rivoluzione era definitivamente tramontato.

Per citare questo testo attenersi alle seguenti indicazioni: Davide Nanni, 1848-1849: la rivoluzione a Ferrara, in “Storia e Futuro”, n. 30, novembre 2012.

Biografia

Davide Nanni ha da poco terminato gli studi universitari a Bologna conseguendo con lode la laurea magistrale in scienze storiche. Dal 2009 collabora con l’Istituto di storia contemporanea di Ferrara e scrive sul quotidiano locale “La Nuova Ferrara”.

Biography

Davide Nanni graduated cum laude in Historical Sciences at the University of Bologna. He has been cooperating with the Institute of Contemporary History in Ferrara since 2009, and currently writes for the newspaper “La Nuova Ferrara”.

Bibliografia

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Periodici consultati:

 

“Campana democratica del lunedì”, 1849.

 

“Gazzetta di Ferrara”, 1848-1853.

Siti consigliati

 

www.ottocentoferrarese.it

Il sito raccoglie e rende fruibile in rete il patrimonio bibliografico e documentario sul XIX secolo ferrarese.

 

www.treccani.it/biografie/

Sul sito sono disponibili le biografie dei protagonisti del Risorgimento italiano e ferrarese.

 

www.repubblicaromana-1849.it

Sul sito sono consultabili i documenti su Ferrara conservati presso l’archivio della Biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma.

  1. Archivio Storico del Comune di Ferrara (ASCFe), c.a. XIX sec., popolazione, b. 7 “Statistiche 1805-1860”. []
  2. Le note di protesta pontificie ed i documenti relativi all’occupazione austriaca del 1847 sono in parte conservati presso il Museo del Risorgimento e delle Resistenza di Ferrara (MRRFe); cfr. anche Candeloro 1970, 45 ss. []
  3. “Gazzetta di Ferrara”, a. I, n. 1, 5 giugno 1848. []
  4. Statuto del Circolo nazionale ferrarese in MRRFe, b. 16 “Circolo nazionale ferrarese 1848-1849”, f. 1. []
  5. “Gazzetta di Ferrara”, a. I, n. 53, 16 ottobre 1848. []
  6. S. Anau, Programma del Circolo nazionale ferrarese in “Gazzetta di Ferrara”, a. I, n. 54, 18 ottobre 1848. []
  7. Cfr. “Gazzetta di Ferrara” , a. I, nn. 59-61, 30 ottobre-3 novembre 1848; sugli ebrei ferraresi nel Risorgimento cfr. anche Provasi 2010, 76 ss. []
  8. “Gazzetta di Ferrara”, a. I, n. 69, 22 novembre 1848. []
  9. “Campana democratica del lunedì”, a. I, n. 1, 22 gennaio 1849. []
  10. “Gazzetta di Ferrara”, a. II, n. 6, 12 gennaio 1849. []
  11. ASCFe, c.a. XIX sec., potenze: elezioni politiche, b. 2 “1849”. []