Strage dei militari italiani a Kos nel 1943 da parte dei tedeschi

di Isabella Insolvibile

Abstract

Nell’ottobre del 1943 le truppe tedesche del generale Müller, già soprannominato “macellaio di Creta”, sbarcarono in forze sull’isola di Kos, presidiata da 4.000 italiani e circa 1.500 inglesi. In breve tempo la battaglia volse a favore dei tedeschi, che ebbero la meglio sulla debole e disorganizzata resistenza dei difensori. Mentre gli inglesi vennero avviati a una prigionia dura ma tutelata dalle convenzioni di guerra, gli italiani furono considerati traditori. Novantasei furono, alla fine, gli ufficiali italiani fucilati, i cui corpi vennero fatti sparire. Sottufficiali e soldati furono invece utilizzati dai tedeschi come lavoratori coatti, sia sull’isola sia nei campi d’internamento. La lunga occupazione tedesca di Kos, brutale ed efferata, ebbe come vittima principale, oltre ai soldati italiani, la popolazione, in particolare la comunità ebraica, interamente deportata nei campi di sterminio. Le isole furono liberate solo nel maggio 1945, alla fine della guerra. L’amministrazione britannica si concluse nel 1947 con il trattato di pace, che vide il Dodecaneso ceduto dall’Italia alla Grecia, e il conseguente, e dimenticato, esodo della popolazione italiana.

Abstract English

Bloodshed of Italian soldiers in Kos in 1943 by Nazis.

In October 1943 German troops led by General Müller, known as “the Butcher of Crete”, landed in strength on KosIsland, where 4000 Italians and about 1500 British soldiers stood to garrison it.

The battle soon turned in favour of the Germans and the Nazi troops defeated the allies’ weak and disorganized resistance. The British soldiers were sent to a POW camp under tough conditions but protected by international laws. On the contrary the Italians were ranked as traitors. In the end 96 Italian officers were shot and their bodies were hidden. The soldiers were condemned to forced labour on the Island or in concentration camps. Apart from the Italian soldiers, the long and brutal German occupation had the local people as principal victims and above all the Jewish community, which was entirely deported to the extermination camps. The Island was freed in May 1945 at the end of the war. The British administration ended in 1947 with the Peace Treaty when Italy gave the Dodecanese to Greece and the Italian community on the Island became exiled and forgotten.

Sigle

  • Aussme: Archivio ufficio storico Stato maggiore dell’Esercito
  • BA-MA: Bundesarchiv-Militärarchiv

Kos: Microbe ed Eisbär

Kos, l’italiana Coo, e le isole del Dodecaneso (Sporadi meridionali) costituivano, “temporaneamente” dal 1912 e ufficialmente dal 1923, il Possedimento Italiano delle Isole dell’Egeo. Appartenenti all’Impero Ottomano e occupate dall’Italia durante la guerra di Libia, erano state un pegno concesso dall’Intesa per la partecipazione del nostro paese alla Grande Guerra, e successivamente – in spregio ai desideri della popolazione greco-ortodossa che abitava in maggioranza quei territori – annesse dall’Italia approfittando della debolezza dello stato greco dopo la guerra persa da quest’ultimo contro la Turchia nel 1919-221.
Le isole occupano una posizione strategica sulle rotte del Mediterraneo orientale: sono infatti a un passo dalle coste turche, sbarrano l’accesso al Mar Nero, e si trovano a metà strada tra Egitto e Grecia sulla rotta da Alessandria ad Atene, e tra Egitto e Turchia su quella Porto Said-Instanbul.
L’occupazione italiana del Possedimento – che dipendeva dal ministero degli Esteri ed era autonomo amministrativamente e finanziariamente – vide l’avvicendarsi di numerosi governatori militari e civili. La fase migliore coincise con il governatorato di Mario Lago, che rispettò, per quanto possibile, le autonomie delle varie comunità presenti nelle isole (greco ortodossa, turca musulmana, italiana cattolica ed ebraica, quest’ultima presente solo a Rodi e Kos) e che coincise con un “un significativo sviluppo economico e un’elevata occupazione” (Doumanis 2003, 57). La fase peggiore si aprì invece con l’inizio, nel 1936, del governatorato del triumviro Cesare Maria De Vecchi – che impose la totale “italianizzazione”, e quindi “fascistizzazione” del Possedimento – e proseguì con lo scoppio della guerra, l’armistizio italo-alleato del settembre 1943, la brutale occupazione tedesca. Durante il governatorato De Vecchi le leggi razziali italiane vennero estese al Dodecaneso, le autonomie limitate o abolite, l’italiano resa lingua obbligatoria in pubblico, mentre parlare in greco divenne un reato. Il Possedimento fu militarizzato e affidato a governatori militari – il generale Ettore Bastico prima, l’ammiraglio Inigo Campioni poi – quando, nel 1940, l’Italia prese parte al conflitto, una guerra che avrebbe solo “sfiorato” il Dodecaneso fino al settembre del 1943.
Le truppe italiane stanziate nell’isola di Kos all’8 settembre 1943 ammontavano a circa 4.000 uomini appartenenti al 10° reggimento di fanteria della divisione “Regina”, e comandati dal colonnello Felice Leggio. Il reparto dipendeva dal comando di Rodi, l’isola capoluogo, ed era affiancato da un gruppo misto di artiglieria, piccoli reparti di marina, aeronautica, carabinieri, finanzieri e camicie nere. Fino all’armistizio le truppe del Dodecaneso dipendevano, gerarchicamente, dal Gruppo Armate Est; il 9 settembre furono poste sotto il controllo del Comando Supremo (Schreiber 1992, 180-181).
L’addestramento, il morale e il livello di reattività delle truppe erano fortemente influenzati, oltre che dalle note e comuni condizioni delle forze armate italiane nel secondo conflitto mondiale, dall’isolamento geografico e dallo scarso interesse dimostrato, fino ad allora, per quel settore, dalle potenze belligeranti. L’isolamento fisico si era velocemente trasformato in “isolamento psicologico” (Iuso 2008, 106), una condizione che fu notevolmente aggravata dagli eventi dell’estate: lo sbarco degli Alleati in Sicilia e la caduta del fascismo provocarono infatti uno “sbandamento generale”2, che divenne “shock” la sera dell’8 settembre, quando sull’isola giunse la notizia dell’armistizio. I pochi tedeschi, presenti a Kos da poco tempo e in servizio presso le piste di atterraggio situate nella località di Antimachia, furono disarmati, e nella notte tra l’8 e il 9 settembre sull’isola furono lanciati volantini alleati che invitavano alla resistenza contro le truppe germaniche. La notte successiva giunse a Kos la missione Arabic, organizzata dallo Special Operation Executive, con il compito di prendere contatti con il comando italiano e far accettare di buon grado a quest’ultimo uno sbarco alleato sull’isola3.
In quelle stesse ore avevano luogo i brevi combattimenti tra gli italiani di Rodi, circa 35.000, e i tedeschi, circa 7.000. L’11 settembre l’ammiraglio Campioni avrebbe dichiarato la resa dell’isola capoluogo, ordinando tuttavia ai comandi dipendenti, tra i quali quello di Kos, di “ostacolare sbarco tedesco permettere sbarco inglese”4. Campioni sarebbe stato deportato in Polonia e poi, su richiesta della RSI, trasferito a Parma e fucilato, insieme al comandante di Lero, l’ammiraglio Luigi Mascherpa.
L’11 settembre Kos fu bombardata dalla Luftwaffe per la prima volta. In serata il generale Soldarelli, comandante della divisione “Cuneo”, stanziata a Samo, e neo-comandante, dopo la resa di Campioni, del settore egeo, ordinò a Kos e alle altre isole la “resistenza qualunque costo at eventuali attacchi tedeschi […] in ottemperanza ordini precedenti et proclama odierno S.M. il Re et Maresciallo Badoglio” (Levi, Fioravanzo, 573).
Le truppe del Commonwealth guidate dal colonnello Kenyon cominciarono a sbarcare a Kos il 13 settembre. L’ordine era di “cooperare” con gli italiani5 per mantenere Kos in possesso alleato: l’importanza dell’isola, infatti, dopo la capitolazione di Rodi in mani tedesche, era data dalla presenza dell’aeroporto di Antimachia. Anche le truppe germaniche ritenevano quella postazione indispensabile per il controllo dell’area: “L’isola riceve la sua importanza – recita il resoconto tedesco successivo agli avvenimenti – dall’aeroporto di Antimachia che è posto al suo interno. Antimachia in quel momento era già occupata dalle unità aeree inglesi che da lì disturbavano in modo efficace e persistente il traffico dei rifornimenti nell’Egeo, ma soprattutto nel Dodecaneso. Scopo principale dell’impresa contro Kos era perciò la conquista della base aerea nemica, per utilizzarla, successivamente, a favore della propria forza aerea”6.
Fu così che la “piccola” storia di Kos entrò nella grande storia degli interessi contrastanti delle potenze belligeranti della Seconda guerra mondiale. Fin da prima dell’armistizio, il premier britannico Winston Churchill aveva sostenuto che l’Egeo dovesse essere inserito tra le priorità degli Alleati, e aveva fatto predisporre dai propri comandi l’operazione Accolade, che prevedeva la conquista di Rodi e delle altre isole del Dodecaneso. Tuttavia, la strategia mediterranea di Churchill, che, come è noto, assegnava al bacino europeo – quindi all’Italia, alla Grecia e all’Africa settentrionale – un’importanza preminente, si era scontrata fin da subito con la strategia mondiale e atlantica dell’alleato statunitense, che aveva costretto a distaccare le forze predisposte per Accolade su altri fronti. L’armistizio con l’Italia aveva però riportato l’Egeo alla ribalta, e il premier britannico, ritenendo che fosse arrivato il momento di “improvvisare e osare”, aveva ordinato al comandante supremo del Medio Oriente, il generale Maitland Wilson, di procedere all’operazione sul Dodecaneso (Churchill 1979, 216). All’interno del piano Accolade, l’occupazione e il mantenimento di Kos prendevano il nome di operazione Microbe.
L’interesse britannico per quell’area era motivato da più obiettivi: innanzitutto, gli inglesi ritenevano che la perdita delle isole del Dodecaneso e delle Sporadi settentrionali da parte dei tedeschi, avrebbe costretto questi ultimi ad abbandonare anche Creta e quindi la Grecia continentale e, di conseguenza, la penisola balcanica; in secondo luogo, l’occupazione alleata dell’area Egeo avrebbe convinto, nei piani di Churchill, la Turchia ad entrare in guerra al fianco delle forze alleate, fornendo a queste ultime delle utilissime basi aeree verso est; in terzo luogo, un impegno considerevole nel Mediterraneo orientale avrebbe guadagnato alla Gran Bretagna dei validi punti d’appoggio per rivendicazioni postbelliche nell’area egea e mediorientale (Roberts 2009, 360).
Gli americani, e parte degli stessi vertici militari britannici7, erano però di idea diversa: un intervento nel Dodecaneso rappresentava, infatti, una distrazione di forze dalla campagna d’Italia e dalla preparazione della “big thing”, l’operazione Overlord, lo sbarco in Normandia, l’attacco diretto al “cuore del problema”, cioè la Germania8.
A Kos britannici e italiani fecero una delle prime prove, forse la prova generale, di quella che, dalla metà dell’ottobre 1943, sarebbe stata la cobelligeranza. Non fu una prova facile, né felice, né, lo vedremo, riuscita. I rapporti tra gli ex nemici furono subito molto tesi: gli inglesi arrivarono sull’isola in veste di occupanti vittoriosi9; gli italiani non riuscirono tuttavia a sentirsi come nemici sconfitti, avendo difficoltà, nelle condizioni di isolamento di cui abbiamo detto, a percepire la portata e le conseguenze di un armistizio che mascherava una vera e propria resa incondizionata. Tuttavia, gli italiani di Kos erano ben disposti e pronti a collaborare – Leggio era definito un “uomo del re e di Badoglio”10 e la stessa cosa, in linea generale, poteva dirsi degli uomini che comandava – anche se, probabilmente, più desiderosi di utilizzare questo tipo di cooperazione per ottenere il rimpatrio che per continuare la guerra contro il nuovo e comune nemico. Comunque stessero le cose, gli inglesi non si fidavano molto dei nuovi “amici”, ritenuti inattendibili politicamente, in quanto era stato chiesto loro “di abbandonare tutte le dottrine fasciste all’improvviso”11, e inadeguati da un punto di vista bellico: “Le truppe di difesa costiera – annotava Kenyon – erano in generale rilassate, l’artiglieria era quasi senza addestramento, e molte armi erano posizionate molto male. Gli ufficiali e le truppe erano praticamente senza esperienza di guerra”12.
Le truppe sbarcate, tra cui vi erano indiani e neozelandesi, presero immediatamente possesso di postazioni, armi e munizioni, e imposero il proprio controllo anche sugli uomini. Il sistema di difesa dell’isola fu completamente stravolto: “Si venne – scrive il capitano Mario Floccia, all’epoca aiutante maggiore in 1a – alle seguenti deduzioni: i tedeschi non possedevano, a quanto asseriva lo stesso Col. Kanion (sic) una flotta anche minima sufficiente per un eventuale sbarco. La ricognizione inglese confermava tale tesi. Fu cambiato così il progetto di difesa dell’isola e si approntarono i reparti per un attacco dal cielo e non dal mare”13. Si sarebbe rivelato un errore fatale.
Sull’isola affluirono, fino a fine settembre, armi (in particolare cannoni e mitragliere contraerei), mezzi (compresi alcuni spitfires), munizioni e truppe. Al 27 settembre erano stanziati a Kos 1.473 uomini appartenenti alle forze del Commonwealth14.
I bombardamenti tedeschi, che iniziarono con la resa di Rodi e proseguirono per tutto il mese di settembre, avevano come obiettivo principale l’aeroporto di Antimachia e le altre piste di atterraggio che i britannici stavano cercando di attrezzare in un’altra zona dell’isola. I tedeschi intendevano impedire che l’aeroporto di Kos, l’unico in zona in mano inglese adatto allo scopo, venisse utilizzato per attacchi alleati diretti su Rodi e Creta. Per le truppe del Reich, si trattava, in quel settembre, di una fase estremamente delicata: impegnate a sostituire i reparti italiani nelle zone di occupazione, costrette a rispondere a un’accanita resistenza nelle isole ioniche e in alcune località della terraferma greca, albanese, jugoslava, in seria difficoltà anche in Italia dopo la sbarco di Salerno, si trovavano a dover gestire un attacco anche nel vulnerabile e delicato – data, ancora, la posizione di neutralità “fragile” della Turchia – settore dell’Egeo, con Kos, ma anche Lero e Samo, in mano italo-alleata.
I bombardamenti si fecero più intensi verso la fine di settembre, e costrinsero i britannici a sospendere l’invio dei rifornimenti sull’isola. Pochi erano i mezzi, e soprattutto gli aerei, sui quali le forze alleate potevano a quel punto contare contro una forza aeronautica germanica che veniva, in quell’area, continuamente incrementata15. L’Egeo era, nella strategia tedesca, il quarto obiettivo del piano riguardante il Mediterraneo, dopo Cefalonia, Corfù e Spalato16: l’arco temporale compreso tra la conquista di Rodi (11 settembre) e l’attacco definitivo a Kos (3 ottobre) aveva visto l’eliminazione – nelle modalità che si conoscono – della resistenza italiana a Cefalonia e Corfù e l’attacco vittorioso alle isole Cicladi, il controllo sulle quali si sarebbe rivelato decisivo per la conquista di Kos e poi di Lero.
Il 29 settembre il generale Friedrich Wilhelm Müller, comandante della 22a divisione, di stanza a Creta, ricevette l’ordine di attaccare Kos17, cioè di procedere con l’operazione Eisbär, Orso polare. Ingenti furono i mezzi messi a disposizione di Müller: quattro reggimenti di artiglieria, un battaglione antiaereo e uno del genio, un reggimento granatieri, le compagnie di cacciatori costieri e dei paracadutisti del Brandeburgo e, in particolare, numerosissimi mezzi marini da sbarco e sommergibili18. Tutti questi mezzi nautici stavano per distruggere le certezze britanniche, “spiegat[e], rispiegat[e] […] dett[e], ridett[e], ripetut[e], inculcat[e]”19 anche in ognuno dei soldati italiani presente sull’isola, relative a un attacco tedesco dal cielo.

Vae Victis

I tedeschi, in tutto circa un migliaio, sbarcarono a Kos nelle prime ore del 3 ottobre, e colsero italiani e britannici completamente di sorpresa. La confusione paralizzante, la mancanza di ordini precisi e coordinati tra il comando inglese e quello italiano, le direttive contraddittorie, permisero alle truppe germaniche una veloce avanzata, facilitata, anche, dall’aperto tradimento di una batteria italiana – la 62a, comandata dal capitano di artiglieria Camillo Nasca –, e da una contemporanea e intensissima azione aerea, praticamente incontrastata. In pochissime ore i tedeschi fecero centinaia di prigionieri, mentre altri soldati, sia italiani sia britannici, abbandonavano le proprie postazioni e cercavano scampo sia sui monti sia dirigendosi, con mezzi navali a volte improvvisati, verso le coste turche. Le richieste di aiuto rivolte a Lero e a Cipro, nonostante le numerose promesse, non furono soddisfatte. Nessun mezzo, né nautico né aereo, giunse in sostegno delle truppe di Kos. Alcuni reparti, comandati perlopiù da ufficiali inferiori, tentarono un’accanita resistenza, e spesso furono costretti a cedere per l’esaurimento delle munizioni. Il giovane tenente Franco Di Giovanni, al comando della 12a compagnia mitraglieri stanziata sull’istmo di Cefalo, rifiutò per ben due volte di arrendersi20, e il suo reparto fu l’ultimo a cedere, nel tardo pomeriggio del 4 ottobre. La sera di quel giorno la situazione poteva ormai considerasi pacificata. Sulle truppe italiane che avevano resistito a Kos si affacciava a quel punto lo spettro di Cefalonia, così com’era stato minacciato dagli stessi tedeschi durante le ore di combattimento. Un volantino lanciato sull’isola dagli aerei della Luftwaffe recitava infatti: “ITALIANI, la resistenza che i vostri camerati, per la sconsigliatezza dei loro Comandanti, hanno fatto a Cefalonia e Corfù, contro i soldati tedeschi, è stata infranta decisamente e con perdite sanguinosissime da parte italiana. Anche a Coo, come a Cefalonia e Corfù, le truppe hanno dovuto pagare col sangue la loro vana, inconsulta resistenza”21.
I tedeschi, che persero durante i combattimenti 15 uomini ed ebbero 70 feriti22, ottennero a Kos un ricco bottino in armi, munizioni, mezzi italiani e inglesi. I prigionieri furono ben 4.533, di cui 1.388 inglesi e 3.145 italiani23. Una vittoria facile e un risultato insperato, per loro stessa ammissione24; per gli inglesi, invece, una sconfitta pesante e dalle ingenti conseguenze, prima fra tutte la perdita del controllo sul settore egeo: da Kos, infatti, nel novembre successivo sarebbe partito l’attacco all’importante base di Lero25, e prima di allora sarebbero caduti in mani tedesche numerosi altri presidi minori. Le divergenze tra inglesi e americani riguardo al Dodecaneso, e in generale al Mediterraneo orientale, furono senza dubbio una delle cause principali della sconfitta, e difatti Churchill nelle sue memorie avrebbe parlato delle isole nei termini di “preda sfumata” (Churchill 1979, 629). Tali contrasti portarono all’organizzazione e allo svolgimento di un’operazione affrettata, mal preparata, scarsamente appoggiata e sostenuta, come avrebbe avuto anche modo di notare il colonnello Kenyon in una relazione postbellica26. Si può ipotizzare, in sintesi, che furono proprio le prospettive lumeggiate da Churchill a intimorire Eisenhower e dunque Roosevelt: la conquista del Dodecaneso e dell’Egeo avrebbe potuto portare, come si accennava in precedenza, a una ritirata tedesca da Creta, dalla Grecia e anche dalla penisola balcanica. Questo avrebbe avuto come plausibile conseguenza l’invio delle forze germaniche ritirate da quel fronte su altri settori, come l’Italia e soprattutto la Francia, che gli americani, probabilmente a ragione, consideravano prioritari.
Quindi il Dodecaneso, nei piani complessivi e globali del secondo conflitto mondiale, non venne ritenuto abbastanza importante da meritare un impegno soddisfacente. Neanche gli uomini che, per convinzione, senso del dovere o semplice mancanza di alternativa, lo difesero, furono considerati abbastanza importanti. La conseguenza, per gli inglesi catturati, fu la prigionia, dura ma tutelata dalle convenzioni internazionali. Il destino che attendeva gli italiani, invece, fu immediatamente tratteggiato dallo stesso Churchill: “Dì agli italiani – scrisse a Wilson il 3 ottobre, mentre a Kos si combatteva – quale terribile sorte li attende se cadono nelle mani degli Unni. Saranno fucilati in massa, soprattutto gli ufficiali, e i superstiti saranno trattati non come prigionieri di guerra ma come schiavi lavoratori per la Germania”27.
Gli ufficiali italiani furono infatti considerati traditori. Fin dalla sera del 4 ottobre furono separati dai propri sottoposti, che vennero concentrati nel castello di Kos Town e nel campo di aviazione di Antimachia, e subito impiegati in lavori, malmenati, tenuti a digiuno per giorni e puniti, anche con la fucilazione, per la minima disattenzione o accenno di protesta. Gli ufficiali furono invece divisi in due gruppi e condotti in diverse località dell’isola. Il primo gruppo fu portato nella piana di Linopoti, un’area paludosa all’interno dell’isola; il secondo gruppo fu invece condotto, probabilmente in un momento diverso, prima a Camare e poi nella zona di Lambi, quest’ultima nella parte nord-orientale dell’isola, non lontana da Kos Town. Dal trasferimento furono esclusi alcuni ufficiali, cioè tutti i collaborazionisti della prima ora (il capitano Nasca e il sottotenente Pyerraimond), i due ufficiali della milizia (il centurione Tetro e il capo manipolo Mastoro), i nove ufficiali medici e il tenenze Zucchelli, comandante dei carabinieri di Kos.
Arrivati in dette località, gli ufficiali furono sottoposti a un processo di discriminazione, basato sull’aver partecipato o meno ai combattimenti appena conclusisi. Alcuni riuscirono a dimostrare di non aver preso parte alla battaglia; altri, entrati nelle grazie dei tedeschi, furono esclusi dalla fucilazione; altri ancora si salvarono perché i propri sottoposti si assunsero in modo esclusivo la responsabilità della scelta di lotta. Tuttavia, in alcuni casi, la decisione tedesca fu totalmente arbitraria, e nella lista dei condannati finirono ufficiali veterinari, di mensa, di propaganda, cioè non appartenenti a truppe combattenti. Vi finì anche il tenente Salvatore Coratza, colpevole di non avere voluto consegnare ai tedeschi la bandiera del reggimento, che è oggi conservata al Vittoriano.
Ai non discriminati i tedeschi ordinarono di preparare un bagaglio leggero per la prossima partenza per il continente, il bagaglio che sarebbe stato ritrovato nelle fosse comuni rintracciate a Linopoti nel marzo del 1945.
Nessuno seppe, fino ad allora, che fine avessero fatto gli ufficiali del 10° reggimento “Regina”. Si credeva poco, in effetti, alla versione ufficiale, cioè quella della deportazione nei campi d’internamento, versione sostenuta anche dal capitano Nasca28, che era stato presto nominato dai tedeschi comandante degli italiani tenuti prigionieri sull’isola, in veste di combattenti e perlopiù di lavoratori coatti. È probabile, invece, che Nasca sapesse la verità, e che la sapesse fin dall’ottobre del 1943: a provarlo ci sarebbe la sua ostinata volontà nel proibire, alla popolazione, ai commilitoni, al cappellano Sportoletti o al parroco cattolico Bacheca, di svolgere ricerche nell’area di Linopoti29.
Sicuramente la verità era nota agli inglesi, e allo stesso Churchill, che già il 10 ottobre scriveva di aver saputo che i tedeschi avevano fucilato a Kos “89 ufficiali”30; il giorno successivo era invece il Quartier Generale del Medio Oriente a rincalzare, trasmettendo un comunicato in cui si sosteneva che “circa 100 ufficiali italiani sono stati uccisi a sangue freddo dai tedeschi dopo che si erano arresi a Kos”31.
Le fosse di Linopoti furono scoperte nell’aprile 1944 ma i corpi non poterono essere esumati prima del marzo 1945. I tedeschi, assente momentaneamente Nasca, diedero il permesso a patto che le salme fossero sepolte nel cimitero cattolico senza funzioni religiose, senza pubblicità eccessiva e in una nuova fossa comune, priva di qualsiasi iscrizione32.
I corpi ritrovati furono 66, troppo pochi per appartenere a tutti gli ufficiali presumibilmente fucilati. Le fonti tedesche parlano dell’esecuzione di 89 ufficiali33, così come il comunicato di Churchill, citato in precedenza, del 10 ottobre, mentre il comando mediorientale parla di “circa 100”.
Una delle relazioni del parroco Michelangelo Bacheca, le cui testimonianze scritte sono risultate fondamentali per la presente ricerca, riporta, in base a una rivelazione fattagli da una famiglia di Kos, una cifra molto più bassa, cioè 30. Tuttavia, Bacheca partecipò all’esumazione delle 66 salme ritrovate nel 1945. Provò quindi a darsi una spiegazione: la cifra più alta, 66, corrisponderebbe a quella del primo gruppo, portato a Linopoti e difatti là esumato; i 30 corpi, mancanti, sarebbero quelli degli ufficiali del secondo gruppo, fucilati in una località diversa34. Novantasei vittime, dunque, delle quali solo 66 furono i corpi recuperati. Le 30 salme mancanti non sono però più, a mio parere, considerabili “disperse” da molto tempo, come una certa pubblicistica, anche molto recente, si ostina a sostenere (Bettini 2012). Difatti, presso l’Archivio Storico Diplomatico del ministero Affari esteri è reperibile un documento, risalente al tardo 1946 e pubblicato nel 2010 (Insolvibile), che fa riferimento all’esumazione, “in varie località” dell’isola di Kos, di 30 salme. Il documento in questione è una semplice fattura per lavori eseguiti da una ditta di Rodi dopo la fine della guerra35. La coincidenza numerica con la stima del “secondo gruppo” non può essere casuale.
Stando all’incrocio delle fonti (italiane, tedesche e britanniche), dunque, è anche presumibile che il numero degli ufficiali fucilati a Kos nell’ottobre 1943 sia pari a 96, e non ai 103 che la vulgata più ricorrente sostiene con forza, senza tuttavia fornire prove a sostegno definitive36. In una ricostruzione scientifica è indubbiamente più importante l’individuazione dei “perché” e dei “come”; tuttavia, in una storia come questa, anche l’attenzione ai dettagli meramente quantitativi, pur nella loro fredda e sminuente veste di contabilità, risulta fondamentale.
Delle salme riesumate, gli ufficiali superstiti, il cappellano e il parroco ne riuscirono a identificare tra le 36 e le 4437. Tutti i 66 corpi vennero sepolti in una tomba comune all’interno del cimitero cattolico, e solo alla fine della guerra furono riesumati e portati in Italia.

Il terrore, l’oblio

Il periodo compreso tra la strage degli ufficiali e l’esumazione dei loro corpi, che avvenne poco prima della fine della guerra, corrisponde all’arco temporale che Michelangelo Bacheca descrive come “circa venti mesi [durante i quali] regnò il terrore, la violenza, l’arbitrio”38. I tedeschi instaurarono un durissimo regime di occupazione, attuata con pratiche sistematiche di saccheggio, violenza, sopraffazione. A farne le spese, oltre ai soldati italiani ancora sull’isola, fu la popolazione, colpevole, agli occhi degli occupanti, di aiutare gli italiani – ad esempio nell’organizzazione delle fughe verso la Turchia, ma anche nella fornitura di cibo ai prigionieri detenuti nel castello e nel campo di aviazione – o anche di attuare elementari strategie di sopravvivenza quali il furto di cibo, la difesa da atti di violenza, il possesso di utensili vietati: ad esempio, nel 1944 un contadino fu impiccato con l’accusa di aver tagliato dei fili telefonici solo perché era stato trovato in possesso di una pinza inglese39. Le accuse di intelligenza con il nemico, anche se non comprovate, non risparmiavano, poi, proprio nessuno: una donna incinta fu infatti impiccata con l’accusa di aver trasmesso dei messaggi agli Alleati, e altre due fecero la stessa fine, insieme a un concittadino, pochi giorni prima della liberazione, per aver aiutato italiani, inglesi (appartenenti, probabilmente a missioni del SOE) e, pare, tedeschi, a scappare dall’isola40.
A complicare le cose intervennero gli Alleati, che appena Kos cadde in mano tedesca cominciarono a inviare sull’isola i mezzi aerei che non erano stati disponibili durante i giorni della battaglia. Tuttavia, gli aerei inglesi non portavano aiuto, ma anzi avevano come obiettivo il bombardamento del campo di aviazione, del porto e in generale delle infrastrutture presenti sull’isola. Le prime vittime di tali azioni furono proprio i soldati italiani, detenuti e impiegati dai tedeschi ad Antimachia e nel castello. I bombardamenti inglesi, che avevano lo scopo di impedire ai tedeschi di utilizzare Kos per l’attacco a Lero, non risparmiarono né l’ospedale né le navi che salpavano da Kos con a bordo centinaia di prigionieri italiani diretti nei campi di internamento tedeschi. Numerosissime, perché imbarcate sulle navi in spregio di qualsiasi norma tutelante i prigionieri di guerra, furono le vittime di tali affondamenti41.
I soldati italiani che rimasero a Kos furono costretti, dai tedeschi e dall’accanita propaganda del capitano Nasca, ad aderire in veste di lavoratori o combattenti. Nei primi tempi i collaborazionisti furono in realtà molto pochi, e questo a causa, a detta di un rapporto britannico sulla situazione complessiva, dell’“indifferenza generale, [delle] contraddizioni negli ordini dati alle forze armate italiane, [del] giuramento al comando supremo germanico e non alle forze armate repubblicane italiane”42. È probabile, tuttavia, che a pesare fossero anche la sconfitta nella battaglia appena conclusa, la durezza del regime di occupazione, la fedeltà al proprio, e legittimo, governo.
In seguito, tuttavia, dato che la mancata adesione comportava quasi automaticamente la deportazione, e quindi il rischio di naufragio, e l’affamamento43, gli italiani furono costretti a cedere. Il capitano Nasca fu il principale responsabile del collaborazionismo italiano a Kos, e non solo si distinse per il suo acceso filo nazismo, ma provvide anche a ostacolare e danneggiare in ogni modo i propri connazionali, ad esempio denunciando ai tedeschi i tentativi di fuga, e provocandone così la fucilazione. Finita la guerra sarebbe stato denunciato per alto tradimento e detenuto, per un certo periodo, nel carcere militare di Palermo. Dopodiché se ne sono perse le tracce: con ogni probabilità il capitano poté beneficiare dell’amnistia del 1946.
Nell’estate del 1944, mentre i tedeschi si apprestavano a ritirarsi dalla penisola balcanica, tutti gli ebrei del Dodecaneso furono rastrellati e deportati. Da Kos ne partirono 51(Picciotto Fargion 2002), e la piccola comunità che viveva nell’isola da secoli scomparve per sempre. Di lì a poco le isole furono dichiarate “fortezze assediate”, e i tedeschi le occuparono fino alla resa definitiva, nel maggio 1945. Gli Alleati non avevano, a quel punto, fretta di impadronirsi del Dodecaneso, considerando i tedeschi là assediati prigionieri “self-fed” e “self-guarded”44.
Il Dodecaneso fu amministrato militarmente dai britannici fino al Trattato di Pace del 1947, quando l’Italia cedette le isole alla Grecia in segno di “riconciliazione” per la brutale aggressione del 1940. Gli italiani che abitavano Kos, Rodi e le altre località furono costretti a optare per una delle due nazionalità, e perlopiù si trasformarono in profughi diretti in Italia, un paese che la maggioranza di loro non conosceva, e che li avrebbe immediatamente dimenticati in favore di altri profughi, più “sfruttabili” politicamente nel mondo diviso a metà dalla guerra fredda.
La notizia della strage degli ufficiali fu sepolta, insieme a tante altre, nel famigerato “armadio della vergogna”, e nessuno pagò mai, né venne cercato, per ciò che era successo a Kos nell’ottobre 1943 e nel periodo successivo. Tutti i protagonisti di questa storia, le vittime come i carnefici, furono volutamente dimenticati, e Kos divenne velocemente ciò che è oggi, una meta di viaggio ambita da italiani, tedeschi e inglesi, turisti troppo spesso superficiali e quasi sempre inconsapevoli.

Biografia

Isabella Insolvibile (Napoli, 1978) è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Membro del Consiglio Direttivo dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, dell’Antifascismo e dell’Età Contemporanea “Vera Lombardi” (Napoli), dal 2010 collabora alle attività didattiche della cattedra di Storia Contemporanea presso le facoltà di Lettere e Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli. Tra il 2005 e il 2008 è stata borsista della Scuola Superiore di studi di Storia contemporanea dell’Istituto nazionale per la Storia del movimento di Liberazione in Italia (Milano), per il quale ha condotto una ricerca relativa a Kos. È autrice di numerosi saggi relativi alla resistenza militare e alla prigionia di guerra, tra i quali si segnalano Kos 1943-1948. La strage, la storia (Edizioni Scientifiche Italiane, 2010) e il recente Wops. I prigionieri italiani in Gran Bretagna (1941-1946), (Edizioni Scientifiche Italiane, 2012).

Biography

Isabella Insolvibile is researcher at University of Naples “Federico II”. Member of the Directive Counsil of Campania’s Institute of History of Resistance, Antifascism and Contemporary Age “Vera Lombardi” (Naples), since 2010 she collaborates in the works of the tenure of Contemporary History in the departments of Literature and Law at the Second University of Naples. From 2005 to 2008 she was grant holder of the High School for the Studies of Contemporary History at National Institute for the History of the Italy’s Liberation Movement (Milano), for which she led a research concerning Kos. She published several essays concerning military resistance and war confinement, among which they highlight Kos 1943-1948. La strage, la storia (Edizioni Scientifiche Italiane, 2010) and the new Wops. I prigionieri italiani in Gran Bretagna (1941-1946), (Edizioni Scientifiche Italiane, 2012).

 

Bibliografia

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2011                Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani 1940-1945, Bologna, Il Mulino.

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2005, 2008      Le guerre italiane 1935-1943. Dall’impero d’Etiopia alla disfatta, Torino, Einaudi.

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2000                La vendetta tedesca 1943-1945: le rappresaglie naziste in Italia, Milano, Mondadori. 

 

Siti consigliati

http://www.youtube.com/watch?v=bZy9fahP3d8:

la Deutsche Wochenschau riguardante lo sbarco tedesco a Kos

www.dodecaneso.org:

sito relativo alla storia del Dodecaneso contenente interessante materiale documentario e fotografico

  1. Un ottimo quadro della questione del Dodecaneso nel panorama internazionale del periodo precedente la Grande guerra, e dell’interesse di lungo periodo della Gran Bretagna nei confronti delle isole, è in Bosworth (1970) []
  2. Aussme, cart. 2129 B/1/17, Ten. C. Taberini, Relazione sugli avvenimenti svoltisi nell’isola di Coo (Egeo) dopo l’8 settembre 1943, 6 novembre 1945. []
  3. NA, HS 5/714, Dodecanese Islands, Kos, “Arabic”, s.d. []
  4. Aussme, cart. 2129 B/4/11, Cap. M. Floccia, Relazione sul combattimento contro i tedeschi avvenuto nei giorni 3 e 4 ottobre nell’isola di Coo (Egeo), s.d. []
  5. Aussme, cart. 2129 B/4/11, Cap. M. Floccia, Relazione sul combattimento contro i tedeschi avvenuto nei giorni 3 e 4 ottobre nell’isola di Coo (Egeo), s.d. []
  6. Aussme, Co.Re.M.It.E, IV settore, doc. 230, Gruppo Tattico Müller, Resoconto di guerra sull’occupazione dell’isola di Coo. Operazione “Eisbär”, 13 dicembre 1943. []
  7. Cfr. ad esempio NA, CAB 79/65, War Cabinet, Chiefs of Staff Committee, Resoconto, 30 settembre 1943. []
  8. Cfr. ad esempio NA, AIR 8/875, Messaggio del Segretario di Stato per gli Esteri a Churchill, 12 ottobre 1943. []
  9. Le fonti tedesche dell’epoca distinguono le isole tra “occupate dagli alleati”, “occupate dagli italiani” e “occupate dalle bande”, e considerano Kos “occupata dagli inglesi”: BA-MA, RH 19 VII/12, “Tagesmeldung” dell’Oberkommando Heeresgruppe E, 30 settembre 1943. []
  10. Aussme, Co.Re.M.It.E, IV settore, doc. n. 170, proveniente da NA, WO 106/3145, Col. Kenyon, “Narrative of THE COS OPERATION, 1943”, s.d. []
  11. Aussme, Co.Re.M.It.E, IV settore, doc. n. 170, proveniente da NA, WO 106/3145, Col. Kenyon, “Narrative of THE COS OPERATION, 1943”, s.d. []
  12. Aussme, Co.Re.M.It.E, IV settore, doc. n. 170, proveniente da NA, WO 106/3145, Col. Kenyon, Narrative of the Cos Operation, 1943, s.d. []
  13. Aussme, cart. 2129 B/4/11, Cap. M. Floccia, Relazione sul combattimento contro i tedeschi avvenuto nei giorni 3 e 4 ottobre nell’isola di Coo (Egeo), s.d. []
  14. NA, PREM 3/3/7, Messaggio in cifra di C.-in-C. Middle East a War Office, 27 settembre 1943. []
  15. Rogers (2003) stima che fossero presenti nell’area, a inizio ottobre, ben 362 velivoli tedeschi contro la “manciata” di spitfires presente a Kos. []
  16. Cfr. un appunto vergato a mano conservato nella documentazione relativa all’Oberkommando dell’Heeresgruppe E presso BA-MA, RH 19 VII/10, 1.7-31.12.1943, 1.9.-31.10.1943. Cfr. anche, ivi, il “Tagesmeldung” dell’Oberkommando Heeresgruppe E del giorno 20 settembre 1943. []
  17. BA-MA, RH 26-22/54, Anlage zum “Kriegstagebuch” Nr. 13, 3.8 – 18.12.1943, Befehl für die Inbesitznahme von Coo […] Stichwort für das Unternehmen “Eisbär”, 29 settembre 1943. []
  18. Aussme, Co.Re.M.It.E, IV settore, doc. 230, Gruppo Tattico Müller, Resoconto di guerra sull’occupazione dell’isola di Coo. Operazione “Eisbär”, 13 dicembre 1943. []
  19. Aussme, cart. 2129 B/4/8, S.Ten. E. Aiello, Relazione, 6 ottobre 1945. []
  20. Aussme, cart. 2129 B/4/3, Cap. M. Squeo, Relazione, s.d. []
  21. Aussme, cart. 2129 B/4/11, Cap. M. Floccia, Relazione sul combattimento contro i tedeschi avvenuto nei giorni 3 e 4 ottobre nell’isola di Coo (Egeo), s.d., allegato. []
  22. BA-MA, RM 7/53, “Kriegstagebuch” der Seekriegsleitung 1.10-31.10.1943, 5 ottobre 1943. []
  23. Aussme, Co.Re.M.It.E., IV settore, doc. n. 193, proveniente da PRO, WO 106/3146, Magg. H. Vaux, Report on operation on Cos island on 3 October 43, 20 ottobre 1943; BA-MA, RH 26-22/55, 1.10.1943-3.2.1944, Gen. F.W. Müller, Gefechtsbericht über die Einnahme der Insel Coo. Unternehmen “Eisbär”, Samo, 13 dicembre 1943. []
  24. Aussme, cart. 2129 B/4/7, Ten. D. Zucchelli, Breve relazione sulla occupazione militare dell’isola di Coo – Egeo da parte delle truppe d’assalto del Gen. Federico Guglielmo Mueller, 4 aprile 1946. []
  25. Cfr. ad esempio BA-MA, RM 35 III/63, “Kriegstagebuch” Marinegruppenkommando Süd, 1.10 – 15.10.1943, 2 ottobre 1943. []
  26. Aussme, Co.Re.M.It.E, IV settore, doc. n. 170, proveniente da PRO, WO 106/3145, Col. Kenyon, Narrative of THE COS OPERATION, 1943, s.d. []
  27. NA, PREM 3/3/7, W. Churchill, Telegramma, 3 ottobre 1943. []
  28. Aussme, cart. 2129 B/4/18, Cap. C. Nasca, “Lettera a Matilde Gay”, 29 luglio 1944. In questa lettera alla fidanzata del sottotenente Franco Bosio, Nasca scriveva: “Riguardo il vostro fidanzato posso dirvi che dopo alcuni giorni, dopo (sic) l’occupazione, è partito assieme a tutti gli altri ufficiali per la Grecia per essere, a sua volta, concentrati in Germania. Null’altro posso dirvi e mi meraviglio come non vi abbia mai scritto. […] State tranquilla soprattutto. Il fatto che è in vita è già tanto per voi”. []
  29. Aussme, cart. 2129 B/4/11, P. M. Bacheca, L’azione italiana nell’isola di Coo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, aprile 1946; Aussme, cart. 2129 B/4/8, S.Ten. E. Aiello, Relazione, 6 ottobre 1945. []
  30. NA, PREM 3/3/9, W. Churchill, Lettera a F.D. Roosevelt, 10 ottobre 1943. []
  31. Aussme, Co.Re.M.It.E, IV settore, doc. 12, Telegramma, 11 ottobre 1943. []
  32. Aussme, cart. 2129 B/4/11, P. M. Bacheca, Lettera (destinatario sconosciuto), 12 ottobre 1945. []
  33. BA-MA, RM 35 III/63, “Kriegstagebuch” Marinegruppenkommando Süd, 1.10 – 15.10.1943, 7 ottobre 1943; BA-MA, RH 19 VII/10, “Kriegstagebuch” Nr. 1 des Oberkommando Heeresgruppe E Südost 1.7-31.12.1943, 1.9.-31.10.1943. Al numero di 89 va probabilmente aggiunta una vittima, Leggio, come deduce G. Schreiber (2000). Il “Kriegstagebuch” del Marine-Gruppen-Kommandos Süd parla di 81 ufficiali fucilati più il comandante: cfr. BA-MA, RM 7/116, Jan 1943-Nov. 1944. []
  34. Aussme, cart. 2129 B/4/11, P. M. Bacheca, L’azione italiana nell’isola di Coo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, aprile 1946. []
  35. Archivio Storico Diplomatico ministero Affari esteri, Serie Affari politici 1946-50, Dodecaneso b. 1, fasc. 6, A. Macchi, Messaggio al ministero Assistenza post-bellica, Rodi, 3 dicembre 1946, con allegata la fattura per i lavori di esumazione e lo specchio riepilogativo. []
  36. Per la ricostruzione dettagliata e approfondita del numero delle vittime, e per l’elenco nominativo dei fucilati, rimando al mio libro (Insolvibile 2010, 110-122, 257-260). []
  37. Le fonti sono discordi sia per ciò che riguarda il numero degli identificati sia per ciò che concerne la loro identità. Cfr. le relazioni Aiello, Avallone, Bacheca, Santini, Gianazzi, De Niro in Aussme cart. 2129 B/4/4, 5, 8, 11, 14, 17. []
  38. Aussme, cart. 2129 B/4/11, P. M. Bacheca, L’azione italiana nell’isola di Coo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, aprile 1946. []
  39. Aussme, cart. 2129 B/4/11, P. M. Bacheca, L’azione italiana nell’isola di Coo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, aprile 1946. []
  40. Aussme, cart. 2129 B/4/11, P. M. Bacheca, L’azione italiana nell’isola di Coo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, aprile 1946. []
  41. Per la trattazione dettagliata della questione delle deportazioni da Kos, rimando al mio libro (Insolvibile 2010, 131-141). []
  42. NA, HW 13/54, The German Situation in the Aegean Islands (Since the fall of Leros on 16.11.43), 14 marzo 1944. []
  43. Il caporalmaggiore Pasquale Paliotta avrebbe scritto che “si cadeva dalla fame e da malattie”. Aussme, cart. 2129 B/4/18, Capor. magg. P. Paliotta, Dichiarazione, 16 novembre 1945. Il cappellano Sportoletti avrebbe confermato le tattiche dell’arruolamento “per fame”: Aussme, cart. 2129 B/1/16, Cm. O. Sportoletti, Relazione, 7 gennaio 1946. []
  44. NA, FO 371/48342, Messaggio da Ankara al Foreign Office, 27 febbraio 1945. []