Gli anarchici romani nella crisi di fine XIX secolo: una storia da riscoprire

di Cristina Badon

Abstract

Gli anni ’80 e ’90 del XIX secolo sono cruciali per l’Italia, dal punto di vista politico e sociale: crisi economica, cambio di governo con il passaggio di testimone della Destra alla Sinistra, mobilitazioni di piazza e organizzazione politica e sindacale del mondo operaio. Roma, da poco capitale del Regno, vive una situazione ancora più articolata e complessa, poiché deve acquisire nuovi modelli amministrativi e nuove pratiche di governo, dopo secoli sotto quello pontificio, il quale aveva sempre garantito determinate forme di assistenzialismo a una popolazione che non poteva contare su uno sviluppo industriale quale quello settentrionale né su una classe borghese moderna e aggiornata. Ciò nonostante, con la sua elezione a capitale del Regno, la città vive un periodo d’intensa attività nel settore dei servizi e, soprattutto, in quello edilizio. Da sempre abituata ad accogliere lavoratori rurali provenienti da tutto lo Stato pontificio (in particolare da Abruzzo, Marche e Romagna), in questi anni è centro di richiamo di un numero enorme di lavoratori, che sperano di riuscire a trovare un modo migliore per vivere. La “febbre edilizia”, però, è destinata a sfumare proprio a cavallo dei due secoli, a causa di varie congiunture negative, che la classe dirigente, improvvisata in questo settore , non riesce a gestire, focalizzata com’è sul risvolto speculativo degli investimenti immobiliari effettuati. I lavoratori nel settore edile, pur non organizzati come gli operai industriali di altre zone europee e del nord d’Italia, riescono lo stesso a coinvolgere nelle loro richieste altri salariati e i tutti ceti subalterni e la popolazione più marginale e sbandata , attuando un conflitto politico importante a livello nazionale. Un ruolo fondamentale in questi eventi è rivestito dal movimento anarchico, che a Roma sembra fare più proseliti rispetto a quei socialisti che stanno intraprendendo la strategia della legalità e della partecipazione alla vita parlamentare. Gli anarchici romani provengono dai quartieri più popolari della città, ma riescono ad avere contatti e relazioni anche oltre i confini nazionali, studiando da autodidatti testi di economia, di politica, quando non di filosofia, ma non disdegnando neppure un’esistenza vissuta nell’illegalità, con forti radici nell’ambiente malavitoso locale. Questo saggio, risultato provvisorio di una ricerca più ampia ancora in corso, intende offrire qualche spunto di riflessione su una vicenda storica poco conosciuta al di fuori dell’ambito locale.

Abstract english

In the ’80s and ’90s of the XIX century, Italy experienced crucial events from the political and social point of view, like the economic crisis, change of government with the passage from the Right-Wing to the Left-Wing, square demonstrations and protests, political and union organization in the working class. Rome, the relatively new Kingdom of Italy’s capital city, faced a more articulated and complex situation: it had in fact to acquire new administrative models and new government practices, after centuries of pontifical dominion, that had always guaranteed specific form of state aid to a population that can’t always count neither on an industrial development, as in the northern regions, nor on a modern and updated middle-class. Nevertheless, with its election to Kingdom’s capital, the city lived a period of intense activity in the sector of services, and above all in construction ones. Since time immemorial, it was used to receive rural workers from all the Papal State (particularly from Abruzzi, Marche and Romagna), while during these years it attracted a huge number of workers, who hoped to find a better way to live. However, the “fever” for the urban development is destined to blur just between the two centuries, due to the several negative conjunctures that the improvised ruling class was not able to manage. It was in fact focused on the speculative consequences of the property investments. Workers from the building sector, even not organized as the industrial employers from the others European zones and of the north of Italy, succeeded in any case to include in their requests the others salaried, all the others subaltern classes and the marginalized population, actuating an important political conflict on the national front. The anarchical movement claimed a fundamental role during these events: it seemed to convert more people in Rome than the socialists that had decided to undertake the strategy of the legality and the participation to the parliamentary life. The Romans anarchical came from the most popular neighborhood of the city, but they turned out to have contacts and relations also beyond the national borders, self-educating in economy, politics and philosophy. However, they didn’t disdain an existence passed inside the illegality, with deep roots in the local gangster background. This paper, that is a provisional result of a wider ongoing research, aims to offer some causes of reflections on an historical sequence of events little known outside the local sphere.

Sigle

ASR-GP: Archivio di Stato di Roma, sede di Galla Placidia

ACS: Archivio Centrale di Stato

Cpc: Casellario politico centrale

La crisi edilizia a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta

Nella Roma di fine anni Ottanta del XIX secolo, il clima generale è critico, con il fallimento di molte imprese edili, e quello di numerose banche che le avevano finanziate. Esplode la disoccupazione: scioperi e cortei sono quasi giornalieri, con scontri spesso duri fra manifestanti e agenti di Pubblica sicurezza, con assalto a forni e magazzini alimentari per tre giorni da parte di gruppi di disoccupati. La stampa dà notevole rilievo a questi eventi, e l’opinione pubblica, generalmente, non condanna gli scioperanti, mentre a Ostia è in corso uno sciopero delle aziende e le dimostrazioni si estendono fino a Civitavecchia, in vari comparti produttivi (Grella 2012, 31-32).

La questura romana denuncia l’infiltrazione, nel movimento operaio, di elementi esterni, fra cui si contano 17 internazionalisti anarchici e 9 pregiudicati comuni. Il movimento anarchico è una realtà affermata in città, grazie alla capillare distribuzione dei suoi giornali, al consolidarsi di gruppi di lotta, all’acquisizione di leadership nei rioni popolari, l’organizzazione di comizi e dimostrazioni, con la sottoscrizione di numerose associazioni operaie e sociali. I fatti precipitano nel febbraio 1889: in due manifestazioni, con mobilitazione di centinaia di anarchici, anche armati, Ettore Gnocchetti e Filippo Cortonesi incitano alla rivoluzione. Il corteo saccheggia forni e depositi alimentari, scontrandosi con militari e polizia, impreparati per contenere tanta partecipazione. Una sommossa violenta, esempio, negli anni successivi, per invocare provvedimenti repressivi. Seguono, nelle ore successive, fermi, arresti, perquisizioni, sequestri di materiale, chiusura di osterie dove si riuniscono ribelli politicizzati e spesso gestite da simpatizzanti (Grella 2012, 33-34). Scipio Sighele ricorderà questa giornata in cui operai romani, esasperati dalla crisi economica e influenzati da certa propaganda politica, sono rimasti comunque immuni da tentativi di devastazione. Suo obiettivo è scagionare alcuni capi socialisti, accusati di avere fomentato disordini e violenze, lasciando tutta la responsabilità ai pregiudicati, che sfruttavano le occasioni di folla per compiere reati impunemente (1897, citato da Palano 2002, 308-311). L’ideologia del lavoro socialista aveva cementato l’alleanza fra aristocrazia operaia e intellettuali progressisti, già elaborata da Cesare Lombroso e soprattutto da Enrico Ferri i quali, nella loro visione positivista e “lavorista”, avevano creato un legame causale tra predisposizione al lavoro salariato ed etica individuale onesta. Poiché, come detto, in realtà la manifestazione era stata molto dura, si accusavano come criminali gli anarchici, che per tutti gli anni ’80 avevano rappresentato la più intensa forza rivoluzionaria (Pick 1989), giustificati in parte da Lombroso come passionali e altruisti (1894, 56; 1896, 19-24), però non certo legittimati da una Sinistra parlamentare, costituita sì da garibaldini e mazziniani, ma fondamentalmente improntata a valori borghesi e attenta, in questa fase, soprattutto alle richieste di piccoli interessi locali (Carocci 1962, 8). Nel mese di maggio nasce la Federazione operaia romana, sotto forte influenza anarchica, proprio nel momento in cui socialisti e repubblicani, raccolti intorno a un Centro studi sociali (per un’“educazione socialista” dei partecipanti), mettono in discussione il fronte unico tra organizzazioni sociali e operaie e mentre, da Parigi, giunge l’appello di Amilcare Cipriani a superare i dissidi interni ai partiti d’opposizione per raggiungere l’obiettivo rivoluzionario. Anche il movimento anarchico è scosso da istanze secessioniste, dopo vari scontri con mazziniani e garibaldini sulle irrisolte questioni relative al risanamento dell’Agro proposto da Garibaldi, all’attuazione del federalismo, all’istruzione pubblica, al suffragio universale. Nelle manifestazioni cittadine, che continuano a seguire nel 1889, sempre vietate dalla questura, appare anche il movimento studentesco a fianco degli operai (Grella 2012, 35). Il governo ritiene ormai inevitabile affrontare la questione sociale con strumenti non improntati al liberalismo classico. Crispi amplia il potere di intervento dello Stato, nel tentativo di garantire maggior protezione alla società borghese, spaventata dalla forte conflittualità politico-sociale in atto. Rispetto a Cairoli, egli predilige la prevenzione alla repressione, garantendo più azione alle forze dell’ordine, accusate fino allora di eccessiva discrezionalità (Cammarano 2011, 109-115). Questo comporterà l’utilizzo massiccio di interventi “amministrativi”: scioglimenti di riunioni e associazioni, fermi di polizia, detenzioni preventive, ammonizioni (Allegretti 1997, 742). Inizia un’imponente schedatura degli anarchici di tutte le provincie italiane, estesa nel 1891 anche ai sovversivi di altri raggruppamenti, con schede biografiche compilate dalle questure (Tosatti 2009, 100-106), per una mappatura delle “classi pericolose”, termine con il quale si individuava ormai un ceto popolare politicamente indirizzato, e non più solo vagabondi e oziosi (Tosatti 1997, 221).

 

Il nuovo codice penale e le leggi di pubblica sicurezza

Il nuovo codice penale Zanardelli, approvato il 30 giugno 1889, è di impianto classicista, tendenzialmente garantista (Fassone 1980, 31). Contemporaneamente, vi è la promulgazione del nuovo testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza (“Gazzetta ufficiale del Regno”, 5 luglio 1889), strutturato in sezioni disciplinanti il controllo sulle riunioni politiche e gli assembramenti pubblici; la detenzione di armi; la regolamentazione degli esercizi pubblici; di alcune professioni esercitate da individui potenzialmente sospetti (ambulanti, artisti girovaghi, ma anche osti e tipografi) e delle “classi pericolose”. Oltre al domicilio coatto, i provvedimenti più subdoli e invasivi sono l’ammonizione e la vigilanza speciale. La prima durava due anni e colpiva “oziosi” e vagabondi – che, pur abili al lavoro e privi di mezzi di sussistenza, erano disoccupati e obbligati perciò a trovare un’occupazione e una dimora stabili entro un breve termine di tempo – e “diffamati”, cioè chi era stato condannato per reati comuni, o chi denunciato ma assolto per mancanza di prove, ma era sufficiente essere “designato da pubblica voce come colpevole”, dando così valore dirimente a semplici sospetti e pettegolezzi. Gli ammoniti non potevano frequentare pregiudicati (ciò significava quasi sempre interrompere relazioni di parentela, amicizia, conoscenza, in rioni dove la maggioranza della popolazione era responsabile di qualche reato, anche minore), erano soggetti a coprifuoco serale, non dovevano portare alcun tipo di arma (neppure certi strumenti di lavoro), ed evitare locali pubblici. Chi contravveniva ad una di queste imposizioni poteva essere incarcerato fino a un anno, fino a due se recidivo, con l’aggiunta di un ulteriore periodo di vigilanza speciale da parte della Pubblica sicurezza. L’ammonizione, come rilevato da Fulvio Cammarano, è elemento fondamentale delle nuove norme per il controllo di oltre 40.000 italiani “socialmente pericolosi” per convinzioni politiche o per la loro non-integrazione nel sistema sociale vigente, e deliberato proposito di colpire devianza e marginalità, normalizzare e rendere passiva la popolazione dissidente (2011, 116). Il vigilato speciale doveva rispettare tutte le regole dell’ammonizione e, in più, non alimentare sospetti con una condotta irregolare, presentarsi regolarmente presso l’ufficio di Pubblica sicurezza e avere sempre con sé i documenti che lo identificavano come vigilato, perquisito dalle autorità qualora lo decidessero, impossibilitato a cambiare dimora senza il consenso della questura. Per i contravventori vi era l’arresto e ammoniti e vigilati costituivano la gran parte dei recidivi. Anche chi era stato liberato per amnistia, era sottoposto a vigilanza speciale per sei anni, durante i quali poteva nuovamente subire l’arresto anche solo in base a sospetti (Canosa 1991, 266; Davis 1989, 274). Non erano provvedimenti molto diversi dall’attuale “affidamento” al lavoro o ai servizi sociali, solo che allora non erano pene alternative, ma una sorta di condanna preventiva fondata su comportamenti non previsti come reati dal codice penale. Dal momento che la classe dirigente italiana si riconosceva in una dottrina politica e giuridica di tipo liberale, non poteva ammettere nel codice il concetto di “sospetto”, motivo insufficiente a legittimare una sanzione penale, prevista solo dopo dimostrazione di un “fatto”. Per questo, la legge di pubblica sicurezza affida prevenzione e normalizzazione alla funzione amministrativa, cioè a misure di polizia, attraverso un’operazione di “modernizzazione del vecchio stato assoluto” (Lonni 1990, 95). In questo modo, i colpiti dai provvedimenti amministrativi divenivano cittadini di serie B, privati delle garanzie essenziali sulla libertà personale dal diritto governativo di sicurezza pubblica, senza usufruire di un regolare processo giudiziario (Romanelli 1988, 269-271). Perfino Lombroso era sempre stato scettico su questi provvedimenti, poco legali e poco utili, acuenti il disagio dei soggetti sottoposti e non risolutivi per la disoccupazione; pensava inoltre che “i sorvegliati sono schiavi degli agenti” (1897, 65). Ma il sistema sociale poteva adattare così alle circostanze la propria organizzazione, senza mirare all’eliminazione assoluta della criminalità che, per vari aspetti è funzionale alla perpetuazione del sistema stesso (Melossi 1994, 120), ma modulando il concetto di illegalità, e della percentuale di essa consentita, così da legittimare sempre la classe detentrice del potere. Il pericolo maggiore per la stabilità sociale veniva dai proletari politicizzati, che potevano trovare appoggio e collaborazione nel sotto-proletariato, la frazione maggiore della “classe pericolosa”. La provvidenziale versatilità delle misure di polizia, nella legge sulla pubblica sicurezza, ha avuto perciò un ruolo essenziale nella lotta alla criminalità politica e alle manifestazioni di opposizione sociale (Petrini 1997, 898).

Primo maggio 1891

A Roma, le forze dell’ordine temevano, già nel 1890, nuovi disordini pubblici contro il carovita, la mancata distribuzione di alimenti, il crumiraggio nei pochi cantieri aperti. Pur con divieti sull’affissione di manifesti politici non governativi e sugli assembramenti nelle pubbliche vie, in vista delle elezioni amministrative gli anarchici invitano all’astensione e all’antimilitarismo, contrari alle spese per la costruzione di altre fortezze difensive intorno alla città con conseguenti fenomeni speculativi. Si prepara, intanto, la partecipazione della delegazione anarchica romana (Gnocchetti e il giornalista Vincenzo Cuccuruccu) al congresso di Capolago del gennaio 1891, che vedrà la presenza di oltre 90 delegati italiani (Grella 2012, 36-37), e il cui documento finale, Risoluzione del congresso socialista italiano di Capolago, sottoposto a sequestro, viene diffuso in Italia clandestinamente. Punti fondamentali del documento: ripristinare i valori del movimento libertario, costituire un partito socialista rivoluzionario, espropriare la proprietà individuale, collettivizzare la produzione. A Roma viene fondato il giornale “La questione sociale”, nella cui redazione figurano Errico Malatesta, Luigi Galleani (Antonioli 2013, 654-657), Francesco Saverio Merlino, Pietro Gori, Amilcare Cipriani, Luigi Bardi e si formano altri gruppi rionali: Prati Castello, Borgo diretto da Giuseppe Melinelli (Grella 2012, 306), Tiburtino diretto da Tito Lubrano, Porta Pia, Trevi, il circolo Gioventù Ribelle diretto da Temistocle Monticelli (Grella 2012, 209), il gruppo “La Giustizia” e un gruppo di fiorai diretto da Alessandro Serrantoni. L’attività pubblicistica è viva, la distribuzione di opuscoli capillare, frequenti i convegni e le assemblee pubbliche con numerosa partecipazione popolare (Grella 2012, 309). La situazione nella capitale si fa sempre più tesa: la questura adotta provvedimenti per la censura della stampa sovversiva, si preparano mobilitazioni per l’imminente Primo maggio, le leghe operaie si interessano al movimento anarchico. Dopo una manifestazione con circa 1.500 persone in piazza Dante, il 19 marzo un corteo si scontra con la polizia e vari anarchici sono fermati, tra cui Pietro Calcagno (Antonioli 2003, 292-294), Eugenio Agostinucci, Serrantoni, che avevano esplicitato pubblicamente un programma di azione diretta, impostato sull’esproprio sociale. Il movimento anarchico prende sempre più le distanze da repubblicani e socialisti, nonostante alcune forme di collaborazione in vista del Primo maggio, mentre si susseguono manifestazioni con la partecipazione delle leghe operaie e dei disoccupati, oltre a molti cittadini. Il 16 aprile arriva anche Amilcare Cipriani: ormai l’appuntamento del Primo maggio romano è un evento politico e sociale di massima rilevanza nazionale.

Quella giornata comincia con lo sciopero delle maestranze edili romagnole nei cantieri del nuovo Palazzo di giustizia, mentre nei comuni dei Castelli romani vi sono attività dimostrative. In città parte il corteo, con più di 2.000 persone, diretto a piazza S. Croce in Gerusalemme. Ci sono interventi a favore dell’azione diretta (Paolo Liverani e Ettore Bardi) e scontri inevitabili, data la tensione delle settimane preparatorie: Antonio Piscitelli viene ucciso da un colpo di arma da fuoco. A fine giornata, molti i feriti da entrambe le parti e 234 arresti. Questa è una delle occasioni più importanti per la classe operaia romana, che impara a conoscere strumenti di lotta come lo sciopero e la manifestazione di piazza organizzata e coordinata, in una capitale e metropoli volutamente tenuta fuori dal processo di industrializzazione delle città settentrionali (Ravaglioli 1995, 60-61). Il processo per i fatti del Primo maggio inizia nel marzo 1892, con 120 imputati: il latitante Liverani; Cipriani, per associazione a delinquere; Galileo Palla (Grella 2012, 311) per violenza e incitazione; Bardi per bastonate agli agenti, possesso di rivoltella e incitamento alla rivolta; Francesco Moscati per uccisione di un agente e ferimento di un altro; Nicola Agricola per uso di coltello; Melinelli per resistenza alle forze dell’ordine; Angelo Volpi (Grella 2012, 331) per bastonate agli agenti; poi Agostinucci, Annibale Avanzini (Grella 2012, 152), Luigi Bardi, Luigi Trabalza (Grella 2012, 326), ecc. Il pubblico ministero avanza l’aggravante della premeditazione, ritenendo i disordini frutto di mesi di preparazione e definendo il movimento un’associazione a delinquere per l’attuazione di un programma rivoluzionario. Il processo determina il riavvicinamento di socialisti e repubblicani al movimento anarchico, in segno di solidarietà, e viene anche effettuata una raccolta di fondi in favore degli imputati, promossa da un comitato di deputati, avvocati, politici, circoli, società operaie. Gli anarchici si dissociano però dalla proposta di un’amnistia per i condannati, del deputato socialista Giacomo Maffei.

Ci si avvicina a un nuovo Primo maggio, e la questura intensifica controlli, perquisizioni, arresti preventivi, con la registrazione degli operai assenti dal lavoro in occasione di manifestazioni cittadine, e controlla le cave, per paura di furti di dinamite. Il 22 aprile la questura dirama un elenco di oltre 500 anarchici da tenere sotto sorveglianza, in particolare il giovane Gaetano Bisceglie, di Formia, già renitente alla leva, fondatore di una nuova Associazione di studi sociali1. Il movimento, nel quale vi è un numero crescente di donne, chiede alle società operaie una svolta rivoluzionaria, supportato dall’adesione di molti disoccupati e di pregiudicati comuni, accettati al proprio interno e interagenti fra loro attraverso sinergie in via di verifica, in una ricerca mirata delle fonti legate all’istituzione carceraria. Si infittiscono le riunioni nel quartiere di S. Lorenzo, nel quale un punto di riferimento è Gualtiero De Angelis. Tale realtà urbana diviene uno snodo importante della lotta sociale, ruolo che manterrà fino ai giorni nostri.

Intanto, mentre la Cassazione rigetta il ricorso presentato dai condannati del Primo maggio 1891, si serrano le fila poliziesche contro Giovanni Forbicini (Grella 2012, 291-292), ritenuto il principale tramite fra anarchici e malavita romana, a sua volta condannato per reati comuni (furto) e per connivenza e complicità con noti pregiudicati cittadini2, così da incriminarlo per associazione sovversiva3. La questura non teme solo collaborazioni fra sovversivi e delinquenti comuni, ma anche l’ingresso nel movimento di giovani borghesi e dei loro finanziamenti, perché ormai l’ideale anarchico è radicato in ambienti sociali diversi e il circolo operaio facente riferimento all’Associazione Studi Sociali si è diramato in ben otto gruppi, attivi in rioni differenti.

Le leggi crispine sull’ordine pubblico: anarchici e coatti.

Il 1893 è un anno, per certi aspetti, determinante. Dopo il congresso genovese, in cui si è consumata la spaccatura fra socialisti e anarchici, questi conoscono una fase di sbando: Malatesta è in Spagna, Merlino in America, Cipriani in Francia, Gori sotto sorveglianza a Milano, Galleani ancora in carcere. Al congresso di Zurigo, l’emendamento di August Bebel viene accolto e gli anarchici espulsi dall’Internazionale, ma in Italia non cessa, per il momento, una loro parziale unità d’intenti con radicali, socialisti, repubblicani. Nonostante molti arresti preventivi della questura romana, gli anarchici continuano a sfidarla e a scendere in piazza ma, in via della Lungaretta a Trastevere, avvengono scontri violenti con armi da fuoco, bastoni e pugnali che colpisono alcuni agenti di polizia. Sono arrestate 22 persone per oltraggio e violenza alla pubblica sicurezza, fra cui il temuto Forbicini (Diz bio 2013, 502-503; Grella 2012, 245)4. L’atmosfera cittadina si fa pesantissima e qualsiasi esplosione, anche festosa, diviene pretesto per accusare gli anarchici di attentato (Grella 2012, 52-53)5. La città è sotto assedio dei reparti militari per il controllo degli operai; le osterie segnalate anonimamente come depositi di armi sono vigilate; continuano incessanti gli arresti di anarchici per associazione a delinquere (Grella 2012, 53)6. Il 6 luglio, però, la sentenza contro Forbicini, Monticelli e altri 37 imputati è di non luogo a procedere per mancanza di prove. La popolazione dei rioni, in cui si festeggia l’avvenimento, manifesta ostilità nei confronti delle forze dell’ordine e “Il Messaggero” mette in dubbio la conduzione delle indagini, accusando la questura quanto meno di superficialità. Il 1893 si chiude con lo scandalo della Banca Romana, le ostilità in Africa, la guerra commerciale con la Francia, il deficit statale in costante aumento, come l’impoverimento della popolazione, il tragico esito dei Fasci siciliani, e chiunque tenti di manifestare in solidarietà dei contadini uccisi rischia l’arresto. L’8 marzo 1894, una bomba vicino a Montecitorio esplode causando due morti e alcuni feriti. La stampa conservatrice accusa gli anarchici, che però non rivendicano l’attentato. Dopo i consueti arresti, spesso arbitrari, e altre dimostrazioni con bombe (Grella 2012, 196, 209, 291)7, vi è il fallito attentato a Crispi il 16 giugno 1894, l’assassinio di Sadi Carnot il 24 giugno per mano dell’italiano Caserio e quello, il 1° luglio, di Giuseppe Bandi, direttore del moderato “Il Telegrafo” di Livorno. Crispi presenta allora tre proposte di legge per il controllo dell’ordine pubblico (le note leggi del 19 luglio 1894), secondo molti pensate per annientare definitivamente il movimento anarchico: la n. 314, sui reati commessi con materie esplodenti, prevede pene molto severe anche per il solo possesso di materiali atti alla costruzione di un ordigno, per quanto semplice e rozzo, e la riduzione a tre partecipanti per un’eventuale imputazione di associazione a delinquere (condizione aggravante della pena) rispetto ai cinque previsti dal codice penale8; la n. 315, sui reati di istigazione a delinquere e apologia di reato per mezzo stampa o immagini; la n. 316 su provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza come il domicilio coatto per potenziali sovversivi, per decisione di un’apposita commissione provinciale9, e il divieto di associazioni e riunioni sospettate di progettare vie di fatto contro gli ordinamenti sociali. Si introduce dunque il concetto di “atto preparatorio” di un attentato, definibile in maniera arbitraria dall’autorità di Pubblica sicurezza (Canosa 1991, 222). Crispi può così inviare al domicilio coatto anche detenuti politici e sciogliere le associazioni anarchiche, socialiste, operaie. Infatti, ne fa le spese pure il partito socialista, nonostante il documento del congresso di Reggio Emilia del 1893 non evochi nessuna istigazione sediziosa (Canosa 1991, 217). Una situazione al limite della legalità costituzionale, in cui dietro le dichiarazioni ufficiali di “leggi antianarchiche”, di per sé già punitive dell’espressione di idee e opinioni, si cercava in realtà di colpire perfino l’esistenza di un grande movimento sociale democratico, anche se la legislazione in materia aveva sempre rasentato tale posizione, privilegiando in ogni caso la salvaguardia della classe sociale al potere, a seconda delle contingenze (Romanelli 1990, 346). È il fallimento della politica ideologica, sulla quale prevalgono le esigenze di ordine, con un uso improprio della “politica penale come politica sociale” (Resta 1997, 127). E vale la pena ricordare anche come Lombroso, pur nel suo determinismo antropologico e ribadendo il diritto della “maggioranza” alla difesa della propria organizzazione sociale, riconoscesse nell’azione illegale del sovversivismo l’unica forma di vitale e reale opposizione al “misoneismo”, ostacolo quest’ultimo al progresso dell’umanità (Lombroso, Laschi 1890a; 1890b).

Con una circolare del maggio 1894, viene impostata la futura banca dati del sovversivismo italiano, il Casellario politico centrale, per la raccolta di informazioni biografiche, continuamente aggiornate dalle prefetture, sui sovversivi (Tosatti 2009, 107). La questura romana propone 54 candidati10 al domicilio coatto, ma la Commissione provinciale ne condanna solo 19. Questo era un’istituzione che sarà molto utilizzata dal sistema italiano (fino al “confino” di età fascista): la dimora, regolata da un preciso sistema disciplinare, in un luogo isolato e lontano dalla propria residenza, riservata a persone considerate pericolose. Grave limitazione della libertà personale in via preventiva, la pena peggiore di tutte, ambigua e pesante da sopportare. I primi anarchici a subirla, in base alle nuove disposizioni, sono Ettore Sottovia (Grella 2012, 324), Cesare Agostinelli (Antonioli 2003, 13-14) e Aristide Ceccarelli (Grella 2012, 275). Nel mese di luglio vi sono molti arresti, decine di espulsioni da Roma e ammonizioni. Dalla questura, le menti più pericolose del movimento sono considerate, in questa fase, Giuseppe Del Bravo11, uno dei più fidati della “setta”; Vincenzo Vittorio Orazi (Grella 2012, p.310), libertario individualista “settario”; Umberto Faina, organizzatore di gruppi; Umberto Piccolini, farmacista esperto di esplosivi. Tra gli accusati per l’art. 248 del codice penale12, uno dei più noti è Calcagno (Grella 2012, 296), alle cui conferenze partecipano centinaia di persone, anche appartenenti ad altri credo politici, considerato uomo d’azione violento, responsabile dei disordini del Primo maggio 1891, con forte carisma presso la popolazione. Molto seguito dalla questura è anche Luigi Damiani (Grella 2012, 282-283), anarchico “puro” per eccellenza, girovago, favorevole a qualsiasi tipo di mobilitazione.

Il 1895, dopo la repressione per le nuove disposizioni crispine, è un anno di stasi del movimento, anche se vanno registrate le manifestazioni di dissenso dei condannati politici dai domicili coatti (White Mario 1896, 332) e l’arresto di Romano Ravagli13, Emilio Cappelli14 ed Egidio Raffaelli, per l’esplosione di due ordigni in piazza del Popolo. Viene intanto nominata una Commissione parlamentare dal ministro dell’Interno, per studiare modifiche alla misura del domicilio coatto, palesemente fallimentare: i colpiti sono costretti all’ozio e ai vizi, in pericoloso contatto con delinquenti comuni, incontrollabili dalle scarse forze di polizia locali, costosi per le finanze pubbliche. Una circolare del 18 agosto 1895 dispone così la libertà condizionata per 240 coatti per l’art. 3 della L. 31615, se a metà pena e con buona condotta, e per 132 fra quelli per l’art. 1 della L. 31616, oltre ad altri 1.569 colpiti dalle leggi di pubblica sicurezza del 1889. Dei 4.115 coatti risultanti a fine maggio 1895, ne rimangono nelle colonie penali poco più di 2.000 (White Mario 1897, 683). Sarà una delle tante “amnistie” temporanee, che risolveranno il problema per pochi mesi, poiché la politica delle misure preventive continuerà a colpire come di consueto negli anni successivi. Diviene opinione abbastanza diffusa che il vero obiettivo delle “leggi antianarchiche” siano in realtà i socialisti, organizzati in una struttura partitica che stava orientandosi verso la partecipazione legale alla vita istituzionale e, pertanto, più temibili proprio perché meno eversivi (White Mario 1896, 328). Anche il funzionario di Pubblica sicurezza Ettore Sernicoli li ritiene più pericolosi proprio per questi motivi, e perché “le truppe dei socialisti e le bande degli anarchici” avrebbero, in definitiva, gli stessi obiettivi e nemici. Diversa la rispettiva strategia e gli anarchici, disorganizzati e individualisti, possono raccogliere più proseliti fra i contadini, conservatori ma imprevedibili quando eventi eccezionali ne mettono a repentaglio la sopravvivenza (1899, 36-37, 228-229). Certo il movimento anarchico, con il nuovo secolo, perderà freschezza e purezza originarie: fiaccato dalle polemiche con i marxisti, debilitato dall’utilizzo strumentale che ne fanno alcuni appartenenti, devastato dalla presenza al suo interno di molti confidenti della polizia, con un clima di sfiducia e sospetto generalizzati (De Jaco 1971, XXXII-XXXIII).

Un database e nuovi spunti interpretativi

È discutibile l’interpretazione, a suo tempo data da Fiorella Bartoccini, di una popolazione romana che non avrebbe consentito al movimento anarchico di attecchire nella capitale, per mancanza di profonde radici ideologiche e organizzative, sostanziale conservatorismo e scetticismo culturale? Caratterizzata da individualismo, ribellismo e spontaneismo, essa avrebbe appoggiato le manifestazioni di massa e collaborato alle attività del movimento nei momenti di emergenza, ma si sarebbe arresa davanti all’esigenza di un’attività preparatoria costante e con obiettivi più a lungo termine (1985, 638-639). Diversa è l’opinione a sua volta data da Pier Carlo Masini, il quale ha individuato in Roma, con Napoli e Firenze, la sede delle forme associative più concrete e strutturate, con finalità di resistenza soprattutto nel settore edile, a partire dalla conferenza nazionale delle Sezioni italiane dell’Internazionale a Rimini nel 1872, quando si costituisce la Federazione italiana dell’Internazionale, su posizioni di dissenso dall’impostazione marxista del Consiglio generale dell’Internazionale (Masini 1969, 74). La classe operaia romana, con la capitale in un ruolo centrale nella storia del movimento, avrebbe anzi trovato la propria strada organizzativa attraverso queste esperienze, basi di una tradizione di lotta poi rifiorita nel secondo dopoguerra (Cafagna 1952, 731-732). La questione merita di essere approfondita con studi più dettagliati; in particolare ci sembra interessante capire le effettive sinergie e connessioni tra militanti dei movimenti sovversivi e delinquenti comuni, che è quanto ci si propone, a partire dal database in fase di realizzazione, relativo alla popolazione detenuta a Regina Coeli nel periodo 1880-1899. Fra i piccoli criminali dei rioni popolari, la legge dell’omertà contro le autorità era fondamentale e in questo erano sicuri alleati dei sovversivi. Anche i “bulli” erano vittime, spesso per motivi inconsistenti, di ammonizioni e vigilanze speciali e, come una consistente frangia del movimento, esaltante l’individualismo e l’assenza di uno spirito associativo di fondo, anche la malavita romana era storicamente caratterizzata da molteplici attività criminose, esercitate da individui non consociati, isolati nelle loro imprese e definibili, in senso lato, “anarchici”. Dalle fonti orali raccolte da Riccardo Mariani, emerge l’immagine del piccolo criminale popolano come “ultimo ribelle smanioso di farsi giustizia da solo, per sé ma anche per i deboli e gli indifesi”; “uomo proveniente dagli strati sociali più bassi, soverchiato da miseria, assoggettato ai padroni capitalisti, umiliato e offeso, il quale proclama il proprio diritto alla vita e impone con violenza la propria personalità, battendosi per un ideale” (1983, 227). Come Irene Invernizzi ha sostenuto per un altro momento storico significativo, il sotto-proletario, che non legherà con gli operai organizzati nei sindacati e nei partiti, difficilmente poteva avere una coscienza politica forte e questo lo portava ad agire per rivendicazioni parziali e immediate, estremista e violento nelle azioni, ma non altrettanto nei contenuti. Nel suo individualismo, poteva reagire agli ostacoli con apatia e rassegnazione, o rifugiandosi in un’azione illegale solitaria, ricreando inconsapevolmente un micro-cosmo con le medesime caratteristiche della società borghese, che sembrava disprezzare: vedi il caso di sfruttatori, ricettatori, ecc. (1973, 64). E l’individualismo “antiorganizzatore” è sempre stato presente in varie forme nel movimento anarchico, finché non è stato particolarmente enfatizzato, anche ideologicamente, distaccandosi del tutto con l’originario anarchismo associativo e federalista (Masini 1969, 226).

Ma è proprio fra questi individui che, a nostro parere, il movimento anarchico poteva, attraverso una loro consapevolezza politica del disagio sociale, attivare una forma di lotta che non si fermasse alle embrionali manifestazioni attuate. Come sostenuto da Invernizzi, infatti, i delinquenti comuni provenienti dal sottoproletariato possono essere considerati a tutti gli effetti “delinquenti politici”. Ognuno di loro è un inconsapevole rivoluzionario, che compie azioni individuali dettate dal senso di ingiustizia sociale della quale è vittima e, ignaro di altri mezzi di lotta, può solo violare le leggi di un potere che non gli permette di vivere dignitosamente (Invernizzi 1973, 288). Il database già citato consentirà analisi incrociate, a partire da categorie differenti di detenuti (e detenute) che potranno fare luce su aspetti della storia sociale locale a partire da un’ottica peculiare. Avendo a disposizione, al momento, sia le immatricolazioni per l’anno 1890 sia per il 1895, abbiamo testato se risultassero presenti gli anarchici romani proposti, nel 1895, per il domicilio coatto, con quali imputazioni e l’eventuale loro condotta “dentro”. I risultati della ricerca non sono definitivi, ma solo uno “stato attuale” del lavoro in corso.

Alcuni passaggi di coatti crispini da Regina Coeli

Eugenio Agostinucci, nato a Genzano (RM) il 16 maggio 1867, tappezziere a Roma. Nel suo caso, sono disponibili alcune biografie nei testi sul movimento anarchico già citati e ci limitiamo a ricordare solo i fatti per cui viene immatricolato nel carcere giudiziario di Regina Coeli.

Nel gennaio 1894 è fra i 22 anarchici arrestati per l’art. 248 codice penale17 e per oltraggio e violenze contro la pubblica forza. Dopo i Fasci siciliani, la questura romana ritiene che il movimento abbia chiaramente fatto intendere il proposito di passare a vie di fatto. A una riunione del 7 gennaio 1894, presso la Posta Vecchia, presieduta dal socialista Ciro Corradetti, sono presenti molti anarchici, i quali premono per un’azione immediata18, cercando di coinvolgere alcuni repubblicani riuniti presso il circolo Giuditta Tavani Arquati. Armati di bandiere e manifesti sovversivi, in via della Lungaretta incrociano un delegato di Pubblica sicurezza e un tenente dei Carabinieri con i loro uomini, che suonano i previsti tre squilli di tromba per disperdere i dimostranti, i quali reagiscono con bastoni e pugnali, colpendo due agenti. C’è l’arresto immediato di Umberto Mancini e di Gnocchetti, mentre gli altri non vengono riconosciuti a causa della confusione e dell’oscurità. Ciò nonostante, il giorno seguente, in base alla testimonianza dell’infiltrato Massimini, si procede all’arresto di numerosi di loro e alla segnalazione di altri19. Agostinucci, portiere dello stabile in via Rattazzi 30 e sorvegliato speciale, all’interrogatorio, il 13 gennaio, ribadisce di essere anarchico, ma non appartenere a nessuna associazione. Nega la partecipazione ai fatti, con un alibi molto debole anche se sostenuto dalla sua condizione di sorvegliato con coprifuoco. La sentenza, il 24 febbraio 1894, lo condanna a 2 anni e 3 mesi di reclusione, con 10 mesi e 15 giorni in segregazione cellulare continua, 150 lire di ammenda e un anno di sorveglianza speciale della Pubblica sicurezza a fine pena20. La Corte d’appello confermerà la sentenza il 29 maggio 1894 e così la Cassazione il 20 agosto successivo.

Nei registri matricolari di Regina Coeli, l’Agostinucci viene registrato il 1° luglio 1895, proveniente dal carcere di Perugia, dopo l’arresto a Roma dell’8 gennaio 1894. Sa scrivere, si dichiara pittore. Rimane nel carcere romano poco più di un mese, in attesa dell’assegnazione al domicilio coatto a Ponza per tre anni, l’11 luglio, quando viene tradotto nuovamente al carcere perugino, nel quale risulta avere tenuto una condotta regolare21.

L’altro immatricolato ampiamente biografato, fra i candidati coatti, è Ettore Gnocchetti, cognato di Agostinucci, nato a Genzano nel 1859, fabbro ferraio. Ci limitiamo anche nel suo caso a ricordare il motivo della sua immatricolazione a Regina Coeli, negli anni di cui ci stiamo occupando. Anch’egli coinvolto nei fatti della Lungaretta del gennaio 1894 e subito arrestato, nell’udienza del 24 febbraio dichiara di avere partecipato sia alla riunione alla Posta Vecchia, sia a quella al Giuditta Tavani Arquati. Durante l’arresto di Mancini (cfr. biografia successiva), si era apprestato a difenderlo, quando era stato fermato da un agente. Dichiara di non avere sentito i tre squilli di tromba e, anzi, esclude che vi siano stati inviti allo scioglimento. Riconosciuto colpevole per gli artt. 190, 434 codice penale22 e per gli artt. 5 e 6 della legge di pubblica sicurezza, ma assolto per mancanza di prove per l’art. 24723, con aggravante generica di recidiva, viene condannato a due anni di reclusione, 150 lire di ammenda e un anno di sorveglianza speciale, confermati in Corte d’appello e poi in Cassazione24. Nei registri matricolari del carcere viene registrato il 18 luglio 1895, proveniente da quello di Orvieto, dove sta scontando la pena in seguito alla sentenza del 24 febbraio 1894. Rimane nel carcere giudiziario romano per due mesi, quando viene nuovamente portato a Orvieto, dopo la sentenza di 4 anni al domicilio coatto a fine pena (prevista per il 6 gennaio 1896). La sua condotta nel penitenziario di Orvieto è segnalata come “buona”25.

I successivi coatti del 1895 non ricorrono nelle cronache sui fatti romani e nella storia dell’anarchismo; sono personaggi minori, né teorici né leader riconosciuti, protagonisti secondari ma vitali, che maggiormente interessano la ricerca in corso. È probabile che proprio loro abbiano avuto contatti particolarmente stretti con la criminalità comune e si siano mossi con grande disinvoltura entro le maglie della vita rionale. Infatti, risultano nella lista degli sgraditi per i quali si propone il domicilio coatto.

Umberto Mancini, nato a Roma nel 1873, fabbro, non ha buona fama, per il carattere audace e turbolento, per la scarsa educazione, la mancanza di cultura, l’intelligenza solo “discreta”26, la frequentazione di sovversivi sorvegliati. Sembra che abbia una certa influenza nell’ambiente anarchico romano, anche se non è in grado di sostenere rapporti epistolari con esponenti italiani e stranieri, di collaborare a giornali o riviste, di parlare ai comizi. È però attivo nelle manifestazioni cittadine, dove si distingue per capacità di azione e di coinvolgimento e, nei confronti dell’autorità, sembra avere un atteggiamento “serio”, ma anche “indifferente”27. Collabora alla rivolta del Primo maggio 1891 e, il 4 luglio 1892, è condannato dalla Corte d’appello a 17 mesi 15 giorni di reclusione e un anno di sorveglianza speciale per l’art. 248 codice penale. Partecipa alle manifestazioni dopo i fatti di Aigues Mortes, i Fasci siciliani, quelli della Lunigiana; per le bombe del 1893, viene arrestato e deferito (art. 247 codice penale), ma poi prosciolto per insufficienza di prove; per i fatti della Lungaretta è condannato il 24 febbraio 1894 (artt. 5 e 6 legge sulla pubblica sicurezza e artt. 190 e 434 codice penale) a 2 anni di reclusione e 125 lire di ammenda (assolto per l’art. 247 codice penale in mancanza di prove)28. In occasione dell’udienza di questo processo, nega la partecipazione alla riunione, sostiene di essere capitato alla manifestazione casualmente, di non avere bastonato agenti, ma anzi di avere sentito loro colpi di arma da fuoco e nessun avviso di scioglimento29. Nonostante non sia mai stato ammonito, viene proposto per il domicilio coatto (L. n. 316/94) e il 19 agosto 1895 assegnato a Ponza per due anni, anche se nel novembre 1896 gli viene concessa la libertà condizionata. L’11 ottobre 1897 viene arrestato per disordini in piazza Navona, ma rilasciato subito per inesistenza di reato. Nel 1898 sembra lasciare l’attività militante, acquisisce una condotta regolare, lavorando assiduamente e non frequentando più riunioni politiche, pur dichiarando sempre la propria fede anarchica. Per il carattere “violento” continua però a essere costantemente sorvegliato, fino al 1914. Nel frattempo, è diventato l’autista personale del duca d’Arcos, ambasciatore spagnolo in Italia, con il quale si trasferisce proprio quell’anno a San Sebastian. Richiede di essere cancellato dal casellario politico, facendo ammenda dei suoi trascorsi politici, ma la sua richiesta non viene accolta dal ministero dell’Interno fino al 1929, quando risulta essere simpatizzante del governo fascista30. Il suo passaggio a Regina Coeli è registrato l’8 luglio 1895, quando vi entra proveniente dal carcere di Civitavecchia, dopo l’arresto del 7 gennaio 1894 per i fatti della Lungaretta. Vi rimane due mesi, candidato al domicilio coatto, poi viene nuovamente condotto a Civitavecchia il 19 settembre, fino alla fine della pena, prevista per il 12 dicembre, e dove il suo comportamento risulta essere sempre stato “buono”31.

Anche Antonio Montesi, nato a Belvedere Ostrense (AN) nel 1870, trasferitosi a Roma da piccolo32, imbianchino alfabeta che non ha fatto il militare, è uno degli imputati per i fatti della Lungaretta. Interrogato il 13 gennaio 1894, dichiara di non avere partecipato alla riunione né agli scontri. Anarchico, non appartenente ad alcuna associazione, ha un alibi inconsistente e vengono trovati giornali sovversivi nella sua abitazione, che giustifica come regali di un giornalista, del quale non sa indicare nome né recapito. Non è noto l’esito del processo, anche se il pubblico ministero aveva proposto le stesse imputazioni di Gnocchetti e Mancini33. Montesi non era incensurato. Infatti, dopo una denuncia per l’ammonizione (artt. 70 e 105 del regolamento di pubblica sicurezza) dalla quale viene poi assolto, era stato arrestato il 30 agosto 1888, per ribellione contro due agenti di Pubblica sicurezza che sedavano una rissa fra due uomini poi fuggiti per intervento di un centinaio di persone, fra cui gli arrestati Serrantoni, Severino Palombelli, Augusto Santarelli, Romolo Cuccioletti e Montesi (art. 249 codice penale). Detenuto a S. Michele a Ripa, all’udienza dichiara la sua estraneità all’episodio, come confermano due testimoni suoi conoscenti, presenti alla rissa, che negano la sua presenza sul posto. È ugualmente condannato, pur con circostanze attenuanti34. Nel 1889 risulta socialista, frequentatore di riunioni e conferenze sovversive, con indole morale “depravata”, risoluto e violento, non istruito. Il 19 gennaio 1891 è assolto dalla Corte d’assise dall’accusa di associazione con Egisto Barbadoro, arrestato con lui a Narni nel marzo 1890, per utilizzo doloso di monete false, fabbricate dall’anarchico Annibale Paoletti35. Nonostante riesca sempre a sfuggire condanne pesanti, viene considerato dalla prefettura di Roma collaboratore di soggetti molto pericolosi, responsabili degli eventi pubblici violenti negli ultimi anni36. È coinvolto nei disordini alla Lungaretta, ma anche in questo caso viene assolto per mancanza di prove a suo carico. Dichiara la sua fede anarchica e rivoluzionaria e, quando viene proposto per il domicilio coatto (art. 3 della L. 316/1894), reagisce violentemente davanti al delegato di Pubblica sicurezza. Destinato per tre anni a Porto Ercole nel febbraio 1895, è trasferito per motivi amministrativi all’isola di Ponza nel mese di luglio. Qui si rende responsabile di ribellione e oltraggio alla pubblica forza (artt. 190, 194, 195 codice penale) e condannato a tre mesi di reclusione e 600 lire di multa; nel novembre 1896 gli viene concessa però la libertà condizionata. Ai primi del Novecento si trova in Brasile, dove lavora insieme all’anarchico marchigiano Giacomo Mancini come rilegatore di libri. Torna a Roma nel 1911, andando a vivere con la madre e il fratello Vitaliano, che è impiegato alla Cassa Nazionale di Previdenza. Durante la Prima guerra mondiale è sempre sotto vigilanza, probabilmente perché sottoscrittore de “Il Pensiero Anarchico”. Muore nel 1928, dopo avere esercitato la professione di pittore negli ultimi anni37. La sua immatricolazione a Regina Coeli è relativa al 19 luglio 1890, proveniente dal carcere di Spoleto, dopo l’arresto a Narni. È a Roma per l’appello del 14 gennaio 1891, dove viene assolto, terminando così la sua permanenza in carcere38.

Augusto Cappelli, romano nato nel 1863, macellaio, compare in una causa che coinvolge quattro persone39 per l’uso doloso di biglietti falsi, uno dei quali utilizzato dal Cappelli, in un’osteria in via Piscinula, per pagare la cena ad alcune persone40. Il mandato di cattura risale al dicembre 1889, ma Cappelli viene preso il 31 marzo 1890, insieme alla sua donna Natalina Mazzi, figlia di un oste del rione Ponte, in stato di gravidanza avanzata41. Cappelli è incensurato, alfabeta e ha fatto il militare. Viene imputato per gli artt. 258, 261 e 263 codice penale42, avendo messo in circolazione e speso a Roma biglietti falsi di vari tagli, tra l’autunno 1889 e l’aprile 189043, e tradotto alle Carceri Nuove. La sentenza, il 1° settembre 1890, lo condanna a quattro anni di reclusione e uno di sorveglianza speciale, pena severa e senza prove schiaccianti. Chiede la libertà provvisoria e ricorre in appello.

Lo ritroviamo fra gli imputati per i fatti della Lungaretta. Dopo avere scontato la precedente condanna, aveva frequentato prevalentemente pregiudicati, ma intrecciato anche rapporti con alcuni anarchici44, con i quali avrebbe organizzato nel 1893 un gruppo clandestino per preparare attentati dinamitardi45. Viene arrestato il 19 aprile 1893 per lo scoppio di alcune bombe (artt. 248 e 251 codice penale), ma assolto per indizi insufficienti. Si difende presentando un alibi e dichiarando di non appartenere al movimento anarchico, ma di essere stato in passato membro del partito repubblicano, anche se la questura lo identifica come “noto anarchico”46. Imputato per i medesimi reati di Montesi, Gnocchetti e Mancini, non verrà condannato. Altro arresto nel settembre 1898, insieme ad altri 44 anarchici, per la solidarietà dimostrata all’assassino di Elisabetta d’Austria (art. 248 codice penale), ma il 30 dicembre viene assolto per insufficienza di prove. Con il nuovo secolo, sembra ritirarsi dalla militanza politica e dedicarsi solo al lavoro, con il quale ha raggiunto una condizione “abbastanza agiata”, e alla famiglia. Partecipa a qualche commemorazione relativa ad esponenti del movimento47, non preoccupa, ma rimane sorvegliato. Però, nel 1914, interviene a una riunione di anarco-sindacalisti, proponendo una dimostrazione armata contro le repressioni governative antianarchiche. Muore nel gennaio 191648. Il suo nome è nei registri matricolari di Regina Coeli, nel quale entra il 31 marzo 1890, il giorno stesso dell’arresto per utilizzo doloso di denaro falso. Dopo la riduzione della pena, stabilita in appello il 28 ottobre 1890, richiede anche il giudizio in Cassazione. Il 20 novembre viene trasferito al carcere di Civitavecchia49.

Un personaggio controverso è Vittorio Barbaliscia, altro candidato al domicilio coatto. Nato a Genzano nel 1861, capomastro muratore e appaltatore, nel 1894 viene accusato per gli artt. 150 e 251 della legge sulla pubblica sicurezza e per l’art. 247 codice penale: la sera dell’8 gennaio 1894, a Genzano, circa 50 persone avevano dimostrato contro la monarchia, il governo, il parlamento, inneggiando al socialismo, al Fascio dei lavoratori, ai martiri siciliani ma, dopo le tre intimazioni dell’autorità, la dimostrazione si era sciolta52. Tra i capigruppo vengono individuati il vignarolo Giovanni Resta, arrestato il giorno seguente, e il Barbaliscia, già condannato in assise l’11 novembre 1881 a 7 anni di reclusione a Capraia per un ferimento mortale, durante i quali si renderà protagonista di disordini, molto turbolento e refrattario a qualsiasi autorità. Barbaliscia è considerato uno dei leader del Fascio dei lavoratori locale, insieme ad Achille Fabrizi. Entrambi sono descritti come pessimi soggetti, sempre pronti a scatenare disordini di matrice sovversiva. Il processo ha luogo il 4 marzo 1894, con Barbaliscia ancora latitante. Viene condannato a sei mesi di reclusione e alla multa di 300 lire53. All’appello del 30 luglio ’94, Barbaliscia, costituitosi il giorno stesso, è presente, difeso dall’avv. Zuccari. Dichiara la sua partecipazione alla dimostrazione e conferma avere gridato slogan politici contro il governo. La corte conferma la sentenza precedente e Barbaliscia è tradotto alle Carceri Nuove. Rifiutatagli la libertà provvisoria, rinuncia al ricorso in Cassazione. Ritenuto inizialmente un “repubblicano collettivista”, è descritto come spavaldo, dall’espressione truce e “stravolta”, di condotta morale mediocre, condotta politica pessima, scarse educazione e cultura, media intelligenza, “violento ed esaltato”, temuto dai compaesani per i suoi precedenti. Il ministero dell’Interno lo scheda come “uno dei peggiori facinorosi del circondario, di indole sanguinaria, mente sveglia ed esaltata”, temibile “sia per la propaganda sia per l’azione”54. Nel 1893 viene eletto consigliere comunale, ricordato per avere scagliato una sedia contro il sindaco e insultato i colleghi. Frequenta socialisti e anarchici ed è promotore di tutte le manifestazioni sovversive nel suo paese, amico di Pietro Baldetti (Grella 2012, 152-153) e Aurelio Camilli. Non sarà mai ammonito, ma viene proposto per il domicilio coatto e, il 4 giugno 1895, assegnato a Lipari. Dopo due libertà condizionate e un ritorno sull’isola per cattiva condotta, il 19 settembre 1896 è a Genzano, sottoposto a sorveglianza speciale. Oscillante tra partito repubblicano e movimento anarchico, nel 1909 è denunciato per oltraggio a pubblico ufficiale, concorso in violenza e resistenza alla forza pubblica e nuovamente si rende latitante. Quando torna in paese, viene condannato dalla pretura a scontare 30 giorni di reclusione e pagare una multa di 100 lire. Alla vigilia della Prima guerra mondiale è ancora sotto vigilanza, descritto come incline alla violenza, chiuso e taciturno, ostile alle autorità. Sarà sempre controllato fino al 1942, quando si ritira dalla militanza attiva e si dichiara repubblicano55. Lo troviamo nei registri di Regina Coeli alla sua entrata in carcere il 26 gennaio 1895, giorno dell’arresto avvenuto a Roma per misure di sicurezza pubblica, in base all’arbitrarietà delle nuove leggi di crispine. Esce dal carcere dopo cinque mesi, trasferito al domicilio coatto di Lipari56.

Infine, il coatto Francesco Vannucci, nato a Grosseto nel 1870, residente a Roma, lustratore di marmi, descritto come uomo dall’espressione truce, con pessima fama perché prepotente e violento, poco istruito, di intelligenza scarsa, ozioso e vagabondo a carico dei familiari, ai quali ricorre solo per i propri bisogni, senza curarsene per il resto. Anarchico, di una qualche influenza nel movimento romano per la sua audacia e prestanza fisica, non corrisponde con esponenti di altre città, non fa parte di associazioni né collabora a giornali, non è in grado di tenere discorsi né di fare una seria propaganda, data la sua limitata cultura. È però assiduo nell’organizzazione di manifestazioni e, in quella promossa con Bisceglie e Del Bravo per i fatti di Aigues Mortes, viene arrestato per incitamento al saccheggio, possesso di armi e manifesti sovversivi, poi prosciolto per insufficienza di prove. Così come verrà assolto dopo essere stato arrestato con Damiani per furto. Era stato invece condannato a 25 giorni di detenzione per renitenza alla leva dal tribunale di Massa il 20 dicembre 1892. Nel 1894 viene rimpatriato a Grosseto, dove frequenterà solo anarchici, per misure di pubblica sicurezza, ma dopo due soli mesi torna a Roma. Inviato al domicilio coatto alle Tremiti il 2 giugno 1895, spostato a Ponza il dicembre successivo per misure di sicurezza, è posto in libertà condizionata il 4 novembre 1896, e ritorna a Roma. Non verrà mai ammonito. L’anno successivo emigra in America, dove soggiornerà per molti anni in Brasile. Di lui si perdono le tracce, ma nel 1943 il Ministero dell’Interno chiede ancora informazioni sul suo conto, ritenendolo “comunista o anarchico”.

Biografia

Dottore di ricerca in storia economica e sociale (Università Orientale di Napoli) e dottoranda in Storia d’Europa: società, politica, istituzioni (Università della Tuscia), Cristina Badon è abilitata alla docenza universitaria in Storia delle istituzioni politiche. Già assegnista di ricerca in storia economica all’Università degli studi di Firenze, ha all’attivo numerosi saggi di storia dei servizi postali e stradali in Italia, di storia degli imprenditori e di storia delle donne. Di recente ha pubblicato l’edizione critica di una parte dell’epistolario di Eleonora Rinuccini, moglie di Neri Corsini: «Ti lascio con la penna, non con il cuore». Lettere di Eleonora Rinuccini al marito Neri dei principi Corsini. 1835-1858, Firenze University Press, 2012. Sullo stesso tema ha pubblicato anche la monografia Eleonora Rinuccini e la famiglia Corsini. Un matrimonio aristocratico nel secolo della borghesia (1813-1882), Aracne, 2012. Ha pubblicato inoltre le seguenti monografie: Le vie dell’Italia unita. La politica stradale italiana (1850-1900), Nerbini, 2011 e Lavori pubblici e appalti. Le strade regie postali durante la prima età lorenese (1737-1799), Centro editoriale toscano, 2008.

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  1. Collaboratori sono Giacinto Monetti, Eugenio Accorsi e Giuseppe Del Bravo. Cfr. Grella 2012, 49.  []
  2. Egli ha anche costituito un gruppo ravacholista dal nome di Santa Canaglia. []
  3. Non è l’unico a macchiarsi di reati non politici. Per furto, negli stessi giorni, vengono anche arrestati suoi compagni come Bisceglie, Mariano Tantini, Cesare Santi. Cfr. Grella 2012, 50. []
  4. Fra gli altri, citiamo Umberto Faina, Francesco Moscardi, Giuseppe Del Bravo, Adriano Arié. Cfr. Antonioli 2003, 502-503; Grella 2012, 245. []
  5. Nella corte di palazzo Marsili; presso il Quirinale; presso una stazione di Pubblica sicurezza nel rione Monti; alle abitazioni degli onorevoli Tommasi-Crudeli e Ferri; presso palazzo Antici Mattei; a palazzo Marignoli, a palazzo Altieri e a palazzo Sacchetti; presso l’abitazione del ministro Brin; all’interno del ministero delle Finanze e di quello degli Esteri; presso le Carceri Nuove. Cfr. Grella 2012, 52-53. []
  6. Oltre venti arrestati, fra cui il facchino Achille Arturi e Emilia Piscitelli. Cfr. Grella 2012, 53. []
  7. Fra gli arrestati Merlino, Umberto Mancini, Moscardi, Manganaro, De Luca, Angelo Cairoli, Enrico Bottini (Grella 2012, 196), Filippo Montecutelli con biografia (Grella 2012, 209), Achille Cantucci, Giuseppe Arié, Alfredo Torricelli e Sante Ferrini con biografia in (Grella 2012, 291). Le bombe erano scoppiate al ministero di Grazia e giustizia e al ministero della Guerra.  []
  8. Art. 5 della L. 314/1894 in Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia (RULDRI), Roma, Stamperia Reale, 1894, vol II, 1758-1761.  []
  9. Composta dal presidente del tribunale, dal procuratore del re, da un consigliere di prefettura. Cfr. Art. 2 della L. 316/1894 in ivi, 1764-1766. Rigide le nuove norme per l’apertura di esercizi pubblici, ritenuti covi di sovversivi (osterie, sale biliardo, ecc.). Cfr. L. 331 della”Gazzetta Ufficiale del Regno” del 23 luglio 1894 in ivi, vol. II, 1940-1941.  []
  10. ASR-GP, Questura di Roma 1870-1909, b. 71, fasc. 274.  []
  11. ASR-GP, Ufficio di Pubblica Sicurezza del rione Borgo, b. 5442, fasc. 57222. []
  12. Tra gli altri, Enrico Sinibaldi, Ernesto Leopardi, Giuseppe Carpico ed Ernesto Baldi per i quali cfr. Grella 2012, p 55; Giuseppe De Santis, per cui cfr. ASR-GP, Carceri giudiziarie Roma, “Regina Coeli”, b. 75, matr. 23135. []
  13. Informazioni biografiche in ASR-GP, Carceri giudiziarie di Roma, “Regina Coeli”, b. 29, matr. 14620; id., b. 61, matr. 14197. []
  14. Informazioni biografiche in ivi, b. 61, matr. 14198. []
  15. Chi manifesta deliberati propositi di vie di fatto contro gli ordinamenti sociali. Cfr. RULDRI 1894, vol. II, 1765. []
  16. Reati con materie esplodenti; istigazione a delinquere, associazione a delinquere, eccitamento alla guerra civile; incendi, inondazioni, danni a strumenti di controllo e sicurezza pubblici e a mezzi di trasporto e di comunicazione. Cfr. ivi, 1764.  []
  17. Se almeno cinque persone si associano per reati contro l’amministrazione della giustizia, la fede e l’incolumità pubbliche, il buon costume e ordine della famiglia, della persona, della proprietà. Scontata la condanna, scatta la sorveglianza speciale della Pubblica Sicurezza. Cfr. R.D. 6133/1889, in RULDRI 1889, cit., 1889, vol. 93, 1828-2006. []
  18. Riferisce dell’esito delle riunioni una spiata del fiorentino Massimiliano Massimini. Fra gli anarchici presenti: Agostinucci, Gnocchetti, Moscardi, Faina, G. Del Bravo, Carlo Celli, Donato Pallotta, A. Arié, Annibale Avanzini. Cfr. ASR-GP, Tribunale Civile e Penale di Roma, b. 5442, fasc. 57222. []
  19. Ivi.  []
  20. Assolto per l’art. 247 in mancanza di prove, ritenuto colpevole di mancata risposta all’ordine di scioglimento dell’assembramento, per gli artt. 190 e 234/2 codice penale, con aggravante della recidiva specifica. Il pubblico ministero aveva chiesto 43 mesi di reclusione (con un anno in segregazione cellulare continua) e un anno di sorveglianza speciale per gli artt. 247, 248, 190, 194 (offesa alla forza pubblica), 195 (violenze e minacce alla forza pubblica), 434 e 234 (inosservanza di un provvedimento dell’autorità competente) del codice penale. []
  21. Il registro riporta alcuni errori sulle date. Cfr. ASR-GP, Carceri giudiziarie di Roma, “Regina Coeli”, b. 73, matr. 19570.  []
  22. Resistenza violenta alla pubblica forza. []
  23. Istigazione a delinquere: apologia di reato, incitamento alla disobbedienza della legge e all’odio fra classi sociali con pericolo per l’ordine pubblico. []
  24. Per lui, il pubblico ministero aveva chiesto 3 anni e 4 mesi di reclusione, 500 lire di multa, 150 lire di ammenda e un anno di sorveglianza speciale per gli artt. 247, 248, 190, 194, 195, 434 codice penale Ivi. []
  25. ASR-GP, Carceri giudiziarie di Roma, “Regina Coeli”, b. 73, matr. 20032.  []
  26. ACS, Cpc, b. 2974. []
  27. Ivi.  []
  28. Il pubblico ministero aveva richiesto 36 mesi e 20 giorni di reclusione per artt. 247, 248, 190. 194, 195, 434 codice penale Cfr. ASR-GP, Tribunale Civile e Penale di Roma, b. 5442, fasc. 57222. []
  29. Ivi. []
  30. ACS, Cpc., b. 2974. []
  31. ASR-GP, Carceri giudiziarie di Roma, “Regina Coeli”, b. 73, matr. 19767. []
  32. Dopo un primo trasferimento a Iesi della sua famiglia nel 1875, si trasferiscono a Roma nel 1881. Fino ad allora, il ragazzo continua a frequentare il paese natio, per brevi soggiorni presso lo zio, Vincenzo Mancini, segretario comunale. Nella scheda biografica è descritto con portamento “marziale” e sguardo “accigliato”. Cfr. ACS, Cpc., b. 3375.  []
  33. Cfr. ASR-GP, Tribunale Civile e Penale di Roma, b. 5442, fasc. 57222. []
  34. Il mese di carcere inflittogli viene confermato in appello il 19 gennaio 1889. Cfr. ivi, b. 4747, fasc. 42948.  []
  35. Barbadoro è invece condannato. Cfr. ivi. []
  36. Relazione in ACS, Cpc., b. 3375. []
  37. Ivi. []
  38. ASR-GP, Carceri giudiziarie di Roma, “Regina Coeli”, b. 29, matr. 15282. Il complice Barbadoro, sarto perugino ventenne, residente a Genova, è condannato a 3 anni 2 mesi e 13 giorni di reclusione, multa di 200 lire e 2 anni di sorveglianza speciale, trasferito nel carcere di Viterbo. Cfr. ivi, matr. 15281. Paoletti, calzolaio quarantenne di Iesi residente a Roma, è condannato a 4 anni 5 mesi di detenzione, multa di 200 lire e 2 anni di sorveglianza speciale, tradotto al carcere di Civitavecchia. Cfr. ivi, matr. 13480. []
  39. II loro nomi in ASR-GP, Tribunale Civile e Penale di Roma, b. 4941, fasc. 46338, relazione dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza di Trastevere.  []
  40. Riconosciuto come falso, il biglietto gli viene restituito. Ivi.  []
  41. Ipotizzata la complicità, per la sua latitanza, del caporal maggiore Giacobbe Sonnino, di stanza a Reggio Calabria ma a Roma per un periodo di licenza. Ivi. []
  42. Tutti relativi a contraffazione, spesa o messa in circolazione di denaro falso. Cfr. R.D. 6133, cit.  []
  43. ASR-GP, Tribunale Civile e Penale di Roma, b. 4941, fasc. 46338. []
  44. Tali Gregliai, Miliani, Pecorai. ACS, Cpc., b. 1044, “scheda biografica”, 1894. []
  45. Ivi. []
  46. ASR-GP, Tribunale Civile e Penale di Roma, b. 5442, fasc. 57222. []
  47. Il funerale di Luigi Cardinali; l’anniversario della morte di Cesare Lucatelli. Cfr. ivi. []
  48. ACS, Cpc., b. 1044. []
  49. ASR-GP, Carceri giudiziarie di Roma, “Regina Coeli”, b. 29, matr. 13798. []
  50. I promotori di una riunione pubblica hanno l’obbligo di avvertire almeno 24 ore prima l’autorità di Pubblica sicurezza locale previa multa di 100 lire e scioglimento riunione. Cfr. R.D. 6144/1889, in RULDRI 1889, cit., 2189-2220. []
  51. Riunioni o assembramenti pubblici con manifestazioni o grida sediziose contro lo stato o governi esteri, possono essere sciolte e i colpevoli denunciati. Ivi. []
  52. Lo stesso giorno, a Genzano esplode una bomba rudimentale contro il Municipio e vengono affissi manifesti sovversivi. ASR-GP, Tribunale Civile e Penale di Roma, b. 6118, fasc. 59366. []
  53. Il pubblico ministero aveva richiesto 8 mesi e 350 lire di multa. Ivi. []
  54. ACS, Cpc., b. 316, “scheda biografica”, 1896. []
  55. ACS, Cpc., b. 316.  []
  56. ASR-GP, Carceri giudiziarie di Roma, “Regina Coeli”, b. 61, matr. 13852.  []