Guido Franzinetti I Balcani. 1878-2001 Roma, Carocci, 2001

Laura Palermo

Scaffale PalermoIl titolo dell’opera fornisce al lettore quello che sarà l’oggetto del tema, delimitato nelle sue coordinate spazio-temporali: sappiamo fin da subito che l’autore intende analizzare una regione del continente europeo, quella balcanica appunto, nell’arco di tempo che va dal 1878 al 2001 (com’era, quali trasformazioni ha subito).

Nonostante la tematizzazione sembri lapalissiana già nella copertina, Franzinetti mostra, nella prefazione all’opera, di voler chiarire quando l’espressione “Balcani” si è imposta come categoria storico-geografica e quali sono state le stratificazioni di senso intorno ad essa.

L’autore esplicita dopo poche righe l’intento del suo lavoro: “offrire una lettura selettiva della storia dei Balcani, incentrata sul periodo iniziato con il Congresso di Berlino del 1878, che nelle sintesi di storia dell’Europa compare come data fondamentale nella storia della regione nell’età contemporanea”. Dopo il Congresso di Berlino, i Balcani iniziarono ad uscire dall’arretratezza nella quale erano stati relegati dal sistema ottomano: il 1878 può essere simbolicamente considerata la data del loro “ingresso in Europa” (si adeguavano al principio europeo dello stato nazionale, per il quale vi era corrispondenza tra i confini dello stato e quelli dell’identità culturale).

“Chi non vuole accontentarsi di una prospettiva schiacciata sul presente e sull’immagine può invece interessarsi dei Balcani per quello che sono, e cioè una regione che sta faticosamente emergendo dalla marginalità storica”. È in questo modo che può realizzarsi una piena conoscenza del presente: comprendendo il cammino che questa regione ha compiuto e assegnando valore storico a questo cammino. La validità della scelta tematica ci invita a perlustrare la ricostruzione storica, assegnando a questa regione una dimensione diversa da quella solitamente attribuitale: un invito a interessarsi della regione non in funzione di crisi (reali o presunte), ma di ciò che essa è.

L’autore fissa rigorosamente lo spazio d’indagine: la sua ricerca è basata su una scala d’osservazione macroregionale e comprende i territori che corrispondono agli odierni stati nati dall’ex Jugoslavia, all’Albania, alla Grecia, alla Bulgaria e alla parte europea della Turchia.

L’introduzione serve all’autore (e al lettore) per delineare un rapido panorama introduttivo sui nodi fondamentali della storia dei Balcani durante la dominazione ottomana:

  • il sistema di potere ottomano e la crisi che lo attraversò nel corso del XVIII secolo
  • i mutamenti manifestatisi dopo la guerra russo-turca del 1768-74 (premessa delle rivolte nazionali successive)
  • il ciclo di riforme ottomane che portarono alla fase di apertura riformistica (età del Tanzimat).

Questi tre nodi servono all’autore per chiarire in quale contesto maturò la crisi del sistema ottomano, il cui declino irreversibile venne in qualche modo sancito dal Congresso di Berlino.

Queste premesse storiche precedono la ricostruzione dei fatti e sono rievocate mediante la periodizzazione: svolgono pertanto funzione anticipatrice e di guida alla lettura delle successive pagine.

Anteposto a prefazione e introduzione, l’indice contiene la periodizzazione ricapitolativa dei fatti ricostruiti. Dalla sua lettura si coglie come, dopo aver “disegnato lo sfondo” del contesto nelle pagine introduttive, l’autore scomponga il periodo oggetto d’analisi in 4 capitoli:

1. dal 1875 al 1918 (la dissoluzione ottomana);

2. dal 1918 al 1945 (le vie nazionaliste)

3. dal 1945 al 1990 (le vie comuniste)

4. dal 1990 al 2001 (i Balcani e il postcomunismo)

Significativi risultano essere già i titoli prescelti: il primo è l’unico declinato al singolare; per gli altri viene data indicazione, attraverso l’uso della forma plurale, della diversità tra gli stati analizzati. “Le vie nazionaliste” o “Le vie comuniste” introducono la pluralità dei processi, il differente percorso storico seguito (pur con le analogie possibili e pur con la stessa matrice di partenza: l’appartenenza al sistema ottomano).

All’interno di ciascun capitolo sono state individuate delle aree tematiche che informano già il lettore del fatto che, tranne poche eccezioni, si racconteranno dei processi: ad esempio, mentre il titolo del paragrafo I Balcani nel 1875 ci induce a pensare ad una sorta di immagine statica, il successivo titolo Crisi, rivolte e guerre nei Balcani (1875-1908) suggerisce al lettore che troverà indicazioni su come si è passati da uno stato iniziale di cose ad uno stato finale.

Nell’indice manca la presenza di un’ulteriore scansione effettuata all’interno dei paragrafi. Scorrendo le pagine, infatti, si può notare che ciascun paragrafo è stato suddiviso in sottoparagrafi, che sezionano in fette temporali i paragrafi stessi; ogni sottoparagrafo, a sua volta, smembra spazialmente l’oggetto di analisi: si sofferma, cioè, sull’evoluzione di ogni singolo stato.

Al termine di ciascun capitolo spicca un rimando a pagine intitolate Per riassumere…, una sorta di sintesi degli eventi trattati nel capitolo stesso. Uno strumento sicuramente interessante per fissare la cronologia principale degli eventi, ma a mio parere non estremamente utile in un testo che si dimostra già alquanto sintetico (e che come tale si propone).

All’interno dei quattro capitoli l’autore opera una ricostruzione narrativa degli avvenimenti principali che portarono questi stati ad emergere dalla costola di un decadente sistema imperiale ottomano e ad affermare la propria autonomia e indipendenza. Ciascuno di essi seguì una strada specifica di costruzione statale e di consolidamento del potere, che fu comunque resa difficile da un’alta conflittualità tra gruppi etnici e da una propensione allo scontro, anche violento (come dimostra la frequenza di colpi di stato). Al termine della seconda guerra mondiale, ad eccezione della Grecia, seguirono quasi tutti la “via comunista”: vi fu adesione al modello staliniano in Bulgaria, la costruzione del modello titoista in Jugoslavia e un sistema di comunismo rivoluzionario e autarchico in Albania. Ovviamente il crollo del comunismo (o meglio il suo declino) ha imposto trasformazioni che non sempre sono state indolori (come nel caso della Jugoslavia, dove dalla dissoluzione del sistema comunista si è passati alla secessione dalla Federazione e ad una guerra fratricida).

L’autore utilizza prevalentemente un discorso narrativo, intervallato da blocchi descrittivi minimi e funzionali al racconto.

Sono presenti, talvolta, brevi blocchi argomentativi che cercano di spiegare aspetti problematici, come ad esempio quello relativo alla questione del crollo o del declino dei sistemi comunisti (Declino e crisi del comunismo?, capitolo 3, paragrafo 2.1).

L’autore sollecita una riflessione sugli eventi e sul come non si possa parlare di crollo (eccezion fatta per l’Albania), ma di abdicazione del potere comunista che portò al declino dei sistemi comunisti esteuropei. I fattori che contribuirono furono diversi: la crisi del modello di sviluppo comunista (maturata a partire dagli anni Settanta), il rallentamento delle opportunità di mobilità sociale e il relativo malcontento della stessa base sociale su cui si fondavano i sistemi comunisti (basti pensare al movimento di Solidarnosc) e, infine, le conseguenti riforme economiche e politiche di Gorbacev.

Secondo Franzinetti queste ultime erano sintomatiche della volontà della classe dirigente sovietica di “riformare il sistema”: in tale prospettiva gli stati “satelliti” esteuropei costituivano un fardello per l’Urss, sia economicamente che politicamente; era pertanto necessario un allontanamento da essi.

Questo progetto politico comportò conseguenze differenti negli stati dell’Est Europa: Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e Germania orientale.

Nella regione balcanica, le conseguenze furono più significative: in Jugoslavia o in Albania, per l’evoluzione che il proprio sistema comunista aveva avuto, non erano presenti truppe sovietiche e l’assenza di una forza esterna stabilizzante fu un elemento che contribuì alle crisi successive di questi due stati.

In definitiva, il libro si presenta come utile strumento di riorganizzazione di eventi di un passato alquanto vicino e vissuto, più che altro, attraverso le cronache dei mass media. Inoltre fornisce spunti per la riflessione e per l’interpretazione di processi le cui conseguenze sono tuttora tangibili.