Stefano Pivato, Sia lodato Bartali. Il mito di un eroe del Novecento, Roma Castelvecchi, 2018.

di Luca Gorgolini

Contrariamente a quanto avvenuto in campo letterario, dove un’ampia schiera di narratori ci ha restituito nel corso dei decenni pagine memorabili sull’epopea di uno degli sport più popolari al mondo, il ciclismo, la storia si è accostata con relativo ritardo allo studio di una manifestazione sportiva che nel corso dell’età contemporanea ha svolto un ruolo di primo piano quale catalizzatore di passioni, emozioni e sentimenti contrastanti, che hanno spesso superato i confini della cerchia degli appassionati per tratteggiare i contorni di una storia nazionale costellata, a suo modo, di battaglie e di eroi.

Una “vecchia storia” quella della storiografia che, almeno in ambito accademico, fatica ad accogliere temi di ricerca sbilanciati sul versante della storia sociale e che sfuggono, anche in ragione del genere di fonti che vengono chiamate in causa, ai percorsi tradizionali e maggiormente battuti della ricerca; limiti che Stefano Pivato conosce bene per averli infranti ripetutamente proponendo traiettorie di studio che al momento della presentazione della sua riflessione apparivano inusuali, assolutamente originali, in grado di aprire nuovi percorsi di indagine su ambiti di ricerca precedentemente trascurati se non completamente ignorati.

Sia lodato Bartali” è uscito la prima volta nel 1985, quando, ricorda l’autore, “la storia dello sport muoveva i suoi primi passi”: “affidate alla ricostruzione giornalistica, le vicende della storia sportiva rivestivano un carattere prevalentemente cronachistico”. Allora il sottotitolo proposto era “Ideologia cultura e miti dello sport cattolico (1938-1948)”. Questa terza edizione, promossa dall’editore Castelvecchi, che rivede e modifica ampiamente quelle precedenti, propone un sottotitolo maggiormente evocativo – “Il mito di un eroe del Novecento” – che ci restituisce con immediatezza il rilievo del profilo biografico di un uomo, di uno sportivo, le cui fatiche e i cui comportamenti hanno finito per acquisire un valore ben superiore rispetto alla sola valenza sportiva, coinvolgendo, a volte unendola a volte dividendola, un’intera comunità nazionale. Così, negli anni del fascismo il mondo cattolico si rifà al corridore toscano per definire le virtù del “magnifico atleta cristiano” da contrapporre ai caratteri dell’eroe sportivo muscolare propagandato dal Regime; a seguire, nel secondo dopoguerra, nel pieno della guerra fredda, quando le rivalità sportive esistenti vengono inevitabilmente caricate di connotazioni politiche, l’immagine virtuosa di Gino Bartali, “cattolico e democristiano” viene contrapposta a quella del “comunista” Fausto Coppi, che in realtà non è comunista ma i cui comportamenti privati, nel campo della sfera sentimentale e famigliare, non possono essere accettati da un’Italia moralista e bacchettona. Ancora nel dopoguerra, la sua vittoria al tour nell’estate del 1948 secondo alcuni osservatori dell’epoca “sdrammatizzò” “la rivoluzione nella quale l’Italia rischiava di precipitare l’Italia dopo l’attentato al leader comunista Palmiro Togliatti”; in realtà, quando arrivò la vittoria di Bartali, nelle piazze era già tornata la calma, ma la stampa cattolica non esita a presentare strumentalmente il “suo” campione quale salvatore della patria. Quella proposta da Pivato è una storia “a colpi di pedale” che si chiude con un’ampia antologia, davvero opportuna, che consente di seguire in modo puntuale il rapporto fra Gino Bartali e la sua evoluzione politico-sportiva e comprendere appieno il grado di popolarità di questo campione del passato che nel 2013 è stato dichiarato Giusto tra le nazioni per la sua attività a favore degli Ebrei durante la Seconda guerra mondiale e che più recentemente è stato nominato cittadino onorario postumo di Israele.