Conseguenze politiche della Francofonia culturale: spunti di riflessione da un’esperienza in Senegal.

Chiara Gorgeri

Abstract

L’articolo affronta l’argomento dell’influenza culturale, politica ed economica di Parigi sulle sue ex colonie, attuata attraverso lo strumento della Francofonia. Dopo aver ripercorso le tappe che hanno portato alla progressiva istituzionalizzazione e politicizzazione di questa associazione fondata su basi solidaristiche e culturali, verranno affrontate le ricadute pratiche di questa influenza sul sistema d’istruzione di uno stato in particolare, il Senegal. Questo viene fatto allo scopo di mettere alla prova ciò che la Francofonia pretende di rappresentare nella sua veste ufficiale. Si evidenziano così i limiti insiti in questo tipo di organizzazione, che fallisce nel rispondere alle esigenze della società senegalese, ovvero alla necessità di un sistema educativo più rispondente alle esigenze del contesto e meno a quelle della francofonia.

Abstract english

Political consequences of cultural Francophonie: food for thought from an experience in Senegal This article deals with the topic of the French cultural, political and economic influence over its former colonies, which is enforced through the instrument of the Francophonie. After retracing the stages leading to the progressive institutionalisation and politicisation of this association, which was founded on solidarity and cultural grounds, we will tackle the practical repercussions of this influence on the educational system of a specific country: Senegal. By doing so, we aim to put to the test what the Francophonie claims to represent in its official capacity. This will highlight the limits inherent in this type of organisation, which fails to meet the demands of the Senegalese society: that is to say, the necessity of an educational system more in line with the contextual needs and less with the Francophonie’s own objectives.

Foto 1. Dakar, Senegal, Maggio 2012. Foto dell’autrice.

Foto 1. Dakar, Senegal, Maggio 2012. Foto dell’autrice.

La Francofonia strumento della cooperazione postcoloniale

Il termine “Francofonia” evoca due idee generali e egualmente diffuse. Spesso si pensa che la Francofonia sia una semplice organizzazione di promozione culturale, “neutra” per così dire, che incoraggia la solidarietà tra stati legati dall’utilizzo della lingua francese, agendo su temi culturali ed educativi in maniera non strutturata. Dall’altro lato, il termine evoca anche un’organizzazione con fini politici, voluta da Parigi per mascherare legami economici neocoloniali e di dipendenza con le sue ex colonie (Weinstein 1976, 485; Cordelle 2012).

Questi due aspetti sono fortemente correlati tra loro, dal momento che gli aiuti all’istruzione hanno sempre avuto un ruolo rilevante nella politica di influenza francese. Infatti la Francia, oltre che sui mezzi economici, tradizionalmente fa leva sull’influenza culturale per consolidare una posizione privilegiata negli ex possedimenti coloniali (Thobie, Meynier, Coquery-Vidrovitch, Ageron 1990, 449-450; Suret-Canale 1974, 228-230).

Le basi di questa influenza furono poste negli anni Sessanta attraverso la stipula di accordi di cooperazione tra Parigi ed ex colonie. Tali accordi davano vita ad un vero e proprio “système cooperatif franco-africain” in materia d’insegnamento, che si traduceva in sistemi d’istruzione pressoché identici, tutti basati sul modello francese (Manière 2010, 163). Tramite la cooperazione culturale la Francia poté intervenire in particolare sull’insegnamento superiore, che era la sfida strategica maggiore per Parigi. Si mirava infatti a formare quadri e dirigenti che sarebbero diventati parte di un’élite fedele alla metropoli (Manière 2010, 168; Martin 1985, 201; Mesli 2013).

Con questo sistema la dipendenza delle vecchie colonie, già di tipo economico, si trasformava in dipendenza anche di tipo culturale. La Communauté française voluta da de Gaulle era stata la prima manifestazione di questo nuovo tipo di legame e intendeva pianificare una nuova modalità di associazione tra Parigi e i territori d’oltremare. Con l’acquisizione in massa delle indipendenze da parte dei territori subsahariani negli anni Sessanta e con il conseguente crollo del progetto di Communauté, poté sorgere il concetto di cooperazione, un tipo di associazione originale sopravvissuto fino ai giorni nostri come elemento fondamentale a garanzia della presenza francese nel mondo (Ageron 1991, 165; Nouschi, 2005, 98). La Francofonia, all’interno di questa nuova strategia, era lo strumento che avrebbe sistematizzato e reso stabile la cooperazione culturale tra Parigi e i paesi dell’Africa Subsahariana (Nouschi 2005, 98).

Ad accompagnare l’entrata in scena della Francofonia vi fu la riconversione positiva del ruolo della lingua francese e del significato ideologico da essa veicolato. L’idea di una missione civilizzatrice della Francia che aveva sostenuto l’impresa coloniale poteva così trasferirsi alla politica postcoloniale. Il francese veniva definito “langue de civilisation”. Tale espressione prese campo grazie all’opera di promozione dell’Unesco, la quale si trovava proprio negli anni Sessanta ad operare soprattutto sul territorio africano attraverso le indagini e i programmi di promozione dello sviluppo (Suso-López, 2008,7). Le critiche mosse al concetto di “langue de civilisation” fecero sì che quest’espressione venisse rimpiazzata da quella di “langue de culture”. In effetti, dagli anni Sessanta, il processo di decolonizzazione intrapreso dal generale De Gaulle rendeva il termine “civilisation” desueto e scomodo perché rinviava alla maniera in cui si concepivano le colonie nell’antico rapporto gerarchico. Con la nuova espressione si intendeva legare la cultura francese ai valori universali di emancipazione e di rispetto delle diversità, rintracciabili nella storia della metropoli (Suso-López 2008, 8).

Illustri esponenti della “negritude” intervennero a sostegno di questa tesi. Nel novembre 1962, sulla rivistaEsprit, uscì un articolo del presidente dell’indipendenza senegalese, Leopold Sedar Senghor: “Le Français, langue de culture”. Egli, da africano, parlava in favore della lingua francese come mezzo per raggiungere una platea internazionale ma anche come strumento utile alla comunicazione e all’espressione delle sue stesse idee: “je pense en français, je m’exprime mieux en français que dans ma langue maternelle” (Senghor 1962, 841, 844). Con i suoi interventi il leader serviva bene gli interessi francesi postcoloniali, sebbene parlasse in favore dell’emancipazione del suo popolo.

Verso la Francofonia istituzionale

L’avvio del processo che ha permesso il passaggio dalla francofonia come movimento alla Francofonia istituzionale è stato condotto principalmente dalle élite politiche africane e canadesi. Parigi inizialmente fu molto cauta nell’appoggiare una svolta in direzione della creazione di un’organizzazione multilaterale francofona su basi culturali. Infatti, oltre a preferire accordi di tipo bilaterale, temeva l’accusa di neocolonialismo.

Un esplicito consenso al progetto di associazione francofona venne espresso particolarmente in Africa Subsahariana. Dal momento che, dopo le indipendenze, l’aiuto economico francese era ritenuto indispensabile allo sviluppo delle ex colonie, allora “la linguistique et la politique ne pouvaient pas être dissociées” (Tétu 1997, 232). Infatti l’uso del francese si traduceva direttamente in progresso, comunicazione con l’esterno e partecipazione alle organizzazioni intergovernative.

A favore della Francofonia giocavano quindi diversi fattori. In primo luogo, i politici africani pensavano tramite essa di dare un peso maggiore ai rispettivi paesi in ambito internazionale e di tramutare le politiche di pianificazione educativa in una nuova fonte di guadagno grazie al sostegno francese. In secondo luogo la Francofonia poteva servire come movimento multilaterale capace di inglobare anche interessi non francesi (Weinstein 1976, 492). Ciò è attestato dal caso del Québec, dove la volontà di affermazione nazionale si esprimeva attraverso la ricerca di appoggi nei paesi di lingua francese, al fine di prolungare all’esterno le competenze provinciali definite dalla Costituzione Canadese (Tétu 1997, 51-52, 231). I “québécois” sentivano di essere deboli rispetto all’America del Nord anglofona, ed erano preoccupati dal controllo anglofono sui mezzi di comunicazione e sull’agenda politica(Weinstein 1976, 492, 489; Torrent 2011, 605).Il governo canadese, dal canto suo, voleva rafforzare i legami con la Francia e per questo cercava di esplorare nuovi terreni economici e diplomatici, in particolare nei paesi arabi e in quelli dell’Africa nera. Dal 1964 l’Agence Canadienne pour le Développement International (Acdi) aveva moltiplicato gli interventi finanziari sul continente africano e cercava cooperanti in Québec da inviare nelle scuole africane o nelle istituzioni ospedaliere (Tétu 1997, 237). Inoltre il Québec voleva assumersi pienamente la responsabilità in materia di educazione rispetto al governo di Ottawa ed era pronto a giocare un ruolo sul piano internazionale partecipando alla creazione di una comunità di paesi francofoni (Tétu 1997, 238-239).

Quindi, se la Francofonia per gli africani era uno strumento di emancipazione, la preoccupazione canadese era invece relativa a questioni di potere, lingua e mantenimento dell’influenza, cosa che l’avvicinava alle ragioni di partecipazione di Parigi.

La prima vera manifestazione della Francofonia istituzionale fu la creazione nel 1961 dell’Union africaine et malgache (Uam), la quale riuniva solo paesi africani francofoni. L’Uam, smantellata nel 1965 a favore dell’Organisation commune africaine et malgache (Ocam), fu un’organizzazione voluta dagli stati africani più conservatori, che avevano sempre appoggiato le iniziative della metropoli, il cosiddetto “gruppo di Brazzaville” (Mortimer 1972, 298). E proprio questo gruppo fu particolarmente importante per lo sviluppo della Francofonia, per l’elaborazione della sua dottrina e per la creazione, con la Convenzione di Niamey del 1970, dell’Agence de coopération culturelle et technique (Acct) (Tétu 1997, 234), antenata dell’attuale Organisation internationale de la Francophonie(Oif).

L’Acct fu la prima vera e propria struttura pubblica francofona, il cui scopo primario era la promozione e la diffusione delle culture dei vari stati membri. L’agenzia doveva essere espressione della solidarietà tra stati e fattore di avvicinamento dei popoli per mezzo dell’attivazione di un dialogo permanente.

Alcune ex colonie francesi, come Algeria e Guinea, si opposero alla sua creazione. Questo in virtù delle implicazioni politiche della continua enfasi posta sul ruolo della Francia e del francese, in un periodo del loro sviluppo in cui cercavano di definire un’identità nazionale indipendente: Algeri e Conakry presero allora una posizione che è rimasta costante in tutte le fasi di sviluppo della Francofonia (Tétu 1997, 246).

Il Senegal di Senghor fu invece tra i maggiori sostenitori dell’Acct. Per Senghor la lingua rappresentava lo strumento neutrale attraverso cui superare le divisioni politiche e ideologiche per far circolare le risorse culturali ed economiche a beneficio di tutti. Egli promosse l’idea che un’associazione che includesse paesi come Canada, Belgio e Svizzera, allargando la base da cui attingere risorse, avrebbe depoliticizzato la relazione di aiuto che in questo modo cessava di dipendere solamente da Parigi (Mortimer 1972, 299-300; Dereumaux 2008, 32-36).

La posizione francese rispetto a tale associazione fu del tutto ambigua. Nonostante le distanze che Parigi cercò di prendere da quest’iniziativa, temendo l’accusa di neocolonialismo, erano evidenti i suoi legami con il movimento francofono. È una caratteristica tipica della diplomazia francese l’importanza che tradizionalmente viene attribuita ai fattori culturali nella definizione degli interessi nazionali (Alexandre 1969, 122). Inoltre era stata la metropoli a formare e indirizzare le élites africane che, uscite dalle indipendenze, dettero avvio al processo di istituzionalizzazione francofono. Infine tutto il sistema di credenze, che fa da collante ed è alla base della tenuta della Francofonia, è improntato all’attaccamento sentimentale alla lingua e alla cultura francese, ricordando per alcuni tratti il nazionalismo francese (Weinstein 1976, 493-494).

Così la Francia, nonostante avesse lasciato la paternità dell’iniziativa a africani e canadesi, finanziò per il 45% il budget dell’Acct. Insisté inoltre perché la sede fosse a Parigi, dove il governo francese avrebbe potuto tenere d’occhio le operazioni promosse dall’organismo. Fu la prospettiva delle opportunità future che potevano scaturirne a spingere Parigi ad impegnarsi. La Francia avrebbe incoraggiato la costituzione di corpi internazionali di questo genere, soprattutto se la diplomazia francese avesse potuto utilizzarli in seguito per essere coinvolta in iniziative sul territorio africano o per ricevere un sostegno alle sue azioni dirette (Alexandre 1969, 124-125; Martin 1985, 202-203).

Fu in ragione di queste considerazioni che alla fine degli anni Sessanta la situazione subì un’evoluzione e i francesi cominciarono a prendere una posizione. Ne furono testimonianza i viaggi in Canada del Generale de Gaulle (Tétu 1997, 239). Proprio in Canada, nel luglio 1967, de Gaulle evocò ufficialmente la Francofonia dichiarando: “notre langue et notre culture […] constituent pour un grand nombre d’Hommes, hors de France et hors du Canada, un foyer capital de valeurs, de progrès, de contacts et que c’est tout à la fois notre avantage et notre devoir de les pratiquer et de les répandre”(Tétu 1997, 239). Jean de Broglie, uomo politico ed ex Ministro degli Affari Esteri del Generale, definì la Francofonia politica come una nuova dimensione assunta dalla diplomazia francese: “Il faut le dire ouvertement. La francophonie sera finalement politique, ou elle ne sera pas. N’est-ce pas ainsi qu’il faut interpréter le voyage du général de Gaulle au Canada? Sans doute s’agissait-il dans l’immédiat d’aider une collectivité de langue et de tradition françaises […]. Mais par–delà, le sens politique de cette affaire a bien été de donner une dimension nouvelle à la diplomatie française: celle de la francophonie” (Tétu 1997, 241).

La Francia, tuttavia, intervenne in maniera diretta solo quando si decise di istituzionalizzare la Francofonia politica attraverso la regolarizzazione degli incontri tra capi di stato e di governo, i cosiddetti “Sommet de la Francophonie”. L’accordo per giungere alla convocazione del primo incontro si era rivelato molto difficoltoso. Il presidente algerino Boumédienne aveva fatto sapere che non avrebbe partecipato all’incontro perché vi vedeva solo l’“imperialism français déguisé” (Tétu 1997, 258). Inoltre il Québec non aveva avuto il consenso a partecipare dal governo federale del Canada, poiché ancora alle prese con la lotta sulla concessione alle provincie delle competenze in materia di educazione e lingua. Il governo canadese rivendicava il diritto dell’esecutivo federale alla gestione della politica estera e faceva rientrare la Francofonia e le politiche educative in questo settore. Per questa assenza, la Francia rifiutò di partecipare alla Conferenza dei ministri degli affari esteri prevista a Dakar per preparare il Sommet, che avrebbe dovuto tenersi alla fine del 1980. Senghor dovette annullare la riunione constatando che tali ritardi erano dovuti a “une histoire de grand blancs” di cui egli era solo un “rapporteur, le chef d’un petit Etat sous-développé” (Tétu 1997, 258). D’altra parte non si poteva che attendere la risoluzione della questione canadese: l’accordo tra Québec e governo di Ottawa era un prerequisito necessario dell’iniziativa e senza la partecipazione di Francia e Canada sembrava impossibile proseguire. Infatti, a differenza delle istituzioni francofone dell’Uam e dell’Ocam che erano composte solamente da stati africani francofoni, i Sommet, come futuro organo direttivo della Francofonia, prevedevano una partecipazione più allargata, che doveva comprendere necessariamente i due paesi occidentali, in modo da permettere la circolazione di maggiori risorse.

Fu in questo contesto che agli inizi degli anni ottanta il Presidente francese Mitterand, preoccupato per la cosiddetta “americanizzazione del mondo”, si proclamò “artisan de la francophonie”(Tétu 1997, 259) e dichiarò il suo impegno a sviluppare in tempi brevi le istituzioni francofone. Ponendo una sorta di veto, egli disse che tali istituzioni sarebbero sorte a patto che il Québec avesse occupato il posto che gli spettava all’interno dei Sommet. La componente canadese fu finalmente integrata quando a Ottawa si raggiunse un punto di mediazione, secondo il quale il governo federale sarebbe intervenuto nelle questioni di politica internazionale, mentre le delegazioni del Canada-Québec e Canada-Nouveau-Brunswick si sarebbero espresse negli altri campi, quelli dell’educazione, della cultura e della sanità. Mitterrand riuscì così a convocare il primo Sommet des pays ayant le français en partage, anche detto “Sommet de la Francophonie”, il quale si tenne a Parigi, a Versailles, dal 17 al 19 febbraio 1986 (Tétu 1997, 257-260).

La convocazione di questa conferenza dette un impulso nuovo alla Francofonia dotandola di un coordinamento politicoche avrebbe definito gli orientamenti e guidato le azioni della comunità francofona (Deniau 2001, 54). Furono quindi le riunioni dei capi di stato e di governo, i Sommet, a divenire autorità suprema. Da allora, riunendosi ogni due anni, essi definiscono gli orientamenti e decidono eventualmente di ampliare gli obiettivi, oltre ad eleggere il Segretario generale. In anni più recenti i temi dell’agenda dei Sommet sono stati meglio definiti e sistematizzati all’interno delCadre stratégique décennal de la Francophonieadottato nel Sommet di Ouagadougou del 2004. In questa occasione sono stati definiti gli obiettivi a lungo termine della Francofonia: promozione della lingua francese e della diversità culturale e linguistica; promozione della pace, della democrazia e dei diritti dell’uomo; sostegno all’educazione, alla formazione, all’insegnamento superiore e alla ricerca; cooperazione al servizio dello sviluppo sostenibile e della solidarietà. Tramite questi obiettivi si puntava evidentemente a un rafforzamento dell’influenza della Francofonia nelle relazioni internazionali (Déclaration de Ouagadougou 2004; Aa. Vv. 2009, 34).

Foto 2. Ragazzi al ritorno da scuola sulla strada per N’Dangane, Senegal, Aprile 2012. Foto dell’autrice.

Foto 2. Ragazzi al ritorno da scuola sulla strada per N’Dangane, Senegal, Aprile 2012. Foto dell’autrice.

L’organizzazione internazionale della Francofonia: evoluzione e politicizzazione degli scopi

Negli anni la Francofonia ha molto allargato le sue competenze politiche.

In seguito all’istituzione dei Sommet de la Francophonie nel 1986, una serie di tappe ulteriori hanno portato alla strutturazione della Francofonia politico-istituzionale e alla creazione dell’Oif. Con i Sommet infatti, non era stata creata l’organizzazione vera e propria. Le basi della Francofonia erano state gettate in maniera pragmatica, ma senza un fondamento giuridico statutario. Fu così fino al Sommet di Hanoi del 1997, quando venne adottata la Carta che ha consacrato la Francofonia politica.

Il Sommetdi Hanoi poneva come prioritario il rafforzamento della dimensione economica necessaria ad assicurare la sopravvivenza delle istituzioni della Francofonia (Déclaration Hanoi 1997). Il documento finale dichiarava l’obiettivo di apportare un contributo attivo alla prevenzione e al regolamento pacifico dei conflitti, cooperando con le varie organizzazioni internazionali e regionali e in particolar modo contribuendo al rafforzamento della diplomazia preventiva sostenuta dall’Onu. L’obiettivo venne perseguito attraverso la revisione dell’Acct che assunse i caratteri di un’organizzazione internazionale. Allo stesso scopo venne istituita la carica di Segretario generale, con il ruolo di rappresentante della Francofonia nel contesto internazionale (Aa. Vv. 2009, 30). Egli è il responsabile politico dell’organizzazione e indirizza la sua attività. L’incarico fu ricoperto per primo da una personalità di levatura internazionale, l’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali, la cui nomina impersonificava la svolta istituzionale e internazionale che si voleva imprimere alla Francofonia.

A segnare lo spostamento dell’azione dell’organizzazione verso il campo della promozione della democrazia e dei diritti umani fu poi l’adozione nel 2000 della Déclaration de Bamako. Il documento è un testo normativo che definisce le finalità e i modi d’intervento della Francofonia nel favorire lo sviluppo democratico dei paesi, nel mantenimento della pace e nella prevenzione dei conflitti. Grazie ad esso, come si legge nella dichiarazione, la Francofonia ha raggiunto una tappa significativa nel dialogo sulla democrazia all’interno dello spazio francofono, acquisendo così una piena dimensione politica (Déclaration de Bamako 2000).

Un’ulteriore svolta in direzione di una sempre maggiore politicizzazione, è stata l’adozione della nuova Carta da parte della Conferenza ministeriale riunita il 23 novembre 2005 ad Antananarivo. Con tale documento si è proceduto ad una riorganizzazione e razionalizzazione delle istanze della Francofonia in modo tale da rendere ancora più riconoscibile e coerente la sua identità politica sul piano internazionale. L’Acct, trasformata in Agence de la Francophonie (Aif) ad Hanoi, è stata integralmente sostituita dall’Oif. Essa è stata posta sotto l’autorità politica del Segretario generale, del Conseil permanent (formato dai rappresentanti dei capi di stato e di governo), di una Conférence ministérielle de la Francophonie e dei Sommet (Charte de la Francophonie 2005).

Nonostante abbia puntato ad assumere una veste politica, l’Oif non è assimilabile a nessun’altra organizzazione intergovernativa. Infatti, non si caratterizza per uno specifico ambito di competenza, in quanto investe il campo politico, ma anche quello dell’educazione, ambientale, economico e della promozione della pace. L’OIF non insiste nemmeno su una specifica regione geografica, perché raggruppa paesi sparsi in tutti e cinque i continenti. Infine è fondata su una carta dichiarativa e non su un trattato fondatore, cosa che non la definisce in senso giuridico come organizzazione intergovernativa (Aa. Vv. 2009, 22-23).

Ciò detto, l’Oif ha stipulato accordi di cooperazione con l’Onu, l’Unicef, la Fao, il Comesa, la Cedeao, la Commissione Europea e l’Oua (Aa. Vv. 2009,11,15; Cordelle, 2012, 137; Accord de coopération 2000). Raggruppa 16 dei 27 paesi membri dell’UE e un terzo dei membri dell’Onu. Dispone di quattro rappresentanze permanenti: ad Addis-Abeba, presso l’Unione africana e la Commissione economica per l’Africa dell’Onu; a Bruxelles, presso l’Unione Europea; a New York e a Ginevra, presso le Nazioni Unite. È dotata inoltre di tre uffici regionali (a Lomé per l’Africa dell’ovest, a Libreville per l’Africa centrale e l’oceano Indiano, ad Hanoï per la zona Asia-Pacifico) e di due sedi distaccate regionali (a Bucarest per l’Europa centrale e orientale e a Port-au-Prince per i Caraibi).

Il budget dell’Oif è costituito in prevalenza da contribuzioni statutarie e volontarie, che insieme confluiscono nel Fonds multilatéral unique (Fmu) attraverso il quale vengono finanziate le azioni di cooperazione.

Sotto il profilo della cooperazione e nella promozione culturale l’Oif agisce in sinergia con l’Assemblée parlementaire de la Francophonie (Apf) e con i quattro operatori specializzati dei Sommet, ovvero l’Agence universitaire de la Francophonie (Auf), TV5 monde, l’Association internationale des maires francophones (Aimf), l’Université Senghor d’Alexandrie; così come con le due Conférences ministérielles permanentes, ovvero la Conférence des ministres de l’Education nationale (Confemen) e la Conférence des ministres de la Jeunesse et des Sports (Confejes).

Tuttavia, come si è detto, negli anni la Francofonia istituzionale ha scelto di operare in ambiti molto più ampi rispetto alla sola cooperazione culturale e tecnica. Adattandosi ai mutamenti della mondializzazione, al discorso terzomondista e umanista dei fondatori si alterna ora, fino a sostituirsi, una concezione sempre più politico-diplomatica (Aa. Vv. 2009, 22). Nella lista degli obiettivi espressi nella Carta del 2005 e nel Quadro strategico del 2004, infatti, compare per primo quello di promuovere l’instaurazione e lo sviluppo della democrazia e dei diritti dell’uomo, la prevenzione, la gestione e il regolamento dei conflitti.

Lo sviluppo sempre maggiore della missione della promozione della democrazia spiega i vantaggi potenziali che derivano per Parigi dall’investire nella cooperazione e nel mantenimento di legami di solidarietà linguistica e culturale francofona. Nel suo Quadro strategico la Francofonia infatti dichiara di voler mettere l’expertise della sua vasta rete intergovernativa, non governativa, istituzionale e universitaria a servizio della promozione della democrazia. Tale missione è diventata parte preponderante dei suoi programmi, all’interno dei quali il “dialogo francofono” è spesso proposto come strumento per promuovere soluzione alle controversie internazionali. A tal proposito Morin e altri parlano di “appropriazione geoculturale” delle operazioni di pace da parte degli attori francofoni. L’Oif attraverso la realizzazione di piattaforme per lo scambio di informazioni e di esperienze, ha spinto molti stati membri a mobilitarsi in favore delle azioni promosse dalle Nazioni Unite. L’Onu d’altra parte, ha condotto molte delle sue operazioni di peacekeeping nell’Africa francofona, e sembra essersi servita di questo tipo di competenze per una maggiore comprensione del contesto in cui si è trovata ad intervenire (Morin, Théroux-Bénoni, Zahar 2012, 292-295).

In questo senso, non c’è dubbio che è anche attraverso gli incontri, i dibattiti e le dichiarazioni che scaturiscono dalla Francofonia che si crea e si rafforza la legittimazione ad intervenire della Francia, soprattutto sul territorio subsahariano (Martin 1985, 205; Torrent 2011, 610-611).

Promozione del francese ed educazione: conseguenze politiche della Francofonia culturale

I governi di Parigi si sono sempre impegnati in iniziative politiche per la difesa e la promozione della lingua, per contrastare la tendenza che fin dal secondo dopoguerra mina la posizione del francese soppiantato dall’inglese come lingua franca all’interno delle grandi organizzazioni internazionali (Wright 2006).

L’arena internazionale privilegiata per la lotta fra fazioni linguistiche opposte è stata l’Unesco, in cui il “clan latino” si è contrapposto a quello “anglosassone” (Maurel 2008, 3-4). Le azioni dell’Unesco, che dagli anni Sessanta si trovava ad operare soprattutto nei paesi africani di recente decolonizzazione, hanno implementato la lingua e le concezioni francesi (Maurel, 2008, 9). E in effetti, in molte ex colonie francesi, l’Unesco ha organizzato e sostenuto negli anni Sessanta importanti progetti educativi. È stato grazie all’aiuto dell’Unesco che la Francia è riuscita ad imporre la scelta del francese nella maggior parte delle scuole create in Africa (Maurel 2008, 10). Dietro alla dimensione linguistica troviamo quindi lotte d’influenza culturale la cui portata è politica ed economica, non solo simbolica.

Con la nascita dell’Oif l’impegno a rafforzare la diffusione della lingua francese si è declinato in due obiettivi principali: il rafforzamento dell’uso del francese nelle istituzioni internazionali e nelle grandi manifestazioni e il sostegno all’educazione.

Le due strutture di appoggio all’implementazione di questi obiettivi sono da sempre l’Agence Universitaire de la Francophonie e la Conférence des ministres de l’éducation nationale.

Creata formalmente a Montréal nel settembre 1961, l’Association des universités partiellement ou entièrement de langue française (Aupelf) era volta allo scambio di informazioni tra istituti universitari ma anche a favorire la mobilità di studenti e professori. Si voleva garantire che nelle università delle regioni del sud del mondo fosse possibile conseguire diplomi equivalenti a quelli rilasciati dagli istituti del nord. L’Aupelf organizzò questo settore sviluppando una rete di ricercatori e di istituti di ricerca e nel 1998, durante il Sommet di Beirut, prese il nome attuale di Agence Universitaire de la Francophonie (Auf). L’Associazione, dal Sommet di Dakar del 1989, cosciente dei limiti dei suoi mezzi finanziari, si è ufficialmente avvicinata alla Francofonia politica. In accordo con i capi di stato e di governo, l’Aupelf ha adottato lo statuto di operatore della Francofonia, decisione confermata al Sommet di Hanoi nel 1997, nel quadro del riassetto della Francofonia istituzionale. In questo modo l’Agenzia si è trovata a beneficiare non solo dei contributi degli istituti universitari membri, ma anche dei finanziamenti degli stati dell’Oif. L’Agence è divenuta così tributaria delle decisioni politiche della Francofonia istituzionale la quale può, al bisogno, conferirgli missioni governative. E in effetti questo è quello che è avvenuto con la riforma istituzionale del 2005 e l’adozione del Quadro strategico decennale. La definizione dei quattro programmi prioritari per l’insieme della Francofonia si è replicata all’interno dell’Auf, sovrapponendo i suoi obiettivi ai quattro programmi della Francofonia politica (Gendreau-Massaloux 2008, 3-4; Dereumaux 2008,74).

Vari programmi sono stati sviluppati dall’Auf nel campo della formazione a distanza, e in ognuno di essi è evidente la partecipazione francese. Il programma Ifadem (Initiative Francophone pour la formation à Distance des maîtres) mira a migliorare la formazione degli insegnanti che si occupano di educazione di base in francese. Questo obiettivo viene perseguito all’interno degli sforzi internazionali per la promozione dell’educazione di base e per tutti. In particolare, l’universalizzazione dell’istruzione primaria è uno dei Millennium Development Goals che i 191 Stati membri dell’Onu hanno preso l’impegno di raggiungere entro il 2015 (Millennium 2000). Inoltre l’Ifadem ha l’obiettivo di appoggiare i sistemi educativi nello sviluppo di strategie di formazione continua tramite l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione. I partner dell’Ifadem sono l’Auf e l’Oif, l’Agence Française de développement, Wallonie-Bruxelles Internationale, il Ministero delle relazioni internazionali del Québec. Altri programmi dell’Auf sono: il Foad (Formation ouverte et à distance), per il conferimento tramite corsi a distanza di diplomi o titoli universitari, sostenuto finanziariamente da alcune ambasciate Francesi in partenariato con l’Auf; l’Elan-Afrique (Écoles et langues nationales en Afrique) che promuove la ricerca sul campo nell’ambito delle lingue di scolarizzazione primaria nell’Africa Subsahariana francofona, nato nel 2007 da un partenariato fra Ministère français des Affaires Étrangères et Européennes, Agence française de développement, Oif e Auf; il Pendha, programma d’insegnamento a distanza che dopo il terremoto del gennaio 2010 mirava ad aiutare le autorità accademiche e scientifiche di Haiti nella ricostruzione del sistema educativo e della ricerca. Il progetto aveva durata di due anni ed era finanziato congiuntamente dall’Auf, l’Aird (Agence inter-établissements de recherche pour le développement) e dal Ministero degli esteri francese.

Il secondo attore rilevante per l’implementazione della missioni dell’OIF nel campo dell’educazione, come si è detto, è la Conférence des ministres de l’éducation nationale (Confemen). È la più antica tra le istituzioni francofone, creata nel 1960 allo scopo di promuovere l’educazione, la formazione professionale e tecnica. Il suo Segretariato tecnico permanente, ovvero la guida reale dell’organizzazione, venne stabilito a Dakar.

La Confemen è uno strumento a servizio degli Stati e dei governi che dovrebbe permettere di coniugare gli sforzi per sviluppare in maniera congiunta i sistemi educativi, orientando le politiche educative attraverso decisioni e raccomandazioni. Dietro la parola d’ordine dell’integrazione, la Confemen persegue tre obiettivi principali: informare gli stati membri dell’evoluzione dei vari sistemi educativi e delle riforme in corso; alimentare la riflessione su temi d’interesse comune in vista della cooperazione; animare la concertazione tra ministri ed esperti per elaborare posizioni comuni e formulare raccomandazioni in materia di educazione e formazione. Gli assi strategici d’azione della Confemen sono: promuovere l’educazione per tutti; mobilitare e diversificare le risorse in favore del settore dell’educazione; promuovere i principi di good governance nella gestione dei sistemi educativi (Dereumaux 2008, 69-71).Nel corso del tempo, come è successo all’Auf, la Confemen ha avvicinato la sua missione a quella dell’Oif, soprattutto per la necessità di finanziare i suoi programmi.

Nel 2000 la Confemen fece sue le conclusioni del Forum mondial sur l’Education pour Tous di Dakar, e ne adottò il Cadre d’action, che mirava ad accrescere la dinamica partenariale tra tutti coloro che intervenivano nel settore dell’educazione, in vista dell’elaborazione da parte di ciascun paese di un piano nazionale per l’“Education pour tous”. La Confemen contribuì alla definizione di questi piani nazionali attraverso l’implementazione del Programme d’Analyse des systèmes éducatifs(Pasec). Tale programma fu creato per studiare gli aspetti qualitativi dell’insegnamento e quantitativi della gestione economica degli istituti scolastici dei vari sistemi educativi francofoni, allo scopo di individuare le strategie più efficaci in vista del miglioramento dell’offerta formativa.

Quanto si è scritto fin qui evidenzia come il sistema francofono nel campo dell’educazione e della gestione delle politiche educative sia molto più strutturato e centralizzato rispetto ad altri. All’interno di istituzioni come la Confemen e l’Auf si riuniscono studiosi e ricercatori, esperti della lingua e nel campo dell’istruzione i quali danno direttive e propongono programmi educativi agli stati dell’area francofona. Il forte contributo da parte di Parigi, direttamente attraverso i partenariati o per il tramite dell’Oif, è sicuramente da considerare come influente nel momento in cui si valutino i programmi promossi da queste organizzazioni.

L’istituzionalizzazione della Francofonia culturale ha due conseguenze rilevanti. In primo luogo tale organizzazione rende possibile la creazione di un gruppo di pressione che può agire a livello internazionale per accrescere il peso della presenza francofona all’interno delle organizzazioni internazionali. Ne è prova l’adozione della Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali in occasione della Conferenza generale dell’Unesco dell’ottobre 2005 (Dereumaux 2008, 20; Aa. Vv. 2009, 54). Il documento è stato approvato come risultato delle pressioni congiunte dell’Oif insieme alla Comunità dei paesi di lingua portoghese, all’Unione delle lingue romanze e all’Organizzazione degli stati iberico-americani per l’educazione, la scienza e la cultura. Concretamente però la difesa della diversità culturale è stata portata avanti da Francia e Canada (Dereumaux 2008,87; Albaugh 2009, 402), mentre gli Stati Uniti spingevano per la liberalizzazione del mercato culturale. Secondo Albaugh si è trattato di un’azione promossa dalla Francia per assicurarsi che lo zoccolo duro dei francofoni, africani soprattutto, continuasse a guardare alla metropoli per il commercio dei prodotti culturali (Albaugh 2009, 402). Nell’azione condotta all’Unesco, la battaglia per la salvaguardia della “diversité culturelle” è servita per costruire una grande alleanza francofona allargata poi a quasi tutti gli stati membri dell’Organizzazione (Glasze 2007, 671-672; Pinhas 2008). La Convenzione resta priva di qualsiasi contenuto normativo (Pinhas 2008, 6). D’altra parte la sua adozione dimostra la capacità d’influenza della Francia che riesce, attraverso la diffusione del suo messaggio universale, a ottenere consensi e condurre iniziative col sostegno di un “gruppo di pressione” e di un’expertise francofona (Pellissier, Crépy 2010, 10-11,13, 16; Mazzucchi 2012, 94-98).

In secondo luogo l’istituzionalizzazione della Francofonia culturale ne fa un attore potenzialmente più influente e capace di azioni sistematiche rispetto ad altre organizzazioni a carattere universale fondate su basi linguistiche, come ad esempio il Commonwealth inglese (Torrent 2011, 607-608, 617). Come la Francofonia, il Commonwealth raggruppa paesi con legami culturali ed economici con l’ex potenza coloniale, la Gran Bretagna. Tuttavia, diversamente dalla Francofonia, all’interno del Commonwealth il peso politico di Londra è inferiore e i legami tra stati sono più deboli e meno strutturati (Albaugh 2009, 409). L’Oif infatti dipende dalla Francia come singola maggiore fonte di finanziamento. Parigi provvede circa al 40% del budget totale della Francofonia e all’80% dei finanziamenti per gli operatori diretti. In termini simbolici e reali questo sbilanciamento nella fornitura del budget dà alla Francia un’importanza singolare che è molto maggiore di quella data dal contributo britannico al Commonwealth (Majumdar 2012, 11-12). Ciò non significa che la Francia domini completamente la Francofonia, ma sicuramente costituisce l’attore principale della cooperazione, particolarmente nel continente africano (Torrent 2011, 611). Al contrario del caso francofono poi, non esiste nel Commonwealth una comunità accademica che abbia credenze condivise sull’uso della lingua nel campo dell’educazione (probabilmente perché non ne ha bisogno). La Francofonia invece si caratterizza in maniera marcata per il fatto di avere un consenso condiviso e una cornice strategica a cui far riferimento per la progettazione delle politiche linguistiche (Albaugh 2009, 410). Tali differenze non sono irrilevanti dal punto di vista dell’influenza che le due organizzazioni possono esercitare (Albaugh 2009, 411-412).

Le caratteristiche appena enunciate sono rilevanti al momento dell’implementazione delle politiche linguistiche ed educative all’interno degli stati francofoni, in particolar modo quelli africani. Come vedremo affrontano il caso del Senegal, la Francofonia si impegna nello sviluppo di poli di eccellenza e nella formazione di élite autoctone sulla base di politiche educative francesi. In tal modo si ripropone il pericolo dell’omologazione culturale e si impedisce l’attuazione di riforme del settore educativo veramente rispondenti ai bisogni delle popolazioni che devono coinvolgere. In Senegal infatti, nonostante anni di propaganda “francofila”, la protesta rimane: la volontà degli attori dell’educazione è quella di un riconoscimento più marcato della particolarità della cultura senegalese all’interno del sistema educativo e delle politiche linguistiche dello stato.

Foto 3. Ufficio del Direttore. Scuola primaria pubblica di N’Dangane, Senegal, Aprile 2012. Foto dell’autrice

Foto 3. Ufficio del Direttore. Scuola primaria pubblica di N’Dangane, Senegal, Aprile 2012. Foto dell’autrice

Senegal: influenza francese e Francofonia alla prova. Spunti di riflessione da un’esperienza sul campo

Nell’aprile-maggio 2012 ho potuto svolgere un’attività di tirocinio in Senegal, in particolare a Dakar e nel villaggio di N’Dangane. Una parte del lavoro prevedeva il reperimento di informazioni riguardo all’uso e alla competenza nella lingua francese all’interno della popolazione del villaggio, e soprattutto tra i bambini e i ragazzi in età scolare.

I testi su cui mi ero preparata prima della partenza (Dreyfus Juillard 2004; Dumont 1983; Blanchet Chardenet 2011), prodotti ed elaborati col supporto dell’Auf, avevano determinato in me la volontà di conoscere quanto realmente la Francofonia incidesse nella realtà di questi territori, spesso presi ad esempio nello studio e nell’analisi delle politiche educative e linguistiche.

Il mio lavoro sul campo è certamente soggetto ai limiti e alle difficoltà della registrazione non sistematica dei fatti osservati. Ciononostante, tali riflessioni, permettono di dare concretezza alle considerazioni fatte fin qui e di mettere alla prova ciò che la Francofonia pretende di rappresentare nella sua veste ufficiale.

La peculiarità del Senegal ne fa un caso di studio privilegiato, rispetto ad altri stati subsahariani, per le relazioni che mantiene con la Francia e per la sua posizione all’interno del movimento francofono. Il Senegal, “vitrine démocratique” della Francia (France-Sénégal, 1997), è l’emblema di come durante il colonialismo ma anche dopo le indipendenze, Parigi abbia saputo esercitare un’influenza importante nel continente africano, sia a livello dell’organizzazione politica e amministrativa degli stati nazionali indipendenti, sia a livello culturale, attraverso la dominazione linguistica e la promozione della francofonia.

Per altro verso occorre ribadire come il ruolo del Senegal sia stato centrale nell’ambito della Francofonia, principalmente grazie all’opera di Leopold Sedar Senghor, filosofo e principale promotore del movimento francofono, difensore della lingua francese e leader dello stato senegalese indipendente (Cisse 2005, 100; Cruise O’Brien 1996, 458). Il Senegal negli anni ha mantenuto la sua rilevanza nel consesso dei paesi francofoni, come attesta l’elezione alla carica di Segretario Generale dell’Oif dell’ex-presidente della Repubblica senegalese Abdou Diouf. Diouf è stato eletto a questa carica dal Sommet di Beirut del 2002, e riconfermato nel 2006 a Bucarest e nel 2010 a Montreux.

Il Senegal è inoltre sede di conferenze nell’ambito educativo e di molti segretariati, come quello permanente della Confemen, che è la più antica fra le istituzioni francofone ed è attore rilevante nell’implementazione delle politiche dell’Oif. Le raccomandazioni fatte all’interno del programma Pasec della Confemen videro tra i primi attuatori proprio il Senegal. Si vedrà come il Programme de développement de l’éducation et de la formationche ne è derivato preveda un settore educativo fortemente basato sulla lingua francese, ignorando le richieste che erano state fatte in favore di una scuola maggiormente rispondente alle esigenze di comunicazione della popolazione senegalese.

Foto 4. Una classe della Scuola primaria pubblica di N’Dangane, Senegal, Aprile 2012. Foto dell’autrice.

Foto 4. Una classe della Scuola primaria pubblica di N’Dangane, Senegal, Aprile 2012. Foto dell’autrice.

Istruzione e identitá senegalese: proteste domestiche contro i padri della Francofonia

In Senegal mi è capitato spesso di avere dialoghi sui temi dell’identità senegalese con persone molto diverse, per etnia, religione ma anche orientamento politico. Il senso di appartenenza e d’identità di questo popolo è molto forte e la fierezza del sentimento nazionale va oltre le divisioni etniche e religiose. Senghor riecheggia spesso nei discorsi di ognuno dei miei interlocutori come figura mitica dell’indipendenza e padre dello Stato unitario.

Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe però, proprio nel momento di maggior promozione della Francofonia, Senghor e Diouf vennero duramente contestati. Nel corso degli anni Settanta gli intellettuali senegalesi rivendicarono un’identità differente da quella costruita sulla négritude, la francofonia e sull’immagine di Senghor, che era visto come l’intellettuale della classe dirigente e “homme de la France” (Diouf 2002, 257; Diop 2002, 42). Si protestava per l’ottenimento di un’università che fosse realmente a servizio dell’Africa, cosa che la classe dirigente senghoriana non poteva prendere in considerazione, non avendo mai optato per la rottura col progetto culturale coloniale (Diop 2002,44-46). L’emergere di progetti antiassimilazionisti si espresse nella lotta per la promozione delle lingue nazionali, per la valorizzazione della cultura senegalese e la creazione di un’università più africana e senegalese (Diop 2002, 46). Tuttavia nemmeno con l’alternanza politica le contestazioni cessarono e l’arrivo prima di Diouf e poi di Abdoulaye Wade non rimisero in causa la costruzione culturale della classe dirigente (Cruise O’Brien 2002, 504, Diouf 2002, 263). Infatti, l’importanza riservata dall’indipendenza in poi alla nozione di “politique de la culture”, che pone la cultura come principio e fine di tutti i processi di sviluppo, ha influenzato la coscienza delle élites del paese e le stesse attese politiche della popolazione. Dall’indipendenza in poi lo stato senegalese ha destinato il 40% del budget nazionale al campo dell’istruzione, settore finanziato per più del 50% da donatori esteri (La coopération dans le secteur de l’éducation, 2001; Le financement de l’éducation en Afrique subsaharienne, 2011). Ciò spiega perché, nonostante l’alternanza, tutti i governi senegalesi abbiano accordato il loro supporto all’azione francese, anche attraverso la promozione della Francofonia (Diagne 2002, 244-246; Gellar 2002, 521). La natura dipendente delle relazioni franco-africane ha fatto sì che le élites postcoloniali abbiano avuto ed abbiano tutt’ora bisogno della Francia e per questo investano molto, politicamente, economicamente e emozionalmente in questa relazione (Chafer 2001,166, 176-177).

Al mio arrivo in Senegal ad aprile 2012, ad aggravare una situazione politica già tesa a causa delle elezioni presidenziali, si stava svolgendo lo sciopero portato avanti dagli studenti e dai professori dell’Université Cheik Anta Diop di Dakar. Lo sciopero, iniziato nel dicembre 2011, vedeva i professori del settore pubblico reclamare aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro, mentre gli studenti, che temevano l’invalidazione dell’anno accademico, reclamavano il pagamento delle borse di studio che erano state assegnate all’inizio dell’anno. All’interno del baluardo africano della Francofonia, i problemi relativi alla crisi del settore educativo non sembravano trovare soluzione e gli scioperi mettevano in luce le inefficienze di una cattiva gestione e la penuria di risorse. E questo proprio a Dakar, la “piccola Parigi” dell’epoca coloniale, e all’interno del settore che più di tutti era stato curato dagli investimenti francesi, quello dell’istruzione superiore e universitaria.

Secondo Gandolfi, la principale contraddizione vissuta dai sistemi d’istruzione africani in generale, è che pur facendo considerevoli sforzi per adattarsi ai bisogni del contesto, vivono con eteronomia il rapporto con le loro origini e i legami ancora forti con l’occidente (Gandolfi 1995, 57). La scarsa autonomia di queste istituzioni è dovuta anche al fatto che Parigi, fino agli anni Settanta, ha assicurato la metà del finanziamento e fornito la maggior parte degli insegnanti. Le istituzioni di formazione dell’Africa francofona sono state trapiantate in toto dalla Francia e anche una volta diventate realtà nazionali non hanno rimesso in discussione né organizzazione né programmi di insegnamento, che si riconfermano negli anni inadatti alle esigenze delle realtà locali (Gandolfi 1995, 21).

Alla scarsa autonomia del settore educativo si aggiunge la delusione delle attese di un più facile accesso alle opportunità di contatti tra realtà francofone. La Francia ha fatto di questo scambio la ragione stessa della propria influenza postcoloniale. Purtroppo in concreto sembra essersi realizzata solamente un’offerta di borse di studio riservata a pochi eletti. Un’assegnazione che, quando avviene, risponde a due interessi distinti: quello della Francia, che per assicurare il mantenimento dell’influenza politica nelle sue antiche colonie partecipa finanziariamente alla formazione dei quadri; e quello del Senegal, che aumenta o accelera per questa via la produzione di un’élite operativa sul piano amministrativo (Guèye 2002, 217; Diaw 2002, 564; Dumont, Kante 2012).

 

Foto 5. Scuola coranica, N’Dangane, Senegal, Maggio 2012. Foto dell’autrice.

Foto 5. Scuola coranica, N’Dangane, Senegal, Maggio 2012. Foto dell’autrice.

Il francese in Senegal: langue officielle, langue étrangère

L’impatto con la realtà linguistica senegalese è molto più complesso di quello che ci si aspetterebbe nel paese che più di tutti è esibito come promotore della Francofonia. Il Senegal è un paese francofono solo in parte. Chi parla francese non è che una minoranza della popolazione. Per svolgere l’indagine, ho avuto sempre bisogno di essere accompagnata da qualcuno che fosse in grado di tradurre per me. La traduzione avveniva a più livelli e secondo il principio per cui, per entrare realmente in contatto con la popolazione e con le autorità a livello decentrato, come capi villaggio e comitati locali, era necessario tradurre nella lingua dell’etnia coinvolta nella relazione, nel caso di N’Dangane, il sérère. Ho potuto constatare come la diffusione di informazioni e la cosiddetta “sensibilizzazione”, che si tratti di far passare nozioni sanitarie o di promuovere un progetto di cooperazione all’interno della comunità, si fa anch’essa direttamente nella lingua madre della popolazione coinvolta. Le “relatrici” o “matrone” ad esempio, sono figure non istituzionali cui mi sono affiancata durante il lavoro nel villaggio. Sono le donne che si occupano di fare passare comunicazioni e notizie, di sensibilizzare la popolazione riguardo ad un nuovo progetto o iniziativa, ma anche di fare educazione all’igiene e sanitaria. Esse si incaricano di spargere la voce e spiegare alla popolazione, in lingua sérère, i nuovi progetti e le nuove politiche statali in modo che vengano recepite e ben accolte. Questo perché in questi luoghi periferici anche chi ha frequentato la scuola primaria non sempre parla francese, cosa che rende più difficili i contatti della popolazione con l’esterno e con lo stesso Stato centrale. Infatti, in famiglia ma anche nei luoghi di lavoro, vengono utilizzate per la comunicazione il sérère e il wolof, che è la lingua di comunicazione nazionale, e non il francese, che rimane così confinato alla pratica di pochi anni di scuola primaria. Sono stata partecipe anche dell’implementazione di una delle campagne di prevenzione dell’Hiv, promossa dall’Oms, che si è svolta totalmente in lingua wolof e sérère, tranne che per il filmato proiettato al termine della giornata.

Ma qual è la situazione linguistica del Senegal?

Nei primi vent’anni dopo l’indipendenza le autorità senegalesi scelsero di continuare la politica linguistica coloniale. L’articolo I della Costituzione del Senegal indipendente proclamava che la lingua ufficiale dello Stato era il francese, e doveva restare la sola lingua dell’educazione, dell’amministrazione e di governo (Ka 1993, 278; Cisse 2005, 110). Il monolinguismo esterno, imposto in un paese tradizionalmente plurilingue, ha fatto sì che il francese, agli occhi della maggior parte dei senegalesi, sia rimasto una lingua straniera, benché la sola lingua ufficiale (Schiavone 2007, 2). Insomma, il Senegal non ha sviluppato dopo l’indipendenza una politica linguistica coerente a partire dalla sua realtà multilinguistica: nel momento in cui Senghor optava per la promozione del francese, meno del 15% dei senegalesi lo padroneggiavano mentre tra il 65% e l’80% parlavano wolof (Cisse 2005, 110). L’imposizione dell’uso esclusivo del francese nell’insegnamento formale e informale, si inscriveva nel quadro di quell’opera di promozione dell’alfabetizzazione e scolarizzazione in francese che aveva contraddistinto gli anni Sessanta e che era stata condotta con l’appoggio di Parigi e dell’Unesco. Questa imposizione non aveva dato i risultati sperati, principalmente proprio per il carattere multilingue del Senegal, ma anche perché il francese rimaneva una lingua straniera senza essere utilizzato come lingua di comunicazione nazionale.

Attualmente, la Costituzione adottata nel 2001 permette a tutte le lingue autoctone codificate di beneficiare dello statuto di lingua nazionale (Cisse 2005,103). Ciononostante il francese, oltre ad essere lingua ufficiale e della burocrazia, è anche l’unica lingua d’istruzione riconosciuta a tutti i livelli. È quindi la lingua francese, e non le altre lingue nazionali, a rimanere il solo mezzo istituzionale di promozione sociale (Cisse 2005, 104; Cruise O’Brien 2002, 460; Ka 1993, 282; Diop 2002, 52). Non c’era all’epoca di Senghor, né sembra esserci attualmente, nessuna volontà reale di introdurre le lingue nazionali nell’insegnamento, nella vita pubblica e in quella amministrativa (Cisse 2005, 112). In Senegal come nella maggior parte delle antiche colonie francesi, la conoscenza del francese costituisce ancora la linea di demarcazione tra l’élite urbana educata e occidentalizzata e la massa (Ka 1993, 279; Dreyfus Juillard 2004, 274).

Ciò detto, acquista significato la critica più radicale della Francofonia per come essa ignora le diversità delle situazioni linguistiche dei paesi coinvolti, all’interno dei quali spesso il francese è parlato solo da una minoranza della popolazione. Il Senegal ad esempio, se si esclude l’opera di Senghor e se si guarda alle richieste effettivamente espresse dal settore educativo senegalese, è ben lungi dal corrispondere all’immagine di un paese francofono e francofilo.

E questa constatazione non è vera solo oggi perché, a partire dagli anni Ottanta, si è assistito al rafforzamento di un movimento sindacale e politico degli insegnanti che continua a reclamare una rifondazione totale della scuola senegalese (Cisse 2005, 116). Gli États généraux de l’éducation et de la formation(Egef), che ebbero luogo nel gennaio 1981, furono una delle iniziative maggiori in risposta a questo movimento. Si trattò di una conferenza generale di tutto il personale e delle organizzazioni coinvolte nel processo educativo: insegnanti, ricercatori, rappresentanti del governo, sindacati, genitori, personalità religiose e organizzazioni di studenti. Per la prima volta si assisteva alla rimessa in causa di tutto il sistema dell’istruzione (Ka 1993, 283). Tra le raccomandazioni più importanti uscite dagli Stati generali, lo studio dell’inglese e dell’arabo venne definita una priorità nazionale. La ragione di tale priorità era da una parte il bisogno del Senegal di comunicare in un contesto internazionale sempre più anglofono e dall’altra l’importanza dell’arabo e della religione islamica nella vita culturale del paese (Ka 1993, 284; Cisse 2005, 117). La società senegalese, soprattutto il mondo intellettuale, dimostrò in quell’occasione una grande vitalità e attenzione alla promozione di un’educazione più rispondente ai bisogni e alla realtà socio-economica del paese (Cisse 2005, 117).

Per meglio specificare i contorni di questa nuova scuola più aperta e democratica fu creata una Commission Nationale de Réforme (Cnref), le cui conclusioni furono presentate nel 1984. Tra gli obiettivi più importanti della formazione scolastica, la Cnref auspicava la ridefinizione dei contenuti e degli obiettivi dell’educazione in funzione delle priorità di sviluppo e la ridefinizione dei campi di utilizzo delle differenti lingue a partire dai bisogni linguistici degli studenti (Ka 1193, 284). A dispetto dei proseliti senghoriani, che volevano la lingua francese come collante capace di unire il popolo, prese piede la nozione del wolof come “langue d’unification”, mentre il francese venne definito “langue étrangère”.

Una serie di circostanze hanno reso difficile l’attuazione di queste proposte, come le misure di austerità imposte dal Fmi in quegli anni e l’impossibilità di modificare la struttura centralizzata ereditata dal modello francese (Ka 1993, 287; Cisse 2005, 119). Con una soluzione di compromesso, alla fine tali proposte sono state recepite dividendo il sistema d’istruzione in educazione “formelle” e “non formelle”. Tale divisione peraltro riguarda tutto il territorio africano e affonda le sue radici in epoca coloniale. Del primo tipo fa parte l’insegnamento superiore, gestito direttamente dal Ministero dell’educazione senegalese. L’alfabetizzazione, che si realizza nell’ambito “non formelle” e che può comprendere anche l’utilizzo dell’arabo e delle varie lingue nazionali, si svolge per lo più nei contesti rurali ed è legata soprattutto all’iniziativa privata e delle Ong (Cisse 2005, 122). Dello stesso settore fanno parte le strutture che si occupano dell’insegnamento della lingua araba sotto l’appellativo di “écoles franco-arabes” o “daaras” (scuole coraniche).

Lo Stato dunque ha scelto di farsi carico prioritariamente dell’educazione formale in francese, attraverso gli istituti d’istruzione superiore (Cisse 2005, 123). Ciò che lo Stato lascia alle strutture locali e decentrate, per lo più rurali, è la gestione di tutto un bacino educativo non francofono, quello delle scuole franco-arabe, che si sviluppa in parallelo e si radica molto bene sul territorio perché rispondente ad un bisogno culturale e religioso forte della popolazione. Durante la mia esperienza sul campo, ho potuto riscontrare come a livello rurale le carenze siano qualitative, nel servizio d’istruzione e nei risultati dell’apprendimento; organizzative, nel reclutamento degli insegnanti; di contenuto, in quanto da una parte troviamo cultura e sistema francese mentre dall’altra cultura e tradizione araba. A livello decentrato, si generano degli squilibri rilevanti tra zone rurali e urbane, ma anche tra educazione formale e informale. (Diakhaté 2008, 21, 173).

Dunque fuori dal discorso ufficiale esiste una realtà viva fatta di pratiche culturali e linguistiche che si impongono e resistono soprattutto nei contesti rurali, lontani e spesso dimenticati da quello che ancora oggi è il centro politico e culturale dei rapporti con la Francia, ovvero Dakar e il governo centrale. In quei contesti difficilmente il francese riesce a penetrare, seppur tanto sia stato fatto a livello di decentramento per realizzare un controllo il più omnicomprensivo possibile dello stato unitario (Alissoutin 2008; Pivetau 2005).

Il mantenimento dell’equilibrio tra francese e lingue parlate in Senegal tramite la suddivisione delle competenze tra educazione “formelle” e “non formelle” ha per scopo, secondo il governo, di assicurare la pace sociale e lo sviluppo economico del paese. Tuttavia, attraverso il mantenimento dello status quo che valorizza il francese nell’istruzione superiore e a livello burocratico a discapito delle lingue nazionali, il Senegal non fa che ritardare la sua decolonizzazione linguistica (Cisse 2005, 114).

 

Foto 6. Ultimo giorno di scuola, Mar Soulou, Senegal, Maggio 2012. Foto dell’autrice.

Foto 6. Ultimo giorno di scuola, Mar Soulou, Senegal, Maggio 2012. Foto dell’autrice.

Conclusioni. Dakar: poli d’eccellenza e sfide alla Francofonia. Cosa resta della Francofonia in Senegal?

È all’interno dei contesti istituzionali e ufficiali che la Francofonia vede la sua autocelebrazione. Dakar è il luogo dei Sommet de la Francophonie, luogo d’incontro dei leader di tutto il mondo, centro nevralgico degli input culturali, in cui si delineano le direttive per le politiche educative che divengono esempio per molti stati del continente africano (Situation économique et social du Sénégal 2010). Tappa fondamentale per coloro che lavorano e studiano nell’ambito della Francofonia, Dakar ospita i seminari e le conferenze dell’Université Senghor di Alessandria d’Egitto, università francofona di terzo ciclo, creata nel 1989 dall’allora Presidente senegalese Abdou Diouf e dal Presidente egiziano Mubarak allo scopo d’istruire quadri e formatori di alto livello (Dereumaux, 2008, 74-75; Deniau 2001, 64). In questo ambiente, non trovano ascolto le richieste espresse in passato in favore di un sistema educativo più rispondente alle esigenze del contesto.

La Francofonia, messa alla prova nel caso del Senegal, mostra limiti notevoli e sostanzialmente fallisce su due obiettivi rilevanti.

In primo luogo la promozione di poli d’eccellenza nei paesi del sud del mondo, basati sui modelli degli istituti del nord non sembra incidere sul progresso reale delle popolazioni africane. Essa contribuisce solo all’avanzamento di individui singoli, parte di un’élite ristretta, peraltro pronta a trasferirsi all’estero non appena è possibile. Ciò è tanto più importante da sottolineare dal momento che sono le università, attraverso la ricerca, ad essere il vero motore di sviluppo delle società (Gandolfi 1995, 153). Le politiche della Francofonia rischiano di essere come molti degli interventi internazionali, scollegate dalle realtà in cui si suppone debbano essere realizzate, e per questo inefficaci. Le istituzioni politiche, come spesso accade nei territori africani, risultano così essere estranee alla loro cultura, che nel caso senegalese è fatta più di ibridazioni linguistiche e culturali che di francofonia.

Infine, nonostante la promozione da parte della Francofonia del dialogo tra culture e di un sapere di tipo democratico, gli scambi tra nord e sud non sembrano essere diventati più facili e frequenti. Parigi chiude le porte ai flussi migratori, selezionando all’entrata solo una minoranza. Questo atteggiamento politico conferma la natura ambigua dell’impegno francese nella Francofonia, che risulta più ideologico che effettivo e incide sul futuro stesso della cooperazione. La difficoltà negli scambi con la Francia è il tradimento maggiore delle promesse della Francofonia e una delle ragioni dell’avanzamento dell’inglese a discapito del francese, in Senegal come altrove negli stati francofoni (Chafer 2003, 164; Diallo 2011, 3-6). Il Gabon ad esempio è uno di quei paesi che ha deciso di introdurre l’inglese come lingua ufficiale accanto al francese. Alain-Claude Bilié Bi Nzé portavoce della presidenza gabonese, ha così sintetizzato le ragioni di tale scelta: “le 25% du budget (nationale) est destiné à la Francophonie et ces jeunes que nous formons à la francophonie ont du mal à obtenir des visas […] pour venir dans certains pays francophones, ou dans un pays francophone, pour ne pas le nommer”. Bilié Bi Nzé denuncia così una pratica d’esclusione che proprio la Francia attua in seno alla Francofonia e che spinge questi paesi a rivolgersi altrove per affrontare le sfide della mondializzazione (Foka 2012).

Biografia

Chiara Gorgeri (Pistoia, 1986) ha conseguito la laurea in Sociologia presso l’Università di Firenze e la laurea magistrale in Scienze internazionali presso l’Università di Siena. Nel 2012 ha svolto un tirocinio presso il villaggio di N’Dangane (Senegal) e attualmente studia Didattica dell’italiano come lingua straniera presso l’Università per stranieri di Siena.

Biography

Chiara Gorgeri (Pistoia, 1986) graduated with a B.A. in Sociology from the University of Florence and with a M.A. in International Studies from the University of Siena. In 2012 she served an internship in the village of N’Dangane (Senegal) and is currently studying Didactics of Italian as a foreign language at the University for Foreigners of Siena.

Bibliografia

 

Documenti

 

Accord de coopération entre l’Organisation des Nations Unies pour l’éducation, la science et la culture et l’Organisation Internationale de la Francophonie. 27/12/2000.

http://www.francophonie.org/IMG/pdf/UNESCO.pdf ultimo accesso: 18/02/2013.

Cadre d’action de Dakar, Texte adopté au Forum mondial sur l’éducation Dakar, Sénégal, 26-28 avril 2000.

http://www.unesco.org/education/efa/fr/ed_for_all/dakfram_fr.shtml ultimo accesso: 23/04/2014.

Cadre stratégique décennal de la Francophonie, Ouagadougou, 26-27/11/2004.

http://www.francophonie.org/IMG/pdf/Cadre_strategique.pdf ultimo accesso: 23/04/2014.

Charte de la Francophonie. Adoptée par la Conférence ministérielle de la Francophonie. Antananarivo, 23/11/2005.

http://www.francophonie.org/IMG/pdf/charte_francophonie.pdf ultimo accesso: 18/01/2013.

 

Constitution de la République du Sénégal du 22 janvier 2001.

http://www.gouv.sn/IMG/pdf/Constitution.pdf ultimo accesso: 13/05/2013.

Déclaration e Plan d’action de Hanoi, 14-16/11/1997. In Recueil des déclarations et des plans d’action des sommets de la francophonie (1986-2002), pp. 31-52.

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