Giuseppe Ceneri e la “Questione universitaria”

Roberto Parisini

Tre illustri professori della nostra Università, Giuseppe Ceneri della facoltà legale – Giosuè Carducci della facoltà filologica – Pietro Piazza della facoltà medica, furono dal ministro della istruzione pubblica sospesi per due mesi dall’insegnamento. Noi questa nuova prepotenza governativa segnaliamo all’imparziale giudizio della pubblica opinione […] Il governo italiano ha provato ancora una volta ciò che valga realmente. Il governo del primo Napoleone lasciò l’Oriani all’Università di Pavia, ad onta delle sue opinioni politiche; il governo papale conservò all’Alessandrini la cattedra nella nostra Università, sebbene egli fosse notoriamente repubblicano, e il governo italiano invece più napoleonico di quello di Napoleone, più papale del governo del Papa, con grave danno della gioventù e della legge, a uomini che si chiamano Ceneri, Piazza e Carducci ha fatto ingiuria […] L’illustre professor Filopanti, benché di lui come libero insegnante non fosse stata decretata la sospensione, pure ha nobilmente dichiarato che non riassumerà di far lezione prima che agli altri tre non sia fatta giustizia1.

Ad inizio primavera del 1868, con intenti apertamente polemici, “L’Amico del popolo” pubblicava questa notizia che vedeva coinvolti almeno tre personaggi bolognesi ormai dotati di uno spessore pubblico sempre meno angustamente locale.

Già dal 27 marzo il fatto era promosso al rango di “Questione universitaria” e trovava, sotto questo titolo, uno spazio quotidiano sul periodico repubblicano, nonché una considerevole diffusione sulla stampa moderata e radicale delle principali città universitarie italiane.

Delle conseguenze immediate del provvedimento ci informa di nuovo “L’Amico del popolo”, ossia che già la sera sul 23 marzo

Gli studenti dell’Università di Bologna si riunivano nel numero di circa 300 per deliberare sul contegno da assumere dopo la sospensione […] Proclamato il Comitato dell’Associazione Universitaria come Comitato dell’Assemblea generale degli studenti s’aperse sull’argomento la discussione […] Venne naturale ed approvato da tutti il seguente ordine del giorno.

Il Comitato è incaricato di formulare un dignitoso indirizzo che sarà inviato al Ministro […]. Tutti gli studenti di questa Università si asterranno dal frequentare le lezioni fino a che il Comitato darà avviso in contrario all’Assemblea.

Al Comitato sono dati pieni poteri. L’Assemblea si costituisce in permanenza ed è risoluta a far rispettare le prese deliberazioni.

[…] Gli studenti con tale determinazione nobilmente si son mostrati fieri della libertà della scienza: perché non è che un profanarne impudentemente il limitare, l’intrusione di un’autorità che viene a colpirvi la scienza per colpa del patriottismo. Quelli che han paura del genio sono i retrogradi e i pusillanimi: è davvero a sperarsi un bel risorgimento intellettuale e morale per opera di un governo che esilia la scienza che non si vende […] Vi ha un governo provocatore che vuol spingere il popolo fino alle ultime conseguenze, e sia!2.

Gli antefatti e la causa scatenante il provvedimento del ministro Broglio compaiono invece solo due giorni dopo, pianamente ed estesamente esposti, nel resoconto di un altro giornale dalle tendenze evidentemente del tutto opposte, “Il Pungolo” di Milano:

Le opinioni più che democratiche dei tre professori sono notissime. Essi si trovarono sempre in mezzo alle associazioni meno benevole alle attuali forme di Governo, della qual cosa erano venute numerose e continue lagnanze al Ministero della Pubblica Istruzione. Il Ministro non volle prendere da principio misure risolute, e fece avvertire, replicate volte, i tre professori. Nondimeno siccome il Ministro aveva ragione di ritenere che gli amichevoli avvertimenti fossero stati inutili, portò l’affare avanti il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Fu nominata una Commissione d’inchiesta, composta del sig. senatore Brioschi, del deputato Messedaglia e del professore Bertrando Spaventa, i quali parlarono amichevolmente con quei professori, e si credeva che non ci sarebbe stata più necessità di provvedimenti severi. Ma venne il 9 febbraio, anniversario della Repubblica Romana, a solennizzare il quale fu dato a Bologna un banchetto di circa 50 coperte, a cui intervennero il Ceneri, il Carducci ed il Piazza. In quel banchetto fu propinato alla Repubblica Romana del ’49, e infine furono fatti due indirizzi, uno a Garibaldi, l’altro a Mazzini, dettato da alcuno di questi professori e firmati da tutti. Nell’indirizzo a Mazzini campeggiava il concetto di un voto che la Repubblica Romana del ’49 avesse per erede la gran Repubblica Italiana! Venuti a conoscenza pubblica anche questi fatti, il Ministro della Pubblica Istruzione credette di non potere dispensarsi dal fare sentire la propria disapprovazione, e sospese dall’insegnamento i professori per due mesi3.

Più accesi e vagamente sarcastici i toni usati dalla “Civiltà cattolica” che commentava:

In mezzo ai fervori di un succulento banchetto irrigato di vini generosi, la democrazia di certi professori universitari non seppe temperarsi per modo che nei loro brindisi al Mazzini non preludessero allo sfasciarsi che farebbe un trono regio fondato sulle piraterie, sui tradimenti e sulle annessioni4.

Il ritardo con cui la causa del provvedimento compare, la confusione con cui, sulla stampa, vengono ordinati gli eventi sono riconducibili in realtà alla labilità delle certezze su cui poggia il provvedimento stesso (il governo non possiede copia del famigerato indirizzo a Mazzini), ma pure scatena un corri e rincorri di battute, di pubbliche dichiarazioni e indignazioni che, non di rado, vengono poste strumentalmente innanzi dall’una o dall’altra parte. I toni e le argomentazioni accese, il blocco studentesco immediatamente applicato avevano intanto già indotto, per solidarietà o per timore, il rettore dell’università, il professor Antonio Montanari a decidere l’immediata sospensione delle lezioni.

La vicenda conobbe poi una rapida escalation. L’allargamento della sospensione a un docente di Parma, il professor Ferrero-Gola, gli elementi in realtà ancora poco chiari su cui si fondava l’intervento ministeriale spinsero, il 25 marzo, il deputato Giuseppe Ricciardi a promuovere un’interpellanza parlamentare “che volle il ministro costringere a svelare pubblicamente il motivo per cui a quell’atto era addivenuto”. Le associazioni studentesche democratiche di Napoli, Torino, Modena, Siena, Parma, Messina, Camerino, i liceali di Lucera crearono commissioni che mandarono la loro solidarietà e/o adesione al blocco universitario. “Della nostra studiosa gioventù – commentava tristemente “La Nazione” di Firenze – hanno assai più a lodarsi Mazzini e Garibaldi che la scienza”5.

“Tutti i giornali italiani – si scriveva – si occupano della questione”. E tuttavia, di lì a poco, la vicenda svaporò completamente. Già a metà aprile era dissolta nel sopraggiungere dei moti contadini contro il macinato e di quelli urbani contro la tassa sulla ricchezza mobile. Agli uni e agli altri i radicali diedero tutto il loro appoggio (Cammelli 1984).

Resta comunque il fatto che la questione universitaria, vista nel contesto di quel primo decennio post-unitario, ebbe un certo rilievo nella vicenda tanto locale quanto nazionale.

Il clima generale, è già stato notato, è quello della fine delle convergenze risorgimentali. La partita dei progressisti e dei ceti urbani più attivi è quella di differenziarsi nettamente dalla Destra, dalla consorteria. Anche a Bologna, l’evidenza dei problemi sociali e del pauperismo, su cui fare leva, è netta; mentre il predominio dei moderati minghettiani appare saldamente ancorato all’omogeneità politica e sociale delle èlites- garantita dal suffragio ristretto a 6.700 elettori, con una partecipazione al voto che in rari casi arrivava a toccare il 50% –, e a una pervasiva penetrazione nelle istituzioni, dall’università al Foro (D’Attorre 1986).

Anche a Bologna, l’Unione democratica – guidata da Giuseppe Ceneri, avvocato di fama, professore di Diritto romano, massone, leader dello schieramento mazziniano (Zanni Rosiello 1961) – cerca di assemblare intorno a sé l’arcipelago repubblicano a cominciare dalla Società operaia, dalla loggia massonica e dall’Associazione degli studenti universitari. Attua una strategia che mira a scalzare l’egemonia culturale terriera e moderata, a coordinare le rivendicazioni degli operai e dei negozianti, e le aspirazioni di una borghesia urbana il cui ruolo è ancora minoritario.

Seppure Ceneri esce sconfitto da Minghetti ancora alle elezioni parlamentari del 1867, lo sforzo non è infruttuoso. Alla fine degli anni Sessanta c’è forse l’unico momento in cui il radicalismo democratico risorgimentale appare uscire da quella minorità che ne sarà, in fondo, caratteristica perdurante. Dalla tonante rivendicazione di Mentana come fatto (e tragedia) nazionale, alle lotte contro il fiscalismo che colgono consensi trasversali nei diversi gruppi sociali, la chiusura del decennio rappresenta per i progressisti non solo bolognesi il massimo sforzo di visibilità che dal pianolocale aspira a proiettarsi su scala nazionale (Varni 1997; Balzani 2002).

Comune, università e borghesia urbana

La realizzazione di questa strategia passava dunque attraverso la conquista dei municipi e un inserimento consolidato nelle istituzioni cittadine di riferimento. Il prestigio dell’Alma Mater bolognese è ampio e indiscusso nonostante gli appannamenti del primo decennio post-unitario. Sul piano strettamente locale, essa è uno dei tramiti principali tra le organizzazioni professionali e la città. Ciascuna delle principali facoltà esprimeva un’èlite che sarebbe rimasta a guida delle professioni e degli orientamenti culturali più diffusi almeno fino agli anni Ottanta, e non poche esprimevano un forte nesso in chiave moderata con la politica (Malatesta 2006). Agli occhi dei democratici, professionisti, funzionari, insegnanti, lettori dei volumi dell’editore Zanichelli – con cui Ceneri, proprio nel 1868, avviava una trentennale collaborazione (Varni 2002) – rappresentavano un uditorio da dissodare ancora in misura significativa e l’università, così come il Comune, ne era un canale di accesso non secondario.

Anche questo contribuisce a spiegare il fatto che, tra le varie, un po’ confuse istanze che circolano nella stampa di parte e nelle dichiarazioni studentesche, l’argomento su cui Ceneri sceglie di insistere nella sua replica appare in perfetta sintonia con la volontà di dare legittimazione pubblica alla vicenda e ai suoi protagonisti (e indirettamente a tutto il loro campo), allargandola a chiunque, amico o nemico, fosse sensibile alle battaglie per la civiltà6.

A difesa di Broglio tanto “L’Opinione” quanto “La Nazione” e “La Perseveranza” (tutti moderati) avevano opinato che fare indirizzi a Mazzini, seppure poteva essere considerato legittimo per un normale cittadino, non rientrava certo tra i diritti derivati dalla libertà scientifica e per un professore, in quanto stipendiato dallo Stato, equivaleva a commettere un tradimento.

La replica di Ceneri, affidata ad una lettera inviata il 26 marzo al rettore Montanari (liberale moderato e protagonista dell’annessione al Piemonte), vibrava perciò delle fiere note della difesa della libertà individuale; tralasciava la specifica idea di parte, e cercava il raccordo con quella insofferenza, assai diffusa tra i docenti dell’ateneo bolognese a particolare eredità del governo pontificio, per le occhiute invadenze del potere centrale.

Il Governo intende di esigere dai Professori che trattino come si deve la scienza che insegnano? Che non si prevalgano della cattedra per farne teatro di discussioni politiche? Che in una parola siano nell’Università sacerdoti della sola scienza per esser fuori di quel recinto liberi cittadini retti soltanto dal diritto comune a tutti gli altri? Oppure intende di esigere dai Professori che fuori delle loro funzioni non possano fare ciò che altri può liberamente fare? Nel primo di questi due casi, una volta che venga revocato il Decreto in discorso, io potrò continuare a fare quello che per 15 anni con qualche onore ho fatto. Nel secondo, non crederei della mia dignità di uomo vendere la mia libertà politica di cittadino per conservare la cattedra7.

Era un intervento, tra l’altro, in perfetta sintonia con quello fatto appena un mese prima, forse in quel caso con qualche furbizia, in una seduta del consiglio della sua facoltà, quando un collega aveva proposto un indirizzo al re e al principe ereditario in occasione del matrimonio di quest’ultimo. Ceneri, in quell’occasione, aveva apertamente affermato come

Possa tornare in pericolo alla Facoltà, siccome corpo insegnante e solo competente in materia scientifica, uscire dalla stessa legittima; il che, esso nota, diventa tanto più pericoloso ed è conveniente astenersene, quando si trattasse di entrare nell’orbita scabra della politica8.

Alle perplessità suscitate, anche in campo democratico, dall’agitazione degli studenti si incaricava di rispondere “L’Amico del popolo”, ricollocandola nel contesto della linea tracciata. Due giorni dopo, in prima pagina, il giornale pubblicava infatti un ampio commento puntando l’attenzione sugli

Atti vessatori arbitrari adottati dal potere [che] non dovrebbero punto sussistere in un regime che si vanta tutore di libertà. L’ingerenza governativa sui professori non va oltre la cattedra, e il Ministro che va oltre questi limiti si mette fuori della legge. Per difendere il Ministro si cita l’art.13 sull’istruzione pubblica, in cui è data facoltà di sospendere un professore per evitare un grave scandalo. Si noti che le leggi che riguardano un’istituzione qualunque non hanno forza attiva che nell’esercizio delle incombenze di quelle istituzioni. Ora fuvvi mancanza in cattedra per parte degli insegnanti o perché mancassero al proprio dovere, o perché abusandosi della loro posizione, invece di dettare dalla cattedra la scienza insegnassero massime avverse al governo? Niente di tutto questo. Perché dunque sospendere quei professori? Perché assistono ad un privato banchetto e firmano un indirizzo di felicitazione a privati. Ma se era cosa privata che prima di questa sospensione pochi conoscevano, lo scandalo è per parte del Ministro che ha rotto quell’inviolabilità di domicilio che lo Statuto concede ai cittadini: egli si è messo fuori della legge quando ha voluto assumere le funzioni di grande inquisitore. Che ne venne da ciò? Che gli studenti consci dell’ingiustizia che si commetteva hanno protestato energicamente contro questa violazione ed abuso di potere, si sono astenuti dal frequentare l’università […] Si venga ora a dire che i democratici versano il malcontento negli animi ed inceppano l’azione governativa. La logica però risponde che è il partito conservatore, che, stretto in un nuovo mostruoso connubio col clericale, coi suoi non possumus nelle economie e nelle riforme, colla sua infallibilità e caponaggine negli errori, spinge il paese verso un cataclisma che ad alcuno non potrà piacere9.

Il 29 marzo, a ribadire il punto, giungeva la lettera aperta che Carducci inviava al periodico mazziniano a cardine della propria difesa contro le misure ministeriali. Questi, non a caso, sottolineava:

La questione è stata posta dal professor Ceneri con tanta nettezza, lucidità e precisione, che ogni insegnante italiano, qualunque siano le opinioni sue, non può non fare proprie le ragioni del giureconsulto bolognese10.

Si entrava così a larghi passi in uno dei principali motivi polemici che accompagnarono la vita universitaria dei primi tempi postunitari e che veniva malamente amministrato dalla legge Casati, propugnatrice di un ritorno all’idea del professore come pubblico ufficiale, obbligato a sostenere comunque i valori ufficiali sotto il profilo ideologico, scientifico ed etico-religioso. Se preso troppo alla lettera questo principio però

I più dei professori italiani dovrebbero essere processati [dal Consiglio superiore] né si sa bene davanti a quali giudici, ché infatti molti consiglieri dovrebbero essere eliminati dal giudizio per legittima suspicione11.

La vicenda si snodava ora su due piani differenti: quello pratico, ossia la conferma da parte del Consiglio superiore della pubblica istruzione dell’azione già intrapresa da Broglio che, lo si capiva bene, sarebbe stato politicamente pericoloso sconfessare; e quello ideale di avallare un’ambigua legittimità di controllo sulla scienza e i suoi uomini che suscitava ampie perplessità da ogni parte nelle stesse università. Tutto ciò in anni in cui la Destra (e Broglio in prima fila) stava portando avanti un discusso progetto di accentramento e di drastica contrazione delle facoltà e delle sedi universitarie.

In ogni caso, la linea scelta da Ceneri presumibilmente valse ai tre professori bolognesi la possibilità di incassare abbastanza agevolmente la solidarietà quando non il sostegno dei colleghi, a cominciare dai sei professori (due per ognuna delle facoltà coinvolte) designati a partecipare alle sessioni e al giudizio finale del Consiglio superiore. Tra essi erano Costanzo Giani, professore di Storia del diritto, che nel novembre 1867 aveva tenuto la prolusione dell’anno accademico trattando del nesso tra politica e morale, lodando in primo luogo la libertà di coscienza; Francesco Selmi, illustre professore di Chimica farmaceutica e tossicologia che era stato rettore a Modena sotto la luogotenenza Farini, capo di gabinetto di vari ministri della Pubblica Istruzione, nonché provveditore agli studi di Torino; e Francesco Fiorentino, professore di Storia della filosofia, amico di Bertrando Spaventa e deputato dal 1870, massone ma su posizioni poco inclini al Positivismo e di scarse simpatie ideali e scientifiche verso il Carducci12. Dell’evidente allineamento della facoltà di Giurisprudenza con le tesi del Ceneri è testimonianza anche l’indicazione dell’altro delegato, ossia Oreste Regnoli, professore di Codice civile, deputato romagnolo della Sinistra (Cammelli 2002). Federico Bosi della facoltà di Medicina e l’esimio latinista Gian Battista Gandino completavano il quadro nei termini sostanzialmente più moderati indicati dalle facoltà di Lettere e Medicina.

Il procedimento ebbe luogo a Firenze l’8 aprile, ma il solo Piazza si presentò davanti alla commissione. Ceneri e Carducci inviarono una lettera in cui ribadivano le loro posizioni e accusavano le autorità di avere distorto i fatti.

Dell’indirizzo a Mazzini – concludeva la lettera di Ceneri – il signor ministro se l’ha lo pubblichi pure, io non ho a disconfessare alcuna espressione13.

Gli argomenti di difesa vennero svolti con convinzione o almeno col massimo scrupolo dai delegati delle tre facoltà, pur con accenti e puntualizzazioni che ne riflettevano indubbiamente le diverse sfumature di tendenza.

Uno dei delegati [di Giurisprudenza] dice non esservi legge che determini gli obblighi del professore fuori dell’università. Ma il vicepresidente , il relatore ed altri consiglieri gli notano che ora si tratta di determinare solo il fatto del banchetto. I delegati dicono allora di credere che il ministro abbia operato fondandosi sopra un fatto riferito solo da un giornale che è scritto da giovani inesperti.

I delegati [della facoltà di Lettere] affermano non esservi nell’indirizzo neppure una volta la parola repubblica. Essi sono in grado di farne conoscere al Consiglio il contenuto esatto, e danno intorno al medesimo notizie precise.

I delegati [di medicina] notano che l’indirizzo non era contrario allo Statuto14.

Alla fine, Carducci ne ebbe due mesi e mezzo di sospensione, Piazza uno e mezzo, Ceneri, il più compromesso politicamente, quattro a cui aggiunse immediatamente le sue sdegnate dimissioni da professore15.

Nel frattempo però gli eventi si sovrapponevano, completando più chiaramente il quadro d’insieme e le finalità dell’azione dei radicali bolognesi su quel finire di decennio. Uno sciopero di negozianti e lavoratori contro i provvedimenti fiscali della Destra paralizzò la città il 15 e 16 aprile. Ci furono scontri di piazza, arresti, provocazioni e cortei. L’intervento di Ceneri fu attivo (verrà poi arrestato), ma sulla sera del secondo giorno fu sempre lui (con Filopanti) ad arringare la folla per riportare la quiete, a farsi carico delle richieste da portare al governo (Savini 1997).

Anche in questo caso la logica pubblica del progetto dei democratici non appare quella di spingere alla sovversione, piuttosto di spostare in avanti il baricentro del sistema liberale, in direzione della questione sociale da una parte, e soprattutto del dispiegamento pieno della civiltà urbana e borghese dall’altra (Romanelli 1979).

Non è perciò casuale il suo riannodarsi ad un’attività in consiglio comunale dello stesso Ceneri e di altri che, da qualche mese, hanno abbandonato la sostanziale acquiescenza agli indirizzi assunti dai moderati (Preti, Tarozzi 2002).

La conquista democratica del Comune nel 1868 fa seguito a una campagna elettorale volta contro l’immobilismo e l’iniquo fiscalismo della giunta del marchese Pepoli, e porta a un’affluenza alle urne record di oltre il 30 % degli aventi diritto (Alaimo 1990). La cospicua presenza per la prima volta della borghesia urbana in consiglio comunale, l’attivismo della giunta azzurra di Camillo Casarini che coniugò interventismo municipale e ampio coinvolgimento delle professioni nei servizi erogati, sono un ulteriore tassello di questo passaggio. A cui infine corrispose la netta vittoria con cui Ceneri regolò Minghetti alle elezioni parlamentari dell’anno successivo e che segnò, in qualche modo, l’apice dell’azione dei democratici bolognesi e del loro principale esponente.

L’assunzione del rettorato da parte di Gian Battista Ercolani, fedele minghettiano, e la caduta della giunta azzurra già nel 1872 segnarono, d’altra parte, i precisi limiti di quell’azione. Il protagonismo del 1867-1869 sembra ridursi così entro i confini strettamente individualistici e il respiro ristretto del notabilato tradizionale; resta comunque il fatto che nell’insieme dei passaggi di quell’azione (i principi e le tecniche borghesi affermati nei luoghi cardine della vita cittadina) trovarono realizzazione segni di modernità che si sarebbero codificati come criteri fondamentali di legittimazione politica, anche per le nuove élites moderate.

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  1. “L’Amico del popolo”, 22 marzo 1868. []
  2. “L’Amico del popolo”, 23 marzo 1868. Se la stima numerica fosse esatta, la riunione avrebbe coinvolto la stragrande maggioranza degli studenti universitari bolognesi che, secondo i dati censitari, erano 386 nel 1860-61 per salire a 670 solo un ventennio dopo (Malatesta 2006). []
  3. Riportato ne “Il monitore di Bologna”, 25 marzo 1868. I tempi e i modi effettivi della vicenda, come risultano dai verbali del Consiglio superiore della Pubblica istruzione, sono ricostruiti in Polenghi 1993. []
  4. “La Civiltà cattolica”, 1868, vol. II, p. 243, cit. in Santoni Rugiu, 1991 pp. 64-65. Qui compare anche la definizione del Ceneri come “facinoroso ex garibaldino e famigerato mangiapreti” nonché “mestatore di comitati, favorito dal Governo con croce di cavaliere e con grosso stipendio […] finché si contentò di fare il demagogo contro il Papa e la Chiesa romana”. []
  5. “La Nazione”, 2 aprile 1868. []
  6. Interessanti considerazioni sulle funzioni di legittimazione della politica democratica che i “professori” di Bologna svolgono presso le borghesie periferiche della Padania orientale sono in Varni 2002, 60-61. []
  7. “L’Amico del popolo”, 27 marzo 1868. []
  8. Archivio della Facoltà di Giurisprudenza, verbali, 8 marzo 1868. Citato in Musiani 2002.  []
  9. F.M., Professori, Studenti e Ministri, in “L’Amico del popolo”, 28 marzo 1868. []
  10. “L’Amico del popolo”, 29 marzo 1868. []
  11. F. D’Ovidio, Le guarentigie dei professori universitari e i provvedimenti disciplinari, in “Nuova Antologia”, f. 640, 1898, cit. in Santoni Rugiu, 1991, 63. []
  12. Per le varie informazioni,”L’Amico del popolo” e “Gazzetta dell’Emilia”, 17 novembre 1867; Fiorentino, 1870, N. Fiorentino, Giosuè Carducci e Francesco Fiorentino, in “Nuova Antologia”, sett 1935, cit. in Polenghi 1993, 399; Pancaldi e Battistini, 1986. []
  13. “La Riforma”, 10 aprile, 1868. []
  14. Procedimento contro alcuni professori dell’Università di Bologna, Ministero Pubblica Istruzione, Consiglio superiore pubblica istruzione, Processi verbali, 1867-1868, vol. I, cit. in Ciampi, Santangeli 1994, 220, 223,228. []
  15. Nel dibattito alla Camera suscitato dall’intervento di Ricciardi che ebbe luogo il 27 e 28 aprile, dopo una lunga discussione uscì chiaramente la necessità politica della Destra di non sconfessare l’operato di Broglio, “tuttavia il principio dell’inamovibilità del professore e del rispetto per le sue opinioni politiche fu definitivamente affermato e negli anni successivi nessun incidente analogo ebbe più a verificarsi” (Polenghi 1993, 363). []