Aldo Capitini, Guido Calogero Lettere 1936-1968 a cura di Thomas Casadei e Giuseppe Moscati Roma, Carocci, 2009

Carlo De Maria

 Copertina De Maria

Un carteggio di circa 600 pagine che racchiude integralmente la corrispondenza epistolare tra Aldo Capitini e Guido Calogero, accompagnando il lettore dall’estate 1936, quando i due intellettuali si conobbero, fino all’autunno 1968, l’anno in cui morì Capitini. Si tratta di uno strumento di studio prezioso per attingere a quei percorsi critici e a quelle forme del dissenso che hanno animato una parte importante della storia repubblicana, pur rimanendo minoritarie e largamente inascoltate. Ad emergere è un patrimonio di intuizioni e di proposte controcorrente, ma sempre costruttive, che corrispondono a un progetto ambizioso, quello di un Paese civile e solidale, costruito “dal basso” grazie a una crescente partecipazione popolare.

Questo volume è parte della complessiva edizione dell’epistolario di Aldo Capitini, promossa dall’omonimo Centro studi di Perugia e aperta, tra il 2007 e il 2008, dalla pubblicazione dei carteggi con Walter Binni (1931-1968), a cura di Lanfranco Binni e Lorella Giuliani, e con Danilo Dolci(1952-1968), a cura di Giuseppe Barone e Sandro Mazzi. Per approntare al meglio il terzo tassello dell’epistolario, il Fondo Capitini dell’Archivio di Stato di Perugia è stato integrato dalle missive conservate tra le Carte Calogero dell’Archivio centrale dello Stato. Il lavoro dei due curatori, Casadei e Moscati, si conferma a ogni pagina minuzioso e non si limita all’attenta resa dei carteggi o alla loro annotazione, ma si segnala anche per una introduzione che, per quanto breve, rivela (proprio nella capacità di sintesi) una piena padronanza dell’argomento.

L’ideale socialista si intreccia in Capitini e Calogero con un vivo interesse per i problemi dell’intervento sociale ed educativo. La ricerca di una “nuova socialità”, che richiede il lavoro quotidiano di “educatori politici” capaci di stimolare un vero e proprio processo di alfabetizzazione democratica dei cittadini. “Ecco allora, scrivono i curatori, emergere la componente etica dell’educazione civica che, lungi dallo scadere in moralismo, si propone come integrazione di una politica che altrimenti rischierebbe di ridursi a vuota procedura” (p. 15).

Attraverso il fitto epistolario si ripercorrono le tappe fondamentali di una vita. Filosofo e intellettuale antifascista, interprete del pensiero gandhiano sulla nonviolenza e la disobbedienza civile, Capitini fonda con Guido Calogero, nel 1937, il movimento liberalsocialista. Estraneo al sistema dei partiti politici, nell’immediato dopoguerra promuove i Centri di orientamento sociale (Cos), finalizzati a incentivare l’autogoverno locale e la partecipazione autonoma dei cittadini alla vita pubblica; sempre in quegli anni (1946-48) fonda, insieme a Ferdinando Tartaglia, il Movimento di religione e, nel 1952, con la quacchera inglese Emma Thomas, il Centro di orientamento religioso (Cor), con la volontà di battersi per un approccio critico e riformatore nei confronti del cattolicesimo, favorendo nel contempo la conoscenza delle religioni diverse dalla cattolica.

Ciò che sorprende oggi è la sua creatività istituzionale, che deriva dalla volontà di coniugare concretamente pensiero e azione, mettendo continuamente al vaglio della pratica gli ideali educativi, politici e sociali. Accanto agli spazi associativi e di discussione pubblica aperti da Capitini, va ricordata l’esperienza del Cepas, la prima scuola italiana per assistenti sociali fondata, nell’immediato dopoguerra, da Calogero insieme alla moglie Maria Comandini.

Come ha ricordato recentemente Goffredo Fofi (La persuasione e la retorica, in “l’Unità”, 29 agosto 2010),Capitini non amava la parola “militante”, troppo simile a “militare”, e gli preferiva il termine “persuaso”, che prendeva a prestito dall’opera del filosofo Carlo Michelstaedter. Nemici della retorica politica, i “persuasi” si distinguono per una “aggiunta etico-religiosa” al loro impegno pubblico, e “invece che parlare esclusivamente dell’entrare o uscire da un partito” (p. 352), si sforzano per dar vita a “strutture autonome-federali-dal basso” (p. 203).

In questo modo il liberalsocialismo, ammetteva volentieri Capitini, virava decisamente verso il socialismo libertario.