Federico Ruozzi
Cesare Zavattini, durante la manifestazione di presentazione dell’attività dell’Archivio storico audiovisivo del Movimento operaio il 28 gennaio 1980 a Roma, si era preparato un discorso sul ruolo delle immagini nella società moderna, sul loro consumo, sulla loro diffusione e dunque, in estrema sintesi, sul lavoro e il ruolo di un archivio di immagini (siano esse audiovisive o fotografiche); riprendere qui alcune delle parole pronunciate dall’artista luzzarese ci permette di inquadrare meglio il discorso che si vuole introdurre nonché di utilizzarle per farle risuonare come sottofondo costante nel presentare l’archivio fotografico Rodrigo Pais:
Un famoso scrittore diceva che l’occhio che vede conta più della cosa veduta. Ma sono troppi gli occhi ai quali non si danno i mezzi necessari per vedere meglio, cosicché la memoria medesima dei più continua a venire condizionata, e possiamo parlare di una civiltà che perde la memoria, oppure di un modo di ricordare che s’identifica solo col potere. Se una volta si auspicava che almeno un libro entrasse in ogni casa, oggi si dice che almeno una immagine deve entrare in ogni casa1.
Certo Zavattini non si illudeva affatto sulla forza delle immagini ed era ben consapevole che le stesse possono perdere il loro significato e diventare silenziose, “ferme là sul muro”. Tuttavia riteneva che “il problema non [fosse] solo quello della proliferazione dei materiali di cui l’Archivio dispone, quanto il loro consumo, la loro diffusione, la loro interpretazione, se si vuole appunto togliere dall’immobilità l’immagine sul muro”2.
Chi ha la pazienza di arrivare fin su in alto alle colline forlivesi (“un monte assai alto” scriveva il cardinale Anglic Grimod de Grisac nel 13713), percorrendo la Strada della Vendemmia, scopre Bertinoro, un silenzioso e affascinante borgo medievale. La Rocca del X secolo, nella quale vi dimorò anche l’imperatore Federico Barbarossa e sede vescovile dal XVI secolo, è diventata dal 1994 sede del Centro residenziale universitario e del Museo interreligioso, mentre l’ex Seminario vescovile è oggi foresteria del Centro universitario.
È in questo contesto e in questi luoghi che dal 2006 è conservato, sotto la cura attenta e scrupolosa di Guido Gambetta, ordinario di econometria all’Università di Bologna, e di Salvatore Mirabella, fotografo ed esperto di nuovi media, il prezioso patrimonio fotografico di Rodrigo Pais, tra i più importanti fotoreporter italiani, il cui occhio e obiettivo sono stati dalla fine degli anni Cinquanta testimoni della vita e degli scontri, delle tragedie e dei cambiamenti che hanno attraversato il nostro paese. Nonostante la pace e la tranquillità del luogo, le fotografie dell’Archivio Pais non corrono certo il rischio di sonnecchiare appese a un muro.
Il fotografo Rodrigo Pais
Rodrigo Paisnasce a Roma il 28 settembre 1930. Nel 1946 inizia a lavorare come stampatore nel laboratorio fotografico Binazzi e Lombardini, dove l’immancabile gavetta gli fa imparare il mestiere. La passione per la fotografia e per la politica e la bravura fanno il resto: nel 1950 arriva al settimanale “Vie Nuove” e dal 1954 inizia la collaborazione come fotoreporter di primo piano con “L’Unità”, “il suo grande amore” come ebbe a dire, e con “Paese Sera”, a quei tempi nella medesima sede, diventando un nome importante nel panorama del fotogiornalismo italiano. Lavorerà per la testata fondata da Antonio Gramsci fino alla fine della sua carriera di fotogiornalista, nel 1998. Arriva anche a collaborare per qualche tempo con il “Corriere della Sera” e con il “Corriere d’informazione”, seguendo alcuni grandi processi (per esempio a Giovanni Fenaroli, di cui aveva immortalato l’arresto con un sevizio che fece storia).
Come riporta anche nella sua scheda biografica “Fotoarchivi e Multimedia”, la sua crescita professionale è tutta legata ai grandi servizi di cronaca romana e di cronaca nera.
Pais però non si limita ad essere solo fotografo: con Giorgio Sartarelli fonda l’Agenzia Pais e Sartarelliche fino al 1972, anno dello scioglimento, sarà una delle più note e apprezzate sia in Italia che all’estero.
Muore a Roma nel marzo 2007, a settantasette anni, dopo aver dedicato gli ultimi anni della sua vita a riordinare e inventariare il suo archivio.
L’archivio Pais. L’occhio del fotografo de “L’Unità” su quarant’anni di storia italiana
L’archivio fotografico Rodrigo Paisè costituito da 363.868 negativi in bianco/nero, 5.982 negativi a colori e 8.597 stampe in bianco/nero, centinaia di metri di pellicola che condensano il frutto di un’intera vita dedicata a osservare il mondo attraverso le diverse ottiche fotografiche.
I negativi, ben conservati in bustine ordinate per anni, coprono un arco cronologico che va dal 1955 (la prima busta di negativi conservata porta la data del 3 luglio 1955, giorno in cui la delegazione culturale italiana è di ritorno da Helsinki) al 1998 e riguardano più o meno noti momenti della vita politica, civile e culturale italiana, ma non mancano nemmeno servizi riguardanti i Paesi dell’Europa dell’est negli anni in cui erano parte del blocco sovietico.
Uno spazio privilegiato, in modo del tutto comprensibile, è dedicato alle attività del Partito comunista (prima di un servizio ufficiale sulla segreteria del Pci con Togliatti, Longo, Amendola, Paietta e altri dell’ottobre del ‘55, è la Festa dell’Unità di Livorno dell’11 settembre il primo evento correlato a passare sotto l’obiettivo di Pais).
I nuclei tematici prevalenti di questo fondo fotografico sono: cronaca nera, cronaca bianca, cronaca rosa, politica e Governi, manifestazioni sociali, spettacolo, “Dolce Vita”, personaggi ed ambienti della cultura e del cinema, borgate romane, Spagna, Paesi dell’est europeo ex sovietici, Praga 1968, Mosca, Baku, Varsavia.
Nella cronaca nera, trovano grande spazio quelli che possono essere definiti come “I Grandi processi”, tra cui spiccano quelli a Graziosi, Montesi e il già citato Fenaroli (anche noto come il mistero di via Monaci), ma anche quello ai “pubblici peccatori e concubini”, come erano stati definiti i coniugi Bellandi da mons. Fiordelli, vescovo di Prato, colpevoli di essersi sposati con il rito civile nel 1956.
Tuttavia, è indubbio che le fotografie più interessanti siano da una parte quelle legate all’attività politica (riunioni di partiti, manifestazioni, dibattiti, cortei, comizi), e governativa, e dall’altra, quelle che, come un termometro, sanno cogliere gli umori di una società che cambia (dalle proteste contro lo guerra alle battaglie referendarie, dalla dolce vita di via Veneto al mondo della cultura impegnato a far sentire la propria voce, dalle dive del cinema alle star della televisione, dalla modernizzazione alle manifestazioni a favore del terzomondo).
Completano l’archivio, gli strumenti e le guide essenziali per muoversi in questo fondo: 11 quaderni di catalogo cronologico per le foto b/n, 5 quaderni di catalogo cronologico per le foto a colori e più di diecimila schede cartacee per il catalogo a soggetto.
Tutti gli scatti, dal 1955 al 1998, sono infatti debitamente catalogati, sia da un punto di vista cronologico, sia per nomi e argomenti. È così possibile, attraverso un accurato inventario portato a termine dallo stesso Pais, muoversi abbastanza velocemente nella ricerca e districarsi in maniera agevole attraverso le migliaia di negativi: grazie alla scrupolosa catalogazione, in pochi minuti si può passare dal riferimento cartaceo alla bustina contenente il negativo individuato, senza bisogno di passare (strano ma vero!) per le vie informatiche di database o cataloghi digitali.
L’acquisizione del fondo Pais
L’archivio Pais è stato acquistato da Guido Gambetta direttamente da Rodrigo Pais nel settembre 2006.
Al momento dell’acquisto l’archivio era già vincolato dal ministero per i Beni e le Attività culturali (Soprintendenza archivistica del Lazio) con un primo provvedimento del 16 maggio 2002, poi aggiornato da un secondo del 31 luglio 2006 che correggeva la consistenza effettiva dell’archivio, riconoscendone il notevole interesse storico e documentale.
Tale archivio è stato infatti dichiarato dal ministero per i Beni e le Attività culturali di elevato interesse storico in quanto, nelle parole del ministero, “costituisce fonte di incommensurabile valore per la ricostruzione della storia dell’ultimo secolo e testimonianza unica e particolare della vita politica e sociale del nostro paese e dei Paesi europei ed extraeuropei”.
Successivamente, il prof. Guido Gambetta ha concesso l’archivio in comodato gratuito all’Università di Bologna, un passaggio formalizzato con provvedimento del CdA del 15.4.2008. In seguito al comodato, Salvatore Mirabella è stato nominato responsabile tecnico dell’archivio che è stato collocato presso l’Ufficio New Media dell’Università di Bologna, nei locali resi disponibili dal CeUB (Centro residenziale universitario di Bertinoro) in seguito alla convenzione stipulata con l’Università di Bologna e l’Istituto per i Beni artistici culturali e naturali della regione Emilia-Romagna (Ibc), dove tutt’ora è conservato.
Nel dicembre 2010 è stata firmata una convenzione triennale tra l’Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, l’Università e il CeUB per la digitalizzazione dei cataloghi e dell’archivio.
L’occhio di Pais sul religioso
Certamente, come si è detto, la cronaca nera, la politica e le attività del Pci ricoprono, in questo archivio, uno spazio rilevante sia quantitativamente, sia qualitativamente, proprio per i compiti e il ruolo che Pais era chiamato ad avere nelle testate per cui lavorava.
A maggior ragione e da queste premesse, risulta ancora più interessante soffermarsi su un dato che si evince dallo scorrere l’inventario del fondo, l’attenzione, cioè, posta al religioso.
La sfera religiosa ha, infatti, certamente un ruolo importante negli scatti di Rodrigo Pais, tale da meritare un cenno e soffermarsi un poco.
Pais attraversa la penisola, fotografando situazioni e immortalando momenti – con una resa estetica che non ha nulla da invidiare ai celebri reporter internazionali – che possono essere considerati come la cartina di tornasole di una certa Italia e di una certa religiosità popolare di cui è intriso l’intero paese, dagli anni Cinquanta fino ai Novanta, con più forza di alcuni saggi di sociologia o antropologia religiosa.
Non si sofferma solo su certe situazioni ufficiali, seguendo negli anni i conclavi, le elezioni, le attività e i funerali dei vari pontefici, da Pio XII a Giovanni Paolo II (stupisce però la scarsa presenza di questo papa mediatico nell’archivio), o immortalando alcune celebrazioni romane, ma cerca situazioni più pregnanti, documentando per esempio con una serie di scatti la lettura della Bibbia organizzata dalla Chiesa avventista del Settimo Giorno al Pincio, oppure l’attività di una suora che, come un vigile nel traffico, controlla in modo ferreo e senza concessioni di alcuna sorta la lunghezza delle minigonne dei turisti, soprattutto stranieri, giunti in visita alla Basilica di San Pietro. Esempi che mostrano come riesca a catturare con sapienza l’attimo, con una lettura della realtà che pochi sono riusciti ad eguagliare.
E va in giro per l’Italia. Nel 1962 è a Messina a fotografare l’iniziativa di una parrocchia che ha pensato bene di indire una consultazione tra i propri parrocchiani per la scelta dei santi protettori da attribuire ai vari quartieri. Bambini, anziani, donne accorrono sotto lo sguardo del parroco a esprimere la propria preferenza; il 1962 è anche l’anno del concilio e Roma e i suoi fotografi non si fanno certo cogliere impreparati da quell’arrivo inedito di vescovi provenienti dai più disparati angoli del pianeta. Pais segue in particolare la prima e la seconda sessione, immortalando con minuzia quei momenti dell’assise conciliare, utilizzando sia il bianco e nero, sia il colore che permette così di cogliere quella ricchezza cromatica dei paramenti delle differenti tradizioni che, a un livello più profondo, molto dice dell’universalità della chiesa cattolica, fino ad allora scarsamente conosciuta dalla società degli anni Sessanta.
L’occhio del fotografo si ferma anche su particolari leggeri ma densi di significati: lo scatto coglie il momento in cui un religioso esce da una ricevitoria dopo aver giocato al lotto i numeri relativi alla biografia di papa Giovanni XXIII, deceduto da pochi giorni, o il breve istante in cui un prete, a passeggio per le vie romane, è attirato da una vetrina di un negozio che espone intimo femminile.
Non manca infine di puntare l’obiettivo su un momento alquanto insolito: il riposo dei preti in una spiaggia a Palinuro, un’area della Casa del Clero gestita dalla Caritas Romana, in cui, pudicamente, sulle sdraio ma in calzamaglia, si riprendono dalle fatiche delle loro parrocchie.
“Un archivio più del presente che del passato”4
Sull’Archivio Pais, come già anticipato, sta da alcuni anni intervenendo il prof. Guido Gambetta, curatore scientifico e coordinatore dell’archivio, insieme a Salvatore Mirabella dell’ufficio New Media, che, oltre ad essere lui stesso fotografo ed esperto di attività multimediali, è responsabile del fondo.
I due autori hanno realizzato due cataloghi fotografici: Pais Italia. Foto di Rodrigo Pais dal 1955 al 1960 (Ceub, 2008) e Adone Zoli. Un padre della Repubblica, Bup (2010), in cui le foto non vengono usate come corollario agli articoli per impreziosire il volume stesso, ma come testo (visivo) che in modo eloquente racconta e veicola informazioni sulla storia più recente.
Le fotografie di Rodrigo Pais sono state e continuano ad apparire anche su diverse pubblicazioni e cataloghi fotografici, visto l’importanza ormai assunta dall’autore. Si segnala che un suo significativo numero di scatti (circa una cinquantina) è stato recentemente pubblicato nella sezione iconografica dei due volumi editi dall’Istituto della Enciclopedia Italiana, Cristiani d’Italia. Chiese, società e stato. 1861-2011, a cura di Alberto Melloni e nel catalogo della Fotografia Europea di Reggio Emilia5.
In questi ultimi anni Gambetta e Mirabella hanno organizzato anche numerose e importanti personali dedicate a Rodrigo Pais (a Forlì, Predappio, Roma, Napoli), dando al fotoreporter grande visibilità.
Nel 2010 è invece nata una collaborazione con il prof. Alberto Melloni e con la Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII che ha portato, oltre alle già citate pubblicazioni, anche alla realizzazione di videomostre in cui largo spazio hanno avuto proprio la valorizzazione delle opere del fotografo romano (Bologna, Reggio Emilia).
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- Archivo storico audiovisivo del Movimento operaio, in Gli altri, ora in Cesare Zavattini, Opere. 1931.1986, a cura di Silvana Cirillo, Bompiani, Milano, 2001, p. 1792. [↩]
- Archivo storico audiovisivo del Movimento operaio, in Gli altri, ora in Cesare Zavattini, Opere. 1931.1986, a cura di Silvana Cirillo, Bompiani, Milano, 2001, p. 1792. [↩]
- Descriptio Romandiole, ed. Soc. Studi Romagnoli, p. 183. [↩]
- Riprendo ancora Zavattini, cfr. Cesare Zavattini, Opere. 1931.1986, p. 1791. [↩]
- Cfr. il mio saggio, Bianco papa. L’immagine del pontefice tra Otto e Novecento, in verde bianco rosso. Una fotografia dell’Italia. Catalogo della mostra di Fotografia europea, Mondadori Electa, Milano 2011, pp. 86-99. [↩]