Economia e cultura dei consumi alimentari degli anni Ottanta: le fonti

di Federico Chiaricati

Per uno studio sui consumi alimentari degli anni Ottanta sono utili alcune riviste e pubblicazioni di settore. L’analisi comparata e incrociata di questa letteratura riesce a dare una visione completa dei cambiamenti alimentari in atto nel decennio considerato, sia dal punto di vista culturale che economico e sociale. Caratteristica degli anni Ottanta è la progressiva internazionalizzazione dei consumi e delle produzioni industriali; è quindi fondamentale l’esame di quasi vent’anni di pubblicazioni della rivista “Journal of Marketing” per capire dove e come il mondo economico e sociale italiano fosse in linea oppure no con le tendenze americane. Un esempio, il marketing relazionale e quello delle cause sociali (come l’inquinamento), o il problema dei cosiddetti “Late Night Shopping”. La persistente assenza negli anni Ottanta di questi punti vendita aperti anche dopo le 20 segnala, rispetto agli Stati Uniti e altri paesi europei, un ingresso tardivo delle donne non solo nel mondo del lavoro, ma soprattutto in posizioni di dirigenza. La rivista è interamente consultabile on-line sul Catalogo italiano dei periodici (Acpn), insieme ad altri periodici collegati, quali “Journal of Marketing Research”, “Journal of Consumer” e “Journal of Consumer Research”. Un’altra fonte molto importante per queste ricerche è “Largo Consumo”, rivista specializzata sul mondo dei consumi (alimentari e non) della penisola italiana, con un occhio di riguardo verso gli aspetti economici del settore. La pubblicazione dei bilanci di alcune aziende (dal settore dolciario, a quello pastario, a quello delle bevande analcoliche, per citare solo una parte dei reparti analizzati ) e l’analisi del mercato e delle aziende alimentari italiane, prova come i gruppi che per primi adottarono un sistema di marketing relazionale (come Barilla e Ferrero) negli anni Ottanta riuscirono a reggere la competizione con le grandi multinazionali straniere che invasero pesantemente il mercato italiano, prima con compartecipazioni e poi con acquisizioni. Questa rivista si trova alla Biblioteca Centralizzata “G. Goidanich” della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna. Nella stessa biblioteca, inoltre, è possibile consultare un’altra rivista, intitolata “Birra e malto”, che si occupa del mercato birraio, dal marketing alla produzione industriale. Gli articoli di queste due riviste, integrati con la lettura e la bibliografia del libro di Daniela Brignone (1995; cfr. anche Brignone 2001), rendono un quadro complessivo dei cambiamenti dei consumi di alcoolici degli italiani e di come le tecniche industriali e dei servizi connessi alla produzione di birra si siano particolarmente evoluti nel corso del decennio 1979-1989. Vi è anche una dettagliata descrizione della campagna pubblicitaria collettiva che le maggiori aziende italiane (tra cui la Peroni) adottarono per riuscire a destagionalizzare un prodotto legato tradizionalmente all’andamento climatico (gli italiani, da sempre, consideravano la birra quasi al pari di una bibita, e i maggiori consumi erano concentrati nei mesi estivi; un’estate più fresca, quindi, significava una contrazione delle vendite) e che soffriva ancora di alcuni stereotipi come la convinzione che fosse un prodotto ingrassante e non da pasto (come il vino).

I dati disgregati delle regioni italiane e la struttura della spesa alimentare nei primi anni Ottanta possono essere osservate sui “Quaderni di Politica Commerciale e Turistica”, in particolare il numero 25 del Gennaio 1987 pubblicato dall’Iscom, che si può trovare alla Biblioteca della Camera di Commercio, industria, artigianato e agricoltura di Livorno. Come si può leggere nella prefazione di Carlo Mochi (Iscom, 1987, 9), la documentazione presente in questa pubblicazione,

Schiude orizzonti di ricerca decisamente stimolanti quando le distribuzioni merceologiche (categorie di spesa) e “sociologiche” (classi di spesa) vengono riferite a coordinate regionali, le quali costituiscono l’altro elemento di originalità rispetto alle serie ufficiali. Infatti, le note e persistenti differenze tra centro-nord e meridione quanto a dinamica del reddito e della popolazione non possono non ripercuotersi su quella dei consumi alimentari. 

Grazie alla disponibilità della Biblioteca “Bizzozzero” di Parma, invece, è possibile accedere ai numeri usciti dall’inizio degli anni Ottanta di “Alimentazione e Consumi”, rivista edita dalla Provincia di Milano già dagli anni Settanta con il nome di “Alimentazione e Salute”. L’analisi di questa rivista indica come sorga un nuovo modo di concepire l’alimentazione; essa diventa sempre più un elemento di interesse medico-nutrizionale. Vengono pubblicate, infatti, numerose indagini sulla popolazione milanese, dall’infanzia all’anzianità, per definire (o ridefinire) diete e abitudini alimentari. A seguito di queste indagini, ad esempio quella della Clinica Pediatrica V dell’Università di Milano, si rileva il crescere di malattie legate a errate abitudini alimentari, come un aumento dell’obesità tra gli alunni delle scuole milanesi, e altre malattie che vengono definite da Paola Palumbo (1987) le “malattie del benessere”. Sono gli stessi anni, inoltre, in cui anoressia e bulimia acquisiscono una sempre maggiore importanza e rilevanza mediatica. Queste malattie, naturalmente, non compaiono all’improvviso negli anni Ottanta, ma in questo periodo matura la consapevolezza che la cura e soprattutto la prevenzione di questi problemi sanitari debbano passare attraverso un’accurata educazione alimentare, condotta da medici specialisti (come i dietologi) e da enti privati e pubblici che promuovano studi scientifici sulle caratteristiche nutritive dei prodotti, vecchi e nuovi, presenti nel mercato. Questa maturazione spinge quindi a un tipo di consumo più incentrato sulla persona (la moda delle diete ne è un esempio) e il sorgere di prodotti dietetici o non ingrassanti. È il caso della Diet Coke, della linea Weight Watchers Punto e anche del calo dei consumi di zucchero a vantaggio dei dolcificanti.

Associato a un interesse per prodotti con valori nutritivi validi per le diete, crescono anche l’interesse e la richiesta dei prodotti “biologici”. Alcune ricerche hanno dimostrato che gli italiani erano disposti e pagare un prezzo maggiore per acquistare prodotti “sicuramente naturali”, che, al corretto valore nutrizionale, aggiungono una genuinità che i prodotti industriali non assicurano. Alla fine degli anni Ottanta l’Italia ospitava circa 1.400 attività tra punti vendita di prodotti biologici, compresi erboristerie e ristoranti vegetariani. I punti vendita di dimensioni estese e che presentavano quindi un buon giro d’affari, però, erano ancora pochi e dislocati nelle grandi città. I primi grandi distributori che si mossero in questa direzione furono la Coop Emilia Veneto per l’Emilia Romagna seguita dalla Conad dalla Standa e dall’Esselunga; queste ultime due si mossero principalmente in Lombardia e nel Lazio (Chiesa 1990)1. Negli stessi anni, spinto da vari disastri ambientali, si aprì un vivace dibattito sul rapporto agricoltura-ambiente, dal quale emersero due correnti di pensiero; la prima vedeva nell’agricoltura lo strumento privilegiato per la conservazione della biodiversità e la tutela ambientale, mentre la seconda considerava l’agricoltura alla stregua di tutte le altre attività produttive e quindi responsabile di arrecare danni all’ambiente, proponendo varie “agricolture” (si parla di “agricoltura eco-compatibile”, “agricoltura biodinamica” e anche di “agricoltura biologica”). Entrambe le correnti, comunque, erano concordi su tre obiettivi principali, riassumibili con la necessità di un maggior rispetto dell’ambiente (facendo leva in particolare sui cittadini), la disponibilità di prodotti più genuini e la riduzione delle eccedenze di origine agricolo-alimentare (Biffi 1990). L’interesse per i problemi derivati dall’inquinamento, si è visto, non scomparve. Numerosi studi e rilevazioni vennero eseguiti anche in Italia, per controllare lo stato di salute delle acque dove vengono pescati e allevati i pesci e dei campi dove si coltivano grano e prodotti ortofrutticoli (ma anche il foraggio, prodotto fondamentale per l’alimentazione del bestiame da allevamento).

Le numerose catastrofi naturali verificatesi a partire dalla fine degli anni Settanta2 trovarono l’apice il 26 aprile 1986 con l’incidente presso la centrale elettronucleare di Chernobyl, in Ucraina. A causa dell’entità dell’esplosione, e della quantità di materiale radioattivo fuoriuscito dal reattore a seguito della detonazione, una parte della nube atomica raggiunse l’Italia il 30 aprile, causando la contaminazione dell’ambiente in tutte le sue componenti. Per lungo tempo furono condotte analisi non solo sulle acque e sui terreni, dove, per effetto della deposizione dei radioisotopi al suolo (fall out) e della seguente azione di dilavamento della pioggia (wash out), si registrò un’immediata contaminazione. Le conseguenze di questa contaminazione provocarono dirette ripercussioni sulla catena alimentare, dando inizio a numerose analisi sui prodotti primari (prodotti ortofrutticoli, cereali, frutta, prodotti ittici e di allevamento) e secondari (latticini) dell’industria alimentare. Fortunatamente, dopo pochi mesi, i livelli di radioattività nella maggior parte dei prodotti rientrarono entro livelli accettati dalla legge, ad esclusione di funghi e foraggio fresco raccolto a partire da maggio3.

“La Gola”, invece, altro periodico di rilievo per una ricerca sui consumi alimentari, tratta di alimentazione da un punto di vista socio-culturale, definendosi, infatti, nel primo numero, “Mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale”. Questa fonte è consultabile alla Biblioteca del Mulino a Bologna; i pochi numeri mancanti (tra gli anni 1982-1984), sono comunque disponibili alla Biblioteca Civica Gambalunga di Rimini. Molto interessanti risultano essere i reportage dal mondo anglo americano per quanto riguarda sia le strutture di vendita (quelli che vengono definiti gli Xtra Supermarket) che le nuove tendenze dei modelli alimentari (confrontare, ad esempio, la moda tutta americana del “Working breakfast” o anche quella che viene definita l’alimentazione diffusa, nell’articolo di Bellieni e Giannone, “New York come modello alimentare” del 1983).

Come ulteriore fonte è indispensabile l’uso di internet e dei siti delle maggiori imprese multinazionali italiane e straniere. Qui un elenco abbastanza esaustivo

I siti di queste imprese, così come di molte altre, che non sono state inserite perché estremamente numerose, contengono al loro interno molte informazioni sulla storia dell’azienda e sul lancio di determinati prodotti, l’analisi dei quali può rivelare particolare tendenze dei consumi italiani. Sempre per quanto riguarda internet, sono consultabili vari articoli presenti su

che riguardano momenti particolari della vita alimentare italiana, come lo scandalo del vino al metanolo, il disastro di Chernobyl o la crescita del turismo verde o eco-compatibile.

Ultima fonte, sicuramente poco usuale, ma non meno importante per comprendere alcune dinamiche legate alla ristrutturazione del rapporto tra prodotto e consumatore, è l’osservazione degli album della “Serie A” di calcio della Panini dal campionato 1981-1982 al 1990-1991. Le stampe celebrative di questi album uscite in collaborazione con la “Gazzetta dello Sport” sono molto utili per poter osservare direttamente materiali che, dato il loro uso ludico, difficilmente vengono conservati negli anni (collezionisti esclusi). Grazie alle figurine si riesce ad osservare come dal campionato del 1981 facciano ingresso sulle maglie dei giocatori gli sponsor ufficiali (gli sponsor tecnici sono già presenti da anni). L’analisi di ogni campionato dimostra come la presenza di sponsor legati al mondo alimentare diventi sempre più importante. Questa presenza ha abbracciato tutti i settori dell’alimentazione; da quello pastario (Barilla), alle bevande (Sàntal), ai surgelati (Orogel), agli alcoolici (Whurer), agli snack (Mars), e così via. L’analisi mostra come la pratica della sponsorizzazione divenga uno degli strumenti principali di promozione che da questo momento investirà ogni campo della vita umana. Anche la stessa pubblicità televisiva, infatti, sul finire degli anni Settanta cambia radicalmente (Carosello interrompe le proprie trasmissioni nel 1977) e si inserisce anche all’interno dei programmi di intrattenimento. Invece di raccontare una storia strutturata come accadeva per i vari prodotti pubblicizzati da Carosello (che può essere considerato un vero e proprio programma televisivo), la pubblicità diventa una scheggia che in pochissimi secondi condensa tutte le informazioni necessarie per poter promuovere un determinato prodotto. A partire dagli anni Ottanta, l’avvento delle emittenti private avrebbe aumentato e alimentato tutto ciò. Tra gli argomenti che acquisiscono una rilevanza particolare uno spazio considerevole lo occupa senza dubbio il ruolo della marca, che diviene sempre più importante e che contribuirà allo sviluppo del dibattito sul marketing relazionale. A causa di una crescente standardizzazione dei prodotti, o di una loro anomia, il ruolo della marca deve essere quello di creare un valore aggiunto immateriale di supporto alle caratteristiche del prodotto. Succede quindi che la marca non tende più a comunicare o esprimere i cambiamenti interni di un prodotto (una miscela migliore, ad esempio, di un caffè), ma tende a conservare se stessa e a cercare una comunicatività relazionale con il consumatore, isolandosi dal processo economico-produttivo entro il quale dovrebbe inserirsi per entrare nel mondo dell’immaginario collettivo e, quindi, attraverso un discorso collettivo e nella ricerca di alleati, in una logica di conquista di potere (Laufer, Paradeise 1982).

Questo cambiamento, di cui si comincerà a parlare dalla fine degli anni Ottanta, ma già in atto dalla seconda metà degli anni Settanta, avrebbe avuto un riflesso diretto sulla produzione e su tutto il mondo industriale.

Dobbiamo abituarci all’idea che l’impresa moderna, nella sua essenza, è intelligenza relazionale. Essa si identifica non tanto con la trasformazione fisica delle merci, quanto con la produzione di idee innovative, la progettazione di architetture complesse, la costruzione di relazioni. La funzione imprenditoriale di assunzione del rischio e di anticipazione del futuro possibile rinvia sempre più alla leggerezza del software, e si allontana invece per mille vie dalla pesantezza dell’hardware. Produrre valore significa, in questo nuovo contesto, prima di tutto immaginare; poi convincere; e infine costruire sistemi virtuali che possono divenire reali se in essi vengono coinvolti, a vario titolo, finanziatori, fornitori, componentisti, ricercatori, assemblatori, distributori e, last but not the least, consumatori finali. Costruire relazioni in vista di un valore possibile diventa il nuovo mestiere del management e il campo elettivo di applicazione della funzione imprenditoriale (Rullani 1993).

Per poter osservare questi processi è senza dubbio utile la letteratura di settore prodotta verso la fine degli anni Ottanta, quando i processi di concentrazione di capitale nelle mani di poche grandi multinazionali erano ormai divenuti all’ordine del giorno e, soprattutto, quando la gara per l’accaparramento delle proprietà della Sme si stava facendo senza esclusione di colpi.

Le fonti utilizzate rendono un quadro poliedrico della società italiana, che tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta conobbe un cambiamento importantissimo della struttura della collettività, certamente con modalità molto meno traumatiche rispetto al passato, ma non per questo meno fondamentale. L’onda lunga del decennio Ottanta, infatti, è ancora ben presente nella vita quotidiana degli italiani, per i quali le novità (anche in campo alimentare) di quegli anni sono oggi diventate parte integrante del paesaggio cittadino (si pensi ai fast food, ai take away cinesi o ai centri per i prodotti dimagranti).

Bibligorafia

Aversa Anna

1986                Chernobyl: sei mesi dopo, in “Alimentazione & Consumi”, a. VI, n. 3/4, settembre/ottobre.

 

Biffi Mario

1990                Agricoltura e ambiente, in “Alimentazione & Consumi”, a. X, n. 6, novembre/dicembre.

 

Brignone Daniela

1995                Birra Peroni: 1846-1996 centocinquant’anni di birra nella vita italiana, Milano, Electa.

2001                Archivio della Società Birra Peroni: inventario, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi.

 

Chiesa Roberto

1990                Prodotti biologici: business o necessità, in “Alimentazione & Consumi”, a. X, n. 6, novembre/dicembre

 

Grandinetti Roberto

1993                Reti di marketing: dal marketing delle merci al marketing delle relazioni, Milano, ETAS libri.

 

Gualdi Roberto, Sgorbati Giuseppe

1987                Dopo Chernobyl: undici mesi di analisi, in “Alimentazione & Consumi”, a. VII, n. 2, marzo/aprile.

 

Laufer Romain, Paradeise Catherine

1982                Le Prince bureaucrate: Machiavel au pays du marketing, Parigi, Flammarion.

 

Palumbo Paola

1987                Alimentazione in età adulta (II parte), in “Alimentazione & Consumi”, a. VII, n. 3, maggio/giugno.

 

Rullani Enzo

1993                Verso l’impresa “leggera”, in Roberto Grandinetti, Reti di marketing: dal marketing delle merci al marketing delle relazioni, Milano, ETAS libri, 1993, pag. X.

  1. Si può osservare, comunque, che il vero e proprio “boom” dei prodotti biologici avverrà negli anni Novanta, come sostiene lo stesso Chiesa quando afferma che “è ormai un dato acquisito che nel consumatore degli anni ’90 vi sia sempre maggiore propensione verso ciò che viene presentato “naturale”. La spinta che si avrà negli anni Novanta non sarà altro che il risultato di una coscienza sempre più matura sulle caratteristiche dei prodotti alimentari, da quelle nutrizionali a quelle produttive, che nasce nel decennio precedente. []
  2. Per avere una visione di una parte degli incidenti che causarono catastrofi naturali confrontare http://www.greenme.it/informarsi/ambiente/2289-maree-nere-i-10-peggiori-disastri-petroliferi-della-storia, dove vengono trattati in particolare i dieci peggiori incidenti petroliferi di sempre. Da notare che si collocano tutti tra il 1978 e il 1992. []
  3. Alcuni risultati ottenuti dalle indagini compiute mesi dopo l’incidente sono pubblicate in due articoli di Anna Aversa (1986; 1987).  []