Fare e leggere la storia. La riviste di storia contemporanea in Italia.

a cura della Redazione di Storia e Futuro

Nella sua ormai più che decennale attività “Storia e Futuro” ha accostato – tra gli innumerevoli temi – anche il problema dello studio e dell’elaborazione della scienza storica, seguendone – in maniera problematica – le evoluzioni metodologiche e la grande diversificazione tematica. Lo si è fatto non solo attraverso un costante censimento della produzione scientifica e dei momenti di discussione – convegni o seminari – che si sono via via manifestati come più rilevanti ed interessanti, e che hanno trovato uno spazio specifico nelle rubriche “Scaffale” ed “Agenda”. L’attenzione allo studio della storia in quanto problema scientifico ha avuto tra l’altro un momento di particolare interesse in una brevissima inchiesta che “Storia e Futuro” ha pubblicato tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 a proposito dello stato attuale degli studi storici (An inquiry upon perspectives of historical studies, “Storia e Futuro” n°33, novembre 2013 – n°34, febbraio 2014), ed a cui hanno cortesemente aderito Sandro Rogari, Tommaso Detti, Jurgen Kocka.

Il rilievo del tema ha spinto la redazione della rivista a proporre un nuovo ed ulteriore momento di dibattito intorno agli strumenti della produzione storica, ovvero a quelli che – dell’officina dello storico – costituiscono al tempo stesso gli “attrezzi” ed i “prodotti”. La profonda trasformazione che la costruzione del sapere – ed in essa del sapere storico – ha subito negli ultimi anni e continua a vivere come conseguenza del complessivo mutamento delle strutture economiche e sociali, e degli assetti politici a livello mondiale, fattori che incidono in maniera decisiva nell’organizzazione della cultura e della stessa percezione del mondo, rende del resto – a nostro avviso – ormai non più rinviabile l’apertura di una riflessione ampia intorno al problema delle nuove forme della conoscenza, della sua costruzione, della sua diffusione. Ed in questo senso, anche, intorno al ruolo che la storia riveste nel mondo nuovo che si affaccia di fronte a noi.

La scelta di dedicare un inserto monografico alle riviste di storia contemporanea nasce, in questo quadro, dalla considerazione del rilievo che esse hanno avuto storicamente e dalla non minore importanza che esse continuano oggi a rivestire. Come si evince dalle risposte dei Direttori – ai quali tutti va il nostro ringraziamento per aver accettato la nostra proposta – la lettura e la ricostruzione anche breve della storia di alcune delle riviste più prestigiose e di più consolidata tradizione offre un quadro nitido e di straordinario interesse per la ricostruzione non solo della storia della storiografia, ma dell’intera cultura italiana, tale essendo la profonda compenetrazione tra la scienza storica e la produzione culturale italiana, ed in fondo il ruolo dell’intellettuale, che ha trovato proprio nelle riviste spesso il proprio primo spazio di azione, di riflessione, di intervento. Si pensi in questo senso ad una rivista come “Studi Storici”, della quale parla nelle sue risposte il Direttore Francesco Barbagallo: una rivista che – nata in maniera non casuale nelle circostanze del centenario dell’Unità d’Italia, come rivista di tendenza, secondo le parole del primo direttore, Gastone Manacorda – ha rappresentato, nel confronto con la cultura liberale, e più in generale con il problema della costruzione dell’Italia, una palestra dell’impegno per le tante voci della cultura marxista e gramsciana, ed in questo senso la voce del confronto – per citare un titolo famoso proprio di Manacorda – tra il “movimento reale” della storia e la “coscienza inquieta” dell’intellettuale. Ma si pensi anche ad una rivista come “Past and Present”, sulla quale si esprime il presidente dell’Editorial Board Chris Wickham, che dal 1952, anno nel quale nacque come iniziativa del Partito Comunista Britannico, ha seguito poi, sin dalla fine degli anni Cinquanta, la strada di un rinnovamento tematico e metodologico capace di aprire la strada a quell’affermazione della “storia sociale” che, proprio nel confronto con una ancora prevalente storia di impostazione “etico-politica”, ha rappresentato uno dei fenomeni di maggiore interesse nella intera storiografia europea del secondo dopoguerra. Né diversamente si dovrebbe dire a proposito della rottura operata – secondo quanto testimonia Gabriele Turi – da “Passato e Presente” tanto nei riguardi di una storia “appiattita sul ‘900” (in riferimento alla “Storia Contemporanea” di Renzo De Felice o alla “Rivista di storia contemporanea” di Guido Quazza), quanto nei riguardi di un carattere ideologico eccessivamente accentuato che talune riviste avevano acquisito: e dunque la scelta del confronto – costantemente aperto anche in virtù dell’articolazione della rivista in rubriche, che fanno di “Passato e Presente” un esempio assai riuscito di rivista-laboratorio – con gli indirizzi economico-sociali di metodo proposti da Thompson ed Hobsbawm, nell’apertura al pluralismo di opinione, nello stretto legame “tra ricerca, informazione critica, attenzione per le forme di circolazione della conoscenza storica”. O ad una esperienza come “Ricerche Storiche”, nata – come scrive il Direttore Francesco Mineccia – da un laboratorio di ricerca apparentemente “decentrato”, ma che nel recupero della “storia dal basso”, nella riflessione intorno ai grandi processi locali e nazionali di industrializzazione e de-industrializzazione, e nella collocazione costante di questi all’interno dei grandi fenomeni di trasformazione internazionale, ha rappresentato – insieme ad altre riviste quali “Movimento operaio e socialista in Liguria”, divenuta poi “XX secolo”, o “Quaderni storici delle Marche”, poi “Quaderni Storici”, che Mineccia giustamente ricorda sollecitando, come del resto tutti gli altri interlocutori, un ulteriore approfondimento che “Storia e Futuro” non mancherà di svolgere nei prossimi numeri, offrendo il proprio spazio a voci di riviste anche specialistiche o settoriali, rispetto a queste prime, selezionate anche in ragione del loro carattere di riviste storiche “generali” – lo sforzo di dare centralità a questioni, come la “microstoria”, che nel corso degli anni hanno dato frutti assai consistenti. L’esperienza di “Italia Contemporanea” – cui dedica un lungo intervento il Direttore Nicola Labanca – si colloca in questo quadro con una ulteriore specificità, non solo legata alla lunga attività – nata come “Il Movimento di Liberazione in Italia. Rassegna di studi e documenti” addirittura nel 1949 – ma anche per la peculiare caratterizzazione del soggetto istituzionale che la produce: la storia di una rivista come “Italia Contemporanea”, che assume questo titolo nel 1974, dopo venticinque anni di pubblicazione, è infatti anche e soprattutto la storia di una rete associativa di studio, elaborazione e ricerca che ha contribuito in misura decisiva alla costruzione dei paradigmi metodologici ed alla stessa legittimazione della contemporaneistica italiana. E, soprattutto a partire dagli anni Settanta, non più soltanto in riferimento alla “questione del fascismo” – che pure “Italia Contemporanea” ha avuto il merito di approfondire intorno al legame tra Resistenza-Repubblica-democrazia, dando centralità alla cesura che caratterizza l’identità stessa del nostro paese – ma, come anche Labanca sottolinea, nel confronto costante con le grandi culture dell’Italia repubblicana – marxista, cattolica, democratica – e con la storia economica e sociale.

Il confronto e l’intersezione generazionale rappresenta un secondo elemento di notevole rilievo che emerge dal quadro che queste interviste costruiscono: confronto tra studiosi di generazione e formazione diversa significa del resto anch’esso confronto e rinnovamento delle prospettive e delle chiavi interpretative della ricerca. Da qui la scelta, che la redazione di “Storia e Futuro” ha operato, di accostare ad alcune di quelle di più risalente e consolidata tradizione altre riviste nate in un periodo più recente, e che di questo rinnovamento sono testimonianza evidente. Come non richiamare, in questo senso, lo sforzo di un “ritorno alla storia politica” operato da una rivista come “Ricerche di Storia politica”, che nasce nel 1986 da un gruppo di studiosi raccolti intorno al magistero ed all’attività di Paolo Pombeni e che rapidamente incontra l’interesse di una importante casa editrice come “Il Mulino” (e la storia delle case editrici, come del resto una storiografia ormai consolidata dimostra, non costituisce forse, a sua volta, un tassello fondamentale della storia della cultura italiana e del ruolo dell’intellettuale?): una rivista che si offre come palestra di formazione e di esercizio per studiosi giovani, che si apre a contesti storico-politici allora non frequentati con una sufficiente consuetudine, e che soprattutto compie un tentativo importante di confronto con le scienze sociali e politiche, in un momento in cui la storia comincia ad essere oggetto di quella che nel corso degli anni diverrà – a nostro giudizio – una vera e propria “aggressione”, “senza complessi di inferiorità – come scrivono i direttori Raffaella Baritono e Guido Formigoni – ma anche con la chiara rivendicazione di un ruolo del sapere storico come fondamentale per evitare schematismi intellettuali ed autoreferenzialità di molti contesti di ricerca orientati alla formalizzazione estrema degli assunti teorici”. Come non richiamare, nello stesso senso, gli obiettivi che sono alla base di una rivista come “Ventunesimo Secolo”, indicati da Antonio Varsori nello studio delle “transizioni” che avevano caratterizzato il Novecento (la fine dell’Europa come centro delle relazioni internazionali, la crisi degli imperi, la fine del comunismo e la ricomposizione del “vecchio continente”), e di apertura alle transizioni nuove che caratterizzano il XXI° secolo; nell’incontro con la storiografia che privilegia la storia politica nelle sue diverse declinazioni – dalla storia del pensiero politico alla storia dei partiti, a quella delle relazioni internazionali – e nel dialogo con le altre scienze sociali, in una prospettiva internazionale assai accentuata. Come non richiamare, ancora, la novità rappresentata da una rivista come “Il Mestiere di Storico”, rivista legata ad un soggetto istituzionale – la “Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea” – che ha inteso riflettere, come sottolinea Adriano Roccucci, sulla disarticolazione dell’assetto della storiografia italiana intorno a scuole ideologicamente, politicamente e culturalmente orientate, e la proiezione verso domande conoscitive nuove; accostando però, per altro verso, l’esigenza di apertura verso il confronto con la storiografia internazionale. Per non dire, seguendo le indicazioni che nelle sue risposte dà Francesco Traniello, di una rivista come “Contemporanea”, nata nel 1998 con un comitato redazionale agile quanto efficiente, con una diversificazione tematica assai ampia, ed una organizzazione in rubriche che ne fa uno degli esempi di laboratorio di ricerca e divulgazione meglio riusciti tra i più recenti. Una rivista, tra l’altro, come Traniello opportunamente osserva, che tra le prime ha adeguato il proprio modus operandi alle innovazioni anche tecniche introdotte recentemente nell’elaborazione scientifica, quale è quella, per fare un solo esempio, del meccanismo di valutazione dei saggi di ricerca attraverso il doppio canale “cieco” del referee anonimo: un meccanismo dalle potenzialità e dagli effetti assai positivi, ma che non manca, come si evince da alcuni passaggi delle risposte di Mineccia, o dall’intervento di Labanca, che a lungo si sofferma su questioni anche relative all’organizzazione del sistema della ricerca e persino del reclutamento universitario, di sollevare questioni nuove e persino, in taluni casi, alcuni elementi di perplessità.

Cosa significhi fare una rivista di storia contemporanea oggi è problema che nasce in maniera conseguente da questi profili e dal mutamento che ciascuna delle riviste ha vissuto e vive nello sforzo di adeguamento agli scenari nuovi della ricerca e dell’elaborazione intellettuale. Alle ultime due domande che la redazione ha ritenuto di voler porre ai Direttori, non senza – diciamolo pure – una qualche vena provocatoria sul piano delle sollecitazioni intellettuali, tutti gli interlocutori hanno risposto, ci sembra, innanzitutto con una dichiarazione di fede nel valore della scienza storica. Nessuna delle risposte si nasconde le difficoltà ed i problemi nuovi che emergono dalla diversificazione tematica, dal confronto spesso complicato con le altre scienze sociali, con l’ampliarsi delle fonti e degli strumenti dell’indagine. Vi è anzi piena consapevolezza che problemi nuovi insorgono di fronte ai quali lo storico può trovarsi talvolta persino disarmato. Basti pensare, in questo senso, al rapporto con la divulgazione e con il complesso problema legato ad una pretesa di “democratizzazione” del linguaggio della storia, su cui tanti degli interventi si soffermano anche cogliendone gli aspetti positivi, ma non mancando di evidenziare rischi degenerativi legati allo snaturamento della storia in quanto scienza. Particolarmente acuti, oggi, di fronte ad un imperante “presentismo” che rende assai più difficile la sedimentazione del dato, e ad una veicolazione della ricerca straordinariamente amplificata dalla “rivoluzione informatica” che ha letteralmente cambiato alcuni degli elementi fondativi della civiltà. Il rapporto poi con una prassi diffusa di “autolegittimazione” in veste di storici da parte di operatori della cultura che lavorano in zone certo non distanti ma assai diverse – l’esempio opportunamente citato da Barbagallo dei giornalisti è quello più evidente – rende il compito dello storico in quanto operatore scientifico ancor più complicato.

Eppure, da parte di tutti coloro che sono intervenuti, ci sembra emergere la fiduciosa e positiva convinzione che la storia continui ad esercitare un ruolo non solo tutt’altro che inutile – contro certi segnali d’allarme che, come si dice nelle domande, sono stati lanciati da alcuni anche assai autorevoli storici – ma anzi decisivo alla comprensione del passato, all’analisi del presente, e persino all’interrogazione, se non alla previsione, del futuro. In fondo queste pagine, che “Storia e Futuro” pubblica grazie al contributo di alcuni dei più autorevoli storici italiani oggi impegnati nella ricerca, e che si affacciano oltre confine guardando all’esperienza di una rivista importante come “Past and Present”, non sono forse un tributo ed un richiamo – ancorché piccolo e privo di ogni presunzione – al monito di Marc Bloch, a considerare ed amare la storia perché la storia è scienza degli uomini e lo storico è come l’orco delle fiabe, che si dirige là dove sente l’odore del sangue umano? In difesa della storia dunque! Come scienza della vita di noi tutti, come bastione di un impegno civile che ci sembra debba essere, ancor più oggi, vissuto con nuova lena e nuovo vigore.

Le domande

  • Quando nasce la rivista? In quale clima politico e culturale si inserisce? Quali indirizzi storiografici intende accostare e con quali avere, invece, un rapporto più marcatamente dialettico?

  • Che tipo di “gruppo” raccoglie nella redazione e tra i collaboratori? Quali ne sono le caratteristiche formative, generazionali, e come risponde agli interessi storiografici espressi dalla rivista?

  • Se volessimo tratteggiare in uno spazio breve una sorta di “storia della rivista”, quali elementi indicherebbe per caratterizzarne l’evoluzione, quali i problemi affrontati, e quali gli esiti più rilevanti delle scelte editoriali fatte?

  • Cosa significa fare oggi una “rivista di storia”? Quali problemi gli storici si trovano ad affrontare nel nuovo scenario disegnato dalla trasformazione non solo della scienza storica, ma più in generale dei mezzi e dei metodi attraverso i quali procede oggi la ricostruzione storica?

  • Come Direttore di una rivista di storia ritiene che sia condivisibile il segnale d’allarme da più parti lanciato a proposito di una “crisi della scienza storica” ed addirittura di una “inutilità del mestiere di storico”? Quale rapporto ritiene che possa esistere oggi tra la storia concepita e fatta a livello scientifico e la divulgazione che ormai sempre più si affida a mezzi e soggetti che rischiano di eroderne la legittimazione?