Andrea Ragusa, Alle origini dello Stato contemporaneo Politiche di gestione dei beni culturali e ambientali tra Ottocento e Novecento Milano, Franco Angeli, 2011, pp. 268

di Alberto Malfitano

Mancava, nel panorama degli studi sui Beni culturali italiani, un’opera che riassumesse le vicende storiche che hanno fornito un primo quadro legislativo alla loro gestione, una impostazione che poi è stata ereditata giungendo in buona misura fino a oggi. Andrea Ragusa lo ha fatto con questa ricerca assai documentata, che prende le mosse dal dibattito che ha portato ai primi provvedimenti di legge e giunge alle soglie dell’Italia repubblicana. Viene affrontato quindi quel periodo, lungo qualche decennio, che va da fine Ottocento all’immediato periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, assai ricco di iniziative, discussioni, progetti spesso non andati a buon fine, leggi effettivamente approvate, il tutto preceduto da un azzeccato capitolo introduttivo che individua il vero nesso della questione: l’affacciarsi di una preoccupazione legata alla conservazione delle vestigia del passato come emblema della moderna civiltà borghese trionfante a fine Ottocento, e della sua attenzione inedita per la storia della nazione, ansiosa di ritrovare nelle proprie radici la legittimazione da offrire sia alle classi dirigenti sia alle masse sempre più protagoniste di quell’epoca. È infatti in età postunitaria, scrive Ragusa, che la classe politica italiana si pone il problema di organizzare un sistema di gestione dei monumenti, nello sforzo di “conferire senso identitario allo Stato ed alla comunità nazionale”. Viene allora proposta al lettore l’analisi critica di ciò che il fervido dibattito sorto su questi temi produsse a livello di discussioni parlamentari e disegni di legge, spesso, come si può immaginare, perdutisi poi nei meandri della vita parlamentare; ma anche le prime concrete realizzazioni, a cavallo del nuovo secolo, a partire dalla nascita delle Soprintendenze e dalla prima legge – assai controversa – che affrontava la questione della tutela non solo dei monumenti, ma dei Beni ambientali, come la pineta di Ravenna. Era l’inizio di un’azione legislativa che in età giolittiana conosceva una forte affermazione, come espressione dei timori di una fetta crescente della classe dirigente nazionale per la modernità industriale e capitalistica che si affermava – seppur a macchia di leopardo – nel paese. Quello che era il “volto amato” dell’Italia, quella somma di caratteristiche fisiche della penisola, che anche fenomeni sportivi come il Giro d’Italia o enti come il neonato Touring club cercavano di raccontare agli italiani, rischiava di perdersi o essere modificato per sempre, e ciò favorì il crescere della spinta alla tutela. Intellettuali come Adolfo Venturi, politici come Luigi Rava, accanto a tanti altri personaggi, furono gli animatori della spinta verso la tutela, che negli anni precedenti la Grande guerra conseguì risultati importanti. Basti pensare alla costruzione di un sistema di gestione delle Belle arti, o alla legge Rosadi-Rava del 1909.

Attraverso la documentata ricerca di Andrea Ragusa, attenta anche alle importanti suggestioni provenienti dall’estero, che molti nostri legislatori conoscevano bene, è possibile seguire l’evoluzione del tema della gestione pubblica dei Beni culturali dalle fasi della loro concettualizzazione lungo le età politiche del Regno d’Italia, comprendendo quindi anche il fascismo. D’altronde, come giustamente suggerisce il titolo, lo Stato è il protagonista di questa storia, con la sua onnipresenza e la necessità di codificare il culto del passato che le memorie disseminate nel paese rappresentano, e non è un caso che la controversa opera di Giuseppe Bottai a fine anni Trenta, la mobilitazione degli intellettuali per dare al regime fascista l’opportunità di mettere la propria impronta su questo terreno, come poi avvenne con la famosa legge del 1939, siano attentamente valutate dall’autore, prima di chiudere con alcune riflessioni sull’età repubblicana e sul modo di gestire l’eredità legislativa proveniente dalla prima metà del secolo; una maniera che, dopo i lavori della Costituente, si è rilevata a lungo molto sonnecchiosa, almeno fino alla costituzione del ministero per i Beni culturali, negli anni Settanta, su cui manca ancora una ricerca specifica, che bene potrebbe completare quanto questo studio offre al lettore: un primo quadro completo di quella storia affascinante che fu la creazione e lo sviluppo del meccanismo di gestione dei Beni culturali nel paese che ne è stato maggiormente fornito dalla storia.