I garibaldini dal volontariato giovanile al mutualismo reducistico a Bologna e Vicenza

di Maria Greta Girardi

Sigle

Arpb: Archivio della Società dei Reduci dalle Patrie Battaglie

ASBo: Archivio di Stato di Bologna

Avg: Associazione volontari garibaldini

GP: Gabinetto di Prefettura

MrBo: Museo del Risorgimento di Bologna

MrrVi: Museo del Risorgimento e della Resistenza

RGB. Raccolta Giuseppe Bacco

Abstract

Il desiderio di mostrare il contributo dato dalle masse giovanili durante gli anni dell’unificazione italiana, mi ha spinta ad approfondire quella che può essere definita una “parabola” che prende avvio dalla volontaria partecipazione di numerosi ragazzi alle battaglie risorgimentali, i quali si fecero poi promotori e membri attivi di associazioni mutualistico-reducistiche sorte con l’intento di consolidare il neonato stato liberale, propagando gli ideali di patria e nazione per creare un comune mito fondativo della nuova nazione unita. L’analisi dei documenti manoscritti di due diverse associazioni di reduci garibaldini, l’Associazione volontari garibaldini di Bologna (1884-1888) e la Società dei reduci garibaldini della città e provincia di Vicenza (1886-1924), ha permesso di descrivere il funzionamento e le attività di questi sodalizi, di identificare e tracciare un profilo delle caratteristiche di questi giovani volontari e infine di confrontare i dati raccolti sia tra le due città sia con il contesto nazionale già approfondito da importanti studi del settore.

Abstract english

The desire to show the contribution given by the masses of young people during the years of Italian unification, led me to investigate in what can be called a “parable” that begins with the voluntary participation of many young people in the battles of the Risorgimento, which then became the promoters and active members of the mutualistic and veterans associations risen with the intent to consolidate the newborn liberal state, propagating the ideals of motherland and nation to create a common foundational myth of the new united nation. The analysis of handwritten documents from two different associations of Garibaldi’s veterans, “Associazione Volontari Garibaldini of Bologna” (1884-1888) and the “Società dei Reduci Garibaldini della città e provincia di Vicenza” (1886-1924), has allowed us to describe how these associations worked and their activities, to identify and draw up a profile of the characteristics of these young volunteers and, at the end, to compare the collected data both between the two cities and with the national context already studied in deep by major studies in this field.

Nel tentativo di delineare e ripercorrere l’entusiastica partecipazione giovanile al volontariato militare delle battaglie risorgimentali, questo saggio si propone di approfondire la fase matura di vita dei volontari che vi parteciparono, diventati, con lo scorrere del tempo, anziani reduci che non misero da parte il loro impegno, profuso a favore delle diverse associazioni createsi tra ex-combattenti. Dopo una prima breve presentazione delle caratteristiche di questi arruolamenti spontanei di massa, dell’incisivo ruolo svolto dalla politica cavouriana per tentare di inquadrare la numerosa e disorganizzata partecipazione ponendovi a capo il generale Garibaldi, e della successiva nascita dopo l’Unità di una serie di associazioni mutualistiche che raccolgono al proprio interno i reduci delle battaglie patrie, l’articolo procede analizzando e comparando le informazioni e i dati di due associazioni di garibaldini: l’Associazione volontari garibaldini di Bologna sorta nel 1884 e la Società dei reduci garibaldini della città e provincia di Vicenza. La descrizione delle attività realizzate nel corso della loro esistenza, delle problematiche che si trovarono ad affrontare e, soprattutto, l’individuazione dei membri iscritti permette di confrontare la realtà di questi due sodalizi post-unitari con il contesto storico-sociale in cui sorsero e con dati di più ampio respiro nazionale.

Nel 1848, le formazioni volontarie cominciarono a costituirsi quando il processo rivoluzionario aveva già preso corpo: ci fu una enorme dispersione di forze dovuta alle molteplici spontanee iniziative registratesi in molte parti dell’Italia. Questo enorme numero di uomini in armi non conseguì, in realtà, grandi vittorie perché privo di un indirizzo univoco e di un comando centrale.

Ma i successi di Garibaldi nel ’59, e la proficua spedizione in Sicilia dell’anno successivo, portarono a una revisione dei pregiudizi di tanti ufficiali di carriera verso la guerra di popolo. Nel 1866 gli italiani manifestarono nuovamente la loro adesione alla guerra contro l’Austria con ben 40.000 volontari al comando di Garibaldi, rispetto a una previsione che non superava le 10.000 presenze. Nella fase iniziale delle battaglie risorgimentali, il soldato veniva considerato valido e capace solo se passivo esecutore degli ordini imposti senza capire né interpretare fatti e parole. Al contrario, il volontario risultava inaffidabile perché considerato soldato per “amore”: colui che, per passione e assoluta dedizione agli ideali per cui combatteva, sarebbe stato disposto a tutto senza farsi piegare da regole e imposizioni. Col tempo, si notò poi, che tra questi volontari molti erano spinti anche da un forte entusiasmo, scontenti della loro condizione sociale, volevano concretamente agire per migliorare le proprie condizioni di vita, di lavoro e le proprie prospettive future. Il mito del soldato pronto a tutto per un ideale fu ridimensionato: si trattava di persone mosse anche da interessi personali e dal desiderio di un cambiamento favorevole per la collettività.

La guerra del ’59 vide la volontà del governo sardo di utilizzare le forze della nazione, per motivi di politica interna, di politica internazionale e per ragioni strettamente militari. Questo volontariato fu compatto ed organico per le capacità dimostrate da Cavour e dagli uomini a lui vicini di saper guidare, indirizzare e finalizzare ad uno scopo comune le masse. L’unificazione della penisola appariva ad ampi strati della popolazione, per la costante campagna di consenso coltivata per anni, e per la condotta interna e internazionale del Piemonte, lo scopo principale da raggiungere e per cui battersi. L’aspettativa di un futuro migliore connessa al consenso mostrato verso la politica sarda, spiega la partecipazione di volontari di tutte le estrazioni sociali: ampiamente rappresentato fu il ceto intermedio con commercianti, artigiani, operai che chiedevano un cambiamento e un miglioramento generale, soprattutto economico.

Cercare di descrivere e analizzare le motivazioni, al di là dei fattori puramente materiali, significa innanzitutto presentare questi volontari. Il loro essere giovani, spesso giovanissimi è una caratteristica fondamentale che mostra quanto l’eccitazione, l’incoscienza, la speranza nel futuro li spinga ad abbandonare tutto, casa, famiglia, terra d’origine, per partire affrontando le difficoltà del viaggio e del superamento dei confini. Anche gli impulsi, i sentimenti e le emozioni pesarono ampiamente sulle decisioni che questi ragazzi presero: l’inconsapevolezza, l’emulazione, la curiosità, la noia, il desiderio di un riscatto o spesso le dinamiche familiari e i rapporti con i genitori diventavano tutte ragioni più o meno profonde per scegliere di arruolarsi come volontari.

Anche Alberto Mario Banti (2009) ribadisce come il Risorgimento italiano fu un fenomeno mosso dalla ribellione giovanile: non furono solo le motivazioni socioeconomiche o l’interesse politico e materiale di alcune classi sociali più in vista a spingere le élites intellettuali e strati sempre più ampi di società a credere e cercare di realizzare il percorso unitario, a coinvolgere persone di ceti diversi ad affiliarsi prima alle sette segrete e a manifestare nelle città sulle barricate, e poi a mettere a repentaglio la propria vita durante le battaglie risorgimentali. Secondo Banti si trattò della costruzione per gradi del “canone risorgimentale”, che divenne progressivamente la base culturale per la formazione di una nuova idea di nazione tra la massa della popolazione.

Tutta questa volontà di essere parte di qualcosa di grande, di cambiare la situazione italiana per renderla una patria unita e libera dallo straniero non si concluse con le battaglie degli anni risorgimentali. Lo spirito giovanile di partecipazione, aiuto tra commilitoni e costante attività fu il filo conduttore e la ragion d’essere di molte associazioni mutualistiche nate dopo l’unità d’Italia. In particolare nel Settentrione e nel Centro si diffusero molti sodalizi aventi lo scopo di riunire ex-soldati desiderosi di rivivere il loro passato tramite le commemorazioni di eventi, personaggi e battaglie del Risorgimento.

Le organizzazioni mutualistiche furono snodo della vita sociale ed economica di tanti piccoli centri urbani e rurali dei primi anni postunitari e principali mezzi di socializzazione solidaristica e di autogoverno democratico. L’opera di educazione civile di massa delle società di mutuo soccorso fu di primaria importanza, perché imbevute di un’ideologia che guardava al progresso con favore e tesa a diffondere una morale attivistica e laica (Varni 1984).

Superando, quindi, le barriere sociali tradizionali, l’associazionismo mutualistico realizzò uno spazio pubblico fortemente connotato in senso “interclassista”, in cui convivevano dai piccoli rivenditori agli operai, dai professori agli artigiani. Soprattutto nella prima fase queste società assolsero al ruolo di istituzioni-ponte tra i ceti dominanti e le classi popolari, veicolando i messaggi per rinforzare le basi del nuovo stato unificato consolidando lo spazio pubblico liberale.

Infatti, relativamente al periodo a ridosso dell’unificazione e per i primi decenni dopo il 1861, il mutualismo costituì la prima rete associativa in grado di attivare processi di socializzazione e di acculturazione di larghi settori dei ceti urbani e in misura minore dei contadini, ponendo le basi per un lento avvicinamento della società alle istituzioni e per una progressiva penetrazione della politica.

In molte aree territoriali si realizzò così un capillare processo di acculturazione e socializzazione di significative fasce popolari che si aprirono alla possibilità di fare pratica di governo in prima persona. La spinta politica fu infatti un fattore decisivo nel promuovere la crescita del fenomeno mutualistico; consistente fu la capacità di queste società di modellare idee, comportamenti e mentalità della gente. L’associazionismo fu, senza dubbio, un importante strumento che permise ai ceti popolari e alla “piccola” borghesia di accelerare la loro alfabetizzazione politica e di emanciparsi progressivamente dalle élites dominanti.

Dietro alle etichette più diverse si rivelava la realtà di un movimento organizzativo geograficamente concentrato nell’Italia centro-settentrionale, con una diffusione che anticipa e ricalca quella successiva del movimento operaio e socialista e dove più ampia fu l’adesione al volontariato dal ’59 al ’66: dal Piemonte alla Toscana, dalla Lombardia all’Emilia Romagna in cui fiorirono il maggior numero di circoli (Isola 1989). Inoltre nel reducismo ottocentesco si imposero principalmente due modelli: quello del volontario e quello dei corpi regolari che richiamavano le due anime del Risorgimento. I primi interpretavano l’anima spontaneistica, garibaldina e radicale; i secondi, lo spirito più ufficiale, monarchico e moderato del periodo dell’unificazione. Nei sodalizi queste due anime spesso convivevano e molti iscritti erano in passato già stati arruolati nell’esercito regolare ma avevano scelto poi di passare nelle truppe volontarie di Garibaldi o viceversa. Sono numerosi i casi quindi di reduci che si iscrissero a più sodalizi proprio perché nel passato avevano combattuto in più reggimenti o comunque a causa di questi passaggi e cambiamenti non è sempre semplice delineare un profilo univoco degli appartenenti a una determinata società.

All’inizio molte associazioni nacquero per iniziativa di quanti avevano combattuto le guerre patrie senza particolari distinzioni, con lo scopo di unirsi per aiutarsi vicendevolmente e tramandare le loro esperienze. Successivamente, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, iniziò ad essere preponderante l’aspetto politico portando a una cesura tra Società dei Reduci e società dei Veterani o dei Superstiti (Preti, Tarozzi 1994, 8).

La distinzione terminologica tra veterani e reduci presupponeva una differenziazione sostanziale, non solo perché i primi aggregavano tra loro i protagonisti del 1848-49, ma anche per gli orientamenti politici antitetici. I reduci, che vedevano al proprio interno molti garibaldini, avevano indirizzi democratici e repubblicani al contrario dell’ispirazione monarchica e costituzionale dei veterani e superstiti (Preti, Tarozzi 1994, 8; Cecchinato 2011, 206).

Bologna

L’Associazione volontari garibaldini (Avg) venne costituita il 17 febbraio 1884 raccogliendo al proprio interno “coloro che ebbero la gloria di militare sotto le bandiere di quel Grande che se ne giace sullo Scoglio di Caprera”1. I documenti della Prefettura annotavano che per iniziativa di Raimondo Serpieri2 venne indetta una adunanza il 3 febbraio con la partecipazione di circa una quarantina di individui tra i quali i socialisti Alfonso Leonesi e Teobaldo Buggini. Nell’occasione Serpieri per iniziare l’incontro pronunciò un breve discorso nel quale sottolineava che il fine solo ed unico della Società era il mutuo soccorso e, passando a ricordare Garibaldi, disse che “questi con l’appoggio di Vittorio Emanuele ci condusse alla libertà”3.

Il questore di Bologna a conclusione del documento inviato alla Prefettura si mostrava cauto circa la vicinanza del nuovo sodalizio alla politica e promettendo maggiori indagini ipotizzava la fine del progetto garibaldino ancor prima della completa e definitiva costituzione del Sodalizio per scarsità di vitalità ed elementi. Così non fu, perché l’Associazione volontari garibaldini fu riconosciuta intorno alla metà del giugno 1884, lo Statuto fu accettato e depositato in Prefettura e per quattro anni cercò di svolgere le attività prefissate e di restare in vita insieme alle molte altre consorelle bolognesi. Certo si può però dire che ebbe un’esistenza breve e che la scarsa vitalità era dovuta proprio al numero limitato dei membri: non siamo in possesso, per ora, di una lista di iscritti al momento della costituzione del sodalizio, ma dai pochi nomi citati nei documenti e da questa valutazione del questore, possiamo sicuramente dedurre che non erano numericamente molti e che questo fosse già motivo di preoccupazione tanto da arrivare, qualche anno dopo, alla decisione di unirsi a una Società più grande e solida.

Tra gli scopi che l’Avg si prefiggeva vi erano innanzitutto il mutuo soccorso e l’esigenza di propugnare i principi di fratellanza, indipendenza ed unità d’Italia ma non tralasciava i momenti di aggregazione ed educazione preoccupandosi anche di organizzare passeggiate annuali insieme alle altre associazioni consorelle e dell’istruzione dei figli dei soci, compresa una parte di esercizi fisici e di scherma. Poiché fin da subito il numero dei soci non doveva essere particolarmente nutrito, l’Associazione si impegnò affinché potesse esserci continuità creando al proprio interno un gruppo che raccogliesse la prole e fissando ciò nell’art. 34 dello Statuto.

Acciò la Società abbia una duratura mutualità verrà aggiunto un braccio alla Società dei figli dei garibaldini, sezione che avrà gli stessi diritti d’uniforme con distintivo che li distingua. Pagheranno però una tassa mensile che sarà di Cent. 25 e dovranno uniformarsi al nostro Statuto e Regolamento4:

“Braccio dei figli volontari garibaldini” avrebbe dovuto essere la denominazione di tale sottogruppo. Purtroppo dai documenti d’archivio non risultano informazioni a riguardo: soltanto nell’opera di Aristide Ravà (1888) sulle associazioni di mutuo soccorso nelle province emiliane si legge che tale sezione fu eliminata, ma non si dice precisamente quando.

Tale continuità veniva promossa inoltre con la ricerca, dopo la costituzione definitiva dell’associazione, di uno spazio nel cimitero per erigere una lapide su cui incidere i nomi dei defunti garibaldini “in ricordo di quel Grande Eroe e de’ suoi volontari che esposero la vita per l’Indipendenza e libertà della Patria” (Ravà 1888). In questa significativa dicitura si evidenziava l’universo ideologico sottostante a tutte quelle lapidi, targhe, statue e commemorazioni che in quegli anni scandivano il trascorrere del tempo. Momenti solenni che diventavano una sorta di rituali per rendere sacra ed eroica l’esperienza nazionale e renderne il ricordo “vivo tra i vivi”. Si evocava la natura sacrificale della morte, una morte ancora più “bella e potente” se avvenuta in battaglia, versando il proprio sangue. In quelle liste di nomi, in quelle epigrafi retoriche si sottolineavano le passioni e le ambizioni motore dello spirito di sacrificio militante per la nazione; si cercava di assicurare a queste figure, ormai diventate simbolo, un’immortalità memoriale, un’evocazione permanente del morto o dei ricordi narrati dai vivi come forma di continuità con il passato, come mezzo per contrastare l’oblio che il tempo porta con sé (Banti 2007).

L’Avg cominciò dopo qualche anno di vita a prendere contatti con la più vecchia Società dei reduci delle patrie battaglie discutendo e interrogandosi su quale soluzione poteva far superare le posizioni e le difficoltà di entrambe. Numeriche in primis, ed economiche poi.

Durante il periodo che vide l’aggregazione tra le due associazioni, il segretario dell’Avg Francesco Paolo Francia chiese che “la gloriosa storica divisa garibaldina si abbia ad indossare in rarissime solenni circostanze, ma che quando s’indossa essa non possa […] essere mutilata tanto per i distintivi dei gradi acquisiti nei campi di battaglia, come per il numero del reggimento a cui si appartenne”5. Marcato era l’attaccamento che questa Associazione Volontari dimostrava verso quei simboli che identificavano la loro scelta di militare ai comandi del generale Garibaldi e che fungevano da legame con il passato: per loro era davvero importante glorificarsi delle medaglie e dei gradi raggiunti come risarcimento dei sacrifici compiuti e segnale di orgoglio nazionale. Non indossare tutto ciò poteva farli sentire anonimi, svuotati della loro più profonda identità fatta di scelte coraggiose e passionali; desideravano divulgare ancora quelli che erano stati gli ideali e i valori legati al mondo a cui avevano aderito in gioventù: quello del volontariato garibaldino.

Dopo aver visto naufragare le prime trattative dell’anno 1888 a causa di alcune discrepanze tra le società, i garibaldini ci tenevano a puntualizzare ne “Il Resto del Carlino” del 3 aprile che

 

i suoi soci non ostante la deliberazione presa dall’assemblea generale di accettare la fusione colla Società dei Reduci, la fusione stessa non è ancora avvenuta e pare che non possa avvenire, perché il Consiglio Direttivo dei Reduci senza portare la cosa in assemblea, ha dichiarato di voler troncare, per ora, ogni trattativa. Nella speranza che il patriottico fatto della unione possa in altro tempo e con altri contatti presto accadere, i garibaldini sono pregati di stringersi maggiormente nelle loro file, non lasciandosi trascinare da nessuno, sotto altra direzione.

La situazione aveva raggiunto una fase di stallo anche se i soci dell’Avg non chiusero tutte le porte sperando in nuovi negoziati.

Nonostante i contatti proseguissero da mesi, non fu semplice e immediato ottenere un consenso unanime al progetto e, durante le numerose riunioni indette, fu quindi necessario che le parti esponessero le proprie volontà e posizioni per scambiarsi opinioni e trovare punti di contatto: si cercava di realizzare un’unione con il più alto accordo possibile senza ledere diritti e priorità di nessuna delle due parti6.

La commissione mista delle due Società deliberò la fusione in una sola associazione la quale avrebbe dovuto essere denominata Società di Mutuo soccorso fra i reduci delle patrie battaglie e garibaldini nella quale tutti i membri avrebbero goduto di eguali diritti ed eguali doveri. Gli statuti di entrambi i sodalizi sarebbero stati immediatamente modificati per ottenere un unico insieme di regole valido per tutti. Il primo cambiamento avrebbe riguardato la quota mensile: i nuovi soci volontari dovevano adeguarsi alla cifra di settantacinque lire pagata dalla Società reduci fin dalla loro costituzione7.

Le proposte economiche elencate dai volontari rispondevano correttamente al concetto di fusione che avevano in mente ma, per la parte morale ben più importante, queste proposte non vi si avvicinavano affatto “poiché conservando la personalità distinta dei due sodalizi (garibaldini da una parte e reduci dall’altra), li collega ma non li fonde in uno solo”8. Era chiara la paura che i due sodalizi potessero costituire in realtà due società l’una dentro l’altra, senza una profonda e completa fusione, e con tale disparità si sarebbero potuti verificare periodici dissidi tra gli iscritti.

Non fu semplice giungere a un accordo che potesse essere accettato da entrambe le parti ma, dopo un periodo di dibattiti, si firmò l’11 luglio 1888 il documento ufficiale dell’avvenuta fusione: si giunse alla deliberazione definitiva per l’aggregazione del sodalizio Volontari garibaldini alla Società reduci delle patrie battaglie.

L’Assemblea della società Volontari Garibaldini ispirandosi al concetto patriottico della unione dei due sodalizi Reduci dalle patrie battaglie e Garibaldini, pur rispettata la più assoluta euguaglianza di diritti dei soci, e le tradizioni speciali garibaldine […], passa alla votazione degli articoli.

Viene approvata la fusione delle due società. I membri attuali dell’una e dell’altra godranno di eguali diritti, ed avranno eguali doveri intendendosi fin d’ora modificati in tal senso i due statuti e fissandosi però la tassa mensile dei Reduci per tutti.

Di conseguenza i fondi e i capitali di spettanza dei Volontari Garibaldini verranno versati nella Cassa comune, unica essendo l’amministrazione.

La nuova società si intitolerà Reduci dalle Patrie Battaglie e Garibaldini; sarà divisa in due sezioni, ciascuna delle quali avrà la propria bandiera portante la leggenda generale della società, e in altra fettuccia quella della sezione. In egual modo saranno intestati gli atti d’ufficio, e le corrispondenze, tenute da due segretari uno garibaldino e l’altro Reduce dalle patrie battaglie. I garibaldini vestiranno ove lo vogliano la loro divisa.

(“Il Resto del Carlino”, 12 luglio 1888)

 

Furono accettate dai Reduci dalle patrie battaglie molte delle istanze presentate dai volontari garibaldini nel corso degli incontri degli anni precedenti, e non si ebbe un assorbimento della vecchia Avg nella nuova società, anzi questa si accorpò a una sezione che grazie ai nuovi membri poté acquistare nuovo vigore, maggiore importanza e dignità.

Tracciando un profilo del volontario, futuro reduce, si noteranno i tratti dello studente, più spesso dell’artigiano, del lavoratore dipendente generalmente alfabetizzato e del libero professionista. È quindi incontestabile il carattere urbano del volontariato risorgimentale che l’esperienza bolognese metteva bene in luce.

Prendendo in esame il caso specifico dell’Associazione volontari garibaldini di Bologna, fondata nel 1884, sono chiare e visibili le caratteristiche di alfabetizzazione, provenienza sociale e lavorative tipiche di quei giovani combattenti che con il passare degli anni diventarono uomini maturi.

Le liste degli iscritti all’associazione, conservate nei documenti dell’archivio del Museo del Risorgimento, contengono una serie di nominativi che permettono di identificare la composizione del sodalizio. Unendo gli elenchi e aggiungendo anche i nomi che compaiono nei verbali delle assemblee è possibile compilare una tabella con i soci iscritti9: non possediamo la certezza che questa sia la totalità di quanti fecero parte dell’Avg ma, considerato il numero di 85 reduci presenti nell’anno 1886 (Ravà 1888), riusciamo ad individuarne una buona parte.

È opportuno mostrare innanzitutto quanto la composizione sociale sia variegata: il ventaglio di mansioni spazia da lavori molto umili a professioni di rilievo e di grande competenza.

Alcune figure di spicco del contesto cittadino occupavano posizioni di guida e di gestione dell’Associazione volontari garibaldini: tra questi i già noti a Bologna, professore Discoride Vitali, che ricoprì per tutti i quattro anni di esistenza del sodalizio la carica di Vice Presidente, e l’avvocato Giuseppe Barbanti Brodano, consigliere dell’Avg. Per ottemperare ai compiti legati alle funzioni principali elencate nello Statuto Fondamentale, erano necessarie solide competenze e un livello di istruzione che non tutti all’epoca poterono raggiungere facilmente.

Anche nell’Avg, infatti, erano presenti alcuni membri analfabeti che per firmare documenti o richieste, avanzate al Consiglio Direttivo, ponevano una croce accanto alla quale era necessario aggiungere il nominativo esplicito del socio e la firma di un testimone che convalidava tali richieste10. È curioso notare come i due analfabeti che compaiono nel manoscritto del 4 giugno 1888, per dichiarare non valida la votazione per la fusione, siano entrambi lavandai.

La maggioranza degli uomini partiti dalle province dell’Emilia Romagna apparteneva al “popolo dei mestieri” e proveniva da contesti urbani e semiurbani. Per queste zone si accentuava, quindi, la prevalenza delle categorie artigianali o delle attività manuali legate a una competenza tecnica come confermano i dati sul volontariato del 1859, studiato e analizzato da Anna Maria Isastia. Abbondavano, infatti, calzolai, falegnami, sarti, muratori, fabbri, cuochi, osti, barbieri… Da tenere anche in considerazione le categorie in qualche modo legate allo spostamento di merci e uomini: i sellai, i maniscalchi, i vetturali. Non vanno dimenticati i facchini e i braccianti, i lavoratori cioè temporaneamente impiegati nelle opere di bonifica e facilmente esposti a periodi di disoccupazione e di drammatica indigenza (Cecchinato 2012, 252-255).

Il settore dell’artigianato è dunque quello più rappresentato nell’elenco di garibaldini dell’Avg. Tanti sono i calzolai e i negozianti ma notiamo anche macellai, sarti, meccanici, un cappellaio, un sellaio…tutti mestieri che si basavano su competenze di antica tradizione. Erano parte di quel ceto delle arti e dei mestieri che raffigurava una città viva e attiva; erano quei lavoratori operosi che rendevano l’economia florida e vivace. Partecipavano alla vita dell’urbe con impegno senza limitarsi al proprio mestiere ma iscrivendosi alle associazioni che una dopo l’altra stavano nascendo, per identificarsi, unirsi e rivendicare migliori condizioni e diritti11.

Come consiglieri, segretari, consulenti legali troviamo preferibilmente avvocati e professori, figure preparate a gestire incombenze burocratiche, situazioni finanziare e rapporti con altri sodalizi o con i comitati centrali in Roma. Una quota considerevole di questi soci svolgeva professioni di autorevolezza e prestigio all’interno del tessuto cittadino: contiamo, infatti, quattro avvocati e due professori, un farmacista e un chimico12 nella società garibaldina.

Vicenza:

Agli iniziali promotori, incontratisi nel 1882 in occasione delle celebrazioni in ricordo del generale di Caprera, si unirono un centinaio di vecchi garibaldini, residenti in città e, tutti insieme, diedero origine nell’aprile del 1886 all’Associazione Reduci Garibaldini di Vicenza13. Lo scopo principale della neonata società, riconosciuta ufficialmente in giugno, era quello di

riavvicinare e riunire i superstiti che presero parte alle guerre patrie sotto gli ordini di Garibaldi; difendere l’unità e l’indipendenza della Patria nella integrità del suo territorio; mantenere vivo il sentimento e forte il braccio ad ogni evento, commemorare le date gloriose del Risorgimento italiano, e specialmente i fasti garibaldini, e mantenere vive nel popolo le tradizioni garibaldine ad esempio ed emulazione14.

Rispetto all’Associazione volontari garibaldini di Bologna, questo sodalizio vicentino si caratterizzò per un’esistenza più lineare e duratura: cercò sempre di mantenere rapporti di accordo e rispetto con le più anziane consorelle, anche se il carattere dei reduci garibaldini si mostrava più combattivo e con una fisionomia politica più radicale. Queste serene relazioni si esplicarono soprattutto nella costante e numerosa partecipazione garibaldina alle cerimonie funebri dei Veterani in segno di stima e comunanza di valori. Inoltre per quasi quarant’anni l’associazione riuscì a vivere in autonomia senza fusioni, accorpamenti e distacchi da parte di consistenti gruppi di soci. Solo dal 1922 e per gli ultimi tre anni di vita fu costretta, a causa dei pochi sopravvissuti rimasti tra i garibaldini e i Veterani, ad unirsi con quest’ultimi in un’unica assemblea annuale mantenendo bilanci finanziari separati. A queste due società si aggiunse poi quella dei Reduci delle patrie battaglie ma, nel 1926, nonostante l’accordo tra le tre realtà associative, non si riuscì a superare la decina di soci partecipanti alle riunioni, che da allora non furono più svolte decretando la fine del nuovo allargato sodalizio.

I contribuenti iscritti al momento della fondazione della società reducistica garibaldina erano 92 e, tra gli iniziali decessi, le dimissioni di svariati soci e il trasferimento di residenza in altra città di alcuni iscritti, alla fine dell’anno 1888 si contavano 95 membri paganti le quote associative15.

La formazione sociale dell’associazione vedeva la presenza di “un Comitato Direttivo composto di un Presidente, di un Vice Presidente, di quattro Consiglieri e di un Segretario. Saranno pure nominati de Portabandiera, un Cassiere ed un Economo che formeranno parte del Comitato stesso con solo voto consultivo. Essi durano in carica un anno e possono essere rieletti”16.

Non tutti i reduci garibaldini della città fecero parte di questa Associazione; alcuni preferirono orientarsi verso il sodalizio dei Reduci delle patrie battaglie, altri non condividevano totalmente il pensiero politico del presidente Cavalli17 e dei maggiori esponenti dell’Associazione, ritenuto spesso o troppo rivoluzionario o troppo conservatore. Il numero degli iscritti oscillò intorno al centinaio andando a ridursi notevolmente dopo gli anni della Prima guerra mondiale: se nel 1892 si toccò la cifra massima di 106 soci, si passò ai 66 del 1913 per poi calare ancora e giungere alla decina di anziani reduci che decisero la cessazione del sodalizio.

Come per tutte le società mutualistiche nate dopo l’unificazione del paese, e in particolare per quelle che raggruppavano ex soldati, era necessario per esservi iscritti, fornire documenti comprovanti la reale partecipazione alle patrie battaglie.

Coloro che vogliono iscriversi nella Società devono presentare i documenti che attestino avere il richiedente appartenuto alle schiere garibaldine, lasciando però facoltà al Comitato Direttivo, in casi speciali, di deliberare sulla accettazione o reiezione delle domande18.

La direzione ritenne utile fissare una lista di norme per dichiarare effettiva e valida una nuova ammissione, esortando i reduci a presentare una domanda scritta e documentata che veniva sottoposta all’esame di un’apposita commissione eletta annualmente e costituita da tre membri. Questa avviava una serie di indagini per controllare “i requisiti di servizio e onorabilità” indispensabili per essere considerato un candidato accettabile; dopo le adeguate verifiche si passava a una votazione segreta fatta dai membri con cariche direzionali per confermare o meno l’ingresso del candidato richiedente19.

La società accettava non solo membri nati e vissuti a Vicenza ma anche coloro che risiedevano in altre città d’Italia; inoltre riteneva corretto accogliere la domanda d’iscrizione di garibaldini valorosi giunti e stabilitisi a Vicenza solo successivamente ai fatti d’armi e infine conferiva il ruolo di socio anche a figure di particolare spicco sia cittadino che nazionale. La nobile vicentina Chiara Adelaide Zorzi20 divenne socia ad honorem e fu l’unica donna del sodalizio, ricevendo poi tutti i benefici che questa condizione portava con sé.

Iscrivemmo poi a titolo d’onore nei ruoli sociali la nobildonna C. Chiara Zorzi consorte al nostro socio Generale Framarin, la quale accorse in Sicilia dopo la Battaglia di Milazzo, con animo pietoso e insieme virile, difese il provvisorio ospitale di Barcellona Pozzo di Goto prestando assidue cure ai feriti in quella memorabile giornata, fia i quali si trovava l’amatissimo suo sposo. All’atto della consegna del diploma su pergamena, la nob. Sig.ra espresse desiderio che sia ringraziato il Sodalizio, per avere tenuto calcolo dei servizi che ebbe la fortuna di prestare ai combattenti per la causa della Patria e noi adempiamo al mandato21.

Le figure femminili furono marginali e numericamente quasi assenti in questo sodalizio come nella maggioranza di quelli sorti tra la Toscana, l’Emilia Romagna (Tombaccin 1994) e la Lombardia. I piccoli spazi che alcune donne riuscirono a ritagliarsi erano legati alla volontà dei mariti o dei maschi della famiglia (padri o figli), i quali chiedevano elogi funebri e presenza di garibaldini in divisa in occasione dei funerali per la scomparsa delle amate consorti, madri o figlie.

Un esempio significativo sulla figura di madre dedita all’educazione ai valori nazionali dei figli, fu raccontato nell’anno 1897: “[…] ricordiamo che Caterina Girardi-Callegari, donna laboriosa ed amorosissima della famiglia diede pure ai figli esempio nobilissimo di patria carità curando nel 1848 con animo forte e pietoso i feriti; e l’esempio fu degnamente raccolto poiché Giovanni e Giuseppe Callegari divennero poi valorosi soldati della indipendenza italiana. Al funerale assistettero il nostro presidente e varii soci”22.

Donne che furono rievocate per la loro importanza e dedizione alla famiglia e alla patria che riuscirono così a mostrare il loro impegno e il ruolo, seppur celato, svolto negli anni post-risorgimentali, ma donne ancora considerate come immagine riflessa di figure maschili numericamente dominanti. Nell’associazione bolognese, prima presentata, si riscontra la presenza di una donna tra gli iscritti, Anna Grassetti Zanardi. Nei documenti conservati non è mai citata la sua attività e la sua partecipazione durante le riunioni o nella fase di fusione, sebbene questa donna fosse molto attiva e già membro della Società dei Superstiti di Bologna (Tombaccini 1993-1994). Anna Grassetti, nata a Bologna nel 1815, fu una fervente politica assieme a suo marito Carlo Zanardi, mazziniano. Parteciparono insieme ai moti del 1848 in cui Anna svolse anche il compito di infermiera, e alla difesa della Repubblica Romana del 1849. Sconfitti a Roma i patrioti dalle truppe francesi, Carlo Zanardi fuggì prima in Spagna, poi in altri paesi e morì in esilio. Anna rimase vedova con i quattro figli e proseguì il suo impegno politico. Mazzini le affidò il compito di riorganizzare la cospirazione e ricostituire comitati in diverse città dell’Emilia Romagna ma fu arrestata nel 1852, ottenendo la grazia soltanto nel 1858. Rientrata a Bologna, sotto lo stretto controllo della polizia pontificia, partì al seguito di Garibaldi nel 1860 per la spedizione dei Mille e ad ogni occasione partecipò, fino alla morte avvenuta a Bologna nel 1896, alle manifestazioni dei garibaldini e dei reduci delle guerre d’indipendenza (Cavazza 1984-1985; Gavelli 2010, 37). L’intervento di questa patriota sembra però non lasciare tracce tra le carte dell’Avg, andando a confermare il ruolo e i racconti marginali che queste società mutualistico-reducistiche riservavano alle donne iscritte.

Per quanto riguarda le finanze, una situazione florida poteva essere garantita innanzitutto dalla regolarità dei pagamenti delle tasse da parte degli iscritti. Questo tema si rivelò anche per i reduci vicentini, come per quelli bolognesi, di difficile gestione: spesso i cassieri e i revisori dei conti si trovarono costretti a richiamare, sollecitare e infine a cancellare coloro i quali non versavano le quote richieste o erano in costante ritardo.

Ogni socio all’atto dell’ammissione dovrà pagare la tassa di ingresso di lire 1, salvo alla Presidenza di condonarla secondo i casi. Dovrà pagare anticipatamente la quota mensile nelle mani dell’Esattore, o di chi per esso, di L. 1,00; 0,75; 0,50; 0,25 a seconda che ciascun socio dichiarerà di assumere a proprio carico a datare dal 1 gennaio 1887 e per la durata di mesi dodici. Ciascun socio potrà modificare dopo un anno e per un altro consecutivo la propria tangente, preavvisandone l’esattore due mesi prima della scadenza annuale. Caso contrario si intenderà duratura per un altro anno. Il Comitato direttivo ha la facoltà di eliminare quei soci che non avessero pagato da 6 mesi, esaurite tutte le pratiche opportune23.

Tali disposizioni andavano incontro alle possibilità economiche dei soci che erano liberi di scegliere e modificare annualmente quale somma mensile devolvere al sodalizio. Molti dei membri, come è già stato evidenziato per l’Avg bolognese, possedevano ampie ricchezze (avvocati, professori, nobili..) e contribuivano optando per la cifra più alta o realizzando donazioni a scopo benefico a favore dei soci poveri o di enti cittadini in stato di necessità.

I reduci garibaldini uniti in questo sodalizio non furono avulsi e disinteressati al contesto sociale, politico e culturale, anzi si caratterizzarono per una forte attenzione agli avvenimenti di cui ricevevano notizia, come ad esempio la morte di patrioti o personaggi illustri (Benedetto Cairoli, Giuseppe Cesare Abba, il vicentino Antonio Fogazzaro…) o per il manifestare approvazione o dissenso verso fatti nazionali e internazionali. Questo atteggiamento di coinvolgimento e interesse per l’attualità fece sì che essi si impegnassero e partecipassero attivamente alla politica della città e a quella nazionale. Non siamo di fronte a un’associazione che prendeva le distanze dalle lotte e dagli affari politici: i reduci garibaldini, come anche il sodalizio bolognese, potevano collocarsi tra i sostenitori della parte democratico-repubblicana soprattutto per le loro tendenze anticlericali e il loro amore per la libertà. È opportuno segnalare che questi aspetti non rimasero costanti in tutto il periodo di esistenza dell’associazione; i garibaldini percepivano e vivevano le conseguenze dei grandi e tragici avvenimenti nazionali e pur collocandosi per formazione e credo a favore delle istanze della sinistra, mutarono i loro atteggiamenti nei confronti della monarchia sabauda. Di fatto mentre sempre forte fu la memoria dell’esperienza vissuta a fianco di Garibaldi, con il passare dei decenni si rese sempre più visibile l’attaccamento a Casa Savoia, in particolare tra il 1919 e il 1925, quando sembrò assumere un valore quasi di difesa delle tradizioni nazionali contro la paura imperante per la diffusione del comunismo, e in difesa delle libertà democratiche minate dalle manifestazioni fasciste e dalle prime leggi promulgate dal Duce da poco salito al potere (Baroncelli 1961a, 42).

L’anno 1890 fu ricco di avvenimenti importanti per la società che ancora stava trovando stabilità e regole condivise da tutti per la gestione. Durante l’adunanza del 9 marzo 1891 relativa all’anno precedente, si aprì una discussione sul modo più conveniente e giusto di rendere onore ai soci defunti in occasione della consueta cerimonia di commemorazione presso il monumento del cimitero.

si convenne di adornare la nostra aguglia con corone di fiori e di illuminarla alla base con fiamme ad alcol di qualità inferiore ed alla sommità con petrolio24.

Progetto apprezzato da molti ma non da tutti: i cattolici fecero sentire la loro voce criticando modalità commemorative non in linea con le celebrazioni cristiane, basate su effetti esteriori e non sulla profondità spirituale che questi ricordi, secondo loro, dovevano seguire. I garibaldini della città erano considerati “alieni dalle pratiche e dalle credenze del culto cattolico” perché ricordavano i loro morti con “monumenti pagani non protetti dalla croce”. Solo ai clericali e a coloro che professavano la loro medesima religione, spettava il diritto di onorare i defunti che doveva essere vietato quindi ai garibaldini i quali riconoscevano “fratelli tutti gli onesti sinceramente devoti alla patria una e indipendente”25.

Qualche anno dopo, i garibaldini vicentini non persero l’occasione per esprimere giudizi duri verso i cattolici: tutto nacque da due lettere pubblicate dall’ex socio Collain che accusava la direzione dell’associazione di non aver preso una posizione rispetto agli atteggiamenti dei cattolici a Vicenza. Così, il segretario Bacco raccontava la disputa avviatasi per non aver considerato in modo serio “una monelleria di qualche imbelle membro della Gioventù Cattolica, nel privato ritrovo della stessa, in cui dicesi, siano state accolte con fischi le prime note dell’inno garibaldino strimpellato sul piano”. I garibaldini preferirono mostrarsi superiori non dando attenzione al fatto “perché quei imberbi campioni del clericalismo rifuggiati sotto l’egida del privato domicilio, non potevano in modo alcuno recare offesa ad uomini e fatti cui la storia ha già reso giustizia”26. Per evitare polemiche durature sulle pagine dei giornali, non vollero rispondere né ai giovani cattolici né al Collain che aveva sollevato questa questione, scegliendo di tutelare il decoro della società e la pacifica convivenza.

I contrasti tra reduci garibaldini e l’esigua schiera di cittadini di sinistra opposti alle forze cattoliche e conservatrici, erano frequenti in molte occasioni di commemorazione o eventi pubblici; durante la consueta ricorrenza del 10 giugno 1848 l’intervento dell’amministrazione comunale cattolica interferì, infatti, con il programma dei festeggiamenti che ogni anno aveva avuto la stessa formula di svolgimento. Anticiparono la solennità alla mattina e ne ridussero le ritualità da svolgere cosicché la stragrande maggioranza della cittadinanza non potesse parteciparvi, impedendo di ricordare degnamente i caduti alla gioventù, scopo per il quale si ripeteva annualmente la patriottica manifestazione. Le società militari, private anche dei simboli dei loro sodalizi, deliberarono quindi l’astensione dal partecipare alla commemorazione del 10 giugno 1848 perché diventata monopolio della chiesa.

L’apatia della parte liberale avendo facilitato la strada, la reazione nera si impadronì dell’amministrazione comunale ed era naturale se ne dimostrassero le conseguenze con tentativi di sopprimere ogni pubblica espansione del sentimento patriottico. Se ne vide una prova nel giorno 10 giugno in cui non potendo il Municipio allontanare l’amaro calice della commemorazione della gloriosa sconfitta del 1848 volle cambiare natura, facendo preponderare l’intonazione religiosa sulla civile; assegnando calcolatamente per l’effettuazione un’ora antimeridiana in cui potesse prender parte il numero minore possibile di cittadini e restringendo l’invito di accompagnare la bandiera decorata ai soli Veterani, che in vista dell’esclusione delle altre società militari e della soppressione delle più care consuetudini cittadine, non accettarono27. 

Solo pochi mesi dopo riemersero le tensioni con la giunta comunale che suscitarono tra i soci garibaldini discussioni sulla posizione da mantenere circa la partecipazione a una cerimonia celebrativa a Lodi in onore del Reggimento di cavalleria vicentino di stanza in quella cittadina lombarda. La società dei reduci garibaldini di Vicenza insieme alle altre società militari decise di accompagnare la delegazione comunale che partì con la bandiera ufficiale. In quest’occasione fu ammesso solamente lo stendardo d’ordinanza fornito dal governo e non fu accettata l’offerta delle donne vicentine che desideravano confezionare con le proprie mani la bandiera da esporre durante l’evento.

“La giunta municipale, la quale, crediamo, avrebbe ben volentieri rinunciato ad assistere ad una festa di quell’esercito che ha segnato tra i suoi fasti Castelfidardo, Gaeta e la Breccia di Porta Pia, temette rifiutando di incorrere nuovamente nella disapprovazione della cittadinanza28” così accettò l’invito proveniente dal reggimento in Lodi e chiamò ad unirsi le società militari. Le presidenze di quest’ultime furono avvisate con poco anticipo ma sentirono il dovere di partecipare nonostante i clericali avessero reso difficile il loro intervento e calcolassero una seconda astensione dopo quella del 10 giugno dei mesi precedenti.

Ciò diede origine fra i componenti il nostro sodalizio a uno screzio, reputandosi da alcuni che la presenza della bandiera sociale al seguito di quella del Comune portata dai clericali in mancanza d’un ufficiale veterano, potesse interpretarsi come una abdicazione ai principi manifestati colla memorabile dimostrazione del 10 Giugno29.

A questo parere venne contrapposto quello del comitato direttivo della società garibaldina che cercò di spiegare la diversità dei due eventi: in occasione del 10 giugno la bandiera fu portata, quasi di nascosto, a Monte Berico calpestando il sentimento patriottico e le consuetudini dei vicentini stessi, e furono inoltre invitati solamente i veterani eludendo la disposizione regolamentare che voleva la presenza di tutti i reduci per il corteo con bandiera. Al contrario il 31 dicembre per la manifestazione di Lodi la bandiera andava ad assistere ad una solennità dell’esercito nazionale che tutelava le istituzioni e lo Stato; si trattava quindi di fatti legati al patriottismo nazionale che esigevano un atteggiamento diverso, di maggiore consapevolezza e tolleranza. In una tale circostanza “la bandiera cittadina, patrimonio comune, non poteva essere abbandonata da coloro che concorsero col braccio al trionfo della causa per la quale si ammira fregiata delle massime insegne al valore”.

Le considerazioni dei garibaldini al termine della cerimonia si fecero di tono più pungente e aspro verso quelle autorità locali che sembravano non voler riconoscere onori e gloria a coloro i quali si impegnarono a favore dell’unità ma venivano disprezzati e allontanati perché appartenenti a gruppi politici a loro opposti. I clericali tentarono in tutti i modi di screditare i soci garibaldini che dovettero spesso difendersi, esporre le ragioni di alcune scelte e spiegare l’andamento dei fatti per opporsi alla versione clericale. Per la festa sociale della società dei reduci, realizzata il 4 luglio 1899, si preferì allora invitare anche il sindaco della città vicentina Pasini per avere sostegno e cercare approvazione visti i continui attacchi ricevuti. Il primo cittadino ribadì le sue posizioni anticlericali ottenendo applausi dai garibaldini presenti alla cena che gli conferirono l’appellativo di “sindaco anticlericale”30.

Le lunghe e ripetute diatribe tra i due gruppi dei clerico-conservatori e dei democratici-progressisti a Vicenza fecero da sfondo alla vita della città mettendo in luce quelle che erano anche le fazioni che si scontravano all’interno del comune e sul territorio nazionale proprio negli anni post unitari. L’associazione il 21 novembre 1901 aderì al Fascio Anticlericale, fondato a Roma grazie all’iniziativa di alcune società liberali, con lo scopo di arginare il clericalismo invadente e sempre più diffuso in tutta la penisola31.

Tra le caratteristiche peculiari del sodalizio vicentino oltre all’opposizione e alle contestazioni con i più ferventi esponenti degli indirizzi cattolici si riscontava un netto sostegno alle idee irredentiste. Anche i garibaldini vicentini sentirono l’esigenza di impegnarsi a favore di quelle province ancora sotto il dominio dell’Austria che aveva imposto, con il consenso del governo italiano e del clero, l’uso misto della lingua slava nei tribunali, nelle scuole e nel recitare le preghiere. La società dei reduci, non potendo per ora far altro che dare apporti morali e verbali alle popolazioni che chiedevano l’indipendenza, versò un piccolo sussidio pari a 20 lire alla sezione udinese della Società Dante Alighieri, che aveva il nobile compito di mantenere e diffondere nell’Istria la lingua italiana32.

La spinta irredentista e gli indirizzi principali dell’associazione continuarono ad occupare le riunioni e le attività dei reduci garibaldini anche con l’arrivo del nuovo secolo. Nel 1900, infatti, dopo alcuni infruttuosi tentativi, si riuscì a fondare anche a Vicenza una sezione della Società Dante Alighieri che, come detto precedentemente, aveva “per iscopo mantenere in fiore l’armoniosa favella del grande nostro Poeta presso le popolazioni d’origine italiana fuori dagli attuali confini politici dell’Italia, estendendone più che sia possibile l’uso e coll’uso il sentimento patrio specialmente colà dove è insidiata dallo straniero tendente a sostituirvi ogni altro più barbaro linguaggio”33. Il presidente scelto fu il letterato vicentino Antonio Fogazzaro e, come segretario si decise per il socio di spicco della società dei reduci garibaldini, dottor Silvio De Faveri. Sulla scia di questi intenti nazionalistici e di tutela del patrimonio storico culturale della patria nacque a Vicenza nel 1902 l’Associazione Trento-Trieste, prima sezione italiana che poi si espanse anche in altre regioni, con la speranza che il Trentino e la Venezia Giulia fossero sottratte ad un governo nemico. L’associazione, sorta per iniziativa del giovane patriota vicentino Luciano Cavalli, nel suo iniziale programma prevedeva la salvaguardia di “tutte le manifestazioni dello spirito nel sentimento sacro della loro nazionalità dalle innaturali imposizioni degli elementi teutonici e slavi”34. I reduci, considerati gli intenti altamente patriottici sia della Dante Alighieri che della Trento-Trieste, accettarono di iscriversi e di versare la quota annuale per l’ammissione.

L’anno successivo, nell’ottobre del 1903, si tenne il congresso “Pro Trento-Trieste” ad Udine, a cui partecipò il socio De Faveri il quale, tornato a Vicenza, redasse una descrizione precisa dell’evento proprio sul registro della società.

La partecipazione fu ampia, oltre trecento persone, che ascoltarono con entusiasmo le parole di Ricciotti Garibaldi chiamato a intervenire e a ricordare lo spirito che animò le imprese del padre e dal palco alcuni gridarono: “Trento, Trieste e Zara sono terre nostre e le vogliamo e le avremo od insegneremo ai figli nostri a non fermarsi finché non le avranno o con la pace o col sangue, secondo la volontà del popolo […]”35.

La preoccupazione garibaldina si spostava verso i confini a ridosso con l’Austria che era tornata a minacciare il suolo italiano e offenderne il sentimento patrio. “Sono continui i soprusi ai danni dei nostri cittadini siano o no disgraziatamente soggetti al suo dominio! Nello scorso anno commosse l’Italia il barbaro improvviso licenziamento d’impiegati italiani non ascritti alla cittadinanza Austriaca assunti da molto tempo dai comuni dell’Istria; fatto ripetutosi poi nel Trentino”36.

Alle proteste, dirette dalle varie sezioni dell’associazione Trento-Trieste, arrivò l’adesione di molte società, tra cui quella dei garibaldini vicentini, e di gruppi cittadini che unitisi inviarono sostegno e firme in favore delle zone che avevano subito tali atti vendicativi.

Le preoccupazioni trovarono conferma con l’inizio del grande conflitto che coinvolgeva l’intera Europa da cui l’Italia per il primo anno restò fuori con il triste rammarico dei reduci garibaldini vicentini che volevano “far inclinare la bilancia dalla parte della civiltà strenuamente lottante contro inaudita barbarie ed allo scopo che alle nazioni vengano assegnati i loro naturali confini territoriali”. Dispiaciuti soprattutto di essere ormai troppo anziani per prendere parte alle battaglie, e di non poter più utilizzare quelle energie giovanili che tanto diedero alla patria in passato ma comunque attivi e pronti ad aiutare chi ne avesse bisogno con gli altri mezzi a loro disposizione37.

i nostri volontari si accinsero alla santa impresa ed eroicamente superando le immense difficoltà […] scacciarono già da un centinaio circa di comuni del Trentino e della Venezia Giulia l’ostinato e bene agguerrito nemico, cancellando le antiche e recenti umiliazioni.

Il nostro pensiero, il nostro cuore son là dove si pugna e ben vorremmo dividere coi nostri prodi i pericoli e la gloria; ma interdicendolo l’età e le affievolite forze fisiche, cerchiamo di prestar loro incoraggiamenti e soccorsi, quali ci vengono da amor patrio e dalle provvide istituzioni […]38.

 

Un sottile sconforto tra gli iscritti lo si nota nella revisione finale per l’anno 1915:

purtroppo il tempo passa anche per noi ormai vecchi garibaldini e la nostra associazione va scemando e si ridurrà a nulla, come ogni cosa quaggiù. Auguriamoci di trovarci tutti viventi fino al termine di questa guerra terribile, sanguinosa contro il secolare nemico d’Italia, contro quello stesso nemico che noi abbiamo conosciuto nella nostra gioventù. Auguriamoci di assistere alla vittoria finale delle armi italiane e dei nostri valorosi aleati e al compimento dell’unità, indipendenza e grandezza d’Italia […]. Viva Trieste, Trento e Rovereto sulle quali città vedremo saldamente sventolare il nostro Tricolore. Viva l’Italia!39.

 

A ridosso delle fasi finali di una guerra efferata, più lunga di qualsiasi previsione i reduci garibaldini non smettevano di incoraggiare le truppe al fronte che dalle gesta dell’epopea garibaldina traevano ispirazione e restavano informati sugli avvenimenti sperando nella vittoria finale della nazione italiana che avrebbe vendicato i numerosi morti per mano dell’eterno nemico.

“L’Unità e Indipendenza nazionale, costante aspirazione di secoli per le quali noi pure offrimmo la vita, hanno fatto un passo gigantesco”: questo fu l’inizio del resoconto per l’anno 1918, l’anno della fine di una guerra diventata mondiale che i reduci del sodalizio vicentino vollero celebrare seguendo la loro sempre ridondante ottica patriottica, non menzionando con oggettività le sconfitte italiane e le incalcolabili perdite umane.

L’Impero Austro-Ungarico, l’antico inimico che meditava la nostra rovina ben prima di scagliarsi incautamente sulla piccola Serbia, vinto dall’armi nostre in una serie di battaglie e definitivamente sui campi di Vittorio Veneto, scomparve dalla carta dell’Europa. […] L’Italia in tempi infausti dichiarata una semplice espressione geografica ora siede da pari a pari nella Conferenza di Parigi. […] Al Re valoroso e leale, ai valenti Duci che sapientemente guidarono i nostri combattenti alla vittoria, ai prodi caduti e agli straziati in ogni barbara guisa dal nemico inumano, sia gloria e perenne riconoscenza40.

Nel trentacinquesimo anno di esistenza, il sodalizio reducistico vicentino, dopo i dolorosi ma patriottici avvenimenti della Prima Guerra Mondiale, volle prendere cognizione dello stato sociale e finanziario per affrontare il futuro con serenità. La direzione dovette però constatare la riduzione sensibile dei soci, scesi a 66 già nel 1913, che purtroppo subivano le conseguenze dell’età avanzata: decessi, malattie, ricoveri e necessità di assistenza in case di cura o ospizi. Ma ringraziò anche chi ancora sosteneva e credeva nello spirito e nel valore della società perché, seppur poche, le nuove domande d’iscrizione giungevano ancora.

Dopo la fine della Prima guerra mondiale, l’Italia soffrì di gravi difficoltà economiche; la disoccupazione, la riconversione industriale da militare a civile, il ritorno dei reduci furono problemi giganteschi per il nostro paese. Gli anni venti del Novecento furono teatro di scioperi e agitazioni da parte della classe operaia che, sulla spinta del mito della Rivoluzione Russa, sperava di ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti, unendo a queste rivendicazioni anche manifestazioni dichiaratamente politiche. Così i due motivi, le richieste economiche e la pressione rivoluzionaria, finirono col mescolarsi e confondersi. Si diffusero parole d’ordine come le fabbriche agli operai e la terra ai contadini. Anche a Vicenza i rivolgimenti sociali si fecero sentire e i reduci garibaldini con le altre consorelle, dovettero subire la proibizione di cortei e dell’esposizione delle bandiere durante le feste patriottiche per tutelare l’ordine pubblico ed evitare incidenti. Questi divieti furono promulgati per arginare e sedare le ribellioni di quella fase: a causa di ciò in un primo momento l’atteggiamento dei garibaldini vicentini fu di simpatia e favore verso l’affermarsi del movimento fascista che, sì proibiva e limitava, ma interveniva seriamente contro quelle forme di disordine sociale.

Sorse un uomo energico, tenero dell’onor nazionale, il quale, assecondato da gioventù generosa, a prezzo di sacrifici e di sangue, fece ricomparire al sole le nostre sante insegne e sgominò gli avversari. Montato poi al supremo potere conferitogli dalla chiaroveggente e risoluta volontà del Sovrano, assunse impavido la grande opera della rigenerazione d’Italia. Che Dio lo protegga e lo aiuti a raggiungere lo scopo41.

Parole di favore ed entusiasmo verso Benito Mussolini ma i reduci garibaldini vicentini, come avvenne per la stragrande maggioranza dei cittadini italiani, non compresero cosa significasse tale ascesa al potere: moltissimi altri aspetti della vita civile avrebbero subito censure e limitazioni; le lotte interne ad opera degli operai furono bloccate ma una nuova e più spaventosa violenza si sarebbe diffusa. L’entusiasmo, infatti, durò ben poco e nell’ultima relazione del 1924, più fredde furono le esternazioni che raccontarono la venuta di Mussolini a Vicenza per inaugurare il 23 settembre a Monte Berico il piazzale della Vittoria e, in città, il monumento a Fedele Lampertico.

Il registro dei resoconti morali e finanziari della società reducistica vicentina dedicò ampio spazio, nella sezione iniziale, alla compilazione degli elogi funebri dei propri soci. La tabella presentata è frutto di un primo lavoro di elencazione per individuare chi erano questi volontari: il segretario Agostino Bacco trascrisse, oltre ai nomi dei soci defunti, ricordati in apertura alle riunioni, l’ingresso dei nuovi soci.

Chi erano, da dove arrivavano, quale era la loro età e la loro condizione sociale sono tutti quesiti ai quali numerosi studi di respiro nazionale hanno cercato di dare risposta e, anche rispetto a questo piccolo contesto, si possono proporre alcune valutazioni che seguono abbondantemente le linee tratteggiate già per il volontariato italiano e per il caso dell’Avg bolognese.

Considerando la non eccessiva grandezza della provincia, Vicenza rispose con entusiasmo alle richieste di arruolamento già nel 1859 ma, ancora di più, negli anni successivi. La tabella sugli iscritti alla società reducistica ci rivela che moltissimi garibaldini partirono in particolare per le campagne del 1866, perché sentivano, maggiormente rispetto ad altri, il dovere di impegnarsi per scacciare lo straniero dalle proprie terre nonostante il governo scoraggiasse gli arruolamenti; e per quella del ’67 che vedeva la conquista di Roma come chiusura dell’epopea risorgimentale.

Con lo scoppio della guerra del 1866 tutte le aspettative della popolazione coinvolta trovarono uno sbocco concreto: non più rinvii, divisioni, ipotesi rivoluzionarie, ma l’effettiva dichiarazione di guerra del Regno d’Italia all’Austria e l’effettiva discesa in campo di Garibaldi. In risposta a questo evento, tanto desiderato, i giovani veneti partirono in gran numero per attraversare il confine e arruolarsi o pronti ad agire in loco per collaborare allo scopo di cacciare gli austriaci.

Fu quindi un consenso di tipo militare: in Veneto “non si può parlare di un garibaldinismo inteso in senso politico, ossia come adesione alle idee democratiche e repubblicane (in una regione che anche negli anni seguenti confermerà la sua predominanza moderata)” ma, piuttosto, di una “militanza garibaldina, ed emozionale, ossia come un sentimento di fiducia e di attesa nei confronti di Garibaldi” (Alberton 2010, 19-40; 2012). Ciò non toglie che alcuni di questi giovani sostennero dal punto di vista politico il credo legato ai principi garibaldini avvicinandosi al Partito d’azione, ma la maggioranza, visti gli esiti elettorali dopo l’annessione tutti favorevoli ai moderati, non si preoccupò in quella fase degli aspetti politici e amministrativi, quanto di ottenere una vittoria contro lo straniero oppressore e migliori condizioni di vita per il futuro. Fu quindi un’adesione non tanto politica quanto funzionale ad affrettare la liberazione del Veneto.

Essendo l’età di arruolamento alle formazioni garibaldine non legata ai limiti di età previsti dalla normativa militare piemontese, tra i volontari garibaldni si ebbe un ventaglio più ampio di età anagrafiche. Un’alta percentuale copriva la fascia tra i 26 e i 29 anni (26,8%) ma molto folto era anche il gruppo di quelli compresi tra i 22 e i 25 anni (25,9%) (Isastia 1990). Tra quelli vicentini iscritti all’associazione abbiamo casi di ragazzini andati a combattere appena sedicenni, come Giovanni Frigo, impegnatosi già nella difesa di Vicenza del 1848, e Marco Zanolli che andò nel 1860 in Sicilia e lì rimase ferito. Confrontando le poche date di nascita di cui disponiamo riguardo a questi soci e le prime campagne a cui parteciparono, si può sostenere che l’età si aggirasse sempre intorno alla fascia dei 21-25 anni.

Nel consultare le statistiche sull’attività lavorativa dei volontari provenienti dal Lombardo-Veneto fornite dalla Isastia, vediamo che le categorie più rappresentate erano quelle degli artigiani, dei commercianti, degli operai e degli ex militari disertori. Cospicuo era il numero degli studenti a differenza dei volontari provenienti dagli altri Stati preunitari, e infine pochi erano gli insegnanti e i possidenti agricoli. Tra gli artigiani tantissimi svolgevano la mansione di calzolai, sarti e falegnami mentre per i commercianti notiamo macellai, fornai, caffettieri. Sostanzialmente il volontariato era formato soprattutto da persone provenienti dai settori produttivi della società italiana del tempo e dava prova dell’importanza del movimento di “massa” impegnato nello sforzo dell’unificazione nazionale. Le proporzioni di quanti si affiliarono ad associazioni cospirative, scesero in piazza dando vita a moti insurrezionali, partirono volontari per le campagne di guerra e si iscrissero a svariate società di mutuo soccorso e società reducistiche, furono segno dell’interesse e dell’impegno di questa massa per la causa risorgimentale. Bologna, col suo fiorire di tante associazioni in poco tempo, Vicenza con l’ampia e costante attività di moltissimi dei suoi volontari garibaldini, furono parte di questo movimento che, anche dopo parecchi anni dal compimento dell’unificazione e dal raggiungimento dell’indipendenza, non smise l’opera di diffusione del messaggio patriottico e di custodia dei ricordi passati.

Tra i reduci volontari garibaldini si riscontra la presenza, come per l’associazione bolognese, di figure di spicco a livello cittadino che spesso ricoprivano ruoli importanti all’interno del sodalizio e svolgevano attività di gestione e direzione. Se è incontestabile l’elevato numero di iscritti provenienti dal ceto delle arti e dei mestieri, è ampiamente rappresentato anche il ceto dei professionisti cittadini. Molti, infatti, operavano come notai, medici, funzionari pubblici, amministratori comunali, insegnanti, ingegneri… Le competenze legate a queste occupazioni mettevano in luce un tessuto urbano variegato, mobile che aveva al proprio interno figure preparate ed esperte che avevano studiato per raggiungere una posizione e una condizione economica florida. Anche la provincia, come la città vicentina, offrì tanti iscritti al sodalizio: garibaldini che nei propri comuni di provenienza si distinguevano per capacità, impegno e collaborazione. Così anche nei piccoli centri periferici erano abbastanza numerose le personalità di rilievo stimate tra la popolazione: molti erano attivi nelle amministrazioni comunali o si dedicavano a un lavoro socialmente riconosciuto a cui la gente faceva riferimento come medici, commercianti e negozianti di piccole botteghe.

Conclusioni

Nel confronto tra le due associazioni di volontari garibaldini un elemento forte di distinzione lo fornisce il materiale conservato nei rispettivi musei del Risorgimento. Per la Società dei reduci garibaldini della città e provincia di Vicenza, grazie al lavoro preciso e accurato del segretario Agostino Bacco, le informazioni, gli avvenimenti e le svariate commemorazioni furono trascritte in un ordinato registro dei resoconti morali e finanziari di quasi quattrocento pagine. È stato possibile descrivere il funzionamento della società, il forte anticlericalismo, la corrente irredentista e i rapporti con la realtà locale e con i fatti nazionali, per un arco cronologico molto ampio che va dalla fondazione nel 1886 fino agli ultimi anni di vita 1924-25. Al contrario, per l’Avg (Associazione volontari garibaldini di Bologna), il periodo esaminato si concentra sui soli quattro anni di vita autonoma (1884-1888) prima che questa arrivasse a fondersi con la più anziana e grande consorella Società dei Reduci dalla Patrie Battaglie, costituitasi nel 1876. Il materiale archivistico per il sodalizio bolognese era più confusionario e quantitativamente ridotto: le carte riguardavano soprattutto l’argomento della fusione e hanno quindi consentito di ricostruirne solo parzialmente la storia e le attività.

Per entrambe non ci furono grosse difficoltà economiche: riuscirono a mantenere una situazione abbastanza florida grazie alla raccolta delle quote di iscrizione, di quelle sociali mensili e soprattutto grazie ai contributi di alcuni membri benestanti che elargivano somme in beneficenza e a favore del sodalizio. Il problema della morosità restò presente nelle due associazioni che riuscirono comunque ad arginarlo e a permettere un funzionamento regolare delle attività.

Le figure di spicco che contribuirono a rendere le società tranquille finanziariamente, furono anche quelle che spesso svolgevano cariche importanti nei consigli direttivi delle stesse e che, inoltre, all’interno della vita della propria città, erano riconosciute per le loro grandi competenze. Molti di essi erano, dunque, avvocati, notai, professori e medici attivi nel mondo cittadino vicentino e bolognese che mettevano a disposizione le loro abilità, gli studi fatti e le loro maggiori possibilità economiche per il sodalizio a cui erano iscritti.

Il resto dei soci, appartenenti al ceto più ampiamente rappresentato delle arti e dei mestieri, furono il legame e il collante effettivo delle associazioni con la città: questi sodalizi erano ben inseriti nel tessuto urbano, erano riconosciuti dal resto della cittadinanza nella loro opera di ricordo, commemorazione e divulgazione degli ideali patriottici che svolgevano costantemente. Quasi assente la presenza femminile in entrambe le associazioni. Rilevate solo due socie ad honorem di nobili origini: una vicentina, Chiara Adelaide Zorzi e una bolognese, Anna Grassetti Zanardi.

Entrambe le associazioni mettono bene in luce e non smentiscono gli studi fatti sul tema del volontariato e del reducismo: l’ampia presenza del ceto artigianale, alcuni membri del mondo delle professioni, la giovane età degli arruolati, il pullulare di numerose associazioni mutualistiche in zone che avevano contribuito molto al volontariato risorgimentale, la volontà di mantenere vivo il ricordo delle imprese e dei personaggi del passato tramite celebrazioni e manifestazioni cittadine e nazionali, i rapporti, spesso stretti e di influenza reciproca con la politica e con le amministrazioni comunali.

 

 

 

Biografia

Mariagreta Girardi (Vicenza, 1988) ha conseguito la laurea triennale in Lettere ad indirizzo storico presso l’Università di Verona, e, in luglio 2014, la laurea magistrale presso l’Ateneo bolognese. Appassionata di storia, soprattutto risorgimentale, collabora con una rivista mensile locale del vicentino.

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Fonti a stampa

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Fonti archivistiche

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Archivio della Società dei Reduci e Veterani dalle Patrie Battaglie: anni 1876-1934

Archivio di Stato di Bologna

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Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza. Raccolta Giuseppe Bacco, buste 1, 2, 3; busta 3, Miscellanea

  1. Statuto e Regolamento interno dell’Associazione dei Volontari Garibaldini di Bologna, Bologna, Società tipografica Azzoguidi, 1884, p. 3. []
  2. Raimondo Serpieri (Rimini 24-01-1828, Santarcangelo 12-11-1895). Partecipò giovanissimo alla prima campagna d’indipendenza. Successivamente corse alla difesa di Roma distinguendosi per il suo coraggio e per il suo impegno. Da esule fu ricoverato in ospedale a San Marino ma nel 1851 fu scoperto dagli austriaci e riportato a Rimini. Recatosi in Piemonte partecipò con le truppe sarde alla campagna di Crimea nel 1855 e di Lombardia nel 1859. Non smise di combattere anche nelle campagne successive del 1860-61 e 1866. Cfr. Rosi 1930-1937. []
  3. Verbale conservato in ASBo, Gp, f. 519, 1884. []
  4. Statuto e Regolamento interno dell’Associazione dei Volontari Garibaldini di Bologna, cit., 12-13. []
  5. MrBo, Arpb, Posizione Stagni 1886-1888, b. 4, f. 41. []
  6. Ibidem.  []
  7. Ibidem. Precisamente si passerà quindi per i soci dell’Avg da una tassa mensile di Cent. 50, così come segnata nel loro Statuto Fondamentale, a Cent. Settantacinque da pagarsi anticipatamente come anche quella annuale. Vedi Società di Mutuo soccorso fra i reduci delle patrie battaglie e i garibaldini, Statuto Fondamentale, Bologna, Stabilimento Tipografico Zamorani e Albertazzi, 1891, art. 7, p. 6. []
  8. Foglio del 28 marzo 1888 in MrBo, Arpb, Posizione Stagni 1886-1888, b. 4, f. 41.  []
  9. La tabella è il risultato delle liste vagliate all’interno del materiale dell’Archivio reduci patrie battaglie. Gli elenchi vagliati sono così titolati: “Soci ammessi al sodalizio Reduci ed appartenenti alla società dei garibaldini, che hanno reso ottenibili (?) i loro congedi”; “29 luglio 1888. Da farsi lettera d’inviti”; “Reduci Volontari garibaldini da verificare i congedi”; “Reduci volontari garibaldini. Ruolo dei soci componenti il sodalizio, 1888”. []
  10. Vedi il manoscritto del 4 giugno 1888 nel quale alcuni soci appongono una croce per firmarsi: Raffaele Corazza, Pietro Gardini e Venturi Giuseppe; in MrBo, Arpb, Posizione Stagni 1886-1888, b. 4, f. 41.  []
  11. Per capire a livello quantitativo quante furono le associazioni nate a Bologna (dei calzolai, dei fornai, dei pasticceri…) e il numero elevato di iscritti rimando al lavoro di analisi dell’epoca di Ravà, 1888, 70 ss. []
  12. La professione di chimico desta qualche sospetto: non si trattava del chimico come è inteso ai giorni nostri, potrebbe probabilmente trattarsi di un secondo farmacista oltre al Santini.  []
  13. Così si legge in un’annotazione del registro della società “Il 21 aprile 1886 un gruppo di garibaldini si radunò nella Sala del Circolo operaio e deliberò la fondazione della Società dei reduci garibaldini indipendente dai Veterani e dai Reduci delle PP.BB. Venne eletta una presidenza provvisoria composta dei soci Bonetto, Colain, Marchetti, Capraro e Rossi” in MrrVi, RGB, b. 3, f. Miscellanea, p. 395. []
  14. Vedi art. 2 dello Statuto dei reduci garibaldini di Vicenza, Colle modificazioni approvate dall’assemblea generale dell’8 Novembre 1886, Vicenza, Tip. Brunello e Pastorio, 1887. []
  15. Cfr. informazioni contenute in Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali ed economici semestrali ed annuali. Pagine di storia del sodalizio, Relazione dei revisori dei conti abbracciante dal 1 giugno 1886 a tutto il 31 dicembre 1888, letta ed approvata dall’associazione nell’assemblea generale dell’11 marzo 1889, MrrVi, RGB, b. 3, f. Miscellanea. []
  16. Art. 5 della sezione Rappresentanza della società all’interno dello Statuto dei reduci garibaldini di Vicenza, Colle modificazioni approvate dall’assemblea generale dell’8 Novembre 1886, cit., p.5. []
  17. Luigi Cavalli nato a San Nazario (Carpanè), provincia di Vicenza, il 7 aprile 1839, studiò legge all’università di Padova, cercò già nell’aprile del ’59 di oltrepassare il confine per tentare di arruolarsi ma fu arrestato. Riuscì nel novembre dello stesso anno a raggiungere Modena dove fu accettato come volontario. Partecipò alla campagna del 1860 e del 1866. Si laureò in giurisprudenza presso l’università di Pavia città in cui si trasferì; dopo essere stato deputato di Rovigo, di Vicenza e di Valdagno, divenne senatore dal 1901. Morì nella sua città natale il 17 novembre 1924. Informazioni biografiche su Luigi Cavalli si possono trovare in Alberton 2011; Rosi 1930-1937, 558. []
  18. Art. 6 in Statuto dei reduci garibaldini di Vicenza, Colle modificazioni approvate dall’assemblea generale dell’8 Novembre 1886, cit., p. 5. []
  19. Cfr. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per il semestre dall’11 aprile al 10 ottobre 1890…, p. 20. []
  20. In occasione del funerale la Zorzi, morta il 14 luglio 1901, fu così descritta: “Visse per la famiglia e per la Patria” cfr. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno 1901…, p. 158. []
  21. Cfr. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto morale e finanziario per l’anno 1896…, p. 104. []
  22. Sezione parenti dei soci in Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno 1897…, p. 112. []
  23. Art. 9 in Statuto dei reduci garibaldini di Vicenza, Colle modificazioni approvate dall’assemblea generale dell’8 Novembre 1886, cit., p. 7. []
  24. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per il secondo semestre dall’11 ottobre 1890…, p. 26. []
  25. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per il secondo semestre dall’11 ottobre 1890…, p. 25. []
  26. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno 1893…, p. 71. []
  27. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno1896…, pp. 99-100. []
  28. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno1896…, pp. 102-103. []
  29. Ibidem. []
  30. Cfr. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno1899…, p. 138. []
  31. Cfr. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, Resoconto per l’anno1901…, p. 160. []
  32. Cfr. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, Resoconto per l’anno1894…, p. 78. []
  33. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno1902…, p. 171. []
  34. Ibidem. []
  35. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno1903…, pp. 183-185. []
  36. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno 1913…, p. 290.  []
  37. Vedi Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno 1914…, p. 296. []
  38. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno 1915…, p. 305. []
  39. Rapporto dei revisori dei conti in Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno 1915…, pp. 312-313.  []
  40. Accenni alla guerra gloriosamente vinta in Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno 1918…, p. 313. []
  41. Società dei Reduci Garibaldini della Città e Provincia di Vicenza, Resoconti morali, cit., Resoconto per l’anno 1922…, p. 353. []