Da massa di carte silenziosa a fonte ordinata per la ricerca storica: il caso dell’archivio della Libera Università della Tuscia

di Gilda Nicolai

Abstract

Le istituzioni universitarie sono, per loro stessa natura, chiamate a svolgere un ruolo di grande rilievo nell’ambito della tutela dei beni culturali, essendo centri di attrazione di archivi di grandissimo interesse e avendo la possibilità di valorizzarli mediante il ricorso alle risorse interne della ricerca. È fondamentale pertanto che le Università coltivino la consapevolezza dell’importanza degli archivi, esercitando un effetto di trascinamento anche per altre realtà, allo scopo di assolvere il comune compito della trasmissione del patrimonio documentale e quindi delle conoscenze alle generazioni che verranno. Nell’articolo viene portato il caso della Libera università della Tuscia, come buona prassi per riscoprire la propria memoria.

Abstract Eng

From a mass of silent papers to an ordered source for historical research: the case of the archives of the Free University of Tuscia University institutions are, by their very nature, called upon to play a very important role in the protection of cultural heritage, being centres of attraction for archives of great interest and having the possibility of enhancing them through the use of internal research resources. It is therefore fundamental that the Universities cultivate awareness of the importance of archives, exerting a dragging effect also for other realities, in order to carry out the common task of transmitting the documentary heritage and therefore knowledge to future generations. In the article the case of the Free University of Tuscia is presented as a good practice to rediscover one’s own memory.

Gli archivi delle università

La felice immagine cattaneana dell’Italia delle “cento città”, che rimanda alla tradizione municipale vitale e feconda nel nostro paese, è un punto di riferimento fondamentale per l’individuazione di talune costanti interpretative anche sul terreno della storia universitaria. Tantoché più di uno studioso dubita che si possa davvero parlare di un “sistema” universitario, ossia dello sviluppo coerente e progettato razionalmente di una struttura unitaria, stante la parziale riuscita, o addirittura il vero e proprio fallimento, dei molti piani di organico riequilibrio del paesaggio universitario, arenatisi contro la resistenza tenace delle tradizioni accademiche e degli interessi locali (Signori 2001, 69-73). Da sempre l’elemento che spinge un soggetto a conservare un archivio è la volontà di custodire la propria memoria, alimentare la coscienza del proprio passato. Ma la memoria deve essere organizzata: non avrebbe senso ricordare singoli eventi, episodi, persone, senza una collocazione nel tempo e nello spazio, una successione cronologica, l’inquadramento nel loro contesto (Lodolini 1998, 15). In questo ambito, gli archivi delle Università sono, non solo un deposito di carte prodotte e ricevute dal contesto universitario, ma costituiscono piuttosto un elemento dinamico e un fattore di crescita che può contribuire a determinare alcune condizioni e sviluppi dell’istituzione (Sitran Rea 1996; Negruzzo, Zucca 2011). Esso deve essere uno strumento efficiente e funzionale per gli organi di governo universitari, per chi organizza il proprio lavoro di ricerca sulla base di esperienze esemplari. Le istituzioni universitarie sono, per loro stessa natura, chiamate a svolgere un ruolo di grande rilievo nell’ambito della tutela dei beni culturali, essendo centri di attrazione di archivi di grandissimo interesse e avendo la possibilità di valorizzarli mediante il ricorso alle risorse interne della ricerca. È fondamentale pertanto che le Università coltivino la consapevolezza dell’importanza degli archivi, esercitando un effetto di trascinamento anche per altre realtà, allo scopo di assolvere il comune compito della trasmissione del patrimonio documentale e quindi delle conoscenze alle generazioni che verranno.

L’archivio deve mantenere la sua piena vitalità istituzionale: esso deve essere un laboratorio per la ricerca storiografica ma anche una palestra di autocoscienza organizzativa, così necessaria per un’istituzione sempre alla ricerca di nuovi equilibri, ora dettati e regolati da un principio di autonomia che proprio nella sua memoria storica e quindi, nell’archivio, ricava le sue prerogative e le procedure per attuarsi (Brizzi 2002, 137-148). Fino agli anni Novanta del Novecento si è rilevata una marginale attenzione per gli archivi universitari, causata dal persistere di alcuni dubbi interpretativi sulla natura giuridica delle istituzioni universitarie (enti pubblici o organi dello Stato?), contribuendo in tal modo a creare una sorta di vuoto di giurisdizione. La natura giuridica delle università italiane è mutata dall’Unità d’Italia in avanti. Dapprima considerate organi dello Stato, dipendenti dal Ministero della Pubblica Istruzione, solo nel 1923, con la cosiddetta “riforma Gentile” venne loro riconosciuta la personalità giuridica senza tuttavia che ciò comportasse una reale forma di autonomia, quelle che, in diritto amministrativo, vengono denominate “persone giuridiche-organo” (Finocchi 2003, 1355). Dal 1948 la Costituzione afferma un importante principio all’art. 33 comma 5, ovvero che le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. Soltanto nel 1989 con l’istituzione del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, si è giunti ad una reale autonomia normativa, organizzativa, didattica, finanziaria e contabile (Penzo Doria 2009, 221-231). La natura di ente pubblico non statale è stata ribadita dal decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29 (poi decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modifiche e integrazioni) che disciplina il funzionamento delle amministrazioni pubbliche e il rapporto di impiego pubblico, che però non si applica al personale docente (Pegoraro 2011, 243-244). Definire la natura giuridica delle università ha naturalmente una rilevanza archivistica, soprattutto per quanto riguarda la relazione funzionale con l’amministrazione archivistica. Il caso venne risolto con la circolare del Ministero dell’Interno 16 maggio 1966, n. 32, avente per oggetto “Archivi delle Università degli Studi”, con la quale si affermava implicitamente l’autonomia universitaria e non la condizione giuridica di ente statale (Collavo Baggio 1970, 658-659). In quanto appartenente ad ente pubblico, gli archivi universitari italiani sono soggetti al regime del demanio pubblico e sono, pertanto, inalienabili ai sensi del Codice civile, inalienabilità ribadita dal D.Lgs 22 gennaio 2004 n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, art. 54 comma 1, lett. d). Il patrimonio documentario conservato dagli Atenei statali e non, è ricchissimo a variegato, ma spesso di difficile fruizione anche per le incertezze normative accennate. Una situazione sostanzialmente positiva si è creata per quanto riguarda gli archivi preunitari delle università più prestigiose e antiche che si trovano in gran parte presso Archivi di Stato (Carucci 2001, 205). Purtroppo, questa situazione non è generalizzata come si legge nella relazione finale della Commissione nazionale per il corso di laurea e facoltà di conservazione dei beni culturali, pubblicata nel 1994, la quale afferma che gli archivi delle università sono “patrimoni strutturati in maniera incerta, collocati spesso in spazi angusti, senza personale, senza possibilità di divenire strumenti di studio e di più ampia fruizione culturale”1. La situazione più problematica è quella che riguarda gli archivi universitari post unitari che si trovano presso le università. Il problema è proprio quello di predisporre gli archivi presso le sedi universitarie. Non soltanto gli archivi storici, ma anche gli archivi di deposito, concentrando il fondo o i diversi fondi in una struttura per organizzarne il corretto ordinamento e una corretta inventariazione. Gli Atenei oggi sono comunque sempre più attenti alla loro storia, coscienti che lo sviluppo si attua anche attraverso lo studio del passato, non fine a se stesso, ma con l’occhio teso al futuro. Sono ormai molte le università che sembrano aver inteso la necessità di conservare, descrivere e rendere fruibile il proprio patrimonio archivistico. Le prime proposte operative sulle università erano incentrate su single realtà, poi la tendenza è cambiata e sono nati programmi a livello nazionale, come il Centro Interuniversitario per la storia delle università italiane a Bologna nel 1996, i progetti Titulus 97 per la creazione di un protocollo unico per gli Atenei; Thesis 99 per la tenuta e tutela delle tesi di laurea; Studium 2000 per la tutela e la valorizzazione degli archivi storici; Cartesio per la redazione di un massimario di selezione e scarto per gli archivi universitari; Titulus Caronte per l’implementazione di un software per la gestione dell’archivio di deposito; Ad Personam per la gestione e tenuta del fascicolo di persona (studenti e personale); Atlantis per la redazione di un atlante diplomatico delle università italiane; Aurora per la redazione degli oggetti e la registrazione anagrafica del protocollo; eXtra per lo scambio XML dei protocolli; la Rete degli archivi storici delle università italiane; Uni-Doc un progetto di formazione continua di tutto il personale che è stato il progenitore dell’attuale Procedamus (www.procedamus.it).

Data l’importanza che il patrimonio documentario delle università riveste, nel 1992 era stata costituita una sezione degli archivi universitari all’interno del Consiglio internazionale degli archivi, allo scopo di affrontare con mezzi adeguati i problemi comuni, quali, ad esempio, la crescita esponenziale degli archivi. La ricchezza e la frammentazione del patrimonio universitario italiano furono rilevate anche da uno studio condotto nel 2002 dalla CRUI (Conferenza dei Rettori Italiani) la quale precedentemente, nel 1999, aveva istituito una commissione per i musei, archivi e collezioni universitarie per “recuperare il patrimonio importante della nostra università e promuovere il coordinamento con le realtà accademiche” (Nicolai 2012, 62). Nel 2005 il Consiglio d’Europa ha adottato all’unanimità la raccomandazione Rec (2005) 13, “Raccomandazione sulla governance e gestione del patrimonio universitario”, che è il risultato di una collaborazione tra due comitati, l’uno incaricato del patrimonio culturale e l’altro dell’istruzione superiore e della ricerca. Il documento, indirizzato ai governi degli Stati membri e agli organi direttivi delle università, contiene raccomandazioni specifiche sulle politiche, le normative, la governance e la gestione, il finanziamento, l’accessibilità, i rapporti con le autorità locali e la cooperazione internazionale (www.coe.int).

Denominazione e tipologia del soggetto produttore

Comunemente, il termine “libere università” viene usato come sinonimo di università private (Ferrara 1993) creando in questo modo un’idea di università elitaria, la cui frequenza è legata sostanzialmente a una situazione economica privilegiata. Ma non tutte le università libere sono nate in tale contesto, alcune di esse, come la Libera Università della Tuscia, è stata una scelta voluta per traghettare l’ateneo viterbese verso la statalizzazione.

Il termine tradizionalmente diffuso è “Università degli Studi di…” seguito dal nome della città in cui si trova la sede legale, ma attualmente la scelta della denominazione spetta a ciascuna università nell’ambito della propria autonomia riconosciuta dall’ordinamento giuridico (Strippoli 2008). Ad alcuni Atenei (per. Es. Calabria e Molise) la denominazione è stata attribuita con riferimento alla regione, mentre in altri casi, come la Tuscia, il riferimento è a un ambito sub-regionale (Insubria, Piemonte Orientale, Salento, Sannio). Per altre università la denominazione ricorda la preliminare operazione di smembramento dei grandi atenei all’origine della loro fondazione (Università degli Studi di Roma Tre, Seconda Università degli Studi di Napoli). Le università per stranieri di Perugia e Siena devono la loro denominazione ai destinatari dell’offerta formativa mentre alcuni atenei portano il nome di Politecnico (Bari, Milano, Torino) e di Università Politecnica (Marche) in quanto l’offerta formativa è caratterizzata dall’esclusiva presenza di facoltà tecniche anche se la loro natura giuridica non muta. La maggior parte delle università italiane rientra fra le amministrazioni pubbliche, ma alcuni atenei hanno mantenuto la natura privatistica (l’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano e la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli di Roma), mentre altri istituti di istruzione superiore sono riconducibili alla chiesa cattolica (per es. l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e ad altre confessioni religiose come la Facoltà valdese di Teologia (Pegoraro 2011, 243).

Le Libere università e i loro archivi

Al momento dell’Unità in Italia si contavano 20 università, dato che faceva dell’Italia il paese europeo con il maggior numero di università in rapporto alla popolazione (Luzzato 1990, 153-198). Tralasciando realtà consolidate descritte nel paragrafo precedente, nel panorama italiano abbiamo una pluralità di università che nel corso della loro storia sono passate da essere istituzioni libere a istituzioni statali. La scelta di istituire libere università deriva anche dall’ordinamento Matteucci del 1862 che distinguendo le università in “maggiori” e “minori”, penalizza quest’ultime, che si trovarono nella necessità di appoggiarsi a Consorzi tra enti finanziatori locali per sopravvivere. Un problema ricorrente nelle libere università sarà proprio quello del finanziamento, che arrivava da privati o enti locali, e che portò alla crisi delle Libere prima del riconoscimento statale. (Menolascina 1985). Vengono di seguito brevemente descritti i percorsi degli atenei italiani nati come libere università e poi divenuti statali: la Libera Università di Camerino è tra le prime a nascere come libera. Fondata nel 1336, ottenne nel 1861 lo status di università libera e mantenne tale qualifica fino al 1958 quando si trasformò in università statale (https://www.unicam.it/ateneo/storia.asp). Attualmente il fondo archivistico si trova presso la sezione di Archivio di Stato di Camerino in attesa di essere inventariato. L’Università degli studi di Urbino, fondata nel 1506, divenne “pubblico studio” nel 1576 e “università” nel 1671. Il 23 ottobre 1862, per effetto del R.D. n. 912, venne dichiarata “Libera Università” e rimase tale fino al decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca del 22 dicembre 2006, quando fu avviato il processo di statalizzazione, proprio in corrispondenza con il suo cinquecentenario di fondazione, terminato il 13 novembre 2012 (https://www.uniurb.it/ateneo/identita/storia); l’Università degli studi di Lecce pone le sue radici nel 1807 con l’istituzione del Real Collegio diventato nel 1823 una Regia Università per avviare studi di medicina, legge, chimica e agricoltura. L’istituzione nel 1955 di un Consorzio provinciale universitario salentino rese possibile, con il finanziamento degli enti coinvolti, l’avvio di corsi universitari. Nel 1959 venne istituita la Libera università salentina e nell’anno accademico 1967-1968 avviene la definitiva statalizzazione con l’istituzione della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali (https://www.unisalento.it/storia). L’archivio, inventariato nel corso del progetto Studium 2000, e descritto nel sistema Informativo Unificato delle Soprintendenze Archivistiche (SIUSA) è conservato presso il Consorzio universitario interprovinciale salentino. Risale invece al 1391, con la bolla In Supreme Dignitatis la fondazione dello Studio generale di Ferrara. Il 5 maggio 1861, governata da una commissione comunale, venne fondata la Libera università che negli anni quaranta del Novecento contava 500 studenti, risultando così essere la più frequentata delle università libere. Venne riconosciuta università statale nel 1942 (http://dm.unife.it/comunicare-matematica/filemat/pdf/Storiaunife.pdf). Gli atti prodotti dall’Università Libera erano stati organizzati in una serie chiamata serie IV fino al 2002, quando sono iniziati i lavori di riordino volti a ricostruire l’ordine originario delle carte (https://siafe.comune.fe.it/). L’Università degli studi dell’Aquila, vanta un passato di Studium trasformato poi in Collegio Reale nel 1767 e successivamente il Reale Liceo nel corso dell’Ottocento. Come Libera Università, sostenuta da vari enti, si costituisce nel 1964 e a decorrere dall’anno accademico 1982-1983 divenne università statale (https://www.univaq.it/section.php?id=13). Lo Studium Perusinum venne istituito nel 1308 per volontà della magistratura comunale, fu poi trasformato in Studium generale con apposita bolla di Clemente V. L’istituzione universitaria perugina fu più volte mutata a causa di cambiamenti politico istituzionali. Dopo l’Unità nazionale divenne Libera università e fu governata da un organo collegiale costituito dai rappresentanti del Comune e della Provincia di Perugia. Nel 1925 ottenne il riconoscimento di università statale (http://www.biblioteche.unipg.it/lavori/ateneoperugia/text/La-Libera-universita-degli-studi.html). Il fondo archivistico è stato individuato nel corso dei lavori di ordinamento e inventariazione del patrimonio archivistico conservato dall’Università per Stranieri di Perugia. L’intervento ha portato alla realizzazione di un inventario nell’ambito del progetto Studium 2000 e i dati sono visibili in SIUSA. Infine, l’Università degli Studi di Chieti-Pescara nata per iniziativa delle città di Chieti, Pescara e Teramo, che diedero vita a tre università cittadine libere, consorziatesi nel 1955 sotto l’unica denominazione di Libera Università Abruzzese degli studi “Gabriele D’Annunzio”. Venne riconosciuta con d.p.r. 1007 dell’8 maggio 1965. Lo stesso Consorzio avviò la richiesta di statalizzazione soprattutto per far fronte ai problemi economico finanziari della gestione amministrativa, richiesta che portò all’istituzione statale a partire dal 1 novembre 1983 (https://www.unich.it/ateneo/l-uda/storia).

Nella massa di carte silenziose

L’Università Statale degli studi della Tuscia venne creata con legge n. 122 del 3 aprile 1979. La prima Facoltà a nascere fu quella di Agraria nell’a.a. 1980/81, seguita poi da Lingue e letterature Straniere Moderne nel 1983, Scienze matematiche fisiche e naturali nel 1987, Conservazione dei beni culturali nel 1990, Economia nel 1991/1992. Tutto questo patrimonio archivistico e documentario è stato per lungo tempo dimenticato, causa anche la mancanza di locali in cui concentrare la documentazione. A seguito del trasferimento del Rettorato nel complesso monumentale di Santa Maria in Gradi, ed in previsione del restauro di un’ala da poter dedicare ad Archivio unico di Ateneo, l’Università degli Studi della Tuscia ha iniziato il cammino verso la riorganizzazione del proprio patrimonio archivistico. La consistenza, le condizioni di conservazione e la tipologia dei fondi archivistici custoditi presso le varie strutture universitarie furono per la prima volta rilevate nel 2001 nel corso di un censimento condotto nell’ambito del progetto Studium 2000, svolto sotto la direzione della Soprintendenza archivistica per il Lazio. Il censimento, nel dettaglio, rilevava le seguenti consistenze: Uffici di diretta collaborazione del rettore: fascicoli 810, cartelle 243, faldoni 36, registri 6; Direzione amministrativa: fascicoli 105, registri 3; Ufficio speciale coordinamento delle segreterie studenti: fascicoli 27298, cartelle 171, faldoni 213, registri 11; Area del personale: fascicoli 1664, cartelle 470, faldoni 72, registri 1; Area servizi generali: fascicoli 642, cartelle 495, faldoni 240, registri 74; Area del coordinamento grandi opere edilizie: fascicoli 160, cartelle 150, faldoni 25; Area della gestione tecnico manutentiva del patrimonio edilizio: fascicoli 301, cartelle 285, faldoni 40; Area affari legali: fascicoli 350, cartelle 148, cartelle 101; Area finanziario contabile: fascicoli 833, cartelle 350, faldoni 226; Deposito provvisorio presso S. Maria in Gradi: fascicoli 37, cartelle 3, faldoni 2006. Per le strutture didattiche e di ricerca emergevano i seguenti dati: Presidenze di facoltà: fascicoli 629, cartelle 572, faldoni 706, registri 29; Biblioteche: fascicoli 1995, cartelle 250, faldoni 22, registri 36; Dipartimenti e centri assimilati: fascicoli 1019, cartelle 2545, faldoni 1121, registri 95; Istituti: fascicoli 635, cartelle 471, cartelle 201, registri 16. Per un lungo tempo poi l’archivio è rimasto silente fino alla successiva rilevazione del 2013 fatta nell’ambito del corso di Archivistica generale. Durante la ricognizione venne aggiornato il censimento e recuperato l’Archivio del Consorzio per l’Università, che riordinato e inventariato è oggi fruibile dagli studiosi.

1968-1969: operazione università

L’attuale Università degli studi della Tuscia è il risultato di secoli di tentativi delle amministrazioni locali che, sulla base di valutazioni e di indicazioni d’ordine storico, economico, politico e sociale, hanno inteso designare la città di Viterbo a sede universitaria. Negli anni Sessanta, l’università italiana attraversava una grave crisi in rapporto, da un lato con l’inadeguatezza delle sue strutture rispetto alle necessità culturali e tecniche dell’epoca, e dall’altro con rapido passaggio dall’università di èlite all’università di massa, imposta da nuove istanze sociali. Una soluzione sembrava essere quella del decentramento universitario e Viterbo aveva le condizioni favorevoli per divenire centro universitario satellite (Mori 1970, 9). L’intento era quello di sottoporre al governo un piano fatto di offerte e proposte concrete. Il principale promotore nella questione universitaria fu l’Ente provinciale nella figura di Gilberto Pietrella, prima assessore poi presidente della Provincia. Il biennio 1968-1969 fu decisivo in tal senso. D’intesa con il sindaco di Viterbo, il presidente della Camera di Commercio, il presidente della Cassa di Risparmio fu messa in atto una vera e propria campagna per l’Università appoggiata dalla stampa, dagli studenti, dalle organizzazioni sindacali, dalle categorie economiche, dai docenti e dai partiti (Barbini 2009, 86). Con decreto prefettizio del 13 ottobre 1969 n. 15172, venne creato il Consorzio per l’università, a cui aderivano Provincia, Comune, Camera di Commercio, Cassa di Risparmio, che avrebbe lavorato per reperire i fondi necessari all’istituzione universitaria. Allegato alla delibera provinciale n. 130 del 29 luglio 1969 c’era lo Statuto del Consorzio il quale ne specificava la costituzione, la sede presso l’Amministrazione provinciale di Viterbo, gli organi, le relative competenze e la durata. L’art. 3 ne specificava lo scopo “l’istituzione in Viterbo di una Università degli Studi”. Esso poteva concretizzarsi per tre vie: con facoltà di Stato; con facoltà libere, base per il successivo riconoscimento; con corsi propedeutici e di specializzazione. La scelta fu quella di istituire inizialmente, al posto di un Ateneo statale, “facoltà libere e corsi decentrati, quale primo passo per l’istituzione di una Università a Viterbo: cosa, questa seconda, ritenuta più vicina alla possibilità di reale attuazione” (Dell’Era 2012, 45). Questa soluzione offriva la possibilità di una maggiore immediatezza di realizzazione. Il 14 ottobre fu deliberata l’istituzione della Libera Università della Tuscia, con atto del Consorzio n. 2 e venivano rinviate ad un secondo tempo le pratiche per trasformarla in istituto statale. A due giorni di distanza fu emanato il bando per l’attivazione dei corsi e il reperimento dei docenti. Veniva fissato al 30 novembre la chiusura delle iscrizioni ed al successivo 15 dicembre l’inizio del primo anno accademico. Nello stesso giorno fu inviata al Ministero della Pubblica Istruzione, la domanda per il riconoscimento statale (Barbini 2009, 17). Per garantire la funzionalità immediata dell’organismo costituito, fino al marzo 1973 fu posta in essere la gestione straordinaria del Consorzio, seguita da una gestione consortile elettiva. Oltre all’amministrazione della Libera Università, il Consorzio si occupava di organizzare e promuovere attività culturali “di alto livello e vigore scientifico” con la pubblicazione degli Annali, che lungo tutta la loro durata raccolsero contributi scientifici di studiosi come Paratore, Petrocchi, Brezzi, Tecchi e altri.

Con lo stesso atto consorziale del 14 ottobre 1969 si istituivano due facoltà: Magistero con tre corsi di laurea e un corso di diploma e la facoltà di Economia e Commercio con un corso di laurea (Archivio Storico della Libera Università della Tuscia (ASLUT), Delibere, fasc. 16, Deliberazione del Commissario prefettizio”Istituzione della Libera Università della Tuscia di Viterbo”, 1969). Nel 1971 si aggiunse la facoltà di Scienze politiche e nel 1973 vennero attivati i corsi paralleli della facoltà di Medicina e Chirurgia con la collaborazione dell’Università di Roma. Il 15 dicembre, con l’inaugurazione del primo anno accademico, iniziava a vivere la Libera Università della Tuscia con 121 studenti di Magistero e 71 di Economia e Commercio. Nello stesso giorno venne inoltrata la domanda per il riconoscimento giuridico delle facoltà attivate. La tenacia non poteva non concretizzarsi con l’adozione di un sigillo che racchiudesse “il significato di un’insopprimibile, decisa, volontà locale”: una testa di leone circondata dalla scritta Libera Università della Tuscia (ASLUT, Relazioni del Consorzio sulla Libera Università, fasc. 22, Manifestazione di apertura, 15 dicembre 1969). L’ordinamento accademico, il ruolo dei docenti, lo svolgimento dei corsi era coordinato da tre Comitati tecnici, nominati con deliberazione del Consorzio. Ciascun comitato era composto da tre docenti ordinari. La facoltà di magistero prevedeva la durata di quattro anni e rilasciava una laurea in materie letterarie, una laurea in pedagogia, una laurea in lingue e letterature straniere, un diploma di abilitazione alla vigilanza nelle scuole elementari di durata triennale. Era stato inoltre attivato un insegnamento originale e qualificante per quegli anni, l’indirizzo di Etruscologia (ASLUT, Relazioni del Consorzio sulla Libera Università, fasc. 22, Note informative del Commissario prefettizio). La facoltà di Economia e Commercio, anche questa di durata quadriennale, prevedeva un unico corso di laurea in Economia e Commercio, in cui era stata inserita come disciplina qualificante “economia del turismo”. Nel 1977 gli iscritti erano 1200.

Oltre ai corsi di laurea, nelle carte della Libera Università si trova documentazione sull’organizzazione di corsi di specializzazione in turismo e di direzione di imprese alberghiere, un corso di aggiornamento in tecnica bancaria, corsi di orientamento e abilitazione, un corso di aggiornamento per medici (ASLUT, Didattica, fascc. 188-205).

Verso la statalizzazione

Mentre la procedura per il riconoscimento giuridico seguiva il suo corso, intervenne la legge Codignola del gennaio 1971 che di fatto veniva a inibire nuovi riconoscimenti. Il Consorzio tuttavia, proseguiva la sua azione, opponendo il fatto che la legge non poteva avere effetti retroattivi. Nel novembre del 1973, la legge 766 contemplò finalmente l’adozione di provvedimenti urgenti per la istituzione di nuove sedi universitarie, non soltanto nelle regioni che ne erano prive, ma anche in quelle con sedi, come Roma, che presentavano caratteri di sovraffollamento. La legge chiedeva la deliberazione del parere della Regione Lazio circa la localizzazione di una nuova sede dell’Università di Stato; la deliberazione di parere favorevole del Comitato italiano di programmazione economica delle nuove sedi universitarie e dei relativi impegni di spesa; un successivo provvedimento governativo riguardante l’istituzione dell’Ateneo.

Il 23 ottobre 1973 inizia quella che è conosciuta come “Lotta per la statalizzazione” (ASLUT, Lotta per la statalizzazione, fascc. 352-353), che portò alla manifestazione a Roma del 27 settembre 1974 che vedeva a fianco degli studenti anche Pier Paolo Pasolini. In molti si impegnarono per salvare le sorti dell’Ateneo viterbese. Esisteva infatti una spaccatura tra i partiti politici sulla localizzazione dell’Università: la corrente andreottiana della Dc voleva favorire Cassino come sede nel Lazio, lasciando a Viterbo la possibilità di avere soltanto una sede distaccata di Magistero. Dopo un acceso dibattito durato oltre 10 ore che minacciò di spaccare la maggioranza di centro-sinistra e di dividere il gruppo Dc, la Regione Lazio espresse parere favorevole al Ministero per tre nuove università: Cassino, Tor Vergata e Viterbo (Cappelli 2002, 37-38).

Quello di cui non parlava il documento della Regione erano i tempi di esecuzione, i quali erano soggetti all’iter burocratico del Ministero della Pubblica Istruzione (Barbini 2009, 156-157). Nel frattempo, la Libera Università era in difficoltà economiche: da un quadro della situazione economica sino al 31 dicembre 1976 emerge che tra 1969 e 1974 ci fu una situazione di pareggio del bilancio tra le entrate e le uscite, mentre nel 1975 e nel 1976 si presentò un disavanzo economico dovuto all’aumento delle spese, alla sempre più costante incertezza degli enti consorziati sulle loro quote annue e ad un mancato impegno degli Istituti bancari per erogazioni straordinarie. Alla data del 31 ottobre 1977 tra la spesa necessaria e gli introiti ricorrenti c’era un disavanzo di 50 milioni di lire (ASLUT, Relazione del Consorzio sulla Libera Università, fasc. 22, lettera del Presidente sull’attività del Consorzio dalla sua istituzione, agli Enti, alle Rappresentanze politiche e sindacali ed ai componenti la Commissione degli Affari Generali dell’Amministrazione provinciale, 31 ottobre 1977). A seguito della grave situazione economica, venne nominato dal Prefetto un commissario straordinario nella persona di Mario Moscatelli, allora vice prefetto ispettore. Come lo stesso espose in una lettera dell’aprile 1978, il reperimento dei fondi venne risolto grazie alla comprensione del corpo docente che acconsentì alla riduzione del 50% dello stipendio. Il Commissario riuscì a risolvere la crisi grazie agli aiuti del Sindaco di Viterbo, il democristiano Rosati e al Presidente della Provincia, il comunista Sposetti. Finalmente anche per il riconoscimento statale, nel 1979 si arrivò all’approvazione definitiva della Commissione Pubblica Istruzione. Il 3 aprile veniva emanata la legge 122 chiamata appunto “legge istitutiva” con la quale si creava la seconda Università di Roma e si istituivano le tre Università di Cassino, della Tuscia e di Roma II. Il titolo II (artt. 8-16) era dedicato all’Università di Viterbo. L’articolo 9 recitava che a decorrere dall’a.a. 1978-1979 veniva istituita l’università che doveva comprendere quattro corsi di laurea: corso di laurea in Scienze Agrarie, corso di laurea in Chimica; corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali; corso di laurea in Lingue e letterature straniere moderne. L’articolo 14 inoltre regolamentava il riconoscimento degli studi agli studenti iscritti alla Libera Università. Il 30 luglio 1979 il ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Spadolini nominò il comitato tecnico amministrativo dell’Ateneo. Nello stesso anno venne sottoscritta una convenzione tra L’Università statale ed il Consorzio: l’ateneo ereditava un piccolo gruppo di funzionari, tutti gli impegni contratti dal Consorzio, compresa la locazione dell’immobile dei Padri agostiniani in San Giovanni Decollato (Paolino 2012, 65). L’Ateneo della Tuscia divenne operativo nel 1980. Il primo rettore venne eletto nel 1982 nella persona del preside di agraria prof. Gian Tommaso Scarascia Mugnozza che ricoprirà la carica di Magnifico per ben 22 anni. Alla base del programma del neo rettore c’erano: l’esigenza di differenziarsi rispetto all’offerta didattica proveniente dalle facoltà di Roma, Perugia e Siena; la necessità di attrarre studenti non solo della Tuscia ma delle altre province; l’intenzione di puntare sull’eccellenza e sull’originalità dei percorsi formativi; promuovere processi di sviluppo economico e sociale nel territorio dell’Alto Lazio (Paolino 2012, 66).

L’istituzione dell’Università degli studi della Tuscia, come specifica l’articolo 3 dello statuto della Libera Università, altro non fu che il raggiungimento dello scopo per il quale nacque il Consorzio, e la cessazione dello stesso derivava da norma statutaria. La Provincia decise di recedere dal Consorzio il 31 dicembre 1980 per raggiungimento dei fini dello stesso (Archivio storico provinciale, Deliberazioni, Delibera n. 363 del 15 dicembre 1980); il Banco del Cimino il 31 aprile 1981 e la Cassa di Risparmio il 24 novembre 1983. Il 16 marzo 1984 una raccomandata della Prefettura di Viterbo comunicava l’avvio della procedura di scioglimento del Consorzio con la nomina di un Commissario liquidatore.

L’Archivio della Libera Università della Tuscia: una fonte ordinata per la ricerca storica

Non esistono differenze sostanziali nella produzione documentaria tra le istituzioni universitarie statali e non statali. Quello che comunemente viene denominato “archivio della Libera Università della Tuscia” o “Archivio della LUT” altro non sarebbe che il fondo del Consorzio per l’Università, ente produttore che spesso passa in secondo piano rispetto al prodotto. L’archivio ha una consistenza complessiva di 355 pezzi tra fascicoli e registri, con un arco cronologico compreso tra il 1969 e il 1989.

La documentazione era depositata presso i locali del Rettorato dell’Università della Tuscia di Santa Maria in Gradi proveniente da San Giovanni Decollato, successivamente trasferita, nel 2013, per l’ inventariazione, presso l’allora Dipartimento di Scienze per i Beni Culturali, dove sarebbe stato oggetto di studio e ricerca da parte degli studenti del corso di Archivistica generale.

Il riordinamento dell’archivio, oggetto di una tesi di laurea magistrale svolta da Angelica Bernardi, è stato preceduto dal preliminare studio delle poche fonti bibliografiche specifiche sulla storia della Libera Università, integrato e accresciuto attraverso la consultazione delle carte dell’archivio, ai fini della ricostruzione delle vicende storico istituzionali, delle competenze e delle funzioni dell’ente stesso.

Le serie e le sottoserie sono state individuate sulla base delle funzioni svolte e tenendo conto della organizzazione originaria della documentazione. Le serie individuate sono in tutto 16: Statuto della Libera Universita’ (1969), Delibere (1969-1982), Relazioni Del Consorzio sulla Libera Università (1969,1976), Documentazione Cisl (1979), Documentazione Cgil (s.d), Registro Protocollo Corrispondenza (1969-1973), Corrispondenza (1969-1989), Contabilità (1975-1982), Comitato Tecnico (1972-1979), Didattica (a.a. 1969/1970- a.a.1978/1979), Bandi e Concorsi (1973-1977), Conferenze e Riunioni (1969-1970), Studenti (a.a.1969/1970-a.a.1978/1979), Personale (1969-1981), Lotta per la Statalizzazione (1973,1980), Documentazione dell’Università della Tuscia e Miscellanea (1970 -1983). Per le serie più articolate e consistenti, sono state individuate varie sottoserie. L’operazione di descrizione e di riordinamento della documentazione è iniziata dagli atti deliberativi e dallo Statuto, importanti fonti di studio circa l’attività istituzionale e per avere un quadro completo delle trasformazioni amministrative del Consorzio. La serie delle delibere, è suddivisa in Delibere dell’Assemblea del Consorzio, Delibere del Consiglio Direttivo, Delibere del Commissario Straordinario e Delibere del Commissario prefettizio.

La numerazione dei pezzi è progressiva per fascicolo, trattandosi di un fondo non più incrementabile. Nella descrizione della documentazione, le intitolazioni originali, sono state riportate tra virgolette. Alcune serie risultano lacunose: è presente infatti un unico registro di protocollo della corrispondenza che copre l’arco temporale che va dal 1969 al 1973; non è stato rinvenuto nessun atto contabile anteriore all’anno 1975, anzi, la documentazione in Contabilità riguarda solo gli ultimi anni della Libera Università, andando a comprendere anche i primi due anni dell’Università Statale, nello specifico è presente un unico registro conto consuntivo riferito al 1978, un solo libro giornale del 1980 e due bilanci di previsione ,uno per il 1977-1978 e l’altro per il 1981-1982. Lo stesso vale per le assemblee degli studenti, di cui è stato rinvenuto un solo fascicolo con data 1970-1971.

Nella serie della Didattica, la più consistente del fondo, sono stati inseriti, oltre ai materiali riguardanti le iscrizioni, i manifesti degli studi e le guide dello studente, i documenti che riguardano tutte le facoltà della Libera Università e tutti i vari corsi di abilitazione, di specializzazione, di abilitazione, che la stessa organizzava.

Ogni sottoserie dedicata per l’appunto alle tre facoltà (Magistero, Economia e Commercio, Scienze Politiche), presenta il medesimo tipo di impostazione: programmi didattici,immatricolazioni, documentazione riguardante le lezioni, gli esami, i registri degli esami e gli avvisi agli studenti. Quest’ultimi, sono organizzati per anno accademico e la documentazione in ciascun fascicolo è ripartito per oggetto andando cosi a formare 3 sottofascicoli : uno per gli avvisi delle lezioni, uno per gli avvisi del ricevimento dei docenti e uno per gli esami. Questa impostazione si ripete per tutti gli avvisi dei dieci anni accademici (a.a. 1969/1970 al 1978/1979). Soltanto nella serie della Facoltà di Magistero è presente lo statuto, mentre è sprovvista del registro delle immatricolazioni, invece presente nelle serie delle Facoltà di Scienze Politiche ed Economia e Commercio. I fascicoli degli studenti sono organizzati per ordine alfabetico di cognome.

Tutte le serie e sottoserie individuate sono state corredate da una introduzione. Di seguito, si riporta uno schema riassuntivo, nel quale sono riportate le denominazioni delle serie e delle sottoserie, il numero progressivo attribuito ai singoli pezzi, la consistenza indicata in fascicoli e registri e gli estremi cronologici di ciascuna serie.

Serie/ Sottoserie

n.progr.

Consist.

Estr. cron.

Statuto della Libera Università

1

1 fasc.

1969

Delibere

2-21

1973-1982

Delibere Assemblea del Consorzio

2-5

3 regg. 1 fasc.

1973-1982

Delibere del Consiglio Direttivo

6- 12

2 regg. 5 fascc.

1973-1977

Delibere del Commissario Straordinario

13-17

6 fascc.

1977-1981

Delibere del Commissario Prefettizio

18-21

4 fascc.

1969-1972

Relazioni del Consorzio sulla Libera Università

22-24

2 fascc.

1969;1976

Documentazione Cisl

25

1 fasc.

1979-1981

Documentazione Cgil

26

1 fasc.

s.d.

Registro Protocollo della Corrispondenza

27

1 reg.

1969-1973

Corrispondenza

28-32

5 fascc.

1969-1989

Contabilità

33-38

4 fascc. 1 reg.

1975-1982

Comitato Tecnico

39-40

2 fascc.

1972-1979

Didattica

41-203

a.a.1969/1970- a.a.1977/1978

Didattica

41-89

48 fascc. 1 reg.

a.a.1969/1970- a.a.1977/1978

Facoltà di Magistero

90-120

24 fascc. 7 regg.

a.a.1969/1970- a.a.1978/1979

Facoltà di Economia e Commercio

121-146

22 fascc. 4 regg.

a.a.1969/1970- a.a.1978/1979

Facoltà di Scienze Politiche

147-176

20 fascc. 12 regg.

a.a.1971/1972- a.a. 1978/1979

Facoltà di Architettura

177

1 fasc.

a.a. 1970/1971

Altri corsi

178-203

21 fascc. 2 regg.

a.a.1974/1975- a.a. 1979/1980

Bandi e concorsi

204-205

2 fascc.

1973,1977

Conferenze e riunioni

206-207

2 fascc.

1969,1970

Studenti

208-319

Fascicoli studenti della Facoltà di Magistero

208-255

49 fascc.

a.a.1969/1970- a.a. 1976/1977

Fascicoli studenti della Facoltà di Economia e Commercio

256-280

25 fascc.

a.a.1969/1970- a.a. 1976/1977

Fascicoli studenti di Scienze Politiche

281-311

31 fascc.

a.a.1970/1971-a.a.1976/1977

Studenti ritirati

312-314

3 fascc.

1978,1979

Studenti trasferiti

315-318

5 fascc.

1966/1980

Assemblee studentesche

319

1 fasc.

1970/1971

Personale

320-349

1969-1981

Assunzioni

320-326

5 fascc.

1969-1975

Presenze

327-335

5 fascc.

1973-1976

Turni del personale

336-337

2 fascc.

1970-1978

Personale docente

338-347

10 fascc.

1969-1985

Personale cultore

348

1 fasc.

1969-1981

Personale assistente

349

1 fasc.

1969-1981

Lotta per la statalizzazione

350-351

2 fascc.

s.d.

Documentazione dell’università statale della Tuscia

352

1 fasc.

Miscellanea

353

1 fasc.

1970 -1983

Bibliografia

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1 Università e beni culturali-ricerca-formazione, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1994, Supplemento al bollettino “Università e ricerca” del Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica, p. 11