Le “anime” di Rimini tra città e marina Testimonianze (1950-1970)

Gianluigi Di Giangirolamo

Abstract

Partendo dalla concezione che nell’immaginario collettivo nazionale e internazionale Rimini è vista come la città del turismo di massa, si è cercato di indagare all’interno della sua storia più recente nel tentativo di comprendere quali siano state le trasformazioni sociali, politiche e culturali avvenute negli anni Cinquanta e Sessanta. In particolare, come esse siano state recepite e vissute dalle generazioni a cavallo di quel periodo. A cominciare dal ruolo giocato dalla federazione riminese del Pci nei confronti delle strategie attuate per lo sviluppo del turismo di massa e analizzando gli elementi che emergono dalle testimonianze raccolte nella prima fase della ricerca storico-sociale Il Senso dei Luoghi: Rimini e il suo centro storico promossa dal Laboratorio di Storia sociale “Memoria del quotidiano”.

Abstract english

Starting from the national and international presumption that Rimini is just a city of mass tourism, we tried to investigate its recent history in an attempt to understand where the social, political and cultural transformations occurred in the Fifties and Sixties. Particularly, how they have been experienced by that period’s generations, focusing on the role played by the Pci federation of Rimini for the development of mass tourism, and analyzing the personal accounts collected in the first stage of the social-historical research Il Senso dei Luoghi: Rimini e il suo centro storico promoted by the Laboratory of Social History “Daily life’s Memory”.

Il contesto politico

Partendo dalla concezione che nell’immaginario collettivo nazionale e internazionale Rimini è vista come la città del turismo di massa, si è cercato di indagare all’interno della sua storia più recente nel tentativo di comprendere quali siano state le trasformazioni sociali, politiche e culturali avvenute negli anni Cinquanta e Sessanta. In particolare, come esse siano state recepite e vissute dalle generazioni a cavallo di quel periodo. A cominciare dal ruolo giocato dalla federazione riminese del Pci nei confronti delle strategie attuate per lo sviluppo del turismo di massa. Costituita nel 1949, essa è la prima organizzazione a non corrispondere ad un capoluogo di provincia in Italia e ad avere giurisdizione su circa venti comuni che corrispondono all’attuale territorio provinciale riminese. Peculiarità della sede di Rimini inoltre è la composizione degli organi dirigenti della federazione eletti durante il congresso costitutivo, che a differenza delle altre organizzazioni, sono per la maggior parte di età inferiore ai trent’anni ed esponenti della nuova generazione (Gambini 2005). È proprio in questi anni che la crescita del turismo diventa costante come sottolinea il prefetto di Forlì Giua-Loy in un suo rapporto mensile nel luglio del 1949:

La stagione balneare è in pieno sviluppo in tutte le località della riviera romagnola da Cesenatico a Cattolica. L’afflusso dei forestieri è rilevante: nel corrente mese si sono avute un milione duecentomila presenze, tra le quali 150.000 sono di stranieri. L’attrezzatura alberghiera è stata quasi ovunque a livello prebellico: notevole è stato in questo campo l’iniziativa privata, la quale si è pure giovata dei tangibili aiuti finanziari concessi a questo scopo dal Governo. Attualmente sono in funzione 115 alberghi, 410 pensioni e 86 locande. Di questi: 13 alberghi, 134 pensioni e 60 locande sono stati aperti la prima volta questa stagione. Il notevole afflusso di forestieri ha incrementato tutta l’attività commerciale della riviera con sensibile movimento di denaro e miglioramento della disoccupazione locale. Taluni settori dell’attrezzatura turistica lasciano ancora a desiderare, come i collegamenti ferroviari con i centri maggiori del retroterra, la sistemazione delle zone balneari, la programmazione di manifestazioni artistiche di rilievo, mentre una più attiva e più intelligente propaganda all’estero avrebbe certamente prodotto l’afflusso di maggiori aliquote di villeggianti stranieri1.

Queste condizioni molto probabilmente pongono la Federazione riminese di fronte ad una realtà, che è da un lato diversa dalle altre aree della regione, dove la ripresa economica postbellica tarda a prendere il via e dall’altro apre la strada a nuovi temi da portare all’ordine del giorno della propria attività e cioè l’opportunità di promuovere il turismo come nuova occasione di crescita e rinascita per Rimini. Un ruolo importante è svolto dalla vicende interne al Pci della città, in particolare avvengono due cambiamenti: l’elezione di Walter Ceccaroni a sindaco della città nel 1948 e più tardi nel 1952 la chiamata di Mario Soldati alla guida della federazione riminese (Gambini 2005).Con questi due nuovi e giovani dirigenti si apre sul territorio una sorta di diarchia, da un lato il segretario della federazione e l’apparato del partito, dall’altro il sindaco con i suoi legami e rapporti con la rete di organizzazione della società civile. Una condizione che garantisce almeno per tutto il decennio una gestione senza conflitti. In questo senso le azioni intraprese dall’amministrazione volte al decollo dell’economia turistica non vengono criticate dalla federazione che deve però aspettare il cambio della sua dirigenza, prima di volgere uno sguardo interessato alle attività legate all’impresa turistica. È infatti soltanto la nuova dirigenza di Soldati che farà convergere i piani di sviluppo della società riminese verso il turismo.

A palazzo Garampi gli investimenti e le iniziative promosse fungono da motore verso il nuovo modello di turismo che si andrà ad affermare nella città. Si ritrova nella lettura degli atti del consiglio comunale un deciso interesse alla zona balneare senza però tralasciare la difficile condizione in cui si trova ancora il territorio a causa della guerra e i necessari interventi dovuti agli altri ambiti dell’economia locale, come quello agricolo. Si legge dunque nelle “dichiarazioni programmatiche del sindaco”, esposte durante la seduta del 28 luglio 1957, che egli:

Ritiene opportuno ricordare che Rimini ha una composizione economica particolare. In tale composizione economica predomina, come tutti sanno, l’attività turistica, come unica fonte di guadagno della gran parte dei riminesi. È ovvio che il problema del turismo, sarà una delle preoccupazioni fondamentali di questo Consiglio. Però bisogna riconoscere, in omaggio alla verità, che il turismo non è sufficiente ai bisogni dei cittadini. L’atmosfera di guerra, che purtroppo ancora dura, non è certo favorevole allo sviluppo del turismo. In simile situazione è evidente che l’attività turistica non può costituire e rappresentare l’unica attività economica di Rimini. Bisogna inoltre tener presente, a tale riguardo per chi non fosse convinto della sua affermazione, che anche tutte le attività connesse al turismo sono oggi in crescente disagio. D’altra parte non si può dimenticare che l’economia agricola del Comune è una delle più povere della zona […]. Gli obbiettivi che la maggioranza tende a raggiungere, in coerenza alla proprie direttive da lui poco fa enunciate, sono: la risoluzione del problema del Marecchia, la risoluzione del problema dell’Ausa, la costruzione della filovia Rimini-Bellaria, la ricostruzione del teatro comunale, il potenziamento degli istituti culturali, il completamento delle opere alla marina per l’incremento del turismo2.

Durante il congresso della Federazione nell’ottobre del 1950 viene fatto un solo accenno riguardo al turismo mentre si discute sul rapporto tra il partito e i ceti medi nella città. È l’intervento di Glauco Cosmi che affronta in questi termini la questione:

Rifacendosi al rapporto del compagno Tabarri rimarca la debolezza del Partito tra i ceti medi in modo particolare nelle zone rivierasche. Uno dei problemi che noi come partito dovremmo affrontare per avvicinare una parte considerevole del ceto medio è il problema turistico. Questo problema fino ad oggi è stato completamente trascurato. Nella riviera abbiamo 683 tra alberghi e pensioni, abbiamo 194 colonie, 396 bagnini, 4930 affittacamere dei cittadini che si dedicano a questa attività ben pochi sono presenti nel partito. Si pone perciò il problema di lavorare in direzione di questi strati. È necessario che le Sezioni di Partito delle zone rivierasche sviluppino una intensa attività propagandistica per spiegare agli albergatori, ai proprietari di pensioni, agli albergatori, agli affittacamere come la politica di guerra che conduce il governo della D.C. sia nociva ai loro interessi. È necessario sviluppare il turismo di massa3.

Nonostante sia l’unico intervento riguardo a questi temi, individua chiaramente quale sarà l’atteggiamento della federazione nel suo futuro. La decisione da parte dell’amministrazione comunale di organizzare un convegno per lo sviluppo turistico della riviera romagnola-marchigiana può essere considerato un momento di forte impulso nel perseguire un nuovo modello per il lancio del turismo di massa:

L’Amministrazione Comunale ha pensato quindi di indire un convegno a Rimini che interessa le due riviere, romagnola e marchigiana; un convegno il quale avesse lo scopo di trattare in sede tecnica alcuni degli aspetti fondamentali dei problemi generali strettamente connessi all’esercizio turistico. Dopo un lavoro lungo si è arrivati alla formazione di un Comitato promotore al quale partecipano gli Enti e le Aziende di Cura, le Camere di Commercio, le Autorità delle due Province […]. Il Convegno segnerà un passo importante per lo sviluppo della Riviera e farà conoscere soprattutto i problemi che sono legati allo sviluppo del nostro turismo. L’Amministrazione è profondamente convinta, nella preparazione di questo Convegno, di cercare qualche cosa che possa servire profondamente allo sviluppo turistico della nostra Riviera perché la nostra città rappresenta il 50% di tutto il turismo della riviera ed è con questo sentimento, che come Comune, ci si prepara a partecipare al Convegno4.

 

Interviene il consigliere Cecchi che afferma:

Certamente al Congresso si ripeterà che sulla nostra Riviera si svolge un ottavo di tutto il movimento turistico nazionale, si dirà che il movimento di danaro che si calcola sulla nostra Riviera si aggiri sui dieci miliardi. È bene che queste cose siano portate a conoscenza dei Riminesi, per svegliarli e per renderli edotti delle difficoltà e degli sforzi che si fanno, da parte delle Autorità cittadine, per l’incremento del turismo. Servirà anche a sviluppare maggior coscienza in quei cittadini che anziché assecondare le iniziative che abbelliscono la città, le ostacolano[…]. Termina dicendo che approva l’iniziativa di fare il Congresso poiché spera che si possa risvegliare nella cittadinanza riminese quella coscienza turistica che manca e che invece è indispensabile5.

Nelle parole del sindaco Ceccaroni, pronunciate all’apertura dei lavori, si ritrovano i problemi del prolungamento della stagione turistica, quelli della promozione e le aree dei bacini di domanda turistica ai quali sarà rivolta l’offerta negli anni futuri. È in questo senso che da ora in poi si organizzerà il sistema di imprese della riviera, ponendo le basi per un modello “turistico-centrico”(Gambini 2005) che vede ruotare attorno a sé i vari settori dell’attività economica riminese e gli atteggiamenti del comportamento sociale e politico:

 

È in effetti il problema turistico uno dei problemi economici fondamentali del nostro paese, in questo particolare momento e nel suo aspetto interno, turismo nazionale, ed anche nei suoi aspetti esteri, come turismo internazionale per le influenze che determina nella nostra situazione economica nazionale […] è evidente che nella situazione generale e particolare economica del nostro paese, noi in questo momento, se vogliamo veramente incrementare questo settore di attività, dobbiamo veramente orientarci, discutere su questo principio: Tutto quello che viene ricavato dall’esercizio turistico deve essere investito per l’incremento del turismo.

Si discuterà inoltre sul prolungamento della stagione; è un problema di carattere fondamentale per le nostre Riviere, e profondamente legato a questo sta l’aspetto dell’incremento del turismo estero […]. Altro problema e non ultimo, è il miglioramento della coscienza turistica […]. E riteniamo che questo aspetto particolare dell’incremento turistico possa essere raggiunto soltanto discutendo, parlando a tutte le popolazioni, a tutti i cittadini, dell’effettiva importanza di questo settore economico. Soltanto con l’esatta comprensione della importanza che esso riveste, potremo veramente raggiungere dei buoni risultati su questo problema […] ritengo si debbano illustrare i problemi del turismo a tutti i cittadini per facilitarne la soluzione. Si deve cioè fare in modo che attorno al problema turistico il quale investe nelle nostre zone tutte le attività economiche, si possa veramente soffermare l’attenzione di tutti. In questo modo, con questa impostazione di unità, di collaborazione, noi veramente riusciremo a trovare la strada per progredire e per sviluppare il nostro esercizio turistico, risolvendo così uno dei principali problemi di vita delle nostre popolazioni6.

Le questioni legate al turismo da adesso non sono più lasciate al margine nella pianificazione del partito ma fanno parte della piena attività, fino ai programmi elettorali del partito come emerge dal documento Programma che i candidati comunisti sosterranno nel nuovo Parlamento del 1953:

Il risanamento dell’Ausa comporta una spesa di 500 milioni. Nel solo Comune di Rimini, secondo i dati del Genio Civile, sono stanziati 308 milioni per costruire chiese e due miliardi per l’Aereoporto militare di Miramare. Noi non siamo contro la costruzione di chiese né dell’Esercito Nazionale, ma queste opere vanno fortemente limitate e va data la precedenza assoluta ad opere come quella dell’Ausa che può risanare il nostro centro balneare e sviluppare considerevolmente la nostra attività turistica7.

Questo nuovo ruolo centrale delle attività legate all’economia del turismo permettono altre alleanze sociali e il coinvolgimento dei vari strati della società riminese impegnata nel campo dell’industria turistica.

Un punto cruciale di questo connubio tra i diversi organi politici della città è la presentazione di una legge speciale per la riviera. Attorno a questo ambizioso progetto legislativo vengono coinvolti i rappresentanti parlamentari, le assemblee elettive e le amministrazioni locali assieme alle diverse categorie economiche interessate e anche alle forze politiche di segno diverso. Il lancio della proposta di legge viene fatto dallo stesso Soldati durante una grande assemblea nel dicembre del 1953.

Dicevamo che questo appello all’unità è rivolto non soltanto ai partiti […] ma anche alle singole persone, agli industriali e più ancora ad alcuni dirigenti di organismi economici, che abbiamo invitato qui alla nostra assemblea. Rinunciate a qualcuno dei vostri interessi personali. Non vi diciamo questo in modo utopistico, ma ve lo diciamo perché siam certi che una qualsiasi rinuncia ad ogni posizione intransigente personale contribuirà poi ad un risultato generale che andrebbe a compensare la primitiva rinuncia […]. C’è tutta un’altra serie di problemi che, in altre città sono di ordinaria amministrazione […], ma che per la nostra città rappresentano un tipo particolare di investimento. Intendiamo parlare di quelle opere a carattere turistico che, realmente, riescono a sviluppare la nostra economia, creando un benessere per tutti gli strati della popolazione. […] È per questo che noi siamo giunti a considerare l’opportunità di presentare oltre a questi piani, una legge speciale8.

La proposta di legge viene presentata il 28 luglio1954 alla Camera dei deputati ma alla fine di Novembre dello stesso anno si apre il periodo di commissariamento del comune per la presunta mobilitazione compiuta dall’amministrazione locale intorno alla presentazione della nuova proposta di legge. Questo tipo di controllo da parte del governo centrale è frequente soprattutto nei primi anni Cinquanta durante la fase di duro scontro politico che vede in più occasioni il commissariamento di quelle amministrazioni di diverso colore politico rispetto al governo nazionale.

Il 29 novembre viene sospeso il sindaco Ceccaroni ma la debolezza dell’accusa induce il ministero degli Interni ad un nuovo provvedimento: lo scioglimento dell’intero consiglio comunale con un decreto firmato dal presidente della Repubblica, Luigi Einaudi del 24 dicembre 1954. Le motivazioni che accusano la giunta sono di natura amministrativa e riguardano delle anomalie nell’applicazione dell’imposta di consumo e di quelle di famiglia oltre che nelle attività di assistenza ai poveri. Viene nominato commissario straordinario del comune il viceprefetto di Forlì Giuseppe Schiavo. Qualche settimana più tardi Mario Soldati viene rimosso dalla carica di segretario di federazione, a seguito della pubblicazione di un opuscolo redatto per la campagna di tesseramento del partito. La federazione riminese rimane così senza segretario fino al 28 luglio del 1955 quando il comitato federale elegge Augusto Randi, fino ad allora responsabile dell’organizzazione.

Durante il periodo di commissariamento del comune non si rileva un tentativo, da parte dell’inviato prefettizio, di costruire un fronte alternativo al quadro che ha delineato la sinistra. Da parte delle stesse forze di minoranza, come la Dc, si rileva un certo disorientamento nell’appoggiare le opere che a giudizio della sinistra, sono orientate a smantellare l’edificio della politica amministrativa costruito dalla giunta sospesa e prive di sviluppo per il futuro cittadino (Gambini 2005). Nel tentativo di dare un’interpretazione alle azioni intraprese dal governo, la federazione del Pci pubblica così un opuscolo dal titolo “Rimini, Scelba i monopoli”9 nel quale viene ipotizzata un’azione di contrasto nei confronti della riviera romagnola da parte della stampa e da parte dei presunti monopoli contro l’interesse delle piccole imprese:

Se ora accogliamo gli elementi di questa breve, incompleta rassegna, siamo costretti dai fatti ad elencare ministri, sottosegretari, Prefetture, Genio Civile, Uffici Censura, RAI, T.V., stampa, organi dell’apparato statale, uomini come Babbi, Macina, Cavallari10 che, oggettivamente in corrispondenza perfetta con gli interessi di capitale monopolistico investito in altre zone turistiche, intralciano lo sviluppo della nostra riviera. È buffo questo no? Per noi no.

In ogni caso è la realtà; una realtà che trova la sua spiegazione scientifica nelle leggi che regolano lo sviluppo dell’economia capitalistica in generale e in particolare nel periodo di formazione dell’economia italiana.

Questo opuscolo diventa nei mesi successivi una specie di manifesto della sinistra riminese, uno strumento di legittimazione per i comunisti al loro ruolo di guida dello sviluppo incentrato sul turismo. Si arriva così alle nuove elezioni che si svolgono il 27 maggio del 1956. Il voto si svolge dopo un acceso confronto elettorale che vede contrapposti due blocchi: quello del Pci-Psi, quello composto da Dc-Psdi-Pri e la Lista Tricolore11. Alla fine dello spoglio i risultati la coalizione tra socialcomunista ottiene 20 seggi, tanti quanti il raggruppamento opposto. Nonostante i tentativi da parte del Pci e del Psi di riuscire a formare una giunta in collaborazione con i socialdemocratici dopo mesi non si giunge ad un accordo; il prefetto di conseguenza invia Aldo Pasquali come nuovo commissario e indice nuove elezioni per il 31 marzo dell’anno successivo. Questa volta i risultati distribuiscono i seggi in questo modo: 16 al Pci; 5 al Psi; 13 alla Dc; 2 al Psdi e 1 al Pri. Gli sforzi dell’allora segretario della Dc Alfredo Floridi non sono necessari a prendere la guida dell’amministrazione comunale che rimane sotto la guida delle forze di sinistra (Zaghini 1999). Si chiude così il periodo di commissariamento per Rimini, all’inizio degli anni Sessanta quando il turismo ha assunto un ruolo centrale in tutti gli strati della vita locale, politica ed economica.

Rimini tra i “luoghi della memoria” e la “memoria dei luoghi”

Le vicende politiche, talvolta peculiari, della storia riminese degli anni Cinquanta e Sessanta contribuiscono insieme alla sua ricostruzione, delegata spesso all’iniziativa privata (De Santi 2008), a definire la città, capitale del turismo europeo. Il secondo conflitto mondiale rappresenta lo spartiacque tra il turismo d’élite, che aveva animato il lido riminese dalla metà del XIX secolo alla prima metà del XX secolo e come abbiamo visto, il fenomeno del turismo delle grandi presenze, del boom delle pensioni a gestione familiare e dei locali di svago. Come ha scritto Curzio Maltese:

Prima la stagione della villeggiatura d’élite, fra il Grand Hotel e il Kursaal, poi nel dopoguerra l’epoca “fordista” del turismo di massa operaio e impiegatizio, soprattutto italiano e tedesco, che ritrovava nelle spiagge e nelle colonie ordinate e sicure, il conforto di un perfetto welfare vacanziero12.

È nel corso di questa “seconda fase” che nasce la Rimini icona della vacanze degli anni Sessanta e proprio durante questi anni si sviluppa quella città che crea nell’immaginario collettivo lo stereotipo del “divertimentificio” per eccellenza, e che la fa apparire come il luogo della “riminizzazione”.

Ma bisogna ricordare che Rimini è da sempre una città di frontiera, che si è sviluppata fin dall’età romana sul crocevia delle più importanti vie di comunicazione dell’epoca, come la via Flaminia, la via Emilia e la via Popilia e per questa sua peculiarità, che la rende terra d’incontri, riesce a far convivere le sue contraddizioni e le sue molteplici anime quando probabilmente altrove sarebbe impensabile farlo. Come osserva Maltese:

il capolavoro, l’“Otto e Mezzo” del fellinismo collettivo riminese è l’aver trasformato l’elemento più naturale che esista, il mare, in una pura finzione. Venti milioni di turisti ogni anno si rovesciano sulla Riviera Romagnola (sette a Rimini) perché “si sentono a casa” in un set creato dal nulla. Non è l’essenza dell’arte costruire dimore virtuali per gli altri? La casa dei riminesi è l’altra, dentro le mura. Ed è una vita di campagna romagnola, lenta, dolce, silenziosa e frugale. Il contrario della chiassosa “Second Life” inscenata al mare per tenere fede alla fama turistica di una terra romagnola dove si gode, si beve, si mangia, si ride e ci si diverte più che in ogni altro posto al mondo. La verità è che qui si lavora tanto e tutti per mandare avanti il “divertimentificio” degli altri […]. I riminesi hanno creato un simulacro a mare, come gli africani costruivano villaggi finti per gli invasori, e si tengono la loro città segreta. Ci sono turisti che in venti o trent’anni non hanno mai superato il ponte di Tiberio per vedere il centro storico e se li trascini all’arco di Augusto o al Tempio Malatestiano, si stupiscono: “Ma questo l’estate scorsa non c’era”. […] Che cosa manca a questa città bella, ricca, allegra? Forse un po’ d’insana malinconia. Ne soffia appena un refolo nei giorni di “garbino», il libeccio di terra, o quando cala la nebbia d’inverno, ma i riminesi la scacciano, unico ospite molesto. Manca la voglia di far pace con la propria memoria, senza cancellare per forza i cattivi ricordi. Allora magari si decideranno a ricostruire il teatro Galli, l’ultima ferita bellica nel cuore di piazza Cavour, e a dedicare a Fellini un vero museo13.

Quello che emerge da queste parole è dunque una dualità che si ritrova nella contrapposizione tra città antica e la zona balneare. È quindi necessario indagare all’interno dell’identità riminese per comprendere a fondo la convivenza di due realtà apparentemente contrapposte.

In questo senso, nell’ambito del progetto di ricerca storico-sociale “Il Senso dei Luoghi: Rimini e il suo centro storico” promosso dal Laboratorio di Storia sociale “Memoria del quotidiano” (www.laboratoriodistoriasociale.eu) presso l’Università di Bologna – Polo Scientifico didattico di Rimini – Dipartimento di Discipline storiche, antropologiche e geografiche, sono state effettuate, dal 2008 fino ad oggi, più di ottanta interviste (quelle che qui si presentano sono state realizzate da D. Calanca e G. Di Giangirolamo) su un campione di popolazione nata tra il 1912 e il 198414. L’obbiettivo della ricerca è quello di ricostruire una mappa dei “luoghi della memoria”del centro storico di Rimini in età contemporanea, laddove per “luogo della memoria” si intende, per dirla con le parole di Paolo Sorcinelli:

uno spazio fisico e mentale che si caratterizza per essere costituito da elementi materiali o puramente simbolici, dove un gruppo, una comunità o un’intera società riconoscono se stessi e la propria storia mediante un forte aggancio con la memoria collettiva (Sorcinelli 2010, 143).

Tra città e marina

Senza aver la pretesa di offrire un quadro analitico-interpretativo completo della ricerca, che è tutt’ora in corso, si può però affermare che da una prima analisi delle fonti emergono diverse anime della città che convivono e si contaminano a vicenda. Rimini in questo senso pone le sue radici in un territorio che è da sempre punto di incontro, di arrivo e di partenza e che ha per questo un tratto aperto che si ritrova nei suoi abitanti.

Durante il corso della propria storia, Rimini è riuscita a interpretare le proprie caratteristiche dando forma a processi di sviluppo economico, sociale e culturale, spesso originali, incentrati sulla straordinaria capacità di incontrare e conoscere l’altro (Sorcinelli 2010). I Riminesi, in tal senso, hanno la capacità di costruire relazioni e connessioni che rappresentano il legame tra presente e passato. La loro storia e le storie delle loro relazioni emergono quindi tra continuità e discontinuità, tra persistenze e mutamenti.

Proprio alla dimensione dell’apertura e dell’incontro rimandano i due luoghi considerati punti fondamentali nell’individuazione del perimetro del centro storico dalla maggior parte degli intervistati: l’Arco di Augusto e il Ponte Tiberio.

Analizzando gli elementi che emergono dalle testimonianze raccolte nella prima fase della ricerca, un aspetto che può essere messo in evidenza è il confine fisico rappresentato dalla linea ferroviaria Bologna-Ancona. Osservando la città dal punto di vista urbanistico, infatti, possiamo individuare nella ferrovia un vero e proprio elemento che taglia Rimini in due parti: la zona della marina e quella del centro storico.

La ferrovia Bologna-Ancona, inaugurata il 5 ottobre del 1861, separa materialmente due realtà con ritmi e funzionalità differenti che vengono scanditi dalla stagionalità caratteristica dei centri balneari. Queste due zone sono comunemente chiamate, nel linguaggio dei riminesi, città e marina. Come afferma Luciana, classe 1947:

il perimetro della città è ponte di Tiberio arco di Augusto oppure il fondo di via Garibaldi e la stazione, il centro nostro è questo, […] noi diciamo sempre andiamo in città o andiamo in centro anche se siamo a pochi passi […] la ferrovia delimita molto, quindi dalla ferrovia in là è zona mare-marina di qua invece è centro e città (L. C., 23 giugno 2008).

La ferrovia si concretizza come linea di separazione anche dal punto di vista politico. Come si è detto precedentemente, negli anni del secondo dopoguerra esistono delle divisioni tra i diversi partiti, che in modo particolare a Rimini si riflettono nel contrasto tra l’amministrazione comunale di sinistra e l’azienda di soggiorno filo-democristiana, chiamata anche “governo della marina”, secondo quanto afferma Giuliano (classe 1942):

c’era una spaccatura politica nella città tra una amministrazione comunale rossa e il turismo che si riconosceva in centrali bianche […], un mondo diviso fisicamente dalla ferrovia; al di là il mare, la parte alberghiera con l’azienda di soggiorno che era emanazione del governo, emanazione del ministero del turismo quindi con presidenti democristiani e con associazioni di albergatori più di centro. Di destra più che di sinistra (G. G., 18 novembre 2008).

I binari ferroviari spesso nelle testimonianze raccolte vengono considerati come linea di separazione tra la realtà che si sviluppa nel periodo estivo incentrata nell’attività balneare e quella della città antica che negli anni Cinquanta e Sessanta, come potremo constatare più avanti, ha il ruolo di centro commerciale per i suoi abitanti e il circondario riminese. Non viene meno però l’integrazione tra le due realtà come racconta Franco:

Rimini si divide [ma] si integra dopo, perchè molti poi, diciamo quelli che avevano una certa disponibilità economica, non è che restassero in albergo, l’albergo lo chiudevano, poi avevano la casa in città e quando arrivava aprile ritornavano al mare [per] le pulizie e via per prepararsi [alla stagione] (F. P., 27 maggio 2008).

Non mancano d’altro canto punti di vista diversi. Per Grazia, nata nel centro storico, in via Cairoli, nel 1951, la ferrovia è un’entità estranea rispetto al cuore della città e non è vista come una linea di separazione, come ella stessa afferma:

nella percezione di quegli anni la ferrovia era ancora troppo lontana dal centro per poterla percepire come qualcosa, perché ripeto la città era considerata il centro, l’arco d’Augusto delimitava la città come la si percepiva […] la ferrovia in quell’epoca, per noi comuni, che non avevamo problemi di attraversamento […] cosa ci tagliava? c’era il centro e c’era il mare (G. N., 17 aprile 2009).

Il “cuore” della città

L’area della marina, che come si è potuto constatare si sviluppa a partire dalla metà dell’Ottocento e vede la sua maggiore espansione nel secondo dopoguerra, si contrappone alla città per il suo sviluppo edilizio e il suo ritmo economico incentrato sull’attività turistica, mentre il centro storico ha il ruolo di cuore della città dove si svolgono le principali attività del quotidiano riminese. Ancora negli anni Cinquanta e Sessanta la comunità riminese svolge le sue principali attività nell’area che si sviluppa intorno a piazza Tre Martiri e Piazza Cavour. Il principale centro commerciale di quegli anni è la Vecchia Pescheria, una struttura della metà del Settecento dove si svolgeva quotidianamente il mercato del pesce e attorno alla quale si collocavano tutte le attività commerciali di genere alimentare, come emerge dall’intervista a Franco nato nel 1932 e proprietario dell’ultima macelleria della pescheria:

in quel gruppo della pescheria fra la piazzetta e la vecchia pescheria praticamente c’erano undici o dodici macellerie fra suine, bovine, etc. sembra quasi impossibile, bisognerebbe andare lì per dire qui ce n’era una, qui un’altra, poi c’erano quattro salumerie con frutta e verdura (F. P., 27 maggio 2008).

Nelle adiacenze si trova la piazzetta San Gregorio comunemente chiamata delle “poveracce” (vongole) all’interno della quale svolgevano la loro attività le donne che vendevano quasi esclusivamente vongole, come ricorda la signora Lydia che da ragazza lavorava come commessa nel centro storico:

io mi ricordo che venivo apposta perché si era curiosi di vederlo, c’era la curiosità di vedere queste donne che vendevano queste vongole con il fazzoletto, un po’ robuste, la mantellina, proprio come sono nelle vecchie fotografie (L. V., 24 aprile 2008).

Sulla piazzetta si affaccia inoltre l’osteria “Forza e Coraggio” un luogo di ritrovo per molti giovani della generazione nata negli anni Quaranta come racconta Giorgio:

fino alla fine del 1950 primi anni Sessanta i giovani non andavano nei ristoranti e non andavano nemmeno in pizzeria, andavano in quelle cantine, c’erano le cantine[…] nella piazzetta delle poveracce, dove c’erano tutti questi negozi e io ho passato parte della mia gioventù lì perché i miei amici erano figli di macellai etc, i miei amici storici, e lì nella piazzetta c’era un’osteria che si chiamava “Forza e Coraggio” perché ci andavano gli anarchici e noi andavamo lì a cantare […] dove al massimo ti facevano un tegame di vongole, se volevi mangiare e due sardoncini arrosto, ecco noi andavamo lì perché tra l’altro già eravamo un gruppo di giovani di ragazzi e ragazze molto progressisti (G. G., 29 gennaio 2010).

In questa piccola area del centro nella quale si concentravano numerosi esercizi commerciali si trovava anche un locale storico, oggi Caffè Cavour, dove si incontravano i cosiddetti mediatori e dove avvenivano le contrattazioni per l’acquisto di terreni e bestiame:

Il bar Cavour era il bar frequentato dai mediatori che facevano i contratti per la vendita del bestiame […] era lì che facevano i contratti c’era sempre questa attività di questi personaggi che poi il contratto lo concludevano con una stretta di mano e il garante che metteva la mano sopra, li facevano così i contratti, e quindi il bar Cavour era il luogo dove avvenivano queste transazioni per la vendita soprattutto di animali ma anche terreni, alberghi, se li facevano lì praticamente i contratti (G. G., 18 novembre 2008).

Non c’era solo quel mercato lì diciamo dei negozianti etc., c’era per esempio vicino il bar Cavour, che allora era il centro commerciale di Rimini, se uno aveva bisogno di comprare una casa lì trovava i venti, trenta mediatori tutti pronti al mattino con le piantine delle case […] quindi c’era questo contatto continuo, poi c’era per esempio il mercoledì quelli dell’agricoltura, e lì trattavano bestiame […], e si raggruppavano lì, poi addirittura c’era, il mercoledì sempre, che c’è stato per molti anni una cabina telefonica dietro il Cavour che era il collegamento continuo per il mercato delle sementi per tutto il mondo agricolo perché i prezzi delle sementi si vendevano in base a questo mercato quindi vedevi questa fila di sette/otto [persone] (F. P., 27 maggio 2008).

Questa zona del centro cittadino che si affaccia su piazza Cavour ha svolto la funzione di centro commerciale almeno fino agli anni Settanta quando viene realizzata una nuova struttura “il mercato coperto” che raccoglie il mercato ittico, alimentare e ortofrutticolo come afferma Franco: “L’inizio del cambiamento totale della zona del mercato è avvenuto quando è stato fatto il mercato coperto” (F. P., 27 maggio 2008).

Le “vasche” in città

Oltre ad essere cuore commerciale di Rimini, il suo centro storico si caratterizza anche come luogo di incontro per la comunità della città e del suo circondario. Proprio qui infatti ha luogo il rito della passeggiata tra gli esercizi commerciali, definita nel linguaggio comune “vasca”.

In modo particolare per i riminesi questa si svolge nel tratto del corso d’Augusto tra piazza Tre Martiri e piazza Cavour. Quasi tutti gli intervistati raccontano della passeggiata del sabato o della domenica lungo questo tratto di strada ben definito. Per molti è occasione di incontri o di approccio, per altri motivo di nuovi acquisti nei negozi che si affacciano sul corso. Dunque la strada principale della città è molto frequentata come racconta Franco:

Poi si facevano le così dette vasche, ed era la passeggiata che andava da una piazza all’altra. Avanti e indietro. Il tragitto della vasca partiva dalla piazza Tre Martiri e arrivava alla piazza Cavour. Dai portici si partiva e si andava avanti e indietro per dieci-dodici volte […] e lì erano i primi approcci […] ci si salutava venti volte. Era proprio una concentrazione di gente perché dal borgo San Giuliano, da tutte le borgate si arrivava qui, ci si incontrava e poi c’erano gli intrecci […] [ma] bisognava stare a distanza perché c’era la sorveglianza (F. P., 27 maggio 2008).

Inoltre in questo tratto di corso la passeggiata per gli abitanti di Rimini è motivo di sfoggio del proprio status sociale come testimonia Giuliano:

La passeggiata sul centro storico, la famosa vasca era un processo, era una sorta di valutazione di quello che eri nella società riminese, insomma il passare sul corso per molti era problematico perché lì era la ribalta […]. Il tragitto della vasca era tra piazza Tre Martiri e piazza Cavour, quel pezzetto lì la domenica diventava la fiera delle vanità. Io quando non mi sentivo vestito bene la domenica facevo un giro più largo e si saltava la vasca, perché la domenica c’erano tutte le famiglie in parata (G. G., 18 novembre 2008).

La marina

Dopo aver individuato alcuni aspetti che delineano la quotidianità dell’area del centro storico di Rimini, possiamo passare ad occuparci del rapporto che i riminesi intrattengono con la marina.

Nella memoria dei riminesi i luoghi del litorale come il canale del porto e il suo pontile, comunemente chiamato la “palata” per la sua vecchia struttura fatta di assi di legno, hanno una certa rilevanza. Proprio in questa zona del mare, che si trova nell’area del porto, avvengono molti episodi specialmente durante l’infanzia e la gioventù, che vengono ricordarti dagli abitanti riminesi, facendo così emergere lo stretto legame che essi hanno con questo luogo.

Il rito del tuffo nel canale, ad esempio, è una costante nelle testimonianze raccolte: si tratta di una sorta di “iniziazione” al mare che consiste nel buttarsi da soli o spinti dagli amici per la prima volta nel mare imparando così a nuotare. Dalla città si parte spesso a piedi o in bicicletta per raggiungere la marina e andare a giocare lungo il canale del porto, come ricorda Sergio (classe 1932):

Quando andavamo al mare […] partivamo da via Clodia, avevamo un cane che ci seguiva, era un cane randagio, ci veniva dietro, eravamo otto, dieci, quindici anche e partivamo e andavamo giù per il porto, che poi nel porto non c’era traffico, […] e noi in mezzo alla strada con gli zoccoli, gli zoccoli di legno e mi ricordo che facevamo i modo di consumarli e passavamo e andavamo giù al mare con questo cane dietro […]. Poi facevamo il bagno, io ho imparato a nuotare, mi hanno buttato, io avevo un po’ di fifa e c’erano gli altri, qualcuno era già in acqua nel porto dove c’è quella gradinata lunga […] noi di lì piano piano ci buttavamo dentro, e allora ho detto uno, due, tre chi mi butta giù è il re, uno mi ha dato una spinta, ma io non me l’aspettavo, è stata una cosa straordinaria (S. M., 26 gennaio 2010).

Si tratta di esperienze che accomunano persone nate anche a distanza di anni, è infatti simile il racconto di Paolo nato circa dieci anni più tardi, nel 1944:

in bicicletta andavamo al porto a fare i bagni nel canale, prima abbiamo cominciato dal canale poi ci siamo spostati sempre più fuori […] però noi d’estate dalla mattina alle nove, alle dieci, andavamo giusto a mangiare di corsa e tornavamo, fino alla sera alle cinque, alle sei eravamo sempre sulla banchina del porto […]. Il tuffo nel porto a dieci-dodici anni bisognava farlo, chi non si buttava nel porto era fuori dal gruppo, in un modo o nell’altro doveva buttarsi. Anche perché quando si era nel gruppo la spinta c’era sempre, magari quello che non voleva fare il bagno quel giorno perché magari non ne aveva voglia, però alla fine doveva farlo, o vestito o in costume, nell’acqua andava, delle volte anche con la bicicletta […]. La domenica pomeriggio era un rito fare il tuffo e bagnare chi passava sulla banchina, perché facevamo il tuffo in modo che l’acqua venisse su (P. C., 25 gennaio 2010).

Un ulteriore aspetto legato alla zona balneare di Rimini lo ritroviamo nei racconti sul fenomeno del gallismo da parte dei ragazzi rimininesi nei confronti del turismo femminile che si riversa sulla costa dall’inizio degli anni Cinquanta.

Infatti, il boom del turismo degli anni Cinquanta e Sessanta è legato per una parte consistente alle presenze di turisti stranieri sulle spiagge riminesi. In modo particolare molte ragazze dai Paesi del Nord Europa scelgono di passare le loro vacanze nella località balneare romagnola. A questo fenomeno è legato il mito dei Vitelloni, celebrato nel noto film omonimo del regista riminese Federico Fellini. Un certo machismo da spiaggia diventa in questi anni uno dei tratti caratterizzanti dell’identità riminese. Il fenomeno raggiunge la sua iperbole nel periodo estivo con l’arrivo delle turiste straniere che, a differenza della maggior parte delle ragazze italiane dell’epoca erano spesso più emancipate. A conferma di questo fenomeno nel libro Falce, martello e lasagne Paquinelli scrive:

Si tramandano episodi e vicende che hanno dell’incredibile. Si racconta che negli anni ’60 gli alberghi, che ospitavano comitive di ragazze nordiche (le mitiche svedesi!), fossero prese d’assalto da torme di giovani “birri” locali, provenienti anche dal contado. Per alcuni alberghi, che il tam tam di allora indicava come specializzati nell’accoglienza di comitive di giovani straniere, si trattava di veri e propri assedi, in corrispondenza dell’arrivo delle “prede”. […] Logicamente, ai giovani “cacciatori” riminesi era precluso l’ingresso negli hotel. Dovevano stazionare fuori, sulla strada, attendere nella penombra (Arlotti et al. 2010, 84).

Questo atteggiamento nei confronti delle turiste viene spesso confermato nelle testimonianze raccolte. Racconta Sergio, nato nel 1932, che i ragazzi della sua generazione sono stati pionieri del fenomeno di quei “conquistatori” chiamati “birri” che prendono nome dalla forma dialettale e’ bér (il montone):

Siccome parlavo le lingue, praticamente parlavo bene il francese, l’inglese abbastanza, e un pochino anche il tedesco, perché avevo studiato un po’ anche il tedesco, però autodidatta, non a scuola. Praticamente mi trovavo delle volte che dei ragazzi con cui ci trovavamo fuori dalle pensioni, dagli alberghi da dove uscivano le ragazze a flotte, che volevano l’appuntamento ma non sapevano parlare […] e allora io dovevo fare da interprete. Io avevo sempre fretta perché avevo le mie cose da portare avanti. Insomma le mie ragazze, […] io avevo delle ragazze che tornavano dopo qualche anno. Si fermavano sempre quindici giorni e non di più. Noi siamo stati i primi birri che ha avuto la spiaggia, […] eravamo subito all’inizio degli anni Cinquanta (S. M., 26 gennaio 2010).

Dalla testimonianza di Franco, coetaneo di Sergio possiamo comprendere alcune delle motivazioni e situazioni che spingevano i ragazzi a riempire i locali notturni della marina frequentati dalle ragazze in vacanza:

La sera le nostre ragazze uscivano in compagnia con qualche mamma e amiche e andavano magari sul lungomare a fare una passeggiata […] naturalmente quando erano le dieci e tre quarti, le undici, erano già in fase di rientro e noi invece stavamo in giro. […] Dall’estero arrivavano più donne che uomini, poi gli uomini erano portati molto al beveraggio, quindi c’erano dei locali che praticamente ti invitavano a entrare perché non c’era il maschio. Ci mettevamo cinque o sei in un tavolo, ti portavano la consumazione che era quella che costava e lo chiamavamo gin perché era un bicchier d’acqua (F. P., 27 maggio 2008).

Esiste quindi in questa pratica di “vitellonismo” una sorta di “abbandono” delle ragazze riminesi ancora legate a certi costumi come afferma Paolo:

D’estate non ci pensavamo nemmeno di uscire con una ragazza di Rimini […] c’era proprio una separazione di frequentazioni, d’estate non si poteva, anche perché dopo bisognava fidanzarsi se si usciva molto con una ragazza. Magari la vedevi d’inverno, poi si continuava a frequentare anche d’estate, poi bisognava andare in casa, fidanzarsi, e allora era meglio scappare (P. C., 25 gennaio 2010).

Il punto di vista femminile riguardo a questo fenomeno lo ritroviamo nelle parola di Luciana coetanea di Paolo:

Eravamo un gruppo di amici che l’estate cambiavano totalmente regime, sparivano, andavano via e tornavano a settembre […] arrivavano queste straniere da fuori e lo sapevano già i ragazzi che arrivavano in determinate pensioni. C’era magari la pensione con le francesi, la pensione con le tedesche […] e i ragazzi sparivano proprio.

– E voi ragazze riminesi il fatto che arrivassero le straniere come lo vivevate?

– Ah male, perché sapevamo. Poi tra l’altro quella volta c’era il tabù che non si poteva fare determinate cose e invece arrivavano le straniere che concedevano tutto (L.C., 23 giugno 2008).

Nel seguente racconto ritroviamo, invece, contemporaneamente sia il punto di vista maschile che quello femminile:

Otello per le sue conquiste faceva leva su due fattori: la sua posizione “geopolitica” di marinaio di salvataggio in spiaggia e la sua naturale simpatia […] uomo semplice e modesto poteva attirare la benevolenza di chiunque, soprattutto delle ragazze e delle donne, che di lui si fidavano ciecamente, a prima vista. Chi invece non si fidava – e questo era il grande handicap del nostro Otello – era la moglie: donna energica e di buona presenza, abituata a lavorare stagionalmente negli alberghi, dalla mattina alla sera, dai quali tornava a casa stanca la sera, andandosene subito a letto. Otello ne approfittava per rientrare tardi anche lui. Non che lavorasse! Anzi, in quelle ore serali lui raccoglieva i frutti di tutte le pubbliche relazioni svolte di giorno sotto il sole. […] In quel piccolo bar di Rivabella, quasi sulla spiaggia, era sempre lui a tenere banco; anche certe signore tedesche o francesi ridevano a crepapelle, magari senza capire granché delle sue battute in quell’italiano misto a dialetto del Borgo: bastava la mimica di Otello a riempire con poco quelle ore indimenticabili! […] Mentre, come al solito, Otello raccontava, ad un pubblico (in gran parte femminile) estasiato, l’ennesima storiella, alle sue spalle sopraggiunse, inaspettata la moglie. Era arrivata di corsa in bicicletta e dopo averla scaricata a terra, senza alcun riguardo, aveva percorso gli ultimi metri sulla spiaggia, come un felino, arrivando alle spalle di Otello senza farsi notare. Appena gli fu addosso, sempre da dietro, lo colpì appieno con uno schiaffo; e rivolgendosi alla compagnia femminile, seduta intorno al marito cominciò a gridare: “E vuielti andé a chesa! Dai vost marid! Broti puteni!” (E voialtre andate a casa! Dai vostri mariti! Brutte puttane!). […] A non perdere il buonumore ci fu solo Otello che, guardando negli occhi tutti i suoi convenuti e sorridendo, sentenziò subito: “Ragazzi che grinta la mia moglie!” (Arlotti et al. 2010, 85-86).

Un ulteriore aspetto che emerge dalle testimonianze riguardo queste esperienze è la funzione del ruolo maschile all’interno dell’organizzazione dell’attività delle tante pensioni a conduzione familiare. Uno dei compiti dell’uomo era infatti quello di occuparsi delle clienti in modo da creare un’affiliazione per gli anni successivi. È quanto possiamo leggere nelle parole di Maurizio che in estate lavora come cameriere in una di queste strutture:

Negli alberghi per esempio c’era l’istituzione, l’uomo non faceva niente, faceva reception e si occupava delle turiste e il detto della moglie che era cuoca nell’albergo era “basta che non si innamori” […]. Però andava bene così, faceva parte delle regole del gioco, era accettato anche per attirare le persone, le donne nell’albergo (M. L., 30 luglio 2008).

Questi episodi si svolgono prettamente nella stagione estiva quando la zona della marina dalla fine del mese di maggio si anima con l’inizio della stagione balneare. Dopo le prime settimane di settembre a conclusione dell’attività turistica l’area del litorale muta completamente e le pensioni e gli alberghi chiusi per molti ragazzi del luogo diventano uno spazio da utilizzare durante i mesi invernali per organizzare piccole feste private tra amici come racconta Giuliano: “Si organizzavano piccole festicciole, negli alberghi e nelle pensioni chiuse che affittavano la sala a gruppi di giovani” (G. G., 18 novembre 2008).

Dunque la marina, è uno dei luoghi della formazione di alcuni caratteri identitari della riminesità e dove si svolgono alcuni dei suoi riti. Uno dei simboli più conosciuti è sicuramente il Grand Hotel, grazie anche alla sua rappresentazione nel film di Fellini “Amarcord”. Negli abitanti di Rimini esiste un forte legame con questa struttura. Viene spesso considerato un monumento della città e talvolta emerge un legame affettivo come nel caso di Lidya:

Ci si vuol bene al Grand Hotel, ci si vuol bene perché era il simbolo del benessere, anche perché nella storia le persone un pochino più celebri, più ricche, se venivano, venivano al Grand Hotel. È un senso di ricchezza, di lusso perché è stato sempre così bello. Siamo legati al Grand Hotel (L. V., 24 aprile 2008).

Nella percezione degli abitanti di Rimini, questa struttura rappresenta il luogo frequentato da una classe sociale benestante, ma allo stesso tempo è simbolo della città e delle vacanze e, come afferma Angelo, “è un bandiera per Rimini!” (A. L. 17 settembre 2008).

Da contraltrare al Grand Hotel funge il grattacielo situato alla fine di viale Principe Amedeo, costruito alla fine degli anni Cinquanta e simbolo del boom edilizio e turistico. Le opinioni sul significato di questo edificio all’interno dell’identità cittadina sono spesso contrastanti: alcuni riminesi lo considerano parte integrante della città e talvolta lo utilizzano come punto di riferimento quando si trovano ad osservare la costa dai colli circostanti, altri invece non lo apprezzano esteticamente e preferiscono ignoralo facendo finta quasi che non esista come afferma Claudia classe 1965: “Il grattacielo è una piccola vergogna, perché è brutto, […] secondo me è una cosa che non vediamo neanche più, perché non fa parte di niente […] secondo me non esiste” (C. P., 18 aprile 2008).

Rimini nelle immagini fotografiche tra pubblico e privato

Ai fini dell’indagine relativa ai vari aspetti dell’identità riminese e alle sfaccettature create dai tratti peculiari della storia di Rimini, può essere di grande ausilio l’utilizzo di fonti fotografiche riguardanti la città e i suoi abitanti. In particolare presso la biblioteca civica Gambalunga è conservato il fondo Minghini15, costituito dall’archivio dello studio omonimo, che raccoglie 530.544 negativi su pellicola a rullo, 4.465 negativi su lastra di vetro, 5.684 diapositive, 23.630 stampe fotografiche originali (Maroni 2003).

Le immagini che compongono il fondo coprono il periodo cronologico che va dal 1956 al 1988. Il ruolo di Davide Minghini quale fotoreporter per la stampa locale fa sì che il tema della cronaca sia dominante negli scatti riprodotti, permettendo di individuare al suo interno vari percorsi iconografici come l’amministrazione pubblica, l’economia turistica, l’evoluzione del costume, lo sport, la cultura e la trasformazione del territorio. Costituisce dunque in tal senso un archivio di fonti con un’importante valenza documentaria, racchiudendo al suo interno una rilevante testimonianza dell’evoluzione della realtà riminese.

Dall’analisi del fondo fotografico si possono cogliere molti degli aspetti pubblici della vita cittadina, in modo particolare nel nucleo archivistico costituito dalla documentazione realizzata per l’amministrazione comunale. Si tratta infatti di immagini che testimoniano i lavori pubblici, i restauri, le cerimonie, le visite delle delegazioni straniere e ricevimenti delle autorità. Nei reportage realizzati per l’azienda di soggiorno sono presenti molti scatti che ritraggono le principali iniziative promosse dallo stesso ente per l’intrattenimento dei turisti, documentando le presenze estive nella città e gli eventi che si svolgono durante la stagione turistica, come ad esempio gli svariati concorsi di bellezza.

Nelle immagini spesso sono ritratti momenti del quotidiano della città, come ad esempio quelle del centro storico che immortalano: un artigiano mentre lavora nella sua bottega, donne e uomini che frequentano il popoloso mercato della “Vecchia Pescheria”, oppure bambini che giocano per strada. Viene testimoniata in questo senso una realtà in cui la città negli anni Cinquanta e Sessanta ancora assomiglia a un borgo dove il tempo viene scandito dal ritmo regolare della vita di provincia.

In netta contrapposizione si pongono le immagini dell’aera balneare, che riportano, invece, il cambiamento urbanistico dai tratti moderni dei suoi nuovi edifici e di quelli in fase di costruzione. Tratti di modernità non si trovano solo nel paesaggio architettonico ma anche nelle numerose fotografie che ritraggono le folle di turisti sulla spiaggia, la nascente vita notturna della riviera e le ragazze che posano in costume. Minghini ben ritrae dunque la dualità riminese tra città e marina.

A questo lato pubblico del fondo appena analizzato si contrappongono le immagini degli album privati di famiglia raccolte nel database Imago Online.

Sono tutte immagini appartenenti alla schiera di foto “spontanee e anonime” che raffigurano l’esistenza quotidiana del loro tempo e costituiscono una rete di segni, tracce e in questo senso possono essere utilizzati come documenti su cui interpretare il passato (Sorcinelli 2010). Facendo una ricerca all’interno del database per il periodo preso in analisi (1948-1970) risultano 436 immagini scattate a Rimini. A differenza delle fotografie conservate nel fondo Minghini queste immagini raccolte dagli album di famiglia sono state scattate per avere una fruibilità intima all’interno di famigliari e amici, assumendo quindi una funzione di “memoria del privato”. In questo senso, dall’analisi di questa parte di fotografie emergono molti aspetti della vita quotidiana e famigliare, come ad esempio il momento della colazione, una pausa dal lavoro oppure una festa di compleanno. Dunque, non traspare il dualismo tra città e marina che affiora nelle immagini “pubbliche” di Minghini ma piuttosto un’evoluzione nell’autorappresentazione all’interno della sfera del privato. Infatti a partire dagli anni Cinquanta assistiamo alla rottura di quell’orizzonte rigidamente caratterizzato da redditi e consumi bassi che porta all’apertura verso i consumi che diventano il prodotto di un modello culturale, un elemento centrale per la sistemazione dell’esperienza individuale e per le scelte complessive dei singoli dando corpo ad un nuovo elemento come la soggettività. In questa direzione nelle immagini prese in analisi possiamo ritrovare emblematiche autorappresentazioni degli abitanti di Rimini accanto ai simboli del consumo come la televisione, la Vespa e l’automobile. È infatti il sentimento del benessere e di aspirazione al benessere che diviene uno dei temi principali delle fotografie familiari private degli italiani (Calanca 2008) e nel caso specifico anche di quelle dei riminesi. Tuttavia nonostante le trasformazioni economiche, politiche e culturali in atto in quel periodo storico, non viene meno un sentimento relazionale individuale e collettivo raffigurato nelle immagini in cui sono immortalati gli affetti e le relazioni famigliari.

Biografia

Gianluigi Di Giangirolamo è laureato in Storia d’Europa presso l’Università di Bologna. Attualmente collabora con il Laboratorio di Storia Sociale “Memoria del Quotidiano” attivo nell’ateneo Bolognese sede di Rimini ed è cultore della materia per la cattedra di Storia Sociale nel corso di Laurea in Culture e Tecniche della Moda – Facoltà di Lettere e Filosofia-Polo Scientifico Didattico di Rimini.

Biography

Gianluigi Di Giangirolamo graduated in Contemporary History at Bologna University. He currently collaborates with the research laboratory of Social History “Daily Life’s Memory” at the University of Bologna-Rimini, and is Teaching Fellow in Social History at the Fashion Cultures and Techniques degree course- Faculty of Arts and Humanities-Rimini.

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  10. Sono tre consiglieri comunali eletti durante le votazioni del 27 maggio del 1951 e rappresentanti delle forze di opposizione locale, rispettivamente: Giuseppe Babbi Dc, Mario Macina Psdi e Oreste Cavallari Pri. []
  11. La Lista Tricolore è composta da liberali, missini e monarchici. []
  12. C. Maltese, E Rimini inventò il falso mare, in “La Repubblica”, 21 Marzo 2007. []
  13. C. Maltese, E Rimini inventò il falso mare, in “La Repubblica”, 21 Marzo 2007. []
  14. Materiale depositato e archiviato presso il Laboratorio di Storia Sociale “Memoria del quotidiano”, Università di Bologna-Polo di Rimini. []
  15. Il materiale del fondo Minghini è consultabile presso la biblioteca civica Gambalunga di Rimini. Davide Minghini nasce a Rimini il 6 aprile 1915. Apre nel 1947 il suo primo studio nel centro storico di Rimini. Dal 1955 entra a far parte della redazione riminese del “Resto del Carlino” come fotoreporter e successivamente dal 1963 al 1964 collabora con l’azienda di soggiorno per l’edizione di due cortometraggi per la promozione della riviera di Rimini. Muore a Rimini il 7 novembre del 1987. Nel 1995 la moglie consegna alla città il patrimonio di immagini prodotto durante i quarant’anni di attività dello studio fotografico. []