Marzio Barbagli Storia di Caterina che per ott’anni vestì abiti da uomo, Bologna, Il Mulino, 2014

di Annalisa Somma

Fra i principali ostacoli alla ricostruzione dei rapporti omoerotici femminili in epoca moderna vi è certamente la scarsezza di testimonianze pervenute; per questa ragione il seppur breve resoconto Storia di Caterina che per ott’anni vestì abiti da uomo, ascrivibile al genere delle observationes e dato alle stampe nel 1744 dal medico Giovanni Bianchi, è uno straordinario documento capace di gettar luce su temi e posizioni altrimenti difficilmente investigabili.

Allo scritto il sociologo Marzio Barbagli – già in precedenza occupatosi di storia della sessualità in Italia – ha dedicato un omonimo saggio che, oltre a illustrare in dettaglio il caso di Caterina e le tormentate vicende editoriali del trattato, analizza in maniera sintetica ma efficace le principali rappresentazioni e concezioni dell’omosessualità (maschile e femminile) da una pluralità di punti di vista (medico, giuridico, religioso…), sino a giungere alle soglie del XXI secolo.

Al centro dell’opera troviamo Giovanni Bianchi (1693-1775) – coltissimo e apprezzato cattedratico di anatomia – e Giovanni Bordoni (1718-1743), rivelatosi poi una donna, Caterina Vizzani. Nata a Roma in un’umile famiglia, già a quattordici anni “non d’altro amore si sentì mai accesa che verso le Fanciulle […] ardentemente amandole […] come uomo stata fosse” (p. 167). Poco tempo dopo, complici alcune minacce ricevute, Caterina adottò stabilmente un’identità e un aspetto maschili sotto il nome di Giovanni Bordoni, svolgendo mansioni di servitore presso alcuni uomini in vista, sempre distinguendosi poiché “troppo le femmine vagheggiava” (p. 169); ebbe inoltre la fortuita occasione di conoscere Bianchi, che non intuì la verità dei fatti. Nel giugno 1743, nel corso di una rocambolesca fuga d’amore, Giovanni fu ferito gravemente, per poi spegnersi presso l’ospedale di Siena.

Scopertasi dopo la morte la sua doppia identità, la giovane attirò fra gli altri l’attenzione del dottor Bianchi, che tentò di esplorare in maniera approfondita le motivazioni (medico-fisiologiche, affettive, sociali…) in grado di spingere la ragazza a maturare determinate scelte di vita. I frutti delle sue pazienti indagini confluirono quindi nella Storia di Caterina, testo di grande lucidità a lungo sottostimato o non pienamente compreso per via delle idee originali e, a tratti, progressiste ivi esposte.

Ancora nel Settecento, infatti, complice una conoscenza frammentaria del corpo muliebre e del suo funzionamento, le origini dell’omosessualità femminile apparivano poco chiare. Generalmente erano ricondotte a un “errore della natura” a livello fisico (per esempio, un’ipertrofia del clitoride) o a “un disordine o perversione dell’immaginazione” (p. 57); altri fattori – quali variazioni dei fluidi materni durante le gestazione, influenze astrali e climatiche – potevano tuttavia incidere sulle tendenze sessuali.

Sebbene, comunque, data la coeva “concezione fallocratica della sessualità, tutta incentrata sulla penetrazione” (p. 96), vi fossero grandi difficoltà a individuare e intendere lo stesso omoerotismo femminile, le donne che nutrivano desideri verso le loro simili erano spesso reputate fisicamente e moralmente corrotte. Stupì dunque scoprire l’imene di Caterina “bellissimo [e] intatto” (p. 175), e parimenti creò turbamento il riferimento di Bianchi nella Storia a un “piuolo di cuoio” nascosto dalla fanciulla sotto le vesti per simulare un pene.

Eppure, il desiderio tra donne in epoca moderna era presente da secoli nella produzione letteraria e teatrale europea (che, d’altronde, non disdegnava neppure inversioni di ruoli e travestimenti); ritenuto in genere meno grave di quello fra uomini, esso fu piuttosto tollerato tanto dal foro secolare quanto da quello canonico. A ogni modo, sulla scorta di Foucault, secondo alcuni il passaggio dell’omosessuale da mero “soggetto giuridico” macchiatosi del peccato-reato di sodomia a “personaggio” (p. 135) con un proprio background risalirebbe agli ultimi decenni dell’Ottocento, in concomitanza con l’affermarsi di teorie mediche che tendevano a evidenziare le cause psichiatriche alla base dell’omoerotismo connettendole a deviazioni dell’istinto sessuale.

Sebbene in passato tutt’altro che invisibili e insignificanti, rileva Barbagli nell’epilogo, solo in tempi relativamente recenti i rapporti omoerotici femminili sono stati ripensati – non senza difficoltà e resistenze – in maniera complessa; ciò ha senz’altro favorito importanti cambiamenti sociali, come la moltiplicazione delle comunità lesbiche o la pratica del coming out, e l’acquisizione di diritti prima impensabili.

In conclusione, con questo volume lo studioso fornisce un contributo significativo per comprendere e definire la storia dell’amore fra donne in Italia; in tal senso va intesa anche la ricca e aggiornata rassegna di studi internazionali sull’omosessualità (con particolare riguardo per l’era moderna) proposta in bibliografia, che costituisce a sua volta un ottimo punto di partenza per ulteriori ricerche.