Gerardo Nicolosi “Risorgimento Liberale” Il giornale del nuovo liberalismo Dalla caduta del fascismo alla Repubblica (1943-1948) Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012

di Andrea Ragusa

nicolosicopertina“Risorgimento Liberale”. Il giornale del nuovo liberalismo. Dalla caduta del fascismo alla Repubblica (1943-1948) (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012, pp. 5-257) si segnala come un pregevole contributo di ricerca che arricchisce la del resto crescente letteratura sulla storia del liberalismo italiano ed in particolare delle sue formazioni politiche di rappresentanza ed i suoi organi di elaborazione ideologica e culturale e di informazione. Non solo perché l’Autore – impegnato da tempo in una ampia riflessione sull’area liberale e sulle sue multiformi e prolifiche derivazioni (è ad esempio tra i curatori, da ultimo, del primo tomo – di carattere tematico – di un Dizionario del liberalismo italiano, esso pure edito da Rubbettino, di cui si attende l’auspicabile pubblicazione di un secondo volume di carattere biografico) – ricostruisce la vicenda del giornale con uno stile narrativo accattivante ed a tratti persino avvincente che mai peraltro cede sul piano del rigore scientifico. Ma ad esempio è in questo senso senza dubbio raccomandabile la lettura dei primi due capitoli, nei quali Nicolosi ricostruisce con ampiezza di documentazione e non minore gusto di ritrattista la rete di gruppi, amicizie personali, embrioni organizzativi che da Napoli, attraverso Roma, fino a Torino, struttura nelle sue linee essenziali il gruppo che animerà l’esperienza di “Risorgimento Liberale”.

In un’Italia sfinita dalla guerra e dai bombardamenti, ma euforica per le nuove possibilità che l’orizzonte politico e culturale della ricostruzione promette, la prosopografia che l’Autore disegna restituisce con chiarezza di dettaglio i profili dei tanti intellettuali, giovani e meno giovani, che convergono nella nebulosa liberale fino a sedimentarne i contenuti, le traiettorie, le suggestioni. Da Anton Dante Coda a Giustino Arpesani, da Alberto Bergamini a Guido Carli, fino ad alcuni vecchi esponenti del più prestigioso liberalismo ottocentesco (Luigi Einaudi, Vittorio Emanuele Orlando), intorno a “Risorgimento Liberale” si organizza – come giustamente si sottolinea – un cotè intellettuale tra i maggiori dell’Italia del tempo. Giovani ardenti protetti da un “uomo grande, venerato ed ammirato per l’altezza del pensiero”, come proprio Einaudi definirà Benedetto Croce nelle Prime impressioni pubblicate nel dicembre 1944 (p. 37).

La lettura di “Risorgimento Liberale” spinge infatti Nicolosi ad evidenziare il ruolo di Croce ormai non più soltanto come pensatore all’ombra del quale cresce con una relativa possibilità di movimento la generazione del “lungo viaggio” di zangrandiana memoria; ma anche, ed in questo caso soprattutto, come protagonista dell’elaborazione ideologica, concettuale e persino organizzativa del nascente Partito Liberale Italiano, concepito come partito liberale puro e semplice, “senza ulteriori aggettivazioni”, secondo una linea che, filtrata attraverso l’operosità di Alfredo Parente nel gruppo napoletano, sarà acquisita dagli altri gruppi fino a definire la natura del partito soprattutto dopo la chiarificazione resa necessaria dalla sopraggiunta nascita del Partito d’Azione (pp. 28-29). La stratificazione generazionale è in effetti un altro degli elementi che rendono quella di “Risorgimento Liberale” una vicenda di rilevante interesse: uomini che hanno vissuto il regime, i più giovani, conoscendone anche i risvolti più sordidi, ma anche provenienti da precedenti esperienze giornalistiche e letterarie, quelli più adulti: la generazione dell’interventismo, della Grande guerra, dell’“Unità” di Salvemini e della “Voce” di Prezzolini. A tutti costoro, “Risorgimento Liberale” si offre come “voce di chi ha sofferto il regime in patria, e di chi con ogni mezzo ed al più presto cerca di voltar pagina e costruire un’Italia diversa” (p. 122), come l’Autore ricorda sottolineando come il cemento di questi percorsi anche molto distanti tra loro sia appunto la politica, nel suo senso più alto: di ricostruzione, di prospettiva, di visione del mondo.

È il giornale del liberalismo italiano e del Partito Liberale Italiano, intorno al quale si coagulano ed attraverso cui si esprimono almeno tre nuclei concettuali ben definiti: una idea precisa della Resistenza al nazi-fascismo – Resistenza come esperienza “nazionale” che supera le differenze di partito, come il giornale testimonia dando conto dell’attività delle bande di tutti gli orientamenti politici – la matrice anti-totalitaria a fondamento della nuova democrazia, elemento cruciale dello scontro tra le grandi culture politiche del dopoguerra, come Nicolosi suggerisce in maniera avvertita nel solco dell’amplissima letteratura sull’Italia repubblicana che viene padroneggiata con disinvoltura; un rinnovato concetto di liberalismo, declinato attraverso la scelta di alcuni temi intorno ai quali più fervido emerge il dibattito.

Tutta la seconda parte del libro – due capitoli simmetrici per un centinaio di pagine complessive – è dedicata infatti ad un’analisi più attenta di quelli che secondo l’Autore sono alcuni dei temi centrali di un dibattito che – com’egli scrive – assai più che seguire le linee della segreteria del partito funziona esso stesso da fucina di idee per l’azione politica. Scorrono così in sequenza le riflessioni intorno ad una nuova idea di “liberalismo corretto” dall’intervento dello Stato a beneficio del mercato e della libera concorrenza, dibattito tutt’altro che teorico ma assai ben calato nella realtà dell’Italia della ricostruzione, nella quale tra l’altro i ruoli-chiave della politica economica sono assegnati in larga maggioranza proprio a liberali: a partire da quell’Einaudi che passa dall’essere ministro del Bilancio a divenire il primo presidente della Repubblica italiano nel 1948. O quelle, non meno interessanti, sul ruolo dei partiti e sull’efficienza organizzativa che dovrebbe contraddistinguerli, evitando peraltro pericolosi scivolamenti sul piano inclinato delle prevaricazioni, delle compromissioni con il potere e con l’occupazione di questo, elementi che il giornale denuncia – secondo Nicolosi – sin dal 1945-46 anticipando polemiche oggi tornate di grande e drammatica attualità. O ancora, tema spesso sottovalutato nella letteratura sul liberalismo, il dibattito sulla necessaria autonomia dei sindacati dai partiti, ad esclusiva difesa degli interessi dei lavoratori, alla base delle vicende che di lì a poco porteranno alla scissione della Cgil unitaria.

C’è un elemento, poi, che nella ricostruzione l’Autore sottolinea con convinzione: l’importanza del “gruppo” di “Risorgimento Liberale” rispetto al ruolo delle singole personalità: ed in questa galassia, soprattutto, il ruolo di assoluto protagonismo di Leone Cattani, che egli non esita a tratteggiare – in alcune pagine lucide ed attente – come vera anima e fondatore del foglio, ben al di sopra di quel Mario Pannunzio di cui invece soprattutto la successiva esperienza del “Mondo” (in cui confluì un numero rilevante di collaboratori di “Risorgimento Liberale”) avrebbe contribuito a definire il profilo di una sorta di demiurgo della stampa e della cultura politica di terza forza in Italia, come si sottolinea non senza un qualche accento di garbata polemica scientifica nei confronti di una certa letteratura consolidata. E del resto, scrive pure l’Autore, la vicenda di “Risorgimento Liberale” dopo l’abbandono della direzione da parte dello stesso Pannunzio, non è certo da considerare minore: sul piano dei contenuti, se non sul piano della durata (poco meno di un anno, segnato dall’ultima battaglia nelle elezioni del 18 aprile); e soprattutto dei nuovi innesti che la redazione ebbe sotto la direzione di Manlio Lupinacci e Vittorio Zincone: Alberto Giovannini, Armando Zanetti, Leone Wollemborg, per non fare che qualche nome.

Da questo punto di vista, vogliamo dirlo, il volume di Nicolosi è anche un volume che si propone al dibattito scientifico e culturale, e persino a quello politico, con coraggio: facendo emergere con chiarezza posizioni ed idee, sottolineando rilievi e, non meno, zone d’ombra o vere e proprie lacune esistenti in storiografia; inserendosi nel confronto scientifico con un giudizio ed una presa di posizione chiara anche sul piano della valutazione del ruolo avuto in Italia dalla cultura liberale, non nascondendo, dietro linguaggi paludati od involuti, i tratti di un impegno storiografico vissuto anche come personale impegno civile. Un libro, in questo senso, che per più di un motivo meriterà di essere letto e riflettuto.