di Elena Musiani
I due volumi curati da Maria Canella e Paola Zocchi si inseriscono nella serie “Memoria e scrittura delle donne” in Lombardia e sono frutto, come sottolinea Maria Luisa Betri nella Prefazione, del lavoro di un’équipe di storici, archivisti e bibliotecari il cui scopo principale è stato quello di far emergere la molteplicità delle sfaccettature dell’“identità femminile” in area Lombarda tra età moderna e contemporanea.
In occasione della presentazione della reti degli archivi femminili, alcuni anni fa, Linda Giuva poneva il quesito: “esiste una specificità degli archivi femminili?”. L’interrogativo sorgeva da una giustificata difficoltà di rilevare una significativa presenza di archivi di donne sul territorio nazionale. (Linda Giuva, Archivi neutri archivi di genere: problemi di metodo e di ricerca negli universi documentari, in Reti della Memoria. Censimento di fonti per la storia delle donne in Italia, a cura di Oriana Cartaregia e Paola De Ferrari, Genova, Algraphy, 1996, p. 33)
Nel corso di tutta l’età moderna, e anche per la maggior parte del XIX secolo, i documenti “prodotti e ricevuti” dalle donne nel corso della loro vita erano di fatto conservati all’interno degli archivi familiari, i cui inventari, peraltro, ne avevano spesso taciuto o trascurato l’esistenza. Si trattava per la maggior parte di carte personali, quali lettere, diari e memorie, che riflettevano la posizione privata delle donne, cui non era permesso di avere una professione (se non in quanto moglie o vedove) e che erano quindi costrette a vivere un’esistenza privata all’interno delle pareti domestiche. A partire dal Novecento, secolo che ha progressivamente assistito all’affermarsi di una soggettività femminile e anche di un ruolo pubblico della stessa, si è assistito a una moltiplicazione degli archivi di donne, le quali tuttavia spesso dimostravano scarsa consapevolezza della rilevanza delle loro carte per la costruzione di una memoria al singolare o al plurale.
Dunque la specificità degli archivi femminili è derivata dalla “minore attitudine delle donne a documentare il proprio presente perchè diventi memoria storica” (Ibidem).
Da qui la necessità di riscoprire e recuperare una memoria al femminile e i volumi curati da Maria Canella e Paola Zocchi si inseriscono in questa prospettiva e ce ne restituiscono un quadro ricco e articolato.
Nati dallo sviluppo di un’ormai consolidata storiografia che ha posto al centro gli studi sulla scrittura e sulla sociabilità femminile in età moderna e contemporanea, e dalla necessità di far emergere una ricchezza di interventi in ambito sociale, i due volumi hanno avuto come metodo di lavoro quello di ricercare, e conseguentemente far emergere, le diverse “forme primarie di scrittura” delle donne quali: “corrispondenze di carattere privato, diari, autobiografie, memorialistica” (p. XVII). Rappresentano dunque “i risultati di un censimento delle scritture femminili e dei documenti relativi alla storia delle donne presenti in tutti gli archivi e le biblioteche milanesi aperti al pubblico” (p. XVII) per un complesso di 29 enti conservatori.
Le curatrici si sono proposte di “censire e rilevare in modo capillare negli archivi milanesi (fondo per fondo, busta per busta) non solo le carte autografe delle donne, ma anche la corrispondenza ad esse indirizzata e in generale la documentazione che le riguarda (patrimoniale, giudiziaria, professionale, o clinica)” (p. XVIII).
Interessante poi la scelta di censire anche le carte non autografe, capaci, come sottolineano le curatrici, “di far emergere una serie di figure altrimenti invisibili e silenti: dalle ammalate in cura presso i medici condotti alle indagate per crimini diversi, dalle esposte alle levatrici, dalle donne chiamate a testimoniare durante i processi politici alle alunne iscritte al Conservatorio di musica” (p. XVIII).
Il risultato è un ampio e complesso repertorio femminile che contribuisce a rafforzare l’idea ormai consolidata, anche dalla recente storiografia, di una ricca presenza femminile, che, nel corso del XIX secolo, non si limitò ad animare i salotti delle case aristocratiche, ma attraversò spazi molto più ampi e differenziati; una ricerca che consente e consentirà di approfondire ulteriormente le diverse tematiche di studio di genere.
Da una lettura attenta dei singoli fondi archivistici traspaiono non solo le vicende biografiche dei singoli personaggi femminili ma anche le loro reti di relazioni, messe in evidenza in particolare grazie al censimento dei carteggi e dei tanti corrispondenti a livello “nazionale”, ma anche “internazionale”.
Numerosi sono gli spunti di ricerca suggeriti anche dalle curatrici nella ricca introduzione: in primo luogo le notizie anagrafiche e familiari, recuperabili dagli archivi notarili e in particolare dai testamenti, ma anche dai distinti archivi ecclesiastici. Interessante poi la presenza femminile che emerge dalle ricognizioni dei diversi archivi e raccolte private: dai ricchi fondi familiari e personali a quelli più specifici come l’archivio Ricordi o la collezione di autografi dell’archivio del Teatro alla Scala.
Sul piano della presenza pubblica delle donne l’aspetto preminente risulta essere l’intensa attività femminile in ambito assistenziale, come evidenziano le ricognizioni delle carte delle singole istituzioni assistenziali; degli archivi ospedali e delle congregazioni di carità, ma anche degli orfanotrofi, in particolare: il Consiglio degli orfanotrofi, il Pio Albergo Trivulzio; il Pio Istituto di Santa Corona fra gli altri.
Per quello che riguarda la presenza femminile nel mondo professionale e dei mestieri, interessanti sono gli archivi conservati nel fondo del Senato politico sulla Pubblica Istruzione: una documentazione che “comprende carte relative a collegi, conservatori, biblioteche, università e seminari” e che quindi permettono di valutare le dimensioni e le caratteristiche dell’accesso delle donne a una qualche forma di istruzione. Su un piano differente, ma non meno interessante, gli archivi delle singole scuole, utili per ricostruire, ad esempio, gli itinerari delle prime istitutrici e delle maestre (p. 171).
Per la presenza femminile nei singoli mestieri invece, fondamentale rimane l’archivio della Camera di Commercio di Milano, che rivela l’esistenza, per il periodo indagato, di modiste, guantaie, merlettaie, ma anche di donne capaci di gestire “commerci”, quali ad esempio macellerie o salsamenterie. Altrettanto interessanti le fonti quantitative recuperabili attraverso gli archivi catastali, ma anche e soprattutto grazie ai libri mastri dei libretti di risparmio aperti presso la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde.
Non vanno poi dimenticate gli archivi che rivelano la presenza delle donne nella vita religiosa, ma anche in quella del mondo delle arti (teatro, musica, pittura, scrittura, per citarne solo alcune).
Per indagare la presenza femminile o il ruolo svolto dalle donne nelle vicende politiche della prima metà del XIX secolo interessante si rivela il fondo dei Processi Politici conservato presso l’Archivio di Stato: qui sono conservati ad esempio le richieste di salvacondotti per familiari implicati durante la stagione risorgimentale e i registri della perquisizione delle singole case e infine le annotazioni sulle principali “protagoniste” del “Risorgimento al femminile in area lombarda”; non stupisce quindi di ritrovare tra gli altri i nomi di Bianca Milesi; Teresa Berra Kramer; Cristina Trivulzio di Belgiojoso; Maddalena Bignami.
Dall’analisi generale dei due volumi a emergere in modo particolare è l’enorme presenza di carte ed archivi, se si considera inoltre il breve arco cronologico preso in considerazione: 1814-1859. Da qui l’importanza del ricco indice dei nomi che completa il lavoro e che è strumento fondamentale per ogni ricercatore.
Un’opera, quella curata da Canella e Zotti, che si presenta come una “prima ricostruzione virtuale degli archivi delle donne” (p. XIX) e che sicuramente, per chi si occupa di storia delle donne in area lombarda, si rivela uno strumento di lavoro indispensabile. Un’opera tuttavia che diventa fonte di interrogazione anche per chi agisce in aree geografiche diverse come suggerimento di luoghi “distinti” di ricerca e come spunto per ricercare nuovi soggetti di studio.