Percorsi di studio sull’anarchismo al femminile: Giovanna Caleffi Berneri

di Elena Bignami

Al centro dei due volumi curati da Carlo De Maria (2010) e Fiamma Chessa (2012), usciti a due anni di distanza l’uno dall’altro, ruota la figura di Giovanna Caleffi. Si tratta rispettivamente di Giovanna Caleffi Berneri. Un seme sotto la neve. Carteggi e scritti, con prefazione di Giampietro Berti e nota conclusiva di Goffredo Fofi, Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa, 2010; e Giovanna Caleffi Berneri e la cultura eretica di sinistra nel secondo dopoguerra, Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa, 2012.

Il primo si compone, nell’ordine, di una lunga Nota introduttiva e due parti antologiche. Queste ultime – redatte seguendo un ordine cronologico “nella convinzione che questo sia il criterio più efficace per la comprensione degli snodi di un percorso biografico” (p. LXVII) – costituiscono l’ossatura dell’antologia. La prima (Carteggi 1937-1962) riporta integralmente 200 lettere selezionate dal curatore tra le oltre quattromila conservate in alcuni fondi (Giovanna Berneri, Serge Senninger e Comunità Maria Luisa Berneri) depositati presso l’Archivio Famiglia Berneri–Aurelio Chessa, la seconda (Scritti 1944-1962), è invece “dedicata all’attività giornalistica di Giovanna Caleffi, iniziatasi a Napoli nel 1944 e proseguita, senza sosta, fino ai primi anni 60” (p. LXVII); sono quindi proposti articoli tratti sia dalle riviste da lei fondate: “La Rivoluzione libertaria” (1944), “Volontà. Giornale anarchico” (1945-1946) ma soprattutto “Volontà. Rivista anarchica” (1946-1996), che ha diretto prima con Cesare Zaccaria (dal 1946 al 1956) e poi da sola fino alla morte (1962), ma anche articoli scritti per “Il Mondo” di Pannunzio e “Il Lavoro nuovo” di Pertini. Un lavoro di selezione che non ha escluso però tutto il materiale rimasto inedito, perché esso, insieme a confronti e approfondimenti condotti attraverso la consultazione di alcuni fondi personali conservati presso altri archivi (“Gianni Bosio” a Mantova, “Ernesto Rossi”, “Gaetano Salvemini”, “Ignazio Silone” a Firenze e “Angelo Tasca” a Milano), è confluito non solo nelle note a integrazione dei documenti qui riportati, ma anche nella scrittura della lunga Nota introduttiva. Quest’ultima parte (pp. XIII-LXIX) si apre con alcune pagine nelle quali si chiarisce la ragione per cui si è scelto di dedicare un’antologia alla Caleffi – “tornare ad ascoltare una critica sociale radicale e senza sconti, e tuttavia attenta al dato di fatto e al quotidiano, aderente ai problemi della vita popolare” (p. XIII) – e quindi le linee di pensiero che hanno guidato il suo impegno sociale e politico: la necessità di “una rigenerazione morale capace di formare gli italiani alla libertà” (p. XVII) dopo un ventennio di “conformismo tenace” (p. XVIII), che ha lasciato l’Italia satura di tabù e di “gregari ubbidienti” (p. XIX). Segue a questo inquadramento teorico una lunga e accurata ricostruzione biografica che nell’incrociare dati della vita privata con dati della vita pubblica, tenendo fermo l’ordine cronologico prefissato, rileva a mio avviso il suo maggior pregio: aver saputo far emergere chiaramente la natura e l’evoluzione della militanza della Caleffi. La scelta di diventare anarchica e partecipare attivamente alla vita del movimento anarchico sostituendosi al marito, è stata dettata dal “dolore per la perdita di Camillo”, dalla necessità “di non perderlo […] di sentirmi accettata dalla famiglia anarchica, di riattaccarmi solidam[ente] a tutta la vita di C[amillo]” (p. XXXIII), ma la consapevolezza della propria funzione all’interno del movimento venne dopo, in seguito all’“arresto a Parigi, la detenzione nelle prigioni francesi, tedesche e italiane, poi il confino”, esperienze che avevano reso la Caleffi “più solida” (p. XLIII). Si può dire insomma che la Caleffi abbia abbracciato le idee socialiste e anarchiche sin da giovanissima (ricordiamo che a 15 anni abbandonò autonomamente la fede cattolica), ma gli obblighi del “ruolo materno” (“i doveri di mamma e il lavoro per guadagnare da vivere per tutta la famiglia” – p. XXXIII) e la scarsa considerazione di sé come intellettuale (“Camillo aveva una facilità grande per scrivere, ed io avrei, con fatica, detto male quello che lui sapeva dire con tanta efficacia” – p. XXXV), riconducibili a un comune sentire delle donne del tempo, le avevano impedito di esporsi.

Il secondo volume – esito della giornata di studi su Giovanna Caleffi, tenutasi a Reggio Emilia il 22 novembre 2008 – consiste di quattordici contributi.

Aprono il testo due saggi di “contestualizzazione”. Il primo, di Giampietro Berti, ripercorre la storia del movimento anarchico nell’Italia del secondo dopoguerra, e vi troviamo la Caleffi – insieme a Cesare Zaccaria – autrice del documento che “spiega il travaglio ideologico della corrente culturalista, che tenta di elaborare un difficile e sofferto incontro tra il problematicismo berneriano – innestato nel tronco della concezione volontaristica malatestiana – e il liberalismo umanistico, declinato nella versione dell’idealismo storicistico di Benedetto Croce” (p. 15). Il contributo di Goffredo Fofi traccia invece, attraverso un vivace elenco di ricordi personali, il profilo dell’Italia degli anni ’50 e ’60, cioè dell’Italia di Giovanna Caleffi, come di un paese – diversamente da quanto sostenuto da Scoppola e come coglie poche pagine dopo De Maria – ancora in grado di esprimere “esperienze radicali, ma legate alla comune speranza di una mutazione positiva per tutti” (p. 38). Un mondo andato in crisi nel ’63, quando “all’interno della classe dirigente […] il modello Agnelli ha vinto sul modello Olivetti” (p. 26), e al quale si può cercare di tornare – secondo Fofi – da un lato constatando il fallimento del mito del buongoverno e del mito della rivoluzione, e dall’altro inventando “modelli diversi di convivenza e solidarietà”; in una parola essendo Anarchici (p. 27).

Seguono tre saggi dedicati interamente a Giovanna Caleffi. Carlo De Maria approfitta di questa nuova occasione editoriale per approfondire gli studi sulla famiglia Berneri attraverso l’analisi di alcuni brani dei diari della Caleffi, nella convinzione che “una particolare attenzione per le ‘fonti auto narrative’ (carteggi, diari, memoria, autobiografie) prodotte da donne consente […] di svelare prospettive diverse, fatte di eventi quotidiani grandi e piccoli, di cure familiari e di lavoro, di reti informali di mutuo appoggio” (p. 33). Pironi compie un’analisi del contributo della Caleffi in qualità di animatrice di “Volontà”, individuando due tematiche portanti: la pedagogia e l’emancipazione femminile. Emerge così da una parte la “discussione in senso autoeducante […] da contrapporre alla trasmissione di modelli e di valori, alla pura logica dell’insegnare, finalizzata alla formazione di un preciso abito mentale” (p. 55), dall’altra gli articoli di Emma Goldman e Anna Garofalo, ma anche l’acceso dibattito sull’opportunità o meno della legge Merlin (p. 63), scatenato proprio da un articolo della Caleffi. Redattrice di “Volontà” è anche la Caleffi tratteggiata nel lungo contributo di Giorgio Sacchetti. L’autore ripercorre sulla traccia delle recensioni – “parti che in genere vengono pochissimo frequentate dagli studiosi. Eppure […] capaci di fornirci informazioni sorprendenti” (p. 71) – pubblicate dal periodico, le tematiche e le linee guida della rivista e del pensiero della Caleffi. Così ritroviamo il tema della disobbedienza nella recensione a De prison en prison di Louise Lecoin (p. 72), la questione giustizia/ingiustizia nell’Italia post-fascista nella recensione al Schiuma della terra di Arthur Koestler e in quella di Fronti e frontiere di Joyce Lussu, e “l’antinomia stato/società” nel lungo dibattito culturale che la Caleffi coltiva costruendo “una trama fitta di relazioni umane e politiche” (con Ernesto Rossi, Adriano Olivetti, Ferdinando Tartaglia, Aldo Capitini, Albert Camus, Piero Calamandrei, Lamberto Borghi, Gianni Bosio, Angelica Balabanoff) (p. 79). Da segnalare, infine, la recensione al volume di Edith Thomas Pauline Roland, Socialisme et féminisme au XXéme siècle, con la quale rimprovera “agli anarchici e alle anarchiche dell’era contemporanea […] di occuparsi solo superficialmente delle questioni di genere, così come delle problematiche sessuali” e quella a Sesso e civiltà di Luigi De Marchi, opera esaltata “‘per la modernità e spregiudicatezza delle sue vedute’, inusuale invito ad affrontare il problema con intelligenza aperta” (p. 95).

Pietro Adamo s’inserisce nel dialogo tra i saggi delineando un interessante profilo dell’“anarchico Cesare Zaccaria” (p. 125) nel quale vita privata e vita pubblica si intrecciano – dall’incontro con la Caleffi che pare abbia avuto un certo peso nel “‘ritorno’ di Cesare alle idee anarchiche” (p. 129) fino all’incontro in treno con Fanny Bernini tra 1952 e 1953, che sigilla il suo allontanamento da “Volontà” (pp. 152-153). “Grande ‘rimosso’ nella storia dell’anarchismo italiano” e “‘operatore culturale’ nell’Italia del secondo dopoguerra” (p. 127), Zaccaria è qui presentato come il responsabile di quell’apertura culturale che ha fatto di “Volontà” “una delle riviste più prestigiose della sinistra radicale” (p. 131), grazie alla sua posizione che si muove tra due poli: da un lato all’anarchismo critico di Berneri e dall’altro “una terza forza libertaria sull’asse Francia-Usa messo in atto dagli intellettuali radunati in Francia intorno ad Albert Camus e negli Stati Uniti intorno a ‘politics’ di Duight MacDonald” (p. 132).

Seguono alcuni contributi tematici. Francesco Codello torna a puntare l’attenzione sulla Calleffi, attraverso una “valorizzazione degli elementi educativi presenti” nel suo pensiero (p. 168), mentre Stefano d’Errico tematizza quanto nella rivista “Volontà” ci sia del desiderio di Berneri – più volte espresso da lui stesso in lettere e articoli – di costituire una rivista “tutta sua”, anche nel senso di una rivista autonoma rispetto al movimento. E “Volontà” appare allora “sigillo” di quel sogno: “è qui che ritroviamo infatti molti degli argomenti (dei ‘cavalli di battaglia’) cari al lodigiano. Dalla questione ‘strategica’ del comunalismo, nonché del federalismo di Cattaneo, al rapporto con gli azionisti e con Salvemini. Dalla critica impietosa al centralismo dei comunisti togliattiani, ad un interesse non solo ‘declamatorio’, bensì specifico, per la riforma della scuola” (p. 189). Ma anche “le campagne e le riflessioni” sui temi della procreazione consapevole e della libertà sessuale, fino “alla tenace riproposizione di un orizzonte speculativo empiriocriticista (approccio epistemologico berneriano), in ordine alla negazione di ogni monopolio della verità”, e infine “i classici temi d’impatto politico cari a Berneri […] dall’antinomia fra stato e società […] [al]’impostazione genuinamente non giacobina, contraria ad ogni assioma assolutistico e a qualsiasi ‘ideologizzazione’” (p. 190). Alessandro Bresolin ci illumina sulle figure di Silone e Camus e i loro rapporti con Giovanna Caleffi, individuando nel criticismo intellettuale che li accomuna un volto del “pensiero libertario, uscito sconfitto politicamente e militarmente dalla seconda guerra mondiale” (p. 204), mentre Franco Melandri, redattore della rivista forlivese “Una Città”, porta una testimonianza diretta di quanto la rivista “Volontà” sia stata preziosa per i giovani degli anni 60 e 70 e ancora nel 77, grazie al “criticismo eretico” con il quale “si delineava una radicalità libertaria e sociale che non si nutriva di nessuna mitologia rivoluzionaria”, e che nel 77 si ripropose facendo di “Volontà” il luogo di discussioni di tematiche (educazione, ecologia, droga, scienza, femminismo, arte, comuni, problema della politica, diritto) “che sicuramente, anche se non hanno dato vita a tendenze politicamente omogenee e significative, hanno però contribuito a svecchiare non poco il pensiero libertario” (pp. 209-210).

Francesco Paolella, ricostruisce un interessante quanto dimenticato capitolo della storia dell’anarchismo: il tema del controllo delle nascite, dall’impegno che gli dedicarono Fabbri e Berneri all’Inizio del Novecento alla vicenda giudiziaria che ha dovuto subire l’opuscolo Il controllo delle nascite di Berneri e Zaccaria.

Gli ultimi tre contributi, infine, si allontanano dall’analisi storiografica e portano una testimonianza diretta che sulla carta si fa fonte. Maria Alberici (pronipote di Giovanna Caleffi) ci porta in casa Caleffi-Alberici con gli occhi di una bambina. Queste brevissime pagine sono un concentrato di emozioni e immagini che restituisce il clima e il profilo della realtà di una famiglia comune dalla quale sono uscite figure non comuni. E la spiegazione emerge in calce: “nella nostra famiglia più che insegnare a vivere si adoperava la vita per insegnare” (p. 224). E mentre Giovanni Stiffoni con il suo contributo si domanda perché Giovanna Caleffi non abbia aderito fin dal principio al movimento anarchico (p. 227), facendoci tornare a quanto detto all’inizio di questa recensione, Fiamma Chessa (curatrice dell’Archivio Famiglia Berneri – Aurelio Chessa) propone un altro sguardo di bambina, non di famiglia ma familiare: i bei libri regalati, le giornate a Nervi, il mare dalla finestra, i compagni, lo “splendido vaso turchese, a forma di viso di donna con manici ai lati” che conteneva le ceneri della figlia Maria Luisa (p. 231); e tra le righe l’amato padre, Aurelio Chessa.