Paolo Passaniti: Dizionario del liberalismo italiano, tomo II, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2015

diz-IIrecensione di Paolo Passaniti

Il Dizionario del liberalismo italiano colma una rilevante lacuna all’interno del genere dei dizionari biografici dedicati alle ideologie politiche e ai movimenti politici. Il merito indubbio dell’opera è di aver affrontato le difficoltà  alla base del vuoto e di aver rielaborato quelle difficoltà per offrire un utilissimo strumento storiografico, che offre non solo risposte ma anche nuove domande, sempre alla luce di una costante riflessione sui caratteri del liberalismo: non dunque un semplice e circostanziato elenco di vite vissute all’ombra di una dottrina o di un’ideologia prestabilita e imposta al lettore, visto che la ricerca di un modo d’essere liberale costituisce la tensione concettuale che pervade l’intera opera, avvertita nella vivacità e negli spunti tematici svelati da una storia piena di asimmetrie alla base del problematico racconto.

 Dall’Unità al fascismo, il liberalismo qualifica, addirittura denomina, la dimensione statuale  ad ambientazione borghese in un esteso arco temporale, fissandone il carattere storico e il modello costituzionale.  Il profilo biografico del liberalismo coincide con la biografia della classe dirigente in un regime “monoclasse”. Nel Ventennio è difficile tenere insieme ex liberali prestati al regime a vario titolo, non sempre di facile lettura, e attuali o futuri anti-fascisti. Nel periodo repubblicano, le difficoltà si ripropongono in termini inediti. La presenza di un partito liberale numericamente piccolo, non esaurisce il liberalismo dentro la sagoma di un partito, ma d’altra parte la presenza di quel partito è un dato da tener conto, che richiede però la capacità di individuare liberali veri ancorché mai entrati nel Pli, non dunque espulsi o fuoriusciti come in altri movimenti politici.

 Il merito del Dizionario è di essere andato oltre il perimetro partitico, operando su più registri: dalla militanza strutturata alle assonanze e persino ai contrasti, sempre nel solco di spazi limitrofi significativi, intesi come proiezione storica di un metodo più che di un’ideologia.

Un peso non indifferente alla base della lacuna è sicuramente rappresentato dal gioco democratico nella prima Repubblica che, per lungo tempo, allinea il liberalismo sull’anti-comunismo di stampo laico nel segno di un vago moderatismo, con una rigidità derivante da un sistema politico bloccato. Non mancano singole figure politiche e intellettuali di altissimo profilo, ma è difficile il mantenimento della tradizione liberale in una periferia strategica del mondo bipolare, come quella italiana, che porta molti liberali a votare  silenziosamente la Dc sia pure turandosi il naso, secondo la nota formula di Indro Montanelli, osteggiata dal Pli in quanto letale in termini di consenso elettorale.

Con il tramonto della prima Repubblica riemerge finalmente la questione liberale. Nell’universo post-ideologico degli anni Novanta, tutti o quasi si definiscono liberali, indicando un proposito da improvvisata auto-rappresentazione, o peggio la superficiale traccia retorica del nuovismo, e non il riconoscimento di un pregresso modo d’agire o una progettualità all’altezza dell’auto-definizione. L’eccesso di liberalismo parlato o urlato nell’agenda quotidiana non ha sicuramente facilitato il recupero della complessa dimensione storica della cultura liberale otto-novecentesca, nelle sue tante articolazioni interne. I tanti liberalismi di destra e di sinistra sono stati strappati dalla loro matrice originaria onde essere riutilizzati – in nome di palingenesi annunciate per il congresso successivo – nell’effimera evocazione dei vari Pantheon dei nuovi partiti personali, personalizzati o personalizzabili (sempre post qualcosa) della seconda Repubblica. Basti pensare al disinvolto uso ( e abuso) politico di Luigi Sturzo e Piero Gobetti.

L’uscita nel 2011, in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità, non è ovviamente una scelta meramente celebrativa, ma anzi un modo per ribadire il contributo liberale alla costruzione dello Stato unitario, con la “constatazione dell’eclissi della cultura liberale in quest’ultimo quarantennio, con la conseguente perdita della memoria del liberalismo e dei suoi valori” (pag. 5 dell’introduzione al primo tomo).

La successiva disarticolazione anche delle appartenenze post-ideologiche ha creato il giusto distacco per riflettere sul liberalismo, rendendo nel 2015 – l’anno di pubblicazione del secondo tomo – quasi un’urgenza il recupero delle personalità che compongono i tanti liberalismi di cui il liberalismo italiano si è fatto portatore nella storia d’Italia.

La scelta di analizzare il periodo che va dalla Restaurazione al crollo del Muro di Berlino, è ben motivata nell’introduzione sulla base di un lucido ragionamento storiografico che attiene alla necessità di limitare al campo d’indagine all’Italia, ma sempre con lo sguardo rivolto all’Europa.

 Nel Dizionario vi è la costante attenzione a una tradizione che parte dalla libertà e scommette su di essa, persino ad un modo di stare nella società più che una dottrina economica o un’ideologia politica inter-partitica. L’originalità affiora anche dalla struttura editoriale con due tomi differenziati, ma complementari nei contenuti. Soltanto il secondo è dedicato alle singole voci biografiche, mentre il primo contiene una solida mappa di temi legati al liberalismo. Una scelta che risente delle difficoltà di ridurre l’idea liberale, l’attitudine alla libertà come metodo esistenziale, a un semplice elenco di personalità, senza una riflessione programmatica.

Il liberalismo non è stato un movimento valutabile attraverso la dialettica tra prassi politica e riflessione intellettuale, ma un’idea quasi mai raccordata a una forma partitica. Se in altri dizionari la creazione dell’album di famiglia, partendo dal personale politico e talvolta sindacale, ha riservato al lettore soltanto qualche eccezione rispetto alla regola di inclusioni o esclusioni dovute, in questo caso l’album prima ancora di essere illustrato è stato creato, ritagliandolo da un immenso campo d’indagine politico-culturale, costituito non da un movimento più o meno esteso di persone, ma – a ben vedere – dalla Storia d’Italia.

Il primo tomo dunque rappresenta una messa a punto dell’idea stessa di liberalismo che va ben oltre l’idea del dizionario, di cui rimane soltanto la scansione alfabetica dei temi trattati.  Per rendere l’idea della ricchezza dei contenuti, basti ricordare le voci gravitanti intorno al concetto di ‘partito’: Partito e sistemi di partito, partito democratico del lavoro, partito liberale italiano da Bologna a Livorno (1922-1925), Partito liberale italiano dalla riorganizzazione del Pli al VI congresso di Firenze 81943-1953), Partito  liberale italiano. La gestione Malagodi, Partito liberale italiano. La fine, Partito radicale (età giolittiana), Partito radicale ( anni della repubblica), Partitocrazia. In queste voci vi è molto di più della ricostruzione delle esperienze partitiche liberali: una sorta di itinerario dal grande partito liberale che non c’era al piccolo partito liberale realizzato, attraversando svariate diramazioni, a seconda del periodo storico, che conducono ai radicali, ad un pezzo di movimento cattolico e a una parte  di quello repubblicano. Un piccolo partito liberale naturalmente nel peso elettorale, non certo nella rilevanza all’interno di un sistema politico bloccato come quello della prima Repubblica, in cui il rapporto Dc-Pli è una dinamica politica essenziale. Il Pli è l’alleato naturale nella stagione del centrismo e alla fine uno dei lati del pentapartito, ma anche vittima sacrificale della Dc nelle chiamate del voto moderato quando il sistema subisce sollecitazioni che richiedono risposte ‘atlantiche’ secche.

Come premettono i curatori, non si tratta di una enciclopedia, ma neanche di un semplice dizionario tematico, proprio perché per tratteggiare il liberalismo occorre necessariamente parlare di molte altre cose che costituiscono l’oggetto di idee liberali, oppure appaiono come causa o effetto di quelle idee e talvolta persino la negazione. Dalla ‘A’ di agricoltura alla ‘U’ di Università, scorrono argomenti dettati dal liberalismo, ma anche altri con i quali il pensiero liberale si è dovuto incontrare o persino scontrare. Temi di sicuro taglio interdisciplinare: dal diritto all’economia passando attraverso la storia e la scienza della politica.

Sul diritto, il discorso è articolato nelle seguenti voci: Diritti civili, diritti politici, diritti umani, diritto del mercato, diritto di proprietà, diritto naturale, diritto penale, diritto privato, diritto pubblico. Il collegamento tra cultura giuridica e cultura liberale restituisce il diritto alla sua dimensione civile. Sotto questo profilo forse poteva trovare spazio anche il diritto del lavoro, una materia novecentesca, concepita tra diritto ed economia, che ha avuto i suoi cantori liberali non solo nel periodo prefascista ma anche nel dopoguerra. Più che di una mancanza, si tratta di un rilievo che emerge proprio alla luce dell’alto livello raggiunto dal dizionario, capace appunto di creare un collegamento inedito tra singole branche del diritto e il liberalismo. Lo spirito dello “work in progress come metodo per arrivare ad una “Wikipedia del liberalismo” è del resto rivendicato con orgoglio dai promotori.

Uno spirito che è stato evocato anche nella premessa del secondo tomo, con “l’azzardo dell’inclusione” e il “rischio della dimenticanza”. Tuttavia, “gli incerti confini dell’arcipelago liberale” consentono inclusioni ed esclusioni che rendono l’opera un cantiere aperto in grado di mantenere viva l’attenzione storiografica sul liberalismo.

In maniera meritoria emerge anche la storia del Pli, da Malagodi ad Altissimo: una storia  interna, inserita in una storia più grande in cui il dato culturale prevale su quello della politica organizzata. L’influenza dei liberali nella fase di costruzione dell’ordine democratico – con Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, e la presidenza Einaudi – è qualcosa che va oltre le percentuali elettorali e il gioco delle alleanze, ed è già sufficiente per giustificare il recupero in senso ampio di una cultura che ricomprende statisti,politici e pensatori, più o meno grandi, ma anche letterati e uomini di spettacolo.

Particolarmente apprezzabile appare la scelta di puntare sulla qualità e non sulla quantità delle voci. Nei profili più sintetici non si ritrovano voci contenenti i dati anagrafici e professionali e poco più, ma riflessioni biografiche accurate e articolate. In un dizionario del pensiero liberale la qualità scientifica non è fatta soltanto dalle pregevoli voci dedicate a Luigi Einaudi o a Vittorio Emanuele Orlando, ma è data anche dall’attenzione destinata al liberalismo nella scienza e nella cultura tra Otto e Novecento.

Ancora più meritoria è l’individuazione di militanti liberali conosciuti per il peso nella cultura popolare della seconda metà del Novecento. Sotto questo profilo, si possono citare le voci dedicate a Enzo Tortora e Bruno Lauzi. Tortora è restituito alla sua effettiva storia personale di intellettuale liberale e grande autore e conduttore  di programmi televisivi in grado di incidere sul costume sociale, rispetto alla narrazione riduttiva di un presentatore vittima dell’ingiustizia. Il contributo di Eugenio Capozzi tratteggia le tappe della vicenda di un autore televisivo di successo che paga a più riprese le critiche al monopolio televisivo, di un giornalista schierato contro l’estremismo di sinistra, nei primi anni settanta, quelli del lungo esilio dal piccolo schermo.

L’ingiustizia diventa alla fine il primo grande choc giudiziario della prima Repubblica, l’evento che porta la giustizia penale a divenire grande emergenza politica. Basti pensare che Tortora viene arrestato nel 1983 e ritorna da innocente sugli schermi televisivi nel 1987, un anno prima della morte che precede di qualche mese l’approvazione definitiva del nuovo codice di procedura penale, l’unico codice dell’età repubblicana.

La militanza liberale di Tortora a più riprese si intreccia con quella di Bruno Lauzi, “l’unico cantautore liberale”, descritto da Grassi Orsini non come un semplice elettore o simpatizzante ma quale dirigente politico, sia pure non professionale, che paga quell’appartenenza anche sul piano della popolarità. Una storia politica poco nota, oscurata dalla fama di cantautore e dalla limitata conoscenza intorno alla vita interna del Pli.

Vi è in definitiva vi è una coerenza di fondo tra i due tomi. Gli spunti teorici del primo si ritrovano attuati nel secondo. Le voci dedicate al teatro, alla musica e alla letteratura nel primo tomo trovano puntuale riscontro nel secondo. Il riferimento alle discipline giuridiche è sviluppato nei profili biografici dei maestri liberali di quelle discipline. Gli esempi rischierebbero di essere innumerevoli. Basti citare la ricostruzione del cuore liberale della dottrina processualcivilistica novecentesca attraverso i ritratti di Chiovenda e Mortara la dimensione liberale del diritto penale attraverso Carrara.

Il diritto si configura come un fecondo terreno d’indagine che potrà essere ancor di più sviluppato nell’evoluzione online di un Dizionario che già contiene i riferimenti ai personaggi chiave – da Zanardelli a Baslini in tema di divorzio, ad esempio – nelle battaglie laiche sul terreno dei diritti civili.

In definitiva, si tratta di un Dizionario che aspira ad aprire un discorso più a fissarlo in un elenco. Un’opera destinata al tavolo di lavoro degli studiosi di svariate discipline. Il merito metodologico di fondo appare proprio quello di attraversare frontiere disciplinari e culturali più che di creare recinti dogmatici.