Giorgio Sacchetti commenta: Giuseppe Ferraro, “Resistere”. Trincea e prigionia nell’Archivio Barberio. Con le biografie dei prigionieri di Dunaszerdahely in Ungheria, presentazione di Mario Oliviero, prefazione di Antonio Gibelli, Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 2018, pp. 258.

di Giorgio Sacchetti

Leggere la Grande guerra “dall’interno”, ascoltando la voce dei protagonisti più umili appartenenti alle classi subalterne: così, sempre di più, nuovi prismi di lettura si rendono possibili e praticabili. Il volume, tappa di uno specifico percorso di studi territoriali, iniziato nel 2014, dedicati alla prima guerra mondiale, e via via pubblicati in concomitanza delle recenti ricorrenze del centenario, è parte di un progetto scientifico volto soprattutto alla valorizzazione di fonti e documenti reperibili in archivi pubblici e privati della Calabria. In tal senso l’autore, Giuseppe Ferraro, promettente studioso che ha da tempo indirizzato le sue ricerche verso le vicende militari, politiche e sociali dell’età contemporanea, ci propone una coinvolgente narrazione che interseca la prospettiva prettamente locale con quelle nazionale e transnazionale, che raccorda le dimensioni individuale, sociale e geografica. “Resistere” racconta con acribia, insieme alla complessa e variegata quotidianità della trincea e alle fasi dei combattimenti, la vita dei soldati italiani nei campi di prigionia siti nell’impero austroungarico, i rapporti non sempre idilliaci con le gerarchie militari e quelli con la popolazione civile. Questo studio, insieme alle insite finalità scientifiche, persegue anche l’apprezzabile obiettivo etico e civico di svelare finalmente l’identità dei circa 700 prigionieri transitati dal famigerato campo di Dunaszerdahely (Austria-Ungheria nel 1915-18, oggi Slovacchia). Sono pagine tristi e di grande sofferenza, che ben raffigurano i traumi psicologici, umani ed esistenziali vissuti da quei militari. Ed in particolare vi è da notare che i prigionieri percepivano la loro condizione come un vero e proprio tradimento da parte dello Stato italiano mentre, di contro, su di essi gravava il sospetto che si fossero arresi al nemico con il mero scopo di evitare la morte al fronte. Così, per ritorsione, il governo sabaudo si disinteressò del destino di questi sfortunati sudditi in divisa privandoli di qualsiasi iniziativa assistenziale e destinandoli, di fatto, alla morte certa in terra straniera per fame, denutrizione, malattie e altro. È una storia ancora misconosciuta nei suoi nefasti sviluppi, che solo oggi siamo in grado di conoscere nei dettagli e che va senz’altro a colmare vuoti palesi ancora presenti nella pur sterminata bibliografia oggi disponibile. La principale fonte utilizzata è costituita dalle carte del ponderoso e ricco archivio lasciato da Bernardo Barberio, un capitano di fanteria del 142° reggimento, brigata “Catanzaro”. Ad esso si aggiungono numerosi altri archivi privati, familiari e personali, archivi di stato e comunali, quello dell’ufficio storico dello stato maggiore dell’esercito, della Difesa e l’ACS a Roma, oltre all’ovvia compulsa della storiografia più pertinente.

“Quanto alla vicenda della prigionia, – scrive il prefatore Antonio Gibelli (p. 12) – bisogna sottolineare che fin qui i documenti epistolari, diaristici e memorialistici italiani relativi all’esperienza della detenzione in Ungheria sono più rari di quelli che si riferiscono ad altri campi degli imperi centrali. Inoltre, lo scrupolo archivistico e memorialistico del protagonista, per fortuna mantenuto dai suoi eredi, ha permesso di conservare, accanto al diario, alcuni documenti di provenienza austriaca e concernenti la vita e l’organizzazione dei campi, i divieti e le prescrizioni emanate al fine di garantire la disciplina, che risultano in qualche caso inediti e di un certo interesse…”.

Nello specifico, si tratta del provvedimento delle autorità austriache (datato 15 marzo 1917, ergo sette mesi prima di Caporetto) volto a sanzionare le lettere in partenza dei prigionieri, nelle quali vi fossero contenute rimostranze sui patimenti per fame, denutrizione, ecc. non più con la censura, ma con la diretta cestinatura.

Il libro, pubblicato nella collana Studi e ricerche promossa dall’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea, si avvale della presentazione di Mario Oliverio, presidente della Regione Calabria, oltre che della prefazione di Gibelli, ed è strutturato in 17 capitoli che marcano una sequenza davvero suggestiva: 1) La Prima guerra mondiale in un cassetto: dal Carso a Dunaszerdahely; 2) Il capitano Barberio; 3) Partire per il fronte; 4) Nelle retrovie del fronte; 5) Il battesimo del fuoco; 6) La vita in trincea; 7) La testa e il corpo: ufficiali e soldati; 8) La natura; 9) La prigionia; 10) La vita nel campo di prigionia di Dunaszerdahely; 11) La quotidianità della fame e i pacchi alimentari; 12) Il racconto della prigionia e la propaganda; 13) Gerarchie e disciplina militare, 14) Fughe e partenze; 15) Una difficile memoria; 16) Trascrizione diari [Diario sulla vita al fronte] [Diario sulla prigionia a Dunaszerdahely]; 17) Appendice – I prigionieri di Dunaszerdahely.  

Come ha ricordato l’autore nel suo incipit (pp. 15-16), riferendosi alla copiosa produzione di memorie e fonti primarie sul quel terribile conflitto mondiale, specie nell’ultimo periodo:

“In questo complesso universo di scritture e testimonianze di guerra, ognuna di esse sembra tracciare un percorso individuale, ben distinto da tutti gli altri, capace però di raccontare questa esperienza di massa, anche se da un’angolatura particolare. Tutte testimoniano anche come la trincea, il campo di prigionia, luoghi di morte e sofferenze, fossero diventati in quegli anni per i soldati un laboratorio di scrittura…”.