Gianluca Scroccu Alla ricerca di un socialismo possibile. Antonio Giolitti dal Pci al Psi Carocci, Roma, 2012

di Michelangela di Giacomo

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La letteratura sulla storia del comunismo italiano è, quasi inutile ripeterlo, vastissima e si sviluppa su di una composita matrice – politologica, storiografica, memorialistica, sociologica. Né di minor rilevanza è la storiografia sul versante socialista del movimento operaio italiano. Nonostante ciò, mancava ancora in questo panorama uno studio di carattere strettamente scientifico dedicato alla figura di uno dei protagonisti delle vicende del Pci e del Psi: Antonio Giolitti.

A colmare in parte tale lacuna arriva il lavoro di Gianluca Scroccu, già autore di vari studi sul socialismo del secondo dopoguerra e sui suoi protagonisti. Il volume Alla ricerca di un socialismo possibile, di recentissima uscita per Carocci editore, è il frutto di un interesse maturato dall’autore nel corso delle sue precedenti riflessioni sull’inquieto percorso del Psi tra gli anni Quaranta e i Sessanta e proprio da quei lavori traggono linfa molti dei suoi capitoli. Se la ricerca è accurata, la collocazione nel panorama storiografico evidente, la letteratura di supporto più che ampia così come lo scavo archivistico – peraltro proprio l’originalità delle fonti utilizzate è un suo punto di forza –, il volume pecca però di una specie di “sospensione” tra una biografia politica, un saggio di storia dei partiti e un ritratto di una storia di vita e di pensiero.

Il che non toglie affatto che sia un volume o denso contenutisticamente e ricco di spunti e, soprattutto ciò non toglie che, dai toni enfatici spesso usati da Scroccu per tracciare un personaggio per il quale nutre evidente simpatia, emerga a tutto tondo la descrizione di una personalità delle più complesse e interessanti della storia politica repubblicana. Particolarmente ben riuscite sono poi le parti in cui l’autore ricostruisce la “temperie culturale”, il clima di amicizia e di condivisione con gruppo di intellettuali e politici che ha forgiato l’Italia repubblicana. Così come ben fatte sono le pagine in cui si guarda a Giolitti dal punto di vista del resto dello spettro politico ed intellettuale, riportando opinioni e commenti espressi dalle grandi testate nei momenti più significativi della sua carriera politica ed anche i ritratti che di lui han fatto letterati e colleghi in vita e in morte – da Calvino a Napolitano, da Muscetta a Foa, Geymonat, La Malfa, da Feltrinelli a Trentin. Scroccu guida il lettore per stadi crescenti di complessità analitica, di pari passo con la maturazione intellettuale del suo personaggio: dall’abbozzo di un’atmosfera politica e culturale che si respirava nella famiglia del nipote di Giovanni Giolitti, alla formazione accademica, alle letture personali, al precisarsi di un interesse e di una spiccata capacità di critica in alcuni settori delle scienze economiche ed umanistiche, prime tra tutte quella programmazione e quelle politiche di bilancio che ne segneranno il percorso verso il Ministero del Bilancio nel primo governo di centro-sinistra organico. Proprio alle sue dimissioni da quell’incarico si ferma la ricostruzione del volume, non senza segnalare che sarebbe più che opportuno un proseguimento per gli anni successivi – che lo videro ancora protagonista a più riprese della scena politica sino alla sua scomparsa nel 2010. Una vicenda umana e politica che vide Giolitti impegnato nella Resistenza prima, nel Pci, nel Psi e poi al gruppo della Sinistra indipendente del Pci.

Tutto sulla base di alcuni punti fermi: il legame con i territori e le esigenze concrete dei lavoratori, la politica come impegno istituzionale più che di partito, il coniugare “l’etica della responsabilità con l’etica della convinzione” (p. 23), la democrazia come bussola di un percorso verso il superamento del capitalismo, le riforme di sistema in alternativa al riformismo come gestione della quotidianità, l’inserimento delle questioni nazionali in una prospettiva internazionale. Tutti aspetti più volte ripresi dall’autore e da lui bene e molto sostenuti – mostrando proprio come questo suo senso “alto” del ruolo della politica e dello Stato a garanzia del progresso sociale e della democrazia ne fecero la “vittima” spesso di visioni più proprie di una realpolitik all’italiana dei Segretari dei principali partiti con cui si trovò a militare e interagire. Se i meriti personali della persona-Giolitti e del politico-Giolitti affiorano senza ostacoli dalla ricostruzione di Scroccu, si perde in parte nel testo l’argomentazione a sostegno dell’idea che lo vuole “paradigma della sinistra in Italia”, che pure nelle prime pagine viene presentata come ragione dell’opera, a meno di non volerlo dedurre dal nodo mai sciolto del rapporto tra socialismo e democrazia che è il filo conduttore di tutto il volume. Nulla si può dire al testo quando si sofferma sul dibattito interno al Psi, cui Giolitti aderì in occasione delle elezioni del 1958 dopo aver lasciato il Pci – senza acrimonia ma con molto dispiacere – a seguito del deludente atteggiamento di Togliatti dopo le vicende ungheresi del 1956. Né vi è da eccepire su come chiaramente si delinea nel testo il travaglio umano e politico di quell’abbandono del partito di cui Giolitti era stato tra i più brillanti dirigenti nel quindicennio precedente – e verso cui pure non mancavano da parte sua forti dubbi rispetto all’adesione alle direttive sovietiche in politica internazionale, alla difesa del modello socioeconomico dell’Urss, al sistema del centralismo democratico e alla scarsa democrazia nel dibattito interno: tutte osservazioni che peraltro, come ben sottolinea Scroccu, Giolitti stesso non esitava ad accantonare a fronte della necessità di preservare l’idea di un’unitarietà del partito nel clima ostile della Guerra fredda. Forse, a voler muovere una critica non di metodo storiografico ma di tono, sfuggono di mano all’autore alcune inclinazioni al teleologismo e alla soppressione delle sfumature di grigio – dando l’impressione di un finalismo social-riformista (anche laddove avvisa che mai Giolitti volle considerarsi tale, ma che chiaro era il fine antisistemico del suo concetto di riforme di struttura) e di un giudizio sin troppo netto sul Pci togliattiano (di cui invece la storiografia non dubita al momento di mettere in luce sì le molte ombre ma anche le luci). Un bel libro, comunque, prodotto della passione di uno storico giovane ma competente.

Un volume che fa appassionare il lettore al personaggio e con una prosa che rende scorrevoli anche quei tratti normalmente più ostici per i non “addetti ai lavori” quali le discussioni interne agli organi dirigenti dei partiti.