di Giuseppe Masetti
Tra le fonti iconografiche che possono ancor meglio illuminare gli anni della Grande Guerra con approcci sempre più documentati verso gli apparati della società di massa vale la pena di osservare un’imponente collezione di cartoline postali illustrate, giunte da poco tempo nella disponibilità del Museo “Francesco Baracca” di Lugo.
Si tratta di un corpus di ben 2906 cartoline di propaganda raccolte nel corso di alcuni decenni dallo scrittore ravennate Eraldo Baldini, in continuità con l’azione intrapresa dal nonno paterno, fante combattente Enrico Baldini e grande invalido di guerra, che aveva iniziato a collezionarle subito dopo la fine del conflitto.
Acquisite in occasione del recente riallestimento dal più autorevole museo specifico della Grande Guerra in Emilia-Romagna, le cartoline sono state poi affidate all’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea di Ravenna per lo studio e la catalogazione ed ora sono tutte consultabili on-line sul sito http://ibc.regione.emilia-romagna.it/ dedicato al Catalogo del patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.
L’Ibacn regionale, oltre a contribuire in maniera decisiva all’acquisizione pubblica, ha recentemente promosso, nella sua collana dei Cataloghi dei Musei un ricco volume illustrato che riproduce fedelmente oltre settecento esemplari di quelle cartoline.
L’opera è introdotta da saggi importanti come quello di Serena Sandri, responsabile della schedatura e curatrice del volume insieme a Patrizia Tamassia, di Fabio Caffarena sulla scrittura popolare dalle zone di guerra, di Irene Guerrini e Marco Pluviano sull’analisi comparativa in ambito europeo dei soggetti illustrati nelle cartoline, di Orlando Piraccini sugli artisti che vi misero mano, di Patrizia Foglia e Andrea Bianchi sui temi iconografici del consenso maggiormente in voga durante il conflitto.
Diverse dalle cartoline reggimentali e da quelle prodotte a milioni per favorire le campagne del Prestito Nazionale, che in formato gigante avrebbero poi tappezzato i muri delle città, questi esemplari in piccolo formato di 9 x 14 cm. si ritrovano presenti anche in altre raccolte museali del Triveneto, ma non in numero tale da consentire una lettura più accurata e trasversale, relativa ai sistemi produttivi, alla committenza istituzionale e alla fruizione di massa cui diedero luogo.
In particolare questi brevi messaggi seriali rappresentano al meglio il discorso pubblico degli apparati governativi e dello Stato Maggiore dell’Esercito, impegnati, ancor prima dell’ingresso in guerra, a spostare consensi verso la scelta interventista, l’arruolamento di massa, la faticosa militarizzazione totale del Paese e la demonizzazione del nemico, che era stato nostro alleato per oltre vent’anni.
Nel tempo, e specialmente dopo Caporetto, altri messaggi patriottici sarebbero stati veicolati da questa alluvione iconografica, ma sarà utile valutarli in relazione ai tempi e alle declinazioni imposte dall’andamento della guerra.
Fin dagli ultimi giorni del maggio 1915 fu ben chiaro al Presidente del Consiglio Antonio Salandra che una scelta forzata come quella dell’ingresso in guerra andava accompagnata da una vasta mobilitazione popolare a favore dell’intervento, in grado di ricompattare il Paese lacerato dagli scontri, nobilitando gli interessi di fondo con una religione patriottica utile a contrastare l’opinione dei partiti popolari.
Scriveva infatti in quei giorni Salandra a tutti i parlamentari, e quindi all’intera nazione, che occorreva “stringere in un sol cuore tutta la Nazione, e far veramente della Nazione, nell’ora del grande cimento, una sola famiglia” giacché al di là della chiamata alle armi, che avrebbe mobilitato quasi 6 milioni di giovani, occorrevano apporti e fiducia anche da parte di quelle famiglie “che l’esercito e l’armata lasciano dietro di loro in tutte le terre del bel paese”.
Nacque così, a fianco degli organismi istituzionali preposti allo sforzo economico e bellico, quella galassia di organizzazioni volontarie, di civili e nobildonne, che raccoglievano fondi e allestivano spettacoli a favore dei militari al fronte, dei mutilati, degli orfani e delle vedove, affinché il costo e i lutti della guerra fossero assorbiti senza pericolosi rivolgimenti politici.
E le cartoline di propaganda furono spesso il gadget utilizzato per riscontrare i sovventori di tali manifestazioni.
Si sviluppava di conseguenza nell’intero Paese quella società dei comitati, come la Lega Nazionale delle Seminatrici di coraggio, l’Unione generale degli Insegnanti per la Guerra nazionale, o l’Opera nazionale per lo Scaldarancio, solo per citarne alcuni, che, oltre all’esercito, avrebbero commissionato la stampa di numerose cartoline illustrate da distribuire ad ogni occasione.
Dapprima i messaggi illustrati ebbero il compito di demolire le posizioni della neutralità, facendola apparire come una debolezza nazionale di cui vergognarsi e un tradimento della nostra storia risorgimentale. In seguito si orientarono a celebrare una generale concordia nazionale verso l’impresa bellica, quando eravamo l’unico Paese che entrava in guerra contro il parere del proprio Parlamento.
Ma la vera circolazione di massa di queste cartoline assunse proporzioni immani col passare dei mesi e con l’impellente necessità dei soldati di scambiare messaggi con le proprie famiglie. Stampate in quantità industriale esse venivano inizialmente distribuite al fronte senza spese per i soldati, nella misura di tre alla settimana. Più tardi, a partire dal luglio 1916 si giunse ad una offerta quasi giornaliera delle cartoline che, una volta scritte sul retro, avrebbe veicolato notizie personali insieme a messaggi rassicuranti dal fronte.
Per lo Stato Maggiore era quanto di più gradito e controllabile si potesse auspicare da parte delle migliaia di soldati poco avvezzi alla scrittura. In un paese per metà ancora analfabeta l’immagine riprodotta sul recto conteneva già la rappresentazione eroica e patriottica del conflitto che si intendeva promuovere.
La progressiva diffusione su vasta scala di una prodotto di stampa a colori, iniziata nei primi anni del secolo, si saldava ora con un nuovo bisogno di massa di intensificare i messaggi in tempi pericolosi e con la necessità di Stato nel promuovere una retorica nazionalista, affidata più alle immagini e agli slogan in sovraimpressione che ai discorsi argomentati.
Mentre i quotidiani raddoppiavano le loro tirature con le notizie ufficiali sulla guerra a beneficio di ristrette élites borghesie, e grandi poster di propaganda invadevano tutti gli spazi pubblici, le piccole cartoline illustrate penetravano gli ambiti del privato, si aggiungevano a ritratti fotografici familiari e santini devozionali per costruire un’emotività patriottica fino ad allora sconosciuta alle classi popolari di questo paese.
Dopo aver sostenuto l’intervento militare sotto la guida dei Savoia, l’assistenza ai soldati e la mobilitazione totale, nell’estate del 1917 la quantità dei messaggi veicolati dalle cartoline si intensificò ulteriormente allorché il Primo Ministro Boselli affidò al deputato Ubaldo Comandini la presidenza delle Opere Federate di Assistenza e Propaganda Nazionale che, insieme all’Ufficio Stampa e Propaganda dovevano controllare i sentimenti e le tracce del cosiddetto fronte interno.
I soggetti produttori si moltiplicarono fino a superare le 150 provenienze; impegnando oltre 320 autori diversi fra grafici, pittori, cartellonisti, incisori e caricaturisti, tra i quali spiccano i nomi di Dudovich, Mauzan, Golia, Bertiglia, Rubino, Codognato, Sacchetti e Brunelleschi, i cui lavori erano spesso affiancati da frasi epiche tratte dalla letteratura risorgimentale.
Negli ultimi quindici mesi di guerra si andarono affinando i messaggi indirizzati a precise categorie della popolazione, come gli inviti rivolti ai bambini per indurli al risparmio delle materie prime e alle mogli a casa perché garantissero un’attesa fedele o spronassero i soldati per proteggerle dal nemico, barbaro e invasore.
La ricca collezione Baldini, ordinata dall’autore in sette album diversi, suddivide temi e stagioni di una moderna produzione di massa che rappresentò per l’epoca la più grande campagna di propaganda vissuta dalla nostra giovane nazione.
Il primo album contiene i vari e primordiali aspetti di quella comunicazione, con i brevi messaggi di testo incorniciati dal tricolore, gli appelli all’appartenenza italiana e l’assimilazione di austriaci e tedeschi all’archetipo dell’Unno. Non mancano le speculazioni propagandistiche come le immagini dedicate alla fucilazione della crocerossina inglese Edith Cavell, ingiustamente accusata di spionaggio dai tedeschi o il falso mito dei bambini del Belgio, ai quali si diceva che i tedeschi mozzassero le mani per rappresaglia.
Il secondo album intitolato “In zona di guerra” rappresenta in atteggiamenti dinamici i vari reparti dell’esercito italiano, che da qualche anno utilizzava la nuova uniforme grigio-verde al posto dell’azzurro sabaudo, per generare tranquillità e senso di protezione fra i civili.
Sono frequenti le allegorie delle nazioni per indicare i due opposti schieramenti, dell’Intesa da una parte, e degli Imperi Centrali dall’altra, con molte immagini ispirate ai giornali di moda per rappresentare con abiti folcloristici e belle signorine tutti i Paesi coinvolti nel conflitto.
Il terzo album è tutto dedicato a “Ironia e satira” cioè alle caricature degli imperatori nemici e agli stereotipi popolari dei soldati da combattere. Sono le prime apparizioni su vasta scala di questo genere di comunicazione politica ma, benché la banalizzazione dello scontro faccia leva sempre sui luoghi comuni, è indubbia l’efficacia del messaggio rimasto a lungo nell’immaginario dei modesti soldati che non avevano conoscenza diretta dei popoli europei.
Il quarto album è dedicato soprattutto alle rappresentazioni irredentistiche di Trento e Trieste che anelano alla ricongiunzione, al culto del tricolore, di una sensuale Italia turrita, al mito del sacrificio e delle crocerossine onnipresenti.
Il quinto album è tutto incentrato sulla sacralità della famiglia, fonte di conforto e di coraggio, dove anche i bambini più piccoli diventano latori di messaggi patriottici.
Nel sesto album prevale un’ intonazione mistica, con la presenze di temi religiosi a supporto della causa bellica, e di serie complete, particolarmente preziose, come le 100 opere in bianco e nero dell’illustratore olandese Louis Remaekers o dei 36 dipinti di Tommaso Cascella intitolata “IV Guerra per l’Indipendenza italiana”.
Infine l’ultimo album è dedicato alle undici firme più note degli illustratori che parteciparono a questa campagna propagandistica, pur provenienti da settori diversissimi della comunicazione, a riprova del generale coinvolgimento raggiunto durante lo sforzo bellico.
L’ampiezza dei temi messi in campo, insieme alla qualità artistica e alla quantità degli esemplari fatti circolare, malgrado l’enfasi retorica che li pervade, riuscirono a fissare nell’immaginario collettivo una sorta di contro-rappresentazione mitizzata ed epica del conflitto che, in mancanza di realistici reportage fotografici, costruì un riferimento importante del sentimento nazionale, spesso riacceso nei decenni successivi della nostra vita politica.