Il potere di un deputato: Marco Minghetti e le élite politico-amministrative del comune di Legnago

di Dennis Borin

 

Abstract

L’articolo si propone di studiare i modi attraverso i quali un piccolo centro di provincia, da poco annesso all’Italia sabauda, seppe rapportarsi alle istituzioni centrali del nuovo Stato unitario con l’aiuto della mediazione di un deputato dal nome eccellente.

Abstract english

This article’s aim is to study how a small provincial centre, the town of Legnago, when was annexed to the Kingdom of Italy in the second half of the 19th century, was able to relate itself to the central offices of the new unitary state, through a high-profiled Member of Parliament and his work of mediation.

 

Introduzione

Dal 1869 al 1886, anno della sua scomparsa, Marco Minghetti fu eletto, quasi mai incontrando opposizione, nel collegio di Legnago in provincia di Verona. Malgrado sulla sua figura esista un’estesissima bibliografia – da ultima, tra le opere di più vasto respiro, Del Bianco (2008) – solo un isolato e per certi versi pionieristico lavoro di Maria Pia Cuccoli (1978-80) ricostruisce la complessa trama del movimento organizzativo alla base delle sistematiche rielezioni dello statista. Alla studiosa va il merito di aver individuato gli interlocutori privilegiati di Minghetti, di aver presentato una rassegna delle principali questioni che gli furono sottoposte e di aver scandito la cronologia delle sue visite. Le fonti principali utilizzate per la sua indagine furono “I manoscritti di Marco Minghetti”, conservati presso la Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna. Salvo per le minute, molta parte delle informazioni sono state tratte dalle lettere che dal collegio elettorale di Legnago giunsero allo statista.

A distanza di molti anni mancava però uno studio inverso basato sulle lettere spedite da Minghetti ai suoi interlocutori veronesi1. Naturalmente, dopo il lavoro della Cuccoli non si trattava più, o meglio non solo, d’individuare i temi principali della corrispondenza tra Marco Minghetti e i suoi elettori. Il cambiamento della prospettiva di ricerca imponeva un approfondimento delle modalità attraverso le quali fu preparata la candidatura e, soprattutto, un’analisi del comportamento delle élite locali nella loro relazione con il deputato e con l’amministrazione centrale dello Stato. Lo studio di questo percorso, fatto di persone ed informazioni che incessantemente si muovono dalla periferia di una regione da poco annessa al resto d’Italia sino alla capitale del Regno, dove prassi amministrativa e mediazione politica s’affiancano e s’intrecciano, rappresenta pertanto lo scopo principale di questo lavoro.

La candidatura e il consolidamento della rete elettorale

L’operazione politica che portò alla candidatura di Minghetti nel collegio di Legnago, rimasto vacante dopo le dimissioni di Lauro Bernardi, maturò dopo le due non rassicuranti tornate elettorali del 1865 e 1867, che, per due volte consecutive, costrinsero lo statista ad essere eletto nella sua Bologna solamente al ballottaggio (Barbieri 1978-80, 36-37). L’occasione per stabilirsi in un collegio più sicuro fu offerta dalla sua quasi contemporanea nomina a ministro nel terzo gabinetto Menabrea, a seguito della quale, secondo la legge allora vigente, doveva presentarsi agli elettori per rinnovare il proprio mandato. La soluzione di Legnago fu probabilmente prospettata a Minghetti da Angelo Messedaglia (Ventura 1989, 78), deputato veronese con lui in rapporti d’amicizia sin dal 1866 ed esponente di spicco di quella parte di moderatismo veneto – in proposito, ampie notizie in Marcelli (1978-80) e in Lanaro (1984, 425-26) – che presto troverà proprio nello statista bolognese il suo punto di riferimento in parlamento. L’opportunità di una sua candidatura in una zona come Legnago non poteva essere trascurata: centro rurale di medie dimensioni, a poche ore di treno e carrozza da Bologna, con un elettorato d’orientamento moderato, in una regione da pochi anni annessa al resto del Regno, il collegio sembrava essere, e in effetti sarà, la soluzione per sostituire la base elettorale di Minghetti e sottrarlo all’effetto di quell’emorragia di consenso che aveva iniziato a colpire la sua Bologna.

Come ha saputo ben documentare la Barbieri (1978-80, 37-38), il compito d’indagare la situazione politica locale fu svolto da Luigi Gerra, segretario generale del Ministero degli Interni, il quale riuscì a contattare gli amministratori legnaghesi attraverso la mediazione del prefetto di Verona. Dopo questo sondaggio informale si apriva la seconda e più delicata fase dell’operazione: il nome di Minghetti doveva cioè ricevere l’appoggio ufficiale dei notabili del collegio, ai quali soli spettava la responsabilità ultima di ratificare, ovvero di respingere, l’indicazione ministeriale. Fu un percorso lineare, conclusosi come sappiamo con un’elezione al primo turno, ma svoltasi non senza avversità.

A Verona, città capoluogo, era contrario alla candidatura di Minghetti “L’Arena”, uno dei due maggiori quotidiani cittadini all’epoca schierato su posizioni liberali indipendenti critiche rispetto alla politica governativa. Erano contrari i democratici, che riuscirono abilmente ad incanalare in un’unica corrente d’opposizione, espressasi in un affollato meeting politico, l’ostilità di una parte consistente della piccola borghesia urbana – che rimproverava a Minghetti la firma della Convenzione di Settembre – con il malcontento popolare per la tassa sul macinato2. Erano contrari infine, molti dei membri del direttivo di un’associazione liberale nata a Verona nel 1868 che, distinta dal Circolo Democratico, annoverava tra i suoi membri molti elementi appartenenti all’ambito delle professioni giuridiche della città. Nel capoluogo il movimento d’opposizione non mancava, e la cosa non sorprende se si considera quale fermento potesse creare la figura di Minghetti in un ambiente urbano politicamente eterogeneo come una città di medie dimensioni. In provincia però le cose stavano diversamente e il movimento d’opinione contrario alla sua elezione, benché ampio e articolato su vari livelli, non valse a condizionare significativamente l’orientamento dell’elettorato.

All’assemblea pubblica convocata per decidere della candidatura, parteciparono circa 60 persone. Non ci fu dibattito e, dopo una brevissima relazione a favore di Minghetti, la candidatura fu messa ai voti e accolta a larghissima maggioranza (“L’Arena”, 19 maggio 1869). L’esito scontato di questa assemblea fu un’elezione al primo turno con 305 voti su 406; il suo avversario Antonio Facci, sostenuto da democratici e radicali, ne ottenne 95. A Bologna, dove pure continuava a riporre delle speranze, Minghetti ottenne un deludente secondo posto al ballottaggio: un risultato che valse a spazzare via anche le ultime remore sull’utilità di una candidatura fuori dalla sua regione d’origine. Si apriva a quel punto per lo statista una fase completamente nuova. Gli elettori, in assenza di un contatto diretto, basandosi probabilmente solo sulla fiducia di un brillante avvenire di modernizzazione del collegio ispirata dal prestigioso nome, avevano fatto la loro parte. Si trattava ora per il deputato di capitalizzare il consenso, trasformando quel gruppo di 300 votanti circa in una rete elettorale in grado di garantire la sua presenza in parlamento. A questo scopo, nulla poteva essere più appropriato di una sua visita al collegio. Per metterla a punto, lo statista si avvalse ancora una volta dei preziosi consigli del prefetto di Verona, il quale, attraverso una fitta corrispondenza, lo aggiornò sulla situazione politica locale e sulle principali questioni da risolvere (Cuccoli 1978-80).

Legnago era al centro di un collegio rurale segnato da un’imponente opera di bonifica e Minghetti, aggiungendo un nuovo motivo di lustro al suo nome, era da poco stato nominato Ministro dell’Agricoltura, facile quindi prevedere il tema dominante del suo primo discorso. Lo statista, tuttavia, sapeva anche che prestigio personale e arte retorica non bastavano a garantire la fiducia degli elettori, così a suggello del suo primo discorso nel collegio non mancò di rassicurare gli animi con questa pubblica promessa di tutela:

Quanto alle altre domande che mi ha esposto poco fa l’onorevole vostro sindaco […] state sicuri, o signori, che i vostri affetti, i vostri interessi, sono d’ora innanzi anche i miei. (“L’Adige”, 5 agosto 1869).

Dopo essere stato definitivamente introdotto, egli individuò come interlocutori di fiducia i sindaci dei due principali centri della zona. Essi, insieme a pochi altri importanti personaggi locali a vario titolo legati alle due amministrazioni, presentavano a Minghetti i principali problemi del collegio per cui si raccomandava il suo interessamento e ad essi, in un rapporto di reciprocità, il deputato si rivolgeva per l’organizzazione delle visite, la divulgazione dei suoi interventi pubblici (discorsi alla Camera, resoconti elettorali, lettere a giornali) e, in generale, per reperire tutte quelle informazioni che potevano essergli utili per meglio esercitare la sua azione di patronage3. Nei fatti, come accadeva in molte altre parti del Regno, questi notabili ricoprivano un doppio ruolo: quello di amministratori locali e quello di capi elettori: Domenico Piccini, sindaco di Cologna Veneta, fu il presidente dell’assemblea elettorale che aveva deciso la candidatura di Minghetti, Giovanni Battista Giudici suo omologo a Legnago a partire dal 1871, già in vita, era riconosciuto, sia dai suoi concittadini, sia da Marco Minghetti, come capo ed elemento indispensabile dell’Associazione liberale-monarchica della città4. Come è stato ampiamente documentato da Camurri a proposito del caso veneto (1994; 1997), questi personaggi, sfruttando il loro rapporto privilegiato con il deputato, riuscivano ad incrementare il loro prestigio nella cerchia della comunità locale, trasformando il loro mandato amministrativo in una sorta di investitura a lunghissimo termine o in un perfetto trampolino per una futura attività in parlamento.

Le questioni per le quali veniva raccomandato l’interessamento di Minghetti, oltre ad essere esposte per lettera e naturalmente, quando ce n’era l’occasione a voce, venivano fatte oggetto di trattazione in veri e propri promemoria, sollecitati, forse, dallo stesso statista bisognoso di conoscere tutti i dettagli degli argomenti per cui si chiedeva il suo intervento e di muoversi secondo un ordine di priorità. Due mesi e mezzo dopo la prima visita al collegio, il sindaco di Legnago avv. Zapolla, accompagnato dal segretario comunale, si recò a Firenze per consegnare a Minghetti uno di questi promemoria5. Tutti gli argomenti presentati dal sindaco e dal segretario furono successivamente trattati dallo statista. La storia di alcuni di essi, ricostruibile in maniera abbastanza dettagliata, sarà fatto oggetto di ampia trattazione nel prossimo paragrafo, ma torniamo ancora per un momento agli aspetti strettamente organizzativi del rapporto tra Minghetti e i suoi interlocutori veronesi, perché, come è facilmente comprensibile, tanta sollecitudine da parte sua nei confronti del collegio non poteva non essere bilanciata da una grandissima attenzione per quella che si potrebbe agevolmente chiamare la performance elettorale.

Valga su tutti questo esempio. Quando nel 1882, dopo tredici anni di mandato ininterrotto, due candidati progressisti riuscirono ad essere eletti nel contesto della nuova circoscrizione allargata, Minghetti non fece mistero di preferire, se la situazione non fosse stata migliorata, un collegio più sicuro. In questa bella lettera – testimonianza del suo stato d’animo nel momento della prova del nuovo sistema elettorale – lo statista paventa fin da subito la possibilità di un suo trasloco. Il testo, all’indirizzo dell’allora sindaco di Legnago, è di una chiarezza inequivocabile:

Caro Giudici. Aspettavo con impazienza infinita il suo telegramma, tanto più che un telegramma da Verona […] mi dava per spacciato. Il suo telegramma mi rassicura, ma nello stesso tempo mi prova che c’eravamo fatti delle illusioni […], ad ogni modo come l’ho pregata, mi sarà caro di vedere i particolari delle sezioni per studiare i modi di cura. Imperoché uno degli elementi più importanti per decidere la mia opzione sarà questo. In caso di nuove elezioni generali o parziali sarò io certo (per quanto umanamente si può esserlo in queste cose) di riuscire? Ecco un problema sul quale Ella e i nostri amici dovranno studiare bene a fondo prima che io mi decida. Certamente se vengono alla Camera e verranno questioni di fiumi e sussidi per codesti paesi, io parlerò in loro favore e guadagnerò meglio gli animi. Tuttavia è un punto di grande riflessione. Io credeva proprio di essere legato al Collegio di Legnago per la vita; oggi comincia a balenarmi il dubbio, dunque ci pensino bene e imparzialmente, perché ripeto che quando esaminerò insieme ai miei amici politici la questione dell’opzione, l’elemento pienezza d’esito in caso di rielezione sarà l’elemento capitale della decisione […].E in verità se l’Italia tutta fosse come la Romagna guai a noi, qui io vedeva la necessità di riunire i moderati [coi] progressisti contro i radicali ma i progressisti non vollero, ora hanno vinto i radicali. Io son rimasto il quinto nella lista degli eletti. Pensi che Bertani capo dei repubblicani, e Costa capo dei socialisti che predica il nichilismo, ebbero voti da per tutto, riuscirono a Ravenna con un ministro del Rè, e il Presidente della Camera. E quel ministro del Rè diceva che in Romagna non c’erano Radicali, ma Costa quasi vinse Codronchi nel 2°collegio [di] Bologna, ed ebbero voti il Cipriani assassino in galera e il Passanante. La situazione è gravissima, fortuna che l’Italia non è tutta così!

Saluti […] tutti gli amici. Come vanno le opere della rotta? Mi scriva un po’ dettagliatamente per quanto glielo permettano le sue occupazioni6.

Rispetto a pochi anni prima, quando la parola di Minghetti si spendeva in affettuose attestazioni di stima per il sindaco e tutta la giunta7, la situazione era radicalmente mutata, complice il nuovo sistema di voto. Un aiuto in parlamento per far fronte alla situazione del legnaghese dopo la disastrosa rotta dell’Adige del 1882, proprio a ridosso delle elezioni a suffragio allargato, non sarebbe certo mancato, ma sul piano strettamente elettorale le possibilità di dialogo erano molto poche. Minghetti esigeva un collegio sicuro e se i grandi elettori si fossero adoperati per garantire elezioni con un buon margine di consenso sarebbe valsa la pena di rimanere dov’era, altrimenti nulla l’avrebbe trattenuto dall’andarsene. Per fortuna di ambo le parti alla fine, la questione fu risolta da un fortunato tour elettorale nella nuova circoscrizione. Il viaggio fu ideato da Minghetti mentre il sindaco di Legnago Giudici si occupò degli aspetti organizzativi8. Anche se quest’ultimo personaggio rimaneva il suo interlocutore privilegiato, durante la visita lo statista ebbe modo di conoscere i sindaci di molti centri minori e di stabilire con loro rapporti di cordialità che, a quanto pare, seppero dare buoni frutti. Alle elezioni politiche successive, nel 1886, la situazione poteva dirsi capovolta e Minghetti risultò primo nell’ordine degli eletti (Cuccoli 1978-80). Sappiamo però che un cambiamento di non poco conto nella politica nazionale aveva influito sui risultati. L’allarme destato dai successi dell’Estrema nella sua regione d’origine e le vittorie di un fronte meno avanzato, ma comunque definibile da un’appartenenza radical-progressista, persino nella tranquilla circoscrizione in cui era incluso Legnago, convinsero lo statista a fare su base nazionale quello che avrebbe voluto fare in Romagna prima delle elezioni del 1882 ma, per il suo specifico ruolo nelle vicende in questione, si veda anche Berselli (1978-80)9. Furono dunque questi luoghi di provincia frequentati da Minghetti a fornire la prova decisiva dell’improrogabilità di una sanzione parlamentare a quel lungo processo di avvicinamento tra i liberali italiani passato alla storia come “trasformismo”.

I rapporti centro-periferia: i casi del tribunale, della proprietà del ponte sull’Adige e della sua ricostruzione

Nel corso del suo lungo mandato Minghetti dovette spesso presentare all’amministrazione centrale questioni d’interesse locale che, a loro volta, erano state poste alla sua attenzione dai grandi elettori del collegio. Vediamo in concreto lo svolgimento di tre casi.

I rapporti centro-periferia: il caso del tribunale

In testa all’ordine delle questioni presentate a Minghetti attraverso il citato promemoria vi era quella del tribunale. Il tema va inserito nell’atmosfera di fermento sorta in Veneto nell’imminenza dell’unificazione amministrativa (Pototschnig 1967; Ceschin 1999). Le élite della città di Legnago chiedevano che nell’economia della nuova organizzazione il loro paese non perdesse l’antico status di centro amministrativo-distrettuale e, in particolare, esse caldeggiavano l’istituzione d’un tribunale civile e penale per i processi di primo grado10. La questione non era nuova ai rappresentanti politici locali. Prima dell’arrivo di Minghetti ne era stato investito il suo predecessore, e primo deputato del collegio, Lauro Bernardi11. Le apprensioni delle élite locali furono suscitate dalle tesi di Vincenzo Sellanti, consigliere della corte d’Appello a Venezia, chiamato a far parte di una commissione governativa per il riordino delle circoscrizioni giudiziarie. Il Sellanti sosteneva per il Veneto l’ipotesi d’una legislazione leggermente difforme da quella del resto del Regno, un’ipotesi che prevedeva la riduzione dei tribunali in rapporto alla popolazione e, in maniera complementare, un aumento della competenza di valore delle preture, già molto diffuse nella regione. I notabili del collegio giudicarono la proposta discriminatoria e per scongiurare il pericolo, per altro remoto, dell’applicazione di queste tesi diedero inizio ad un’intensissima azione amministrativa e a una vasta opera di mobilitazione dell’opinione pubblica (Fagiuoli 1971)12. Basta scorrere gli atti del consiglio comunale di Legnago per rendersi conto della vastità dell’azione messa in moto dagli amministratori.

Nel maggio del 1868, il consiglio comunale formò una speciale commissione incaricata di sostenere la causa per ottenere l’istituzione del tribunale13. Sempre nello stesso anno il deputato che precedette Minghetti, ritenuto inadatto ad offrire sufficienti garanzie a tutela degli interessi dei legnaghesi14, fu affiancato da Augusto Righi, giovane deputato veronese che si stava allora occupando dello spinoso tema dell’unificazione amministrativa del Veneto15. Righi patrocinò gli affari relativi al tribunale per circa un anno. Pur rassicurando gli amministratori sul fatto che, a suo parere, la città non avesse nulla da temere dal riordino delle circoscrizioni giudiziarie, consigliò ai suoi interlocutori “d’intraprendere tutte quelle pratiche, sia presso il prefetto, sia presso il Ministro” che fossero valse a testimoniare l’importanza della questione del tribunale16.

L’arrivo di Minghetti rese superflua l’attività di supporto sino ad allora esercitata da Augusto Righi, ma, anche se si potrebbe ragionevolmente supporre il contrario, non frenò l’attivismo delle élite locali che continuarono a sollevare il caso con identica determinazione. Innanzitutto, gli amministratori legnaghesi affidarono a Marco Minghetti un memoriale “da presentarsi al Governo del Re” nel quale veniva messa in rilievo in maniera sintetica e, naturalmente, lusinghiera la tradizionale importanza economica e amministrativa della città17. Fecero poi in modo di pubblicare sul quotidiano veronese “L’Adige” alcuni articoli per denunciare, peraltro in termini assai pacati, l’iniquità alla base della futura riforma (cfr. per es. Fagiuoli 1971). Il municipio si fece inoltre promotore d’una larga petizione e di una supplica dirette: al Ministro della Giustizia, al Parlamento e al Governo18. Infine, tutti i principali esponenti politici della provincia furono coinvolti e mobilitati allo scopo19. Minghetti, come deputato del collegio, ebbe in esclusiva il compito di depositare ufficialmente al parlamento la petizione. Il documento fu poi prontamente trasmesso alla stampa20. A Minghetti fu poi chiesto esplicitamente di far riprendere nel “Diritto”, o in qualunque altro giornale reputato opportuno, le osservazioni già fatte pubblicare sul veronese “L’Adige”21.

Il testo della raccomandata spedita allo statista per presentare la petizione merita una qualche commento. In un quadro di ossequiosa deferenza, si scorge tra le righe l’atteggiamento sicuro di amministratori locali che, pur essendo entrati da poco a far parte del sistema politico e burocratico italiano, si dimostrano in grado di padroneggiare le nuove regole del gioco e di far valere le proprie ragioni, sia sul piano formale della burocrazia, che su quello informale della mediazione politica:

La sottoscritta Commissione si permette di trasmettere alla Signoria Vostra illustrissima la petizione in discussione di 137 municipi Veneti, […] e vi prega a voler presentarla deliberatamente alla Segreteria del Senato del Regno dalla quale sarà rimessa al relatore della Commissione. Né in questo solo officio i sottoscritti implorano il vostro valido concorso. Quali rappresentanti del collegio che per due volte vi riconfermò la propria illimitata fiducia, noi osiamo chiedere alla causa da noi sostenuta l’appoggio della vostra potente e meritata influenza, ed il patrocinio della vostra eloquenza irresistibile, ove fosse richiesta dall’andamento della discussione innanzi alla Camera dei Deputati22.

Fu compito dello statista bolognese calmare l’apprensione delle élite locali ricordando, in più d’un occasione, la gravità del momento politico23. Come è noto, il 9 dicembre 1870, furono presentati alla Camera due progetti di legge di enorme portata. Si trattava del trasferimento della capitale da Firenze a Roma e delle cosiddette “guarentigie” per l’indipendenza del papa e il libero esercizio dell’autorità spirituale. Si stava in sostanza realizzando la separazione giuridica tra autorità civile e autorità religiosa: uno dei più importanti passaggi politici nella vita di uno Stato modernamente inteso. Considerata la solennità del momento è facile immaginare – anche se nulla lo testimonia con certezza – l’imbarazzo di Minghetti, da un lato immerso nello storico dibattito parlamentare, dall’altro ripetutamente chiamato dai suoi elettori a gestire una questione di carattere locale che a quanto pare, considerati i reiterati consigli in merito, avrebbe potuto anche attendere. Da questo punto di vista, l’audacia degli amministratori legnaghesi appare a tratti grottesca. Scrive Minghetti nel marzo del ’71:

Parlerò a suo tempo al De Falco [Ministro della Giustizia, N.d.A.] e gli chiederò un’udienza per la Commissione, ma reputo che sarebbe opportuno aspettare la fine di questa discussione delle guarentigie papali che lo tengono occupatissimo. Solo debbo avvertirvi che io dovrò dopo prendere qualche giorno di congedo per fare una corsa in Sicilia, mi dicano dunque se preferiscono aver l’udienza tosto, o aspettare più tardi il che mi sembra non arrecar danno24.

Ecco la risposta dei rappresentanti di Legnago, evidentemente poco interessati – come tanti altri nel resto della penisola (Berselli 1997, 209) – alle gravi questioni che occupavano il ministero della Giustizia in quel momento:

La Signoria Vostra si offre di chiedere una Udienza col Guardasigilli per la rappresentanza di questo Distretto. Prendendo atto di tale gentile offerta, la scrivente Commissione, la prega di chiedere tosto la udienza al Comm. De Falco, per una giornata della ventura settimana25.

Dopo ulteriori vicende che videro ancora attivamente coinvolte le élite amministrative del collegio, il caso ebbe il suo felice epilogo. Il 16 luglio 1871, un telegramma da Firenze avvertiva ufficialmente il municipio di Legnago dell’avvenuta concessione del Tribunale26.

I rapporti centro-periferia: il caso del proprietà del ponte sull’Adige

Il colloquio con i titolari dei dicasteri sembra essere, anche in altre occasioni, il mezzo prediletto dagli amministratori legnaghesi per tentare risolvere le questioni di loro interesse. Quando, ad esempio, nel 1874 proprio alla vigilia della sua ricostruzione, essi si videro addossare gli oneri per la manutenzione del ponte sull’Adige, che in precedenza erano stati di competenza statale, decisero subito di inviare a Roma una speciale commissione per rappresentare personalmente al ministro dei Lavori Pubblici l’iniquità che, a loro dire, stava alla base di tale disposizione. Minghetti, all’epoca Presidente del Consiglio e Ministro delle Finanze, fu coinvolto per agevolare tutte le pratiche iniziate dal municipio e, naturalmente, per impedire il passaggio di amministrazione del ponte27. Anche in questo caso è interessante seguire la vicenda nella sua interezza.

L’incontro con il ministro e con il direttore generale per i ponti e le strade non ebbe un buon esito. Alle richieste dei legnaghesi s’opponevano ragioni d’ordine giuridico apparentemente insuperabili: il ritorno dell’amministrazione del ponte alla competenza ministeriale era ostacolato da un parere del Consiglio di Stato che, precedentemente, si era già espresso su questioni simili. Furono i dirigenti ministeriali a suggerire ai legnaghesi d’intentare un ricorso formale al governo del Re per ottenere – considerato che l’amministrazione del ponte era stata trasferita al comune proprio alla vigilia della sua ricostruzione – che il Consiglio di Stato fosse indotto a “più miti decisioni”28. I rappresentanti del comune di Legnago prepararono il ricorso e, immediatamente, lo misero nelle mani di Marco Minghetti perché lo consegnasse e ne promuovesse le ragioni nelle sedi più consone29. Per diverso tempo si perde traccia della vertenza e della ricostruzione del ponte non si sente più parlare. La questione fu risolta nel 1881 direttamente dallo statista che, con un suo ordine del giorno alla Camera, mentre era in discussione la costruzione a finanziamento statale di alcune opere pubbliche straordinarie, riuscì a fare includere anche la costruzione di un nuovo ponte sull’Adige a Legnago30.

In questo caso, pare che il merito della soluzione della vertenza vada attribuito tutto a Marco Minghetti, chi avrebbe potuto, se non lui, presentare alla Camera un ordine del giorno costruito, o quanto meno adattato ad arte, per soddisfare le esigenze dei legnaghesi? Sembrerebbe trattarsi di un caso tipico di clientelismo politico svoltosi rigorosamente secondo i canoni delle letteratura antiparlamentare (Banti 1995; cfr. Musella 1994, 197-216), se non fosse, che, dalla prima richiesta per scongiurare il passaggio dell’amministrazione del ponte all’intervento di Marco Minghetti, erano passati circa nove anni! Senza considerare poi il fatto, che, comunque, si trattò di una soluzione di compromesso, perché, se è vero che gli amministratori locali furono grati nei confronti del loro deputato e ben felici di veder trasferiti allo Stato gli oneri per la ricostruzione del ponte, la questione della sua proprietà, complice la disastrosa rotta dell’Adige del 1882, rimase in sospeso per moltissimi anni, dando luogo ad un contenzioso tra Stato, provincia e comune che si protrasse sino ai primi del Novecento31. Nessun intervento straordinario a favore dei propri elettori dunque, a meno che non si voglia comprendere sotto questo titolo una soluzione parziale colta al volo, come solo si può cogliere un’occasione, a nove anni di distanza dalla prima richiesta di un suo interessamento in proposito.

I rapporti centro-periferia: il caso della ricostruzione del ponte sull’Adige

Dopo la rotta del fiume, il processo di ammodernamento urbanistico della città di Legnago subì una brusca accelerazione. Passato il momento della tragedia, iniziarono febbrili i progetti di ricostruzione. Individuata una delle principali cause della catastrofe nella ristrettezza dell’alveo in corrispondenza del centro abitato (Mutinelli, Bernabei 1890) si approntarono i piani per un allargamento della sezione del fiume. Il progetto di un nuovo ponte in legno venne definitivamente abbandonato e sostituito con quello di una moderna costruzione in ferro a travature indipendenti. Questa nuova soluzione tecnica, che avrebbe consentito di aggiungere al ponte nuovi moduli anche dopo il suo primo impianto, indusse gli amministratori a chiedere che l’esecuzione del manufatto precedesse l’allargamento della sezione del fiume. Quest’ultimo progetto, infatti, non prometteva di essere realizzato in tempi brevi perché, oltre a comportare una non indifferente mole di lavoro, necessitava di essere coordinato con un difficile iter burocratico che prevedeva il passaggio di mano di aree demaniali, civili e militari.

Naturalmente, nel processo di ricostruzione che seguì il disastro della rotta fu coinvolto immediatamente, secondo i dettami della buona prassi amministrativa, anche il prefetto. Dal 1878 al 1884 a Verona l’ufficio è retto da Giuseppe Gadda: un uomo di fiducia per il ceto politico della Destra storica32. Nel dicembre 1883 è ancora nella capitale a perorare, con tutte le sue forze, gli interessi del “disgraziato” comune di Legnago, colpito dalla recente catastrofe, e per tentare che la costruzione del ponte anticipasse l’allargamento della sezione del fiume. A quanto pare però, Gadda non ebbe molta fortuna. Scrive infatti al sindaco di Legnago a proposito delle difficoltà incontrate nel suo lavoro:

Si figuri quale mortificazione il correre a sollecitare, sollecitare, sollecitare! Per quanto io senta essere nella mia posizione questo, più che altro, un dovere, tuttavia provo una pena grande, perché veggo che si spreca il tempo, il decoro, la lena. Faccio con Lei questo piccolo sfogo che vorrà conservare tutto a sé, perché quantunque innocente sarebbe improprio nel funzionario. Bisogna perdonarmi perché sento i bisogni della nostra Provincia, e mi sforzo con grande zelo di fare tutto quello che è in mio potere, ma trovo che sono impotente davanti a queste terribili tre barriere che non posso saltare: la prima è la politica che inceppa tutta l’Amministrazione, la seconda è l’enorme accentramento che cresce sempre col programma di toglierlo, la terza è la cappa di piombo della Burocrazia, che come un automa dice sempre di sì colla testa e non si muove33.

Dopo l’intervento del funzionario che, sia detto per inciso, tornò in provincia con un parere contrario del Ministero dei Lavori Pubblici, il comune di Legnago tra il 1885 e il 1886 inviò a Roma, sempre con lo stesso scopo, almeno tre missioni. Minghetti fu coinvolto per predisporre favorevolmente al colloquio i funzionari ministeriali. È probabilmente in questo passaggio, in cui il deputato anticipava ai reggenti dei dicasteri e ai loro direttori generali i termini delle questioni che di lì a poco sarebbero state loro presentate, che potevano annidarsi ingerenze tese a piegare il processo amministrativo a interessi politici personali. Nel nostro caso, sembra però che il compito di Minghetti si limitasse ad essere un semplice lavoro di mediazione che si fermava davanti all’autonomia di giudizio dei dirigenti pubblici. La costruzione del ponte a Legnago, forse, fu accelerata dall’appassionato intervento del prefetto o dalla mano di Minghetti, ma di fatto fu portata a termine contestualmente ai lavori di allargamento della sezione del fiume, secondo quelli che, con ogni probabilità, erano stati i piani originari dettati dai tecnici del Ministero dei Lavori Pubblici. Il nuovo ponte in ferro fu aperto al pubblico transito il 28 febbraio 1889, tutti i lavori furono però completati il 5 giugno (Boscagin 1988). Quasi sette anni erano trascorsi dalla disastrosa rotta dell’autunno 1882 (Boscagin 1988, 434-435).

Conclusioni

Nel caso di Legnago, il patronage di un prestigioso personaggio politico come Marco Minghetti fu certo importante, ma non rappresentò per i grandi elettori del suo collegio un canale di accesso privilegiato per eludere incombenze amministrative altrimenti dovute e, soprattutto, non rappresentò una garanzia di soddisfazione immediata di ogni loro richiesta. La soluzione delle più rilevanti questioni passava invece attraverso un lavoro d’équipe, che veniva spinto dal basso proprio dalle élite locali direttamente investite dalla necessità di trovar loro rimedio. Minghetti, attraverso un blando esercizio di supervisione e di consiglio, si limitava a coordinare, suggerendo i tempi ed i modi più opportuni per far sì che le richieste dei suoi grandi elettori trovassero maggior ascolto presso i ministeri competenti. Un lavoro di squadra dunque, nel quale il deputato si giovava della sua possibilità di mettere in contatto le élite locali con i vertici della pubblica amministrazione, ma non piegava alle esigenze del collegio la prassi della burocrazia. La sua funzione precipua era quella della mediazione. Mediazione di saperi, in primo luogo, quando le questioni da risolvere necessitavano di una particolare competenza, spesso di natura amministrativa, poi di documenti, come ad esempio i memoriali e le petizioni, per i quali doveva essere assicurata la destinazione nelle mani dei funzionari più competenti a trattare i casi sollevati. Ma, soprattutto, come si diceva, Minghetti risultò essere ricercato per la sua capacità di mediare contatti, relazioni faccia a faccia, colloqui riservati e ambitissimi con i vertici della pubblica amministrazione, colloqui per la cui combinazione lo statista metteva direttamente a disposizione degli amministratori locali il suo personale patrimonio di amicizie e conoscenze.

Ciò che più stupisce del rapporto tra Marco Minghetti e i suoi grandi elettori, non è tanto il fatto che anche una personalità come la sua si prestasse alla tutela degli interessi del suo collegio, ma l’enorme dispiegamento d’energie messo in atto dall’elemento locale nonostante il prestigioso patrocinio dello statista. Solo le questioni più semplici, come ad esempio le raccomandazioni personali, potevano essere risolte facendo affidamento esclusivo sull’azione del bolognese. Con questo non si vuole affatto sminuire, né tanto meno negare, l’importanza della mediazione politica nella risoluzione delle questioni d’interesse locale. Certamente il prestigio del deputato fu tenuto in grande considerazione dagli elettori del collegio e la sollecitudine con la quale si adoperavano per offrirgli prove di stima e fedeltà politica sta lì a dimostrarcelo, tuttavia una ricostruzione troppo concentrata su questi aspetti corre il rischio di essere parziale e di perdere di vista il ruolo altrettanto importante ricoperto dalle amministrazioni locali capaci, come abbiamo visto, di raccogliersi compattamente a difesa dei propri interessi e dimostratesi per nulla passive o attendiste nei confronti delle risposte offerte dai deputati.

Biografia

Dennis Borin è laureato in Storia, in Filosofia, ed è dottore di ricerca in Scienze storiche ed antropologiche, si è occupato di storia sociale delle élite, per poi approdare a studi di storia culturale che hanno avuto per oggetto il tema del ricordo nei reduci di guerra, attualmente è occupato nel mondo della scuola.

Biography

Dennis Borin graduated in both History and Philosophy, and holds a Ph.D. in Historical and Anthropological Sciences. His interests are with Social and Cultural History; he currently works in the scholastic field.

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  1. Ci si riferisce al cosiddetto “Fondo Giudici”, ora conservato presso il Museo Fioroni di Legnago, una raccolta di lettere e altro interessante materiale appartenuta a Giovanni Battista Giudici per un trentennio, dal 1873 al 1904, salvo pochissime interruzioni, sindaco di Legnago. La raccolta è pervenuta al Comune grazie alla donazione di un bisnipote dello stesso ex primo cittadino. Nel fondo spicca per importanza la corrispondenza con Marco Minghetti: 81 pezzi, tra lettere e cartoline, tutti decifrati da chi scrive, a cui vanno aggiunte le numerose lettere ricevute da Minghetti da ministri e direttori generali e da questi girate al sindaco di Legnago. Ancora al Museo Fioroni, tra le carte dell’archivio storico comunale, sono conservati altri 10 pezzi autografi del Minghetti, tutti del biennio 1870-71.  []
  2. Il meeting fu organizzato, secondo “L’Arena” (23 maggio 1869), dal “partito indipendente”: come spesso accade per manifestazioni di questo tipo non è facile accertare il numero dei partecipanti, il quotidiano parla di circa 2.000 persone. Le fonti prefettizie, Archivio di Stato di Verona, Gabinetto di prefettura, b. 6, non fanno che ripetere questa cifra appresa dal quotidiano, ma sembrano decisamente escludere che alla manifestazione abbiano partecipato liberali che godessero di un qualche prestigio in città. []
  3. Sui concetti spesso intrecciati di notabili, patronage e clientelismo esiste un’estesissima bibliografia, frutto di una lunga stagione di studi, mi limito a citare tre opere irrinunciabili per il loro valore di sintesi e di messa a punto metodologica, Banti 1996, Briquet 1998, Ponziani 2001, per un aggiornamento su tentativo di sintesi più recente, mi permetto di rimandare alle brevi comunicazioni di chi scrive (2008).  []
  4. Per quanto riguarda il punto di vista dei concittadini del Giudici, Museo Fioroni (di seguito MF), cat. 1, car 4, f. 1, discorso letto dall’avv. Antonio Guglielmini, sindaco di Verona in occasione della scomparsa di G. Giudici, (6 marzo 1906), per quanto riguarda, invece, il punto di vista di Minghetti, MF, Fondo Giudici, M. Minghetti a G.B Giudici, 15 giugno 1886. []
  5. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, Promemoria delle principali pendenze del Comune di Legnago, che si raccomandano per la definizione all’Onorevole Commendatore Minghetti deputato del collegio. Sul retro della copia: “Consegnato analogo promemoria al Com. Minghetti in Firenze il 15 Ott. 1869 dal sott. Sindaco unitamente al Segretario”. []
  6. MF, Fondo Giudici, M. Minghetti a G.B Giudici, Bologna, 31 ottobre 1882, lo statista si riferiva a Baccarini, ministro dei lavori pubblici e a Farini, sottolineatura nel testo. []
  7. Ne è esempio questa bella lettera da Palermo in MF, Fondo Giudici, Marco Minghetti a sindaco di Legnago, 5 gennaio 1878, “Ricevetti qui la carissima sua lettera e della Giunta, che mi reca i loro cordiali auguri. Io accetto con gioia e con riconoscenza perché so che partono dal profondo sentimento dell’animo; e li ricambio a ciascuno di loro con pari effusione, una gratitudine schietta e grande mi lega al municipio di Legnago che in altri tempi mi elesse e poi sempre mi mantenne la sua fiducia. Ed io mi auguro di potere in qualche guisa dimostrare coi fatti che la sua prosperità mi stà grandemente a cuore, e che ogni occasione di cooperarvi mi sarà sempre graditissima. Ricevano adunque da questo estremo confine d’Italia i miei affettuosi saluti, e il luogo dove mi trovo ci porga, la opportunità di riunire negli stessi voti di prosperità tutte le parti di questa nostra cara patria”.  []
  8. MF, Fondo Giudici, le lettere di Minghetti conservate a Legnago riguardanti l’organizzazione del viaggio elettorale ed altri temi ad esso collegati sono tutte dell’autunno 1883 in particolare: 12/9, 25/9, 24/10, 26/10, 28/10, 6/11, per la parte di corrispondenza conservata a Bologna cfr. Cuccoli 1978-80, 70-71. []
  9. Vedi sopra, documento citato del 31 Ottobre 1882. []
  10. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, Promemoria delle principali pendenze del Comune di Legnago. []
  11. Diverse lettere in proposito conservate in MF. []
  12. Sul dibattito giuspubblicistico inerente lo stesso tema si vedano anche i numeri 334 e 336 de “L’Adige”, che furono inviati a Minghetti il 20 dicembre 1870, cfr. MF cat. 7 car.2, fasc. 1 Istituzione del tribunale a Legnago. Lettere del Minghetti, municipio di Legnago a Marco Minghetti, 20 dicembre 1870. []
  13. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, Istituzione del tribunale a Legnago. Lettere del Minghetti, verbale del consiglio comunale 31 maggio 1868. []
  14. Dell’attività di deputato di Lauro Bernardi rimane un ritratto scialbo, pare comunque che i lunghi trasferimenti alla capitale e il peregrinare per ministeri rappresentassero per il medico padovano un fardello, a questo proposito MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, Lauro Bernardi al Sindaco di Legnago, Padova 20 giugno 1868, e ancora 28 gennaio 1869. []
  15. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, Augusto Righi al municipio di Legnago, Firenze 8 giugno 1868. []
  16. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, Augusto Righi a Bartolomeo Nodari, Firenze 18 gennaio 1869. []
  17. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, municipio di Legnago a Marco Minghetti, 22 gennaio 1870, la risposta di Minghetti è invece datata 14 febbraio 1870. []
  18. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, la petizione fu sottoscritta da 148 municipi. []
  19. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, municipio di Legnago a Marco Minghetti, Legnago, 20 dicembre 1870, e in medesima data lettera analoga rivolta ai deputati: Righi, Arrigossi, Camuzzoni, Messedaglia.  []
  20. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1 (inclusa una lunga lista dei giornali ai quali il municipio programmò di spedire la petizione), Legnago, 27 gennaio 1871. []
  21. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, municipio di Legnago a Marco Minghetti, 20 dicembre 1870, In riferimento alla suddetta richiesta dei legnaghesi che, sostanzialmente, miravano ad innescare col aiuto di Minghetti un dibattito giuspubblicistico, sui problemi del Veneto, lo statista si espresse in termini poco lusinghieri (MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, Marco Minghetti al sindaco di Legnago, Firenze 2 gennaio 1871).  []
  22. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, commissione municipale di Legnago a Marco Minghetti, 24 febbraio 1871. []
  23. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, Marco Minghetti al sindaco di Legnago.  []
  24. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, Marco Minghetti a Giuseppe Zapolla, sindaco di Legnago, 12 marzo 1871. []
  25. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, Commissione municipale di Legnago a Marco Minghetti, 15 marzo 1871. []
  26. MF, cat. 7, car. 2, fasc. 1, 16 luglio 1871, firma irriconoscibile, sicuramente non di Minghetti. []
  27. MF, cat. X, cart. 23, fasc. 6, Giunta municipale di Legnago, verbale del 10 maggio 1874. []
  28. MF, cat. X, cart. 23, fasc. 6, Giunta municipale di Legnago, verbale del 24 gennaio 1874.  []
  29. MF, cat. X, cart. 23, fasc. 6, Sindaco di Legnago a Marco Minghetti, 20 febbraio 1874. []
  30. MF, cat. X, cart. 23, fasc. 6, Sindaco di Legnago a Marco Minghetti, 28 maggio 1881 []
  31. MF, cat. X, cart. 23, fasc. 6, vedi memoriale, Della proprietà del ponte sull’Adige, senza data ma con ogni probabilità composto tra il 1904 e il 1905 da certo avvocato Gozzi per il Comune di Legnago, cfr. Consiglio Comunale di Legnago, atti 25 gennaio 1905.  []
  32. Su Giuseppe Gadda si veda la voce corrispondente in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 51, pp. 139-142. []
  33. MF, Fondo Giudici, Gadda a G.B. Battista Giudici, Roma 17 dicembre 1883, carta intestata, “Senato del Regno”. []