Insegnare e comprendere, gli anni ’70 Ovvero della necessità di affrontarli in classe

di Cinzia Venturoli

Sempre più di sovente gli anni Settata sono sotto la luce dei riflettori politici e mediatici e lo sono non certo per un interesse storiografico, per una esigenza di ricostruzione storica o di trasmissione di memorie, ma, solitamente, in un chiaro esempio di uso politico della storia.

Se un certo “uso” pubblico può essere, secondo l’interpretazione di alcuni storici, legittimo certamente è discutibile utilizzare la storia ponendola al di fuori di un qualsivoglia fondamento scientifico (d’Orsi, 2004, 73). Denis Mack Smith a questo proposito afferma che:

In ogni paese c’è stata talvolta la tentazione di dare resoconti tendenziosi della propria storia, e con motivazioni che possono essere considerata di volta in volta giuste oppure no. Nei libri di testo per la scuola elementare oppure nella stampa popolare una certa dose di manipolazione della storia può sembrare abbastanza innocente, ma queste manipolazioni sommandosi possono generare nell’opinione pubblica illusioni pericolose oppure concezioni errate relativamente alla potenza di una nazione e ai suoi reali interessi. Nessun paese è immune dalla tentazione di portare queste esagerazioni alle estreme conseguenze. Accade in ogni nazione che alcuni storici, invece di cercare semplicemente di comprendere e raccontare il passato, siano condizionati da interessi legati alla politica del momento.

Accade quindi che siano i politici o i mass media ad utilizzare la storia, o le sue falsificazioni, per le loro strategie. Tutta la storia e massimamente quella contemporanea, è sottoposta a questo rischio e a questo utilizzo, come è ben noto (Gallerano 1995), ma nel caso degli anni settanta, dello stragismo e del terrorismo è altissimo.

Quindi alcuni politici, giornalisti, opinionisti e polemisti si dilettano in modo consistente a utilizzare, banalizzare, stravolgere e strumentalizzare la storia degli anni ’70 e ’80, facendo perdere, nell’immagine pubblica, la centralità dello storico, la specificità della disciplina e la correttezza della ricostruzione storiografica.

Una memoria ed una storia sottoposte all’uso pubblico e all’uso politico, quindi, una memoria a cui sovente si chiede di mutarsi in oblio in nome di una non così chiara pacificazione nazionale e per la costruzione di una “memoria condivisa” che implica la dimenticanza e il silenzio su molti fatti, come se si ritenesse necessario e legittimo cancellare eventi e protagonisti.

Al tempo stesso si è strutturata una memoria “militante”, presente soprattutto in persone che, all’epoca dei fatti, vivevano il loro impegno politico in movimenti o partiti della sinistra. E, ancora vi è la memoria tenuta viva dalle associazioni dei famigliari delle vittime e dalle singole persone colpite dai fatti di terrorismo quasi sempre legata alla richiesta di giustizia e di chiarimenti per tutti i numerosi fatti che ancora non hanno avuto esiti giudiziari.

Accanto a questi due distinti modi di ricordare e chiedere di ricordare, o di dimenticare e chiedere di dimenticare, stanno le conoscenze e le memorie comuni, quelle che dovrebbero essere patrimonio della collettività. Memorie simili in alcuni casi all’oblio e all’indifferenza, sia per quanto riguarda gli adulti, anche le persone che hanno vissuto quegli eventi, sia per quanto riguarda i giovani: rispetto alla storia degli anni Settanta, più che mai, abbiamo potuto constatare come questa sia dimenticata, maltrattata, non conosciuta, soprattutto dai ragazzi, sempre più in balia delle informazioni sovrabbondanti ed imprecise, quando non sottoposte all’abuso politico.

Questo uso, abuso, della storia può avere un facile successo visto che quegli anni non sono conosciuti da larga parte della popolazione: non conoscenza o false notizie sono infatti quello che caratterizzano la percezione comune. Basti qui ricordare la più e più volte rilevata confusione che i ragazzi fanno in merito al terrorismo e agli esecutori delle stragi dell’Italia repubblicana.

Vi è quindi più che mai la necessità di riportare la discussione in un ambito di conoscenza nel quale i cittadini siano in grado di cogliere le strumentalizzazioni, visto che “l’uso pubblico della storia presume un lettore emancipato, adulto” (Bidussa 2003), proponendo un’analisi più approfondita di alcuni eventi della recente storia italiana, troppo spesso sottaciuti o affrontati in modo parziale o commemorativo, e che invece sono importanti, anche per la comprensione del presente. Alla luce di queste considerazioni diventa quindi necessario fornire ai giovani solide basi sulle quali poggiare la capacità di comprendere ed analizzare i numerosi e a volte contraddittori messaggi di cui sono ascoltatori, divenendo così cittadini consapevoli ed attenti conoscitori di quelle che sono le radici del loro presente in una continua possibilità di passare dal presente al passato per poi tornare al presente avendo acquisito consapevolezza, conoscenza, e strumenti di analisi e di giudizio.

Attraverso la storia degli anni Settanta si può poi agevolmente attuare una sempre più necessaria educazione alla cittadinanza, ovvero interventi educativi che portino i giovani, e gli adulti, ad acquisire le “competenze necessarie ad esercitare i propri diritti e i propri doveri e a partecipare attivamente alla vita democratica della propria società” (Losito 2004). Se prendiamo in considerazione la definizione di educazione alla cittadinanza democratica che nel 2000 venne approvata dal Consiglio d’Europa ci rendiamo agevolmente conto di come la storia degli anni Settanta (i movimenti dei giovani, delle donne, degli operai, i terrorismi, le riforme attuate e quelle mancate, la politica nazionale ed internazionale) sia un terreno molto fertile attraverso il quale arrivare a raggiungere gli obiettivi indicati. In quel documento si affermava che si dovessero preparare i giovani e gli adulti ad una partecipazione attiva nella società rafforzandone in questo modo la cultura democratica, che bisognasse concorrere alla lotta contro la violenza, la xenofobia, il razzismo, il nazionalismo aggressivo, l’intolleranza e contribuire al consolidamento della coesione sociale, della giustizia sociale e del bene comune rafforzando la società civile aiutando così i cittadini a costruire le abilità e le conoscenze necessarie per la vita democratica.

Negli anni Settanta si trovano fatti e concetti importanti legati indissolubilmente allo sviluppo democratico, e quindi alla cittadinanza, quali l’azione collettiva, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, la messa in discussione dei confini privato pubblico, le richieste di riforme legate ai diritti civili e politici ed anche le minacce alla democrazia quali la violenza politica, lo stragismo e il terrorismo e le reazioni che i cittadini ebbro di fronte a questi eventi (Moro 2007, 24-52).

La storicizzazione del tema della cittadinanza ci permette, inoltre, di seguire sentieri didattici e pedagogici che portino alla formazione di un cittadino consapevole, in grado di confrontarsi e comprendere identità plurime, grazie ad un paradigma di analisi critica. Pur non volendo ridurre gli anni Settanta ad essere definiti solo anni di piombo, mettendo così in ombra tutta la complessità e la ricchezza del periodo, non si può dimenticare che i terrorismi hanno avuto un peso rilevante nella storia e nella memoria, fino ad arrivare all’istituzione del giorno della memoria dedicato “alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice” sancita con la legge numero 56 del 4 maggio 2007 che sottolinea il ruolo che questi eventi hanno, o potrebbero assumere, all’interno della memoria pubblica italiana, in un dialogo a volte complesso fra le Istituzioni. La legge cita, a tal proposito, la necessità di “conservare, rinnovare e costruire una memoria storica condivisa in difesa delle istituzioni democratiche” mettendo quindi in primo piano un tema legato alla cittadinanza, come la difesa delle istituzioni democratiche e la memoria, in questo caso definita condivisa.

La scuola può, e credo deve, essere l’agenzia educativa che si fa carico, almeno in parte, di lavorare su questi temi nella prospettiva storica e di educazione alla cittadinanza, così come sovente chiedono gli stessi studenti che, una volta opportunamente sollecitati, mostrano interesse e curiosità verso la storia di questi anni.

Molte sono le difficoltà: generali sull’insegnamento/apprendimento della storia e specifiche su questi temi. È indubbio che vi sia non solo una scarsa conoscenza ma anche una limitata motivazione degli studenti verso la storia-materia, come evidenziano alcune ricerche che sono state condotte in vari momenti sul rapporto tra i giovani e la storia. Una delle ragioni di questo atteggiamento così diffuso potrebbe essere la deprivazione della memoria del passato e l’appiattimento su un presente destoricizzato che pare caratterizzare le nuove generazioni. Ci sono abitudini di vita che confermano questo dato, ad esempio il passaggio interrotto di memoria familiare e collettiva tra generazioni che produce inevitabilmente la rottura dell’interrelazione necessaria tra passato e presente. Le generazioni precedenti, quelle dei genitori e dei docenti, hanno attraversato un processo di socializzazione politica e quindi attraverso queste esperienze collettive hanno elaborato un loro tempo della storia enucleando valori e categorie interpretative ed esprimendo aspirazioni rivolte al futuro; hanno, contestualmente, attraversato eventi decisivi per la propria formazione con azioni soggettive che intendevano intervenire nel tracciato storico. Le generazioni più giovani, invece, separano nettamente la vita individuale dallo spazio politico, vivono al di fuori della storia, in generale non partecipano a scelte ideologiche marcate, hanno difficoltà nella dimensione dell’agire collettivo (Leccardi 2005, 82-84). Il rapporto fra storia e scuola, poi, è indubbiamente complesso, ed è il risultato di intrecci, sommatorie e intersezioni fra i programmi ministeriali, i manuali, l’attività dei singoli docenti e le pressioni della politica e delle polemiche; il problema è articolato e la scuola si trova ad essere una parte di un tutto complicato e difficile Baiesi, Guerra, 1997, 119). Gli insegnanti si trovano “stretti tra le incertezze delle indicazioni governative le sempre maggiori difficoltà del fare scuola, tra i mutamenti profondi della disciplina di riferimento e un’opinione pubblica estremamente conservatrice rispetto alla definizione di cultura storica, fomentata in questo dall’uso distorto che fanno i mass media” come afferma Paolo Bernardi (2006, XV).

Anche se le indicazioni ministeriali prevedono, per le ultime classi della scuola superiore di primo e secondo grado lo studio della storia più recente, difficilmente si assiste alla trattazione di temi legati agli anni Settanta e Ottanta, soprattutto nella superiore di secondo grado: il metodo solitamente utilizzato è infatti quello cronologico e, inevitabilmente, il tempo a disposizione degli insegnanti non è sufficiente, anche a causa delle poche ore curriculari previste per questa materia, per arrivare alla trattazione di periodi più recenti e successivi alla seconda guerra mondiale o ai primissimi anni Sessanta, come è facilmente riscontrabile.

Il nodo cruciale è, evidentemente, legato alle modalità dell’insegnamento delle tematiche sensibili della storia del XX secolo, che nella percezione di numerosi docenti non sono “come le altre”, conciliando l’approfondimento storico e le responsabilità della memoria: se rispetto a temi quali la Shoah molto si è riflettuto, legando la ricerca storiografica e quella didattica all’elaborazione e all’analisi delle ormai numerose “buone pratiche” elaborate, non così è stato fatto per altre tematiche della storia del ’900, fra queste il terrorismo, che, come si è detto, è un evento imprescindibile per la storia italiana, ed europea, di quegli anni.

Nel documento del Consiglio d’Europa del 2001 si affermava che nella scuola si deve affrontare “lo studio delle questioni controverse, attraverso la valorizzazione di fatti, punti di vista e opinioni differenti, così come mediante la ricerca della verità”1 e credo che i temi in oggetto siano certamente ascrivibili all’insieme delle questioni controverse e dei temi sensibili.

Importante è, dapprima, analizzare quali siano gli strumenti che si offrono agli insegnanti e, in primo luogo il manuale di storia. Inserire in un testo scolastico questa storia, i movimenti, la politica italiana ed europea, i terrorismi, può risultare complesso per una duplice serie di motivi. Innanzitutto le ancora presenti incertezze della storiografia, legate non tanto all’analisi dei (o di una parte dei) movimenti quanto soprattutto all’analisi del terrorismo in specifico quello stragista, che si riflettono, come evidente, anche sui manuali scolastici e sui testi antologici o di supporto alla didattica dove sempre più facilmente si trovano schede, approfondimenti, documenti sul terrorismo brigatista e dove lo stragismo e le minacce alla democrazia stentano ad essere trattate. La storiografia è infatti evidentemente base della manualistica scolastica e della possibilità di avere capisaldi e cardini su cui fare perno per la costruzione e la divulgazione di studi sensati e coerenti. “Laddove la storiografia si ritrae, subentra il giornalismo” afferma Mario Isnenghi (1997, 313), e, ancor di più, quando subentra il giornalismo sovente, e soprattutto rispetto ai temi in esame, entra la polemica.

I manuali sono stati oggetto di critiche mosse dai politici che hanno visto in questi strumenti di lavoro un mezzo di “indottrinamento”. È stato così che, qualche tempo fa, con una iniziativa di Francesco Storace, allora presidente della Regione Lazio, fu “istituita una commissione di esperti che svolga un’analisi attenta dei testi scolastici evidenziando carenze o ricostruzioni arbitrarie, [ed a] studiare forme di incentivazione per autori che intendessero elaborare nuovi libri di testo” (Baldissara 2001, 62). La mozione approvata citava in modo esplicito un opuscolo pubblicato da Azione studentesca in cui era una sorta di antologia di brani tratti da tesi giudicati “faziosamente di sinistra” anche in merito a temi legati agli anni ’70. La polemica continuò per molto tempo ancora, nella legislatura successiva si ebbero mozioni delle commissioni parlamentari e proposte di legge per istituire commissioni di vigilanza sui libri di testo e sulla storia. Ben più di recente, il 18 febbraio 2011, l’onorevole Carlucci ha presentato al Parlamento una proposta di legge per l’“Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull’imparzialità dei libri di testo scolastici”, dove possiamo leggere “Onorevoli Colleghi! In Italia negli ultimi cinquant’anni lo studio della storia è stato spesso sostituito da un puro e semplice tentativo di indottrinamento ideologico. Tale tentativo, retaggio dell’idea gramsciana della conquista delle ‘casematte del potere’, si è propagato attraverso l’insegnamento della storia e della filosofia nelle scuole […]. Non può il Parlamento ignorare e fare finta di non vedere queste cose: sarebbe una mancanza nei confronti della libertà di opinione delle giovani generazioni, palesemente violata”.

La narrazione e l’analisi di un tema “sensibile” come quello di nostro interesse si troveranno, presumibilmente, sempre più sotto la lente di ingrandimento di numerosi soggetti, sovente estranei alle categorie degli storici, degli insegnanti e degli studenti.

Difficoltà su difficoltà si prospettano quindi a chi crede necessario insegnare gli anni Settanta. A questo corrisponde, per quanto possiamo constatare in pratica, una crescente volontà di fare entrare questa parte di storia nelle aule scolastiche.

Da qualche anno, sempre più, si possono trovare progetti che vanno proprio in questo senso e sono, a volte, proposti o sostenuti da soggetti esterni alla scuola2 che incontrano la volontà di un numero crescente di insegnanti motivati ad accogliere nella loro programmazione lo studio specifico di quegli anni. Sovente viene proposta una attività laboratoriale che può essere considerata un “antidoto” per la disaffezione alla storia visto che permette un apprendimento attivo e non passivo, un fare e un saper fare che stimola l’interesse, l’utilizzo delle fonti diviene quindi l’occasione per insegnare un metodo critico e per radicare più a fondo le conoscenze e per portare gli studenti a rendersi conto come la scientificità della storia stia nel metodo, nell’analisi accurata delle fonti, insegnando loro a distinguere una ricostruzione storiografica da una presa di posizione politica e da una polemica giornalistica, competenze utili in ogni ambito e in specifico per questo periodo storico, come si è già più volte sottolineato. Il progetto laboratoriale può anche andare incontro all’esigenza espressa nella legge che ha istituito il giorno della memoria in cui viene prevista la possibilità che vengano organizzati, senza oneri per lo Stato, “momenti comuni di ricordo dei fatti e di riflessione, anche nelle scuole di ogni ordine e grado”: attività non facile visto che la legge stabilisce che lo Stato non dovrà accollarsi oneri. Inoltre, a scuola, e lo si sa chiaramente, non si può lavorare esclusivamente per conservare la memoria, visto che gli obiettivi che ci poniamo sono legati a fare acquisire competenze e conoscenze.

La scuola può, e forse dovrebbe, essere coinvolta nella costruzione di un percorso di lavoro strutturato, coeso nel tempo scolastico e attivo, che aderisca alla prospettiva della storia-problema, ossia alla consapevolezza del prevalere della ricerca rispetto al “fatto-monumento”, e quindi alla costruzione di ipotesi, modelli, verifiche degli stessi, evitando i noti rischi legati alla didattica della memoria, quelle che Todorov (2001) definisce “le Scilla e Cariddi” del lavoro della memoria, vale a dire la sacralizzazione e la banalizzazione, processi questi che si possono insinuare, al di là delle buone intenzioni, in forme sottili e striscianti, non sempre avvertite da docenti e operatori culturali. Evidentemente il laboratorio non può, e credo, non deve sostituire la lezione frontale o gli altri metodi didattici, è solo uno strumento, attivo, che può dare stimolo, soprattutto per i nostri temi e chi permette di lavorare su un congruo numero di documenti e fonti di vario tipo, così da stimolare conoscenze e competenze, le diverse soggettività e il fare insieme, il dibattito e la riflessione, in particolare sia sul rapporto tra storia e memoria sia sul rapporto presente/passati/futuro. Il laboratorio può utilizzare, visto il periodo storico oggetto di ricerca, innumerevoli fonti: giuridico-politiche quali sentenze e materiale delle Commissioni parlamentari d’inchiesta; sociologiche quali indagini sociali, inchieste; visive: fotografie, filmati; letterarie e artistiche: letteratura, canzoni, film di fiction; a stampa: quotidiani, settimanali. Ed ancora fonti orali: testimoni, uomini e donne che parteciparono ai movimenti collettivi ed altre esperienze significative, famigliari delle vittime, giudici e giornalisti: queste fonti sono sia costruite durante il laboratorio, sia reperite attraverso letture di testimonianze pubblicate. Infine luoghi di memoria e segni di memoria sul territorio.

Questa disponibilità delle fonti e il particolare avvicinamento allo studio degli anni settanta ci permette di poter valorizzare un approccio multidisciplinare che rafforzi i legami con le altre discipline previste dai programmi scolastici scomponendo le discipline e diminuendo la tentazione del dogmatismo ed inducendo lo studente a collegare le realtà di cui ha esperienza.

Qualche parola in più si dovrà forse in questa sede dedicare al lavoro sul luogo di memoria inserito nella didattica degli anni settanta; se, infatti, è ormai pratica acquisita svolgere progetti a scuola sui luoghi della memoria legati alla seconda guerra mondiale e al sistema concentrazionari nazista, meno frequente è invece “l’utilizzo” di altri luoghi di memoria.

Il luogo di memoria, come è noto, può coincidere con il luogo della storia quando siano stati posti dei segni legati al ricordo quali monumenti, lapidi, cippi. L’utilizzo di questi luoghi è estremamente importante e può essere l’approccio ai temi, facendo iniziare il laboratorio proprio dalla visita e dall’analisi di uno di questi luoghi. Diversi e differenti luoghi possono essere interrogati in questo senso, indipendentemente dal tema scelto. Se questo è, ad esempio, il terrorismo le città colpite dalle stragi o da altri eventi terroristici, saranno i luoghi possibili. Forzando però forse un po’ la definizione di Luogo di memoria si può includere anche una analisi della toponomastica della propria città ed anche le eventuali lapidi collocate in memoria di vittime o di eventi, in questo caso dedicati anche ad altri temi o protagonisti, rilevandone presenze ed assenze.

I risultati ottenuti da questi progetti e, comunque, dal lavoro fatto in classe sulla storia, la memoria degli anni settanta (anche nella prospettiva dell’educazione alla cittadinanza), sono incoraggianti: gli studenti delle scuole coinvolte si mostrano solitamente attenti, attivi, interessati e comprendono l’importanza di studiare una storia più recente rispetto a quella che sono abituati ad affrontare in cui riescono a vedere le radici del presente e attraverso il quale comprendono di acquisire strumenti e conoscenze utili alla costruzione del loro essere cittadini.

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C’è manuale e manuale: analisi dei libri di storia per la scuola secondaria

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2005                Storia e memoria: traiettorie della “seconda modernità”, in M. Rampazi, Tota.

 

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Todorov T.

2001                Uso e abuso della memoria, “Le Monde diplomatique”, 20 aprile.

  1. Raccomandazione Rec (2001) 15 del Comitato dei ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa relativa all’insegnamento della Storia in Europa nel XXI secolo, adottata dal Comitato dei ministri il 31 ottobre 2001.  []
  2. Si veda a titolo di esempio i progetti proposti dalla Rete degli archivi per non dimenticare. http://www.memoria.san.beniculturali.it/web/memoria/didattica/materiali.  []