“Bologna sa stare in piedi per quanto colpita”i Le reazioni della città di Bologna alle stragi nel decennio 1974/1984.

di Cinzia Venturoli

 

Abstract

Nel decennio 1974-1984 la città di Bologna è stata protagonista delle cronache italiane, e internazionali, per le vicende che in diverso modo la hanno colpita: stragi, seppur di diversa matrice, e violenza politica si sono infatti susseguite sul territorio metropolitano o sono state ad esso legate, caratterizzando e plasmando l’identità della città che ha reagito in modi simili e ad un tempo specifici. La reazione delle istituzioni locali e dei cittadini sono l’oggetto di studio di questo saggio così come le conseguenze sul tessuto sociale e democratico.

Abstract english

The reactions of the city of Bologna to the massacres in the decade 1974/1984.

In the decade 1974-1984 massacres and political violence have struck the city of Bologna and they have modified the identity of the city. This essay analyzes the reactions of the local institutions and the citizens.

 

Nel decennio 1974-1984 la città di Bologna è stata protagonista delle cronache italiane, e internazionali, per le vicende che in diverso modo la hanno colpita: stragi, seppur di diversa matrice, e violenza politica si sono infatti susseguite sul territorio metropolitano o sono state ad esso legate, caratterizzando e plasmando l’identità della città che ha reagito in modi simili e ad un tempo specifici. Bologna e l’Emilia era stata inclusa in progetti eversivi almeno fin dal 1965, durante il convegno La guerra rivoluzionaria organizzato dall’Istituto Alberto Pollio, in cui, secondo l’analisi svolta dai magistrati che in seguito si occuparono della strage di Bologna, si parlava di reazione all’”infiltrazione comunista [che] ha raggiunto proporzioni allarmanti». Una “reazione [che] deve avvenire attraverso due metodi paralleli: l’azione psicologica e il terrorismo”, portata avanti senza “problemi di natura morale” attraverso “l’offensiva nelle zone controllate dal nemico come l’Emilia e la Toscana [e avvalendosi di] gruppi permanenti che diventino soldati clandestini e accettino la lotta nelle condizioni meno ortodosse e con la necessaria spregiudicatezza”. (Bocca pp. 68-69).

Si può affermare che il 4 agosto 1974 sia l’inizio di quel particolare decennio, anche se non si deve dimenticare che il 10 maggio di quello stesso anno un ordigno danneggiò un palazzo in via Arnaud a Bologna, molto probabilmente per colpire la ditta Chiari e Forti, che in precedenza aveva sede in quello stabile. L’attentato, che secondo i periti solo per un caso non causò morti, fu rivendicato da Ordine Nero (Rao p. 229).

All’1,25 di domenica 4 agosto 1974 un ordigno collocato sull’espresso Roma-Brennero, l’Italicus, esplose nel secondo scompartimento della quinta carrozza mentre il treno percorreva la lunga galleria appenninica da cui uscì con una manovra del macchinista e si fermò nei pressi della piccola stazione di S. Benedetto Val di Sambro che si trovò così ad essere teatro di una strage in cui 12 persone restarono uccise e 44 ferite; Pier Paolo Pasolini sul “Corriere della sera” del 14 novembre 1974 la definì strage di Bologna, in una sorta di plurima appartenenza dell’eccidio: avvenuta a S. Benedetto, aveva coinvolto cittadini di diverse provenienze e aveva coinvolto anche Bologna, come si vedrà diffusamente più avanti. Meccanismi di copertura e depistaggi, il sospetto di collusioni con apparati dello Stato e l’apposizione del segreto di Stato viziarono fin dal principio le indagini. Il primo processo per l’Italicus si concluse nel 1983 con l’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove; la sentenza di appello, nel 1987, rigettò le assoluzioni e comminò due ergastoli. Nel 1989, la prima sezione della Cassazione presieduta da Corrado Carnevale annullò le condanne. Il secondo giudizio di appello nel 1992 mandò tutti assolti. Durante le indagini vennero evidenziati rapporti tra la loggia massonica P2 ed estremisti di destra tanto che la Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Tina Anselmi confermò le responsabilità e i coinvolgimenti della P2. Nel 1993 venne aperta una nuova indagine sull’Italicus unitamente all’inchiesta per la strage alla stazione di Bologna ma non vi fu nessuna condanna per l’attentato del 1974.

La strage dell’Italicus segnò, per molti versi, la fine di una prima fase della strategia della tensione iniziata nel 1969: in seguito assistiamo a mutamenti nella politica nazionale ed internazionale, nei gruppi neofascisti e nelle loro azioni, così come nelle strategie di alcune organizzazioni strettamente legate all’eversione e alle “minacce alla democrazia” quali la Loggia massonica P2. Dal 1974, poi, divenne sempre più presente il terrorismo di estrema sinistra e il gruppo più strutturato, le Brigate rosse, passarono dalla fase della cosiddetta “propaganda armata” a quella dell’”attacco al cuore dello Stato”.

Nei sei anni che precedettero il 1980 a Bologna si verificarono attentati di diversa matrice quale, ad esempio, quello avvenuto il 10 luglio 1976 nell’abitazione di Domenico Bonfiglio, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bologna firmato Ordine Nero (Isodarco, p.542) e anche quelli alle auto del cronista del “Resto del Carlino” Claudio Santini e di Giuseppe Coliva, segretario provinciale della DC nel gennaio 1977 rivendicati dalle Brigate rosse (Pastore, p. 109), rapine come quella che nel 1974 causò l’uccisione del carabiniere Lombardini ad Argelato, in provincia di Bologna. Nel 1978 i Nuclei Comunisti armati ed altri gruppi quali i Nuclei sconvolti per la sovversione urbana, fecero attentati e sferrarono attacchi a sedi dei vigili urbani, a commissariati di polizia e caserme dei carabinieri, a sezioni di partiti, del Pci in specifico, a negozi e scuole, all’Ospedale sant’Orsola e all’abitazione del sindaco Zangheri (Pastore pp. 244-251). Il 3 settembre 1978 in località Cantagalloi, fra Sasso Marconi e Bologna, venne compiuto un gravissimo attentato dinamitardo sulla linea ferroviaria Direttissima ai danni di un affollato convoglio passeggeri: la strage venne evitata perché il treno era stato deviato su binari adiacenti per consentire alcuni lavori di manutenzione (Isodarco p.733). L’anno successivo con la sigla Gatti Selvaggi e in nome di Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi, uccisi dalla polizia in un bar di Torino, vennero rivendicati un incendio appiccato al portone dell’Assostampa, a causa del quale perse la vita Graziella Fava che lavorava al piano superiore e altri attentati contro giornalisti de “L’Avanti” e de “Il Resto del Carlino”(Bersani, pp. 261-263).

A questo breve e, inevitabilmente, incompleto elenco di eventi legati alla violenza politica e ai terrorismi va aggiunta l’uccisione l’11 marzo 1977 di Francesco Lorusso ad opera delle forze dell’ordine e i fatti di violenza che ne seguirono e che segnarono profondamente, e a lungo, la storia della città (Gli anni Settanta pp. 213-370).

Il 1980 è caratterizzato da due stragi diverse per esecuzione, cause, reazioni, vicende processuali ma strettamente legate a Bologna: la strage di Ustica e la strage alla stazione. Nella serata del 27 giugno 1980 l’aereo DC-9 dell’Itavia partito da Bologna in direzione Palermo scomparve dai radar a nord dell’isola di Ustica: fra le 81 persone a bordo non vi fu nessun sopravvissuto. Nel luglio 1980 la Procura di Roma ricevette gli atti da Palermo e il Pm Giorgio Santacroce aprì un fascicolo per strage: iniziò quindi un lungo e complesso iter processuale, costellato di difficoltà e di vicende mai del tutto chiarite, un percorso che non è ancora concluso. La sentenza ordinanza del giudice Priore del 1999 colloca l’abbattimento del Dc9 nel contesto di “un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese” Il 22 ottobre 2013, nel disporre un nuovo processo d’appello per valutare la responsabilità dei ministeri della Difesa e dei Trasporti nel fallimento della compagnia Itavia, la terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione emise una sentenza in cui confermò l’abbattimento del DC-9 da parte di un missile e gli avvenuti depistaggi delle indagini.

Alle 10,25 di sabato 2 agosto 1980 una bomba collocata nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna provocò il crollo dell’intera ala dell’edificio, la morte di 85 persone e il ferimento di oltre 200. Le indagini, ostacolate da depistaggi messi in atto da uomini della loggia massonica P2 e dei servizi segreti, portarono alla condanna degli esecutori materiali, appartenenti ai Nuclei armati rivoluzionari, un gruppo terroristico neofascista con sentenze passate in giudicato nel 1995 e nel 2007. Nel marzo 2018 si è aperto presso il tribunale di Bologna un nuovo procedimento a carico di un militante dei Nar per complicità nella strage.

Infine, il 23 dicembre 1984, 10 anni e pochi mesi dopo la strage dell’Italicus, alle 19,08 all’interno della grande galleria tra le stazioni di Vernio e San Benedetto Val di Sambro una esplosione sventrò una carrozza del treno Rapido 904 in viaggio da Napoli verso Milano: lo scoppio provocò 16 morti e 263 feriti. Dai processi, dalle sentenze e dalle relazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta è emerso essersi trattato di una strage la cui ideazione ed esecuzione erano state il frutto di un intreccio di interessi e legami coinvolgenti, a vario titolo, criminalità organizzata e uomini appartenenti all’estrema destra eversiva; la strage era stata organizzata da esponenti di vertice di Cosa Nostra per “allentare momentaneamente la morsa repressiva e investigativa” cui la organizzazione veniva sottoposta a seguito degli “effetti devastanti prodotti dalle rivelazioni” di alcuni collaboratori di giustizia, ai quali “gli inquirenti davano credito” emettendo “centinaia di provvedimenti restrittivi”. “Di fronte a una situazione nuova” e per essa “destabilizzante”, Cosa Nostra decise di ricorrere alla violenza indiscriminata (Presidenza della Repubblica p. 40). Nel 2014 iniziò un ulteriore processo che vedeva Totò Riina accusato di essere il “mandante, determinatore e istigatore”: dopo alterne vicende e rinvii la morte dell’imputato nel novembre 2017 ha posto fine al procedimento.

La storia di Bologna legata alla violenza e al terrorismo non finì in quel Natale 1984, furono commessi altri delitti, fra questi ricordiamo le 103 azioni criminali in cui sono state uccise 24 persone e ferite 102 messe a segno fra il 19 giugno 1987 e il 21 novembre 1994 dalla così detta banda dell’Uno bianca nelle province di Bologna e Forlì, Ravenna, Pesaro, Ancona. Infine, il 19 marzo 2002 venne assassinato a Bologna il professor Marco Biagi: l’omicidio fu rivendicato dalle Brigate Rosse-Partito Comunista combattente, la stessa sigla comparsa anni prima e nel 1999 in occasione dell’omicidio di Massimo D’Antona. Le indagini iniziarono immediatamente e fra il febbraio e il maggio 2005 si svolse il processo che ha portato alla condanna dei responsabili dell’omicidio.

Le stragi e Bologna: i soccorsi.

Quattro quindi le stragi legate in quel decennio a Bologna, diverse fra loro per contesto, matrice, modalità di esecuzione ma accomunate dall’essere legate alla città: l’Italicus e il Rapido 904, pur avvenute a San Benedetto val di Sambro, hanno visto coinvolti i soccorritori, gli ospedali, l’amministrazione e i cittadini bolognesi; il Dc 9 abbattuto sui cieli di Ustica era partito da Bologna e a Bologna venne fondata l’associazione dei famigliari delle vittime, in città vi è il museo della memoria e vi si svolgono le commemorazioni ed infine la strage alla stazione, quella che viene ora definita come strage di Bologna, che ha, naturalmente, coinvolto in modo massiccio la città.

La prima azione da mettere in campo dopo una strage è, evidentemente, quella di portare soccorso ai feriti. Il 4 agosto 1974, secondo il ministro degli interni:

sul posto venivano tempestivamente inviate squadre di vigili del fuoco di Bologna e Firenze, numerose ambulanze, reparti di guardie di pubblica sicurezza e di militari dell’arma dei carabinieri, la cui opera di soccorso consentiva il sollecito trasporto a Bologna di 42 feriti, di cui 39 ricoverati all’ospedale Maggiore e 3 all’Istituto Rizzoliii.

I famigliari delle vittime e i feriti ringraziarono Bologna per l’attività dei soccorsi: “commossa e grata per quanto Bologna ha fatto per onorare mio marito, morto nell’Italicus”, scriveva ad esempio la signora Buffi al sindaco Zangheriiii.

Iniziava così quella che divenne una costante per le tre stragi ferroviarie: soccorsi immediati, efficienti che videro tutta la città coinvolta, in modo particolare il 2 agosto quando si mise in moto un meccanismo, mai progettato e mai provato, che permise di sgombrare le macerie, soccorrere i feriti, ricomporre e accompagnare i morti agli obitori, accogliere i parenti delle vittime; ai professionisti del soccorso, in servizio o accorsi volontariamente, si affiancarono cittadini in lunghe catene umane che spostavano le macerie, accoglievano, accudivano.

Arrivato a Bologna salii rapidamente su di un taxi e al conducente chiesi di portarmi all’ospedale Maggiore. Durante il percorso il conducente m’informò dettagliatamente che presso tutti gli ospedali e in molti altri punti della città, avrei trovato altri taxi che sarebbero stati, come per quella corsa, gratuitamente a disposizione dei parenti delle vittime (Secci p.10).

Mezz’ora dopo lo scoppio della bomba, attivavo in Comune il Centro di Coordinamento. […] Nelle ore seguenti cominciarono ad arrivare gli altri colleghi di Giunta, funzionari, consiglieri, assistenti sociali dei quartieri, personale comunale che si mise a disposizione, ho sentito pulsare di vita la città nei suoi volontari, nei suoi vigili urbani, nei suoi medici e paramedici, nei suoi poliziotti, nei suoi tassisti, negli autisti degli autobus, nei suoi negozianti, nei suoi operai, nei suoi albergatori. […] abbiamo organizzato centinaia di buoni pasto e messo a disposizione 200 posti notte in alberghi cittadini […]. Abbiamo elencato e utilizzato in parte anche 86 famiglie disponibili ad ospitare. Abbiamo fornito un piccolo sussidio economico a quanti, coinvolti, avevano necessità di raggiungere al più presto le rispettive destinazioni o case. Ogni Quartiere ha attivato la raccolta di offerte, suggerimenti, disponibilità di lavoro volontario. Si è lavorato in stretto contatto con gli assistenti sociali degli ospedali per le informazioni e con i vigili urbani che hanno garantito l’accompagnamento di familiari dal nostro punto di coordinamento agli ospedali e all’Istituto di Medicina legale dove erano composte le salme. Subito sono stati messi a nostra disposizione negozi d’abbigliamento, d’ottica e di alimentari senza limite d’orario (Ridolfi).

Vennero utilizzati i mezzi delle aziende municipalizzate, come l’autobus 37 che viaggiò ininterrottamente per 16 ore per trasportare i cadaveri dalla stazione agli obitori ( Boschi, Venturoli pp. 48-50), mezzi di associazioni, auto private; i cittadini portarono in stazione guanti da lavoro, acqua, lenzuoli, caffè per i soccorritori, mani per scavare, mani per benedire, come quelle di un anziano frate domenicano che sostava sul piazzale e pregava per i morti e mani per cercare di essere vicini ai feriti, che sotto choc cercavano scampo e a chi, in ansia, era giunto a Bologna per avere notizie di famigliari coinvolti nella strage.

Tutti mi fermano e mi chiedono se ho bisogno: ma perché non riesco a parlare, perché non riesco a dire che vadano dentro che c’è tanta gente? Che brave persone che ci sono a Bologna. Vado verso l’autostazione: adesso torno a casa. Basta! Sull’agendina ho il numero della mia nonna che abita qua vicino, forse è meglio che dica qualcosa a lei. All’ennesimo signore che si ferma per aiutarmi faccio capire che deve chiamare il numero della mia nonna. Riesco solo a dire Roberta. La chiama, me la passaiv.

Arrivammo in macchina da Marano Vicentino per cercare mio fratello e mia mamma che erano in stazione al momento dell’esplosione, io avevo un pessimo presentimento. Andammo verso la stazione, ci dissero di andare in piazza Maggiore, in Comune dove avremmo trovato informazioni. Lungo la strada i cittadini di Bologna, che capivano la nostra pena, ci chiedevano se avessimo bisogno di qualcosa, volevano accompagnarci, ci offrivano un caffè e ospitalità per la notte. Se non avessimo avuto questa vicinanza, credo che sarei impazzitov.

Un’attività di soccorso che fruttò la medaglia d’oro al valor civile e molti riconoscimenti:

lo scopo di questo telegramma è quello di ringraziare voi e tutti gli enti pubblici bolognesi a nome della Repubblica federale di Germania e in particolare a nome della famiglia Maeder così duramente colpita, per avere prestato assistenza alle vittime in modo così esemplare tanto per umanità e generosità, quanto per organizzazione e efficienza. Quest’opera grandiosa onora la città di Bologna e l’Italia interavi.

Una reazione talmente pronta ed efficace che in molti si immaginavano fosse stata frutto di piani di crisi rodati, tanto che delegazioni straniere chiesero in diverse occasioni una illustrazione di quel piano che, in realtà non c’era.

Qualche mese dopo venne una delegazione svedese per chiederci che piano avessimo utilizzato. Dovetti ammettere che non avevamo un modello, ma che la cultura del nostro territorio ci aveva permesso di essere cooperantivii.

Anni dopo, il capo della delegazione del Senato americano in visita a Bologna chiese allo stesso Zangheri di mostrargli il piano dei soccorsi ammirato dall’efficienza e dall’efficacia. «Non c’è un piano — disse il sindaco — tutta la città collaborò spontaneamente». L’americano non gli credette: «Capisco — chinò la testa — non me lo vuole dire». Impossibile spiegare a chi vive di schemi cos’è la solidarietàviii.

Un piano quindi che nacque sul campo e che diede origine al 118 e a Bologna soccorso, struttura nata il primo giugno 1981, estremamente utile quando nuovamente vi fu bisogno di soccorrere le vittime di una strage: 17 minuti dopo lo scoppio della bomba sul rapido 904 arrivò la prima segnalazione all’unità operativa e dopo 8 minuti iniziò l’invio dei mezzi di soccorso. Alle 20.30 nella sala d’aspetto della stazione di San Benedetto erano approntati 10 posti letto e alle 21 iniziarono ad essere portati fuori dalla galleria i primi feriti. A questo si aggiunsero, ancora una volta, i tassisti, i cittadini, l’amministrazione e i dipendenti comunali, di San Benedetto val di Sambro e di Bolognaix.

Dall’ autostrada arriva una colonna senza soluzione di continuità, un nastro di ambulanze e poi polizia, pompieri, esercito, carabinieri, finanzieri, rappresentanti dei pubblici poteri e anche qualche curioso dei paesi vicini. “Eccoci di nuovo qui – dice un barelliere nel bar addobbato per il Natale, festoni e palline luminose che si accendono e si spengono, e che in questa notte di morte finiscono con l’assumere un significato simbolico -. Ci ritroviamo dieci anni dopo”. E infatti c’è lo stesso capostazione, c’è lo stesso sindaco, ci sono tanti che in quel caldo agosto tirarono fuori dalle lamiere dodici corpi carbonizzati, perché allora la bomba era anche incendiaria […].

Gli infermieri distribuiscono latte, merendine. Una staffetta è andata a far aprire un forno ed una salumeria e più tardi arriveranno anche enormi sacchi di pane, mortadella, salamix.

Passeggiano stancamente alcuni poliziotti, non hanno dormito, come centinaia di altri loro colleghi, come i novecento ferrovieri che lavorano alla Stazione Centrale di Bologna, come i volontari, i barellieri e i medici che per tutta la notte di domenica hanno soccorso i viaggiatori superstiti del treno “904”xi.

Anche in questo caso, i feriti, i parenti delle vittime sottolinearono non solo la velocità e l’efficienza dei soccorsi ma anche l’umanità e la vicinanza mostrata dalla città intera

Ritengo doveroso esprimere a lei come primo cittadino e ai bolognesi tutti, i più vivi e sentiti ringraziamenti per l’opera di soccorso e l’eccezionale appoggio morale ai feriti e a ai congiunti in occasione del tragico attentato al treno 904. Non dimenticherò mai come, in quelle ore drammatiche, la solidarietà umana, la profonda onestà e l’intensa partecipazione dei bolognesi alla nostra disavventura abbia giovato positivamente ed in modo decisivo alla serenità mentale necessaria dopo tanto orrore. Grazie Bolognaxii.

I civilissimi bolognesi si sono stretti attorno a noi con calore e solidarietà. Poi sono arrivati gruppi di volontari che non hanno ancora smesso di starci vicino. Non sono affatto professionisti del disastro ma uomini, donne di grande sensibilità, di grande umanità che hanno deciso in modo diretto militante di aiutare il prossimoxiii.

Per le vittime della strage di Ustica, nei primi momenti dopo la tragedia, Bologna poté far ben poco, se non accogliere le salme che di volta in volta venivano trasportate all’aeroporto Marconi dove era stata allestita una camera ardente, il Comune si accollò le spese per le 12 vittime bolognesi, proclamò una giornata di lutto cittadino per il 30 giugno e fece affiggere in città un manifesto in cui si esprimeva “cordoglio e vicinanza ai famigliari delle vittime a nome di tutta la cittadinanza”xiv.

Bologna e le stragi: la solidarietà.

Servirebbero pagine e pagine per riuscire a dare conto della varietà, dell’ampiezza della solidarietà che venne espressa a Bologna e alle vittime delle stragi: Nazioni, Comuni, associazioni, partiti, sindacati, cittadini dall’Italia e dall’estero. Centinaia e centinaia di lettere e telegrammi, ognuno particolare e unico, anche quando si trattava, ad esempio, di ordini del giorno di Consigli comunali in cui si affermava vicinanza, umana e concreta, alle vittime e alla città di Bologna.

In specifico, e soprattutto, per la strage del 2 agosto arrivarono al sindaco di Bologna messaggi provenienti da grandi città e piccoli paesi, italiani ed europei, da Nazioni lontanissime in un viaggio virtuale e tangibile impossibile da ripercorre in poche righe, Ci sono i sindacati, i partiti, le associazioni professionali, gli studenti greci e iraniani che avevano avuto accoglienza a Bologna negli anni precedenti, così come i cileni e gli argentini; e poi lo sport, dilettanti e professionisti che offrono un impegno concreto, ci sono semplici cittadinixv.

Con i messaggi le persone chiedevano di poter inviare denaro, come era già successo per l’Italicus, e l’Amministrazione comunale decise nel caso della strage alla stazione di creare un fondo di solidarietà in cui fare confluire le somme, piccole o consistenti, che arrivavano. Il primo contributo di 100 milioni di lire fu quello stabilito dalla Giunta cittadina a cui si aggiunsero i 50 della Provincia. Il 31 agosto in questo fondo c’era già oltre un miliardo: 316 milioni dei cittadini, 200 della lega delle cooperative, 500 stanziati dalla Regione e i soldi vennero raccolti per mesi ancora; a questo si affiancano le offerte raccolte dal giornale cittadino “Il resto del Carlino” che al 27 settembre ammontavano a 2 miliardi e 250 milioni.

Poi vi erano i carcerati che inviano messaggi, raccoglievano denaro e offrivano il loro sangue così come era successo per l’Italicus, e tanti, tantissimi, cittadini comuni che donavano mille lire o poco più “è ben poca cosa, mi scusi ma non posso dare di più”, si giustificano e si rivolgevano direttamente al sindaco Zangheri, garante e rappresentante di tutta la città.

A volte una vittima o una storia assumevano un valore simbolico, per la strage dell’Italicus l’attenzione fu rivolta in modo particolare alla famiglia Russo di Merano che viaggiava di ritorno da una gita a Firenze, fatta per distrarre il figlio Mauro dalla grave malattia che lo aveva colpito. I genitori Maria Santina Carraro e Nunzio Russo con il figlio Marco, il più piccolo, rimasero uccisi e gli altri due figli, Mauro e Marisa, furono feriti e ricoverati negli ospedali bolognesi. I due ragazzi erano quindi rimasti soli, Marisa rischiava di rimanere cieca: due persone si offrirono di donarle un occhio, uno scrivendo direttamente al sindacoxvi, l’altro comunicandolo a “Il Resto del Carlino”xvii. Il Comune, la provincia di Bologna e la Regione Emilia – Romagna si offrirono di adottare Mauro perché “Per noi emiliano romagnoli Mauro sarà un simbolo della personalità umana offesa, della famiglia distrutta, dell’innocenza violentata, della democrazia colpita”xviii.

Per questa famiglia, e per le altre vittime, vennero inviati soldi dai cittadini sia al Comune sia al giornale locale.

Bologna e le stragi: le reazioni politiche

Sdegno e dolore, la città si ferma”, titolava il Resto del Carlino il 5 agosto 1974, nelle pagine locali e continuava: “alle 18 i bolognesi esprimeranno la loro ferma volontà di difendere le istituzioni democratiche dalle spirali della violenza”. La sera del 2 agosto 1980 venne indetta una manifestazione in piazza Maggiore, il cuore della città; il 4 agosto 30-40 mila persone si ritrovarono nella stessa piazza. Una risposta immediata a quelle che vennero lette come stragi contro i cittadini e contro la democrazia.

Sui giornali, nel dibattito pubblico, fra le persone molti non ebbero dubbi sull’attribuire a gruppi neofascisti le stragi dell’Italicus e della stazione: il contesto storico, i precedenti e le modalità di esecuzione indirizzavano verso quelle organizzazioni eversive, così come le rivendicazioni fatte, e in alcuni casi, poi smentite. In questa ottica di lettura anche la strage del Rapido 904 fu, nell’immediato, attribuita all’eversione neofascista, con alcuni distinguo: alcuni esponenti del partito socialdemocratico e missino proposero una lettura che guardava verso paesi stranieri e del medio oriente, come avevano già fatto per la strage del 2 agosto, affiancati in questo caso da esponenti democristiani e socialisti, mentre alcuni giornalisti come Giorgio Boccaxix proponevano una pista investigativa che guardasse verso la criminalità organizzata, anche per le prime telefonate arrivate ai giornali e per le modalità di esecuzione, ovvero l’utilizzo di un ordigno innescato con un telecomando e non con un timer. Di intreccio fra terrorismo neofascista, criminalità organizzata e possibili altri centri di potere “deviati” parlò anche il sindaco Imbeni in un intervento in consiglio comunalexx.

Ancora una volta la strage di Ustica esce da questo schema, vista la sua natura: incertezza sulle sue cause che vennero individuate in diversi possibili scenari quali operazioni militari straniere nell’ambito della Nato, cedimento strutturale, forte colpo di vento, collisione con un meteorite e financo con un Ufo cause che non erano ascrivibili direttamente alle minacce alla democrazia a cui si facevano invece risalire le altre stragi. Fino alla metà degli anni ’80 Ustica non fu considerata un “giallo senza risposta, un drammatico fatto di cronaca che non arrivò a investire pubblicamente la sfera della politica” (Ranci Ortigosa pp. 28-30), e quindi la l’attenzione dei cittadini si attivò solo in seguito.

Alle mobilitazioni immediate, che coinvolsero tutta la Regione e larga parte della Nazione, fecero seguito, per le tre stragi ferroviarie, i funerali solenni, di Stato in piazza Maggiore. Lo schema si tenne costante: funzione religiosa nella chiesa di San Petronio, discorso di commemorazione del sindaco di Bologna, Renato Zangheri per Italicus e strage della stazione, Renzo Imbeni per il rapido 904 in una piazza gremita di persone e di gonfaloni.

Il 9 agosto 1974 vi furono i funerali per le vittime dell’Italicus: “Dissensi e applausi all’indirizzo delle autorità. Lievi incidenti sedati dalle forze dell’ordine”. “Centomila in piazza Maggiore confermano la decisa volontà di opporsi al terrorismo. Sdegno e commozione. Il dolore della città”xxi scriveva “Il Resto del Carlino”. “L’Unità” descriveva così la cerimonia:

quanti erano? Centocinquanta, duecentomila: una folla immensa, quella che Bologna ha accolto venerdì pomeriggio perché all’estremo omaggio reso alle vittime della strage fascista fosse tributato il saluto della gente, dei lavoratori, […] Bologna a lutto ha accolto la folla. L’intera città, per tutta la durata delle onoranze, si è fermata. Non un negozio aperto, su ogni saracinesca abbassata un nastro nero, bandiere abbrunate su tutti gli edifici pubblici e le sedi dei partiti, persino sui tram. […] Ci sono momenti in cui si coagulano i sentimenti, le amarezze, le energie e le aspirazioni degli individui, e divengono un fatto collettivo, palpabile: la manifestazione di Bologna ha costituito uno di quei momentixxii.

La paura che incidenti e contestazioni avessero potuto turbare la manifestazione erano sicuramente presenti visto quello che era successo tre giorni prima e, in modo esponenzialmente maggiore, a Brescia. Due giorni dopo la strage dell’Italicus, a Bologna infatti si era tenuta una manifestazione di solidarietà e di protesta contro le minacce alla democrazia. Scriveva Roberto Scardova su “L’Unità”

Una folla composta — cosi come in tutte le altre città — dei ceti più diversi, di appartenenti a partiti ed organismi tra i quali il confronto e talvolta lo scontro politico sono aperti, ma in un momento come questo tutti hanno saputo trovare la via d’una rinnovata salda unità, che va oltre la giusta commozione per le vittime e la solidarietà coi feriti. Comunisti, democristiani, socialisti, repubblicani, socialdemocratici ed in molti casi anche liberali si sono trovati d’accordo nel rivendicare che lo Stato non tolleri più negligenze, inerzie, omertà con l’eversione, all’interno dei propri organi centrali e perifericixxiii

Nell’ambito di questa manifestazione vi furono però episodi di contestazione nei confronti di Virginangelo Marabini, segretario democristiano e consigliere comunalexxiv.

Dopo l’attentato all’Italicus, allora ero segretario della Democrazia cristiana, quando di fronte ad una piazza gremitissima ci fu un’introduzione da parte di un sindacalista e poi parlarono tutti i segretari dei partiti e quando annunciarono che parlava il segretario della Democrazia cristiana, ci fu un coro che me lo ricordo ancora, un coro che non terminò, fino a quando non terminai io velocemente, perché io sapevo, anzi ero convinto nella mia buonafede, della validità delle mie idee e anche della validità delle idee del mio partito, un partito di ispirazione cristiana, non poteva mai avallare eventuali stragi, comandate forse dai Servizi segreti, non lo so, oppure da servizi di altri paesixxv.

Fischi e cori che terminarono, come ricorda lo stesso Marabini, con la fine del suo intervento, diversamente da quello che era accaduto durante i funerali delle vittime della strage di Piazza Loggia, accaduta 67 giorni prima del 4 agosto. A Brescia, durante i funerali vi era stata quindi

una forte tensione antiistituzionale, nel senso che le migliaia di persone presenti quel giorno hanno manifestato una indignazione particolarmente viva, giunta fino al punto da fischiare gli uomini delle istituzioni e i rappresentanti dei partiti. L’unico personaggio ascoltato senza fischi è stato Luciano Lama perché, a partire dal Presidente della Repubblica, al Ministro degli Interni sono stati percepiti dalla piazza come coloro che portavano la responsabilità di non aver prevenuto, contrastato e vigilato (Testimonianza di Paolo Corsini in Bardini, Noventa p. 111).

Durante la processione al cimitero non posso scordare un gruppo di giovani democristiani con le loro bandiere, continuamente coperti di sputi dalla folla. Ancora, ricordo che al ritorno dal cimitero tornai con l’avv. Giulio Onofri in via Tosio, dove era la sede della Dc. Eravamo seduti ad un bar quando, dal fondo della via, giunsero di corsa, con passamontagna e zaino, gruppi di estremisti che iniziarono una sassaiola contro la sede del partito (Testimonianza di Mino Martinazzoli, in Bardini, Noventa p. 116).

Per evitare quindi ogni rischio i sindacati, il partito comunista si impegnarono in una:

vigilanza di massa. Già poco dopo le 13, migliaia di giovani, di maestranze delle aziende non chiuse per la vacanza estiva, erano al loro posto. Si notavano i tranvieri, i netturbini, i gasisti, i facchini del mercato ortofrutticolo e poi ancora i braccianti, gli edili e i lavoratori di altre categorie in piena attività. Attenta vigilanza in diversi punti della città, alle porte dei Viali di Circonvallazione, alle Case del Popolo, ai principali impianti pubblici. Una presenza peraltro scevra di ogni appariscenza ma serena e nello stesso tempo vigorosa quando in alcuni circoscritti momenti, è stata necessariaxxvi.

Nonostante questo, i fischi rivolti ai rappresentanti del governo e al Presidente della Repubblica non mancarono, come ricorda Franco Sirotti, fratello di Silver il giovane ferroviere che fu avvolto dalle fiamme e morì mentre cercava di aiutare i passeggeri.

Era il 9 agosto 1974 arrivammo a Bologna in auto e parcheggiammo nella zona del tribunale per recarci a piedi in piazza Maggiore alla chiesa di San Petronio, dove all’esterno lungo il piano al termine dei gradini erano posizionate le bare con i nostri cari. Era un grande caldo ma la gente aumentava a vista d’occhio, tanto che in piazza non ve ne stava più e quindi si affollarono anche le vie d’accesso come via Indipendenza, via Farini, via D’Azeglio e altre. Il clima era reso incandescente, non dal caldo sole, bensì dalla tensione e dalla rabbia della gente che inveiva con grida, cori e fischi rivolti ai nostri politici e quando ad un certo punto arrivò il Presidente della Repubblica Giovanni Leone, in piazza Maggiore sembrava atterrasse un aereo tanto era forte il sibilo dei fischi, io mi sentivo ancor più piccolo di quel che ero, avevo appena 14 anni. Poi entrammo in chiesa dove prima furono introdotte le bare e qui fummo salutati dai massimi esponenti della politica italiana. Quando toccò a noi mia zia Velia si sfogò chiedendo giustizia e accusando lo Stato di non fare nulla e di essere impotente. Ci fu la funzione religiosa e poi come d’incanto, terminata la liturgia, tutti sparirono nel silenzio più lugubre. Ricordo ancora che mentre tornavamo alla macchina nel silenzio dietro di noi sentivamo il tacchettio di passi veloci, ci girammo ed era l’Onorevole Ugo La Malfa che con il suo entourage ci stava seguendo e ci invitarono di fermarci, perché volevano conoscere personalmente i famigliari di un giovane eroe dal momento che già era trapelata la voce che Silver si era gettato all’interno della carrozza per salvare vite umane. Fu quello del leader repubblicano un grande gesto sincero e umano che porterò sempre dentro mexxvii.

Il 6 agosto 1980 nella chiesa di San Petronio solo 8 le bare, fra i famigliari presenti qualcuno mostrò delusione nei confronti della politica, qualcuno chiamò Pertini: “Sandro vieni con noi, non stare con gli impostori” (Bocca 28). Ci fu anche chi, come Anna Maria Montani, che alla stazione aveva perso la madre, rifiutò di stringergli la mano: “Non lo feci mica per lui, che era una persona degnissima. Ma semplicemente per quello che rappresentava. Certo, la cosa fece un po’ di rumore”xxviii.

Piazza Maggiore era quindi nuovamente teatro di funerali di Stato “torniamo su questa piazza”, disse il sindaco, “dove di fronte ad altri morti avevamo detto che la strage dell’Italicus non avrebbe mai dovuto ripetersi” e in questa occasione si mostrarono gli insanabili e laceranti contrasti sorti durante il ’77, fra due diverse componenti politiche: chi si riconosceva nel partito comunista e nei sindacati e chi si sentiva più vicino alla sinistra extraparlamentare, al movimento degli studenti. Lo striscione portato da questi ultimi (la strage è dei padroni, nessuna delega alle istituzioni) fu fatto allontanare dalla piazza e lo stesso spezzone di corteo in cui erano Democrazia proletaria, il movimento ed altre numerose persone fu tenuto fuori da piazza Maggiore da un cordone di polizia e dal servizio d’ordine del sindacato e dal Pci, probabilmente per evitare le contestazioni che giunsero comunque, e numerose, dai manifestanti a cui era stato permesso di entrare in piazza: nessuno scontro, nessuna aggressione, nessun assalto a sedi di partiti ma solo delusione e rabbia verso i rappresentanti di uno Stato considerato inadeguato e inefficiente. Solo Pertini e il sindaco ricevettero degli applausi. “Parlai davanti ad una enorme folla che fu poi quantificata in 500 mila persone. Era una piazza piena e tumultuante”, ricordò Renato Zangheri “ai funerali delle vittime vi fu una contestazione dura ma corretta. I funerali si tennero in una atmosfera di tensione, vi era in tutto la consapevolezza che, oltre a colpire barbaramente degli innocenti, si voleva ferire la democrazia” (Boschi, Venturoli p. 88). Una piazza che scandalizzò esponenti del partito socialista, come avrebbe detto Gabrielle Gherardi, qualche anno dopoxxix.

Tensione, delusione e stanchezza che non potevano mancare all’ennesima strage, quella del rapido 904, tanto da far presagire possibili contestazioni: “troppe vittime, troppo dolore, troppe stragi impunite hanno sopportato Bologna e il Paese per essere certi che quella contestazione non si rinnoverà”, si poteva leggere su “La Repubblica”. xxx

Il 27 dicembre 1984 si svolsero a Bologna quindi i funerali delle vittime di questa strage e la folla riempì Piazza Maggiore, così come era stato per la strage dell’Italicus e per quella di Bologna. Fu un funerale con una sola bara, visto che le altre erano già state traslate ai paesi di origine, per decisione dei famigliarixxxi.

Il sindaco Imbeni aveva preannunciato la sua intenzione di non

limitarsi a dire parole. Parole che Bologna ormai conosce a memoria. Quelle della grande manifestazione antifascista dell’agosto ’74 […]. Quelle – “vi giudicheremo dai fatti” – pronunciate in un torrido pomeriggio dell’80 […]. Lancerò proposte, farò domande. Domande che nascono da questa città che – a differenza dell’intero paese – non è rimasta sorpresa dalla bomba di Natale. Non si può ripetere per anni che i mandanti e gli esecutori della strategia del terrore sono liberi e impuniti e poi stupirsi se tornano a colpire”.xxxii

“Son sempre qui, è la terza volta che vengo a Bologna. Il popolo italiano ha diritto d’ essere difeso!” dichiarò il presidente Pertini e in piazza Maggiore fu accolto da applausi e da un grido: “giustizia! giustizia!”. Ai funerali non era invece presente il presidente del consiglio Craxi.

Dal palco Imbeni si rivolse direttamente a Pertini:

Signor Presidente della Repubblica, 4 agosto 1974, 2 agosto 1980, 23 dicembre 1984; tre stragi, tre massacri, tre violenze contro cittadini inermi e innocenti, in viaggio o in partenza per trascorrere qualche giorno di vacanza e di riposo. […] Chi ha scelto Natale per uccidere ha voluto dirci che può farlo quando vuole, che noi siamo impotenti. Dal 1969 ad oggi: 140 vittime, nessun colpevole. […] E il terrorismo delle stragi è la manifestazione più tragica, ma non la sola, di un disegno eversivo più ampio, ideato e perseguito da centri di potere illegali e occulti. Le vicende giudiziarie, così come i convegni organizzati per approfondire la conoscenza del terrorismo, dei poteri criminali, mafiosi e camorristici, che sono dietro il traffico della droga e delle armi, hanno confermato questa analisi. È stata la Commissione parlamentare d’ inchiesta sulla P2 a denunciare ufficialmente e nel modo più autorevole l’esistenza di questa trama eversiva. Contro questa trama c’ è stata una netta e intollerabile sottovalutazione politica, per il pericolo che essa rappresentava e rappresenta per le istituzioni democratiche e per la convivenza civile; ed è mancato il necessario coordinamento delle attività da condurre in tutto il paese. […] Perchè, signor Presidente, cerchiamo, nonostante tutto, di porre domande, di dare risposte e di fare proposte? Perchè le parole di dolore, di solidarietà, di sdegno, di condanna non sono più sufficienti. Le abbiamo già dette tutte. […] Per questo Bologna chiede giustizia, l’Italia intera chiede giustizia. […] Lo Stato democratico deve avere la volontà e la capacità di sradicare la malapianta dei poteri criminali, di liberarsi dai suoi nemici interni per sconfiggere quelli esterni. In una azione di lotta serrata, senza sosta contro il terrorismo delle stragi, le istituzioni repubblicane e democratiche possono contare sulla partecipazione ed il sostegno pieno dei cittadini, dei lavoratori, dei giovani.

Alla frase “Contro questa trama c’è stata una netta e intollerabile sottovalutazione politica” seguì nei giorni successivi una forte reazione dei partiti al governo, un “putiferio politico” come lo definì il giornale localexxxiii:

I deputati Pierferdinando Casini e Giancarlo Tesini dicono che è una strumentalizzazione della strage per attaccare lo Stato, che sono parole di parte del sindaco Pci non di tutta la città. “Non è stata una commemorazione – dice Casini – bensì una manifestazione comunista, un comizio politico più che un atto di estremo saluto. La sete di giustizia non può scadere a livello di strumentalizzazioni preelettorali”. E anche l’”Osservatore romano”, il giornale della Santa Sede, scrive che Imbeni, richiedendo nel suo intervento “un governo diverso per affrontare decisamente questo tipo di terrorismo”, ha approfittato dell’occasione “per fare propaganda politica di parte”xxxiv.

Esponenti del partito socialista sostennero che nel suo discorso il sindaco invocasse un cambio di governo, parole in realtà non presenti nel discorso. Il Vicesindaco di Bologna, Gabriele Gherardi, scrisse immediatamente a Imbeni lasciando intendere come anche l’alleanza amministrativa potesse essere a rischio, cosa che in realtà non successe:

non ho condiviso il carattere che hai voluto dare, sotto la tua sola responsabilità, al discorso di oggi. In particolare, mi pare intollerabile la trasposizione meccanica di una tesi del tuo partito (“nuovi indirizzi politici”) in un discorso fatto a nome della città. Le circostanze umane e politiche che stiamo vivendo, con una strage che è un rinnovato attacco alla nostra democrazia, mi inducono ad un comportamento responsabile, debbo comunque consultarmi con il Partito in relazione alle prospettive immediate del nostro rapporto di Giuntaxxxv.

Al sindaco arrivarono anche numerosi messaggi di solidarietà e di vicinanza da esponenti politici, intellettuali e cittadini: “ho ascoltato il suo discorso ai funerali, dia retta a me, nessuno ha colto il suo grido di giustizia, forse a qualcuno fa comodo così”.xxxvi

Nell’immediato il sindaco non rispose pubblicamente ma ebbe comunque modo di affermare come:

Parlando quel giorno non pensavo né a questo né ad altri governi, né a Craxi, né a Forlani o ad altri. Pensavo agli ultimi 20 anni di storia italiana, ai nemici che con bombe, stragi, attentati a volte falliti ci hanno aggredito continuamente e oggi sono ancora in libertà e perciò liberi di tornalo a farexxxvii.

La polemica andò avanti molto tempo, con toni aspri, a Bologna e a livello nazionale coinvolgendo da una parte il partito comunista, dall’altra il pentapartito con gli esponenti del partito socialista in primo piano. Craxi dichiarò in una intervista a Canale 5: “Sono amareggiato e meravigliato per la faziosità dell’opposizione comunista in questa circostanza. Essa è stata al di fuori di ogni giustificabile segno politico e anche morale”xxxviii. E sull’assenza del Presidente del consiglio alle esequie di Bologna vi furono ulteriori polemiche, anche con il Presidente della Repubblica seppur attraverso allusioni: “se qualcuno ha detto che io non sono andato a Bologna per paura della piazza si sbaglia: se non avessi voluto andare lo avrei detto e ne avrei spiegato le ragioni”xxxix. E ancora “non ho paura dei fischi. Io dei fischi ne ho ricevuti pochi. Solo a Bologna nell’agosto 1980 uno mi insultò e se non me lo levavano dalle mani lo facevo a pezzi”xl.

Discussioni, polemiche che si riversarono sui giornali, in Consiglio comunale, in Parlamento di cui non è possibile dare qui conto e che meriterebbero un approfondimento ma la cui ricostruzione restituisce un clima politico caratteristico dell’inizio degli anni ’80, della profonda rottura dei rapporti a livello nazionale fra Pci e Psi simboleggiati dai fischi rivolti ad Enrico Berlinguer al congresso socialista del 1984, di una presenza socialista al governo con un peso ed uno stile differente rispetto a quelli del Centrosinistra al potere nel 1974 (Rumor V Dc – Psi- Psdi) e nel 1980 (Cossiga II Dc – Psi – Pri).

Bologna e le stragi: le associazioni dei famigliari delle vittime

Nel giugno 1981, alcuni famigliari di vittime della strage di Bologna, “preoccupati e dubbiosi che giustizia venga fatta” (Secci 68), fondarono l’Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage della Stazione di Bologna del 2 Agosto 1980 con l’obiettivo primario di ottenere giustizia. Un desiderio ed un assillo resi ancora più cogenti dal verdetto della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro che, con sentenza del 20 marzo 1981, aveva assolto per insufficienza di prove gli imputati per la strage di piazza Fontana, così come ricorda l’attuale presidente Paolo Bolognesi xli e dalla percezione che nelle indagini per la strage di Bologna si stavano materializzando depistaggi e ostacoli (Secci p. 66). Il Comune di Bologna fornì una sede e personale per accompagnare l’attività dell’Associazione.

Questa Associazione fu la prima di questo tipo a nascere in Italia: in quegli anni l’associazionismo, slegato da partiti ed ideologie, non era molto comune e quindi suscitò interesse e stupore visto che era sostanzialmente la prima volta che cittadini si mobilitavano per un problema particolare e concreto e mettevano sotto osservazione gli apparati dello Stato (Turnaturi 5).

Durante le cerimonie legate al primo anniversario del 2 agosto Torquato Secci, il presidente dell’Associazione, incontrò i famigliari di una delle vittime di piazza Fontana e in quell’occasione si fece strada l’idea che «sarebbe stato opportuno che a Milano, Brescia e Firenze si fossero costituite delle associazioni analoghe alla nostra», come ricorda lo stesso Secci (103).

Gli enti locali delle città colpite si impegnarono, variamente e indipendentemente dagli orientamenti politici, nella solidarietà ai feriti e alle vittime delle stragi. A Bologna su iniziativa della Regione Emilia-Romagna e della Provincia e del Comune di Bologna fu costituito nell’ottobre 1985 il Comitato di solidarietà degli Enti Locali alle vittime delle stragi del treno Italicus, stazione di Bologna, treno Napoli-Milano che aveva lo scopo di «prestare aiuti morali ed economici per le spese giudiziali, la costituzione di parte civile, la conoscenza di atti procedurali e la difesa dei diritti» (Secci 72). Il 17 marzo 1985 allo scopo di ottenere con tutte le iniziative possibili la giustizia dovuta fu fondata l’Associazione fra i familiari delle vittime e i feriti del rapido 904, in stretta collaborazione con l’Associazione di Bologna “C’è un legame con Bologna, diciamo così, di antica memoria, anche per il ricordo di Secci che è venuto a Napoli, che ci ha dato una mano per costituire l’Associazione” (Iannicelli p.49). Infine, il 22 febbraio 1988, a Bologna, venne costituita l’Associazione tra i parenti delle vittime della strage di Ustica del 27 giugno 1980 allo scopo di “accertare la verità e quindi la responsabilità civile e penale della tragedia di Ustica, con tutte le iniziative possibili”. La sede messa a disposizione del Comune di Bologna era la medesima dell’Associazione due agostoxlii.

L’anniversario della strage di Bologna divenne immediatamente un punto di riferimento, una giornata a cui partecipavano rappresentanti delle diverse associazioni che si andavano via via costituendo e nel 1989 la partecipazione dei famigliari delle vittime della strage di Ustica alla commemorazione del 2 agosto rappresentò una novità che il sindaco di Bologna, Renzo Imbeni, volle sottolineare, motivandone la presenza in funzione della “medesima esigenza di una richiesta di verità”.

Il caso di Bologna è emblematico per la nascita di questo genere commemorativo, in quanto è proprio l’associazione [2 agosto], insieme alle forze politiche, istituzionali e civili di Bologna, a rappresentare il suo artefice fondamentale. In altri termini, se è plausibile sostenere che in Italia esiste un genere commemorativo di questo tipo, esso nasce e prende forma nel contesto commemorativo di questa strage e con questi specifici imprenditori della memoria. Bologna può essere considerata in tal senso il motore commemorativo principale dello stragismo terroristico e mafioso. (Tota 95)

È indubbio che nella memoria delle stragi un ruolo essenziale sia stato quello giocato dalle Associazioni, impegnate a costruire una vera e propria «cultura» della memoria, oltre all’anniversario e alle cerimonie di commemorazione creando una rete di eventi e di avvenimenti finalizzati a tenere viva la presenza del ricordo in modo capillare, infatti molte le iniziative che da quegli anni ottanta si sono strutturate per la memoria, tantissime quelle che vedono come protagonisti le associazioni dei famigliari delle vittime e gli enti locali e coinvolgono il mondo della cultura, della scuola, dell’arte e la città di Bologna che non solo ne è teatro ma ne è anche protagonista in particolar modo per la strage di Ustica e quella del 2 agosto dove la presenza della stazione, luogo di memoria, e del museo della memoria di Ustica forniscono non solo un ruolo virtuale commemorativo ma anche una sede fisica di possibili iniziative e progetti memoriali e didattici.xliii

 

iLa stessa località in cui il 21 giugno 1973 il personale dell’Autogrill si rifiutò di servire Giorgio Almirante segretario del Msi e il 23 giugno del 1973 fu luogo di una reazione guidata da giovani di estrema destra (Colafranceschi, pp. 37-38).

iiRelazione di Paolo Emilio Taviani, ministro degli Interni, durante la seduta di lunedì, 5 agosto 1974, Atti parlamentari, Camera dei deputati VI legislatura, discussioni.

iiiArchivio storico di Bologna, d’ora in poi AscBo, Gabinetto del sindaco, prot.n. 1645, Biglietto di Clio Romanelli Buffi. Dello stesso tono la lettera della vedova di Antidio Miraglia, ivi.

ivTestimonianza di Roberta Garuti, ferita nella strage del 2 agosto, http://mappedimemoria.it/roberta/.

vTestimonianza di Mario de Marchi, fratello e figlio di due vittime della strage, raccolta da chi scrive. 2 agosto 2017.

viAscBo, Gabinetto del sindaco, strage del 2 agosto 1980, Telegramma del Console generale aggiunto della Repubblica federale tedesca Helmut Hehenberger

viiTestimonianza di Marco Vigna, infermiere in pensione che coordinò le ambulanze il 2 agosto 1980, “Il Resto del Carlino”, 11 agosto 2018.

viiiQuel terribile 2 agosto 1980 a caccia di tovarich Zangheri. Il ricordo del segretario Lepri. “La Repubblica”, 3 agosto 2016.

ixAscBo, Gabinetto del sindaco, Relazione “Bologna soccorso nell’emergenza del 23 dicembre 1982”, 27 gennaio 1985.

x“La Repubblica”, 25 dicembre 1984.

xiIvi.

xiiAscBo, Gabinetto del sindaco, Lettera di Anna Perna al sindaco Imbeni, 28 gennaio 1985.

xiiiLettera di Lina D’Aiello, ferita nella strage, “La Repubblica”, 2 gennaio 1985.

xivL’Unità inserto locale, 1° luglio 1980; “Il Resto del Carlino”, 29 giugno 1980.

xvUna breve antologia di questi messaggi è pubblicata in Sinfonia di soccorsi, 2018 in https://www.assemblea.emr.it/cantiere-due-agosto/sinfonia-di-soccorsi.

xviAscBo, gabinetto del sindaco, lettera di M. T.

xvii“Il Resto del Carlino”, 8 agosto 1974, lettera di W. M.

xviii“L’Unità”, dichiarazione dell’assessore al bilancio del Comune di Bologna.8 agosto 1974.

xixG. Bocca, La feroce risposta dei “poteri” in pericolo, “la Repubblica”, 25 dicembre 1984.

xxAscBo, Atti del consiglio comunale, 7 gennaio 1985, p. 61.

xxi“Il Resto del Carlino”, 10 agosto 1974.

xxii“l’Unità”, 11 agosto 1974.

xxiii“L’Unità”, 7 agosto 1974.

xxiv“Il Resto del Carlino”, 7 agosto 1974.

xxvIntervista di Paola Furlan, Bologna, Sala del Consiglio Comunale, 19 luglio 2006 in http://www.comune.bologna.it/storiaamministrativa/media/files/marabini_intervista.pdf,

xxvi“L’Unità”, 10 agosto 1974.

xxviiTestimonianza raccolta da chi scrive, 2 gennaio 2019.

xxviii“Il Resto del Carlino”, 3 agosto 2011.

xxix“La Stampa”, 28 dicembre 1984.

xxx“La Repubblica”, 25 dicembre 1984.

xxxiAscBo, Atti del Consiglio comunale, relazione dell’assessore Belcastro, 7 gennaio 1985, pp. 1-11.

xxxii“La Repubblica” 27 dicembre 1984.

xxxiii“Il Resto del Carlino”, 30 dicembre 1984.

xxxiv“La Repubblica” 28 dicembre 1984

xxxvAscBo, Gabinetto del sindaco, lettera di Gabriele Gherardi, 27 dicembre 1984.

xxxviIvi, Lettera di A. R. al sindaco Imbeni, 3 gennaio 1985.

xxxviiAscBo, Gabinetto del sindaco, lettera di Renzo Imbeni al signor G. P., 9 gennaio 1985.

xxxviii“La Repubblica”, 29 dicembre 1984.

xxxixIbidem.

xl“Il Resto del Carlino”, 13 gennaio 1985.

xliIntervista fatta da chi scrive a Palo Bolognesi, 3 gennaio 2019.

xliiIl 23 marzo 1995 in questa sede si aggiunse l’Associazione che riunisce i familiari delle vittime della cosiddetta “Banda della Uno Bianca”.

xliiiPer un parziale elenco si vedano i siti www.stragi,it; www.associazioneparentiustica.it; www.mappedimemoria.it.

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Biografia

Cinzia Venturoli è professore a contratto presso il dipartimento di scienze dell’educazione (Università di Bologna). Si occupa di didattica della storia, di aggiornamento per gli insegnanti e conduce laboratori di storia nelle scuole di ogni ordine e grado. Si è occupata di storia della Seconda guerra mondiale, della Resistenza e del dopoguerra, di storia locale, di storia di genere, di storia della scuola e da molti anni lavora in modo specifico sulla storia degli anni Settanta, con uno sguardo rivolto ai movimenti politici, ai terrorismi, alla società e al rapporto fra storia e memoria, pubblicando saggi e monografie, elaborando mostre storico documentarie e prodotti multimediali.

Biography

Cinzia Venturoli is a contract professor in the department of educational sciences (University of Bologna). Its themes of search are: the Second World War, the Resistance and the post-war period, local history, gender history, school history. For many years worked specifically on the history of the seventies: political movements, terrorism, society and the relationship between history and memory. Venturoli has published essays and monographs, has realized historical documentaries, historical exhibitions and multimedia products.