Note intorno a Noi Credevamo, di Mario Martone

Enrico Gaudenzi

Cast e Troupe: Luigi Lo Cascio e Edoardo Natoli (Domenico), Valerio Binasco e Andrea Bosca (Angelo), Francesca Inaudi e Anna Bonaiuto (Cristina di Belgiojoso), Luigi Pisani (Salvatore), Guido Caprini (Felice Orsini), Michele Riondino (Saverio), Toni Servilio (Giuseppe Mazzini), Luca Barbareschi (Antonio Gallenga), Luca Zingaretti (Francesco Crispi). Regia: Mario Martone; sceneggiatura: Mario Martone e Giancarlo De Cataldo. Soggetto: Anna Banti, fotografia: Renato Berta, montaggio: Jacopo Quadri, scenografia: Emita Frigato. Costumi: Ursula Patzak. Produzione: Carlo Degli Esposti, Conchita Airoldi, Giorgio Magliulo per Palomar – Feltrinelli, Rai Cinema – Rai fiction e Arte France. Con il contributo del Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione generale del cinema e il sostegno del Comitato Italia 150, Regione Puglia, comune di Torino, Film commission Torino – Piemonte e Apulia.

Sinossi: Tre ragazzi del Cilento, Domenico, Angelo e Salvatore, si affiliano alla Giovane Italia. Abbandonano il Sud Italia per Parigi, dove sono accolti nel salotto di Cristina di Belgiojoso, poi partecipano al tentativo d’assassinare Carlo Alberto e ai moti savoiardi del 1834. Questo doppio fallimento scoraggia i tre protagonisti e fa riemergere le differenze di classe che li dividono. Salvatore, un piccolo commerciante, viene assassinato dal nobile Angelo che lo crede una spia. Domenico, anche lui aristocratico, continua l’attività cospiratoria. Dopo la caduta della Repubblica Romana viene arrestato e condotto al carcere di Montefusco dove rimarrà a scontare una lunga e dura pena detentiva. Qui assiste all’assottigliarsi delle fila repubblicane a vantaggio di quelle monarchiche. Angelo, che intanto vive a Londra seguendo le teorie di Simon Bernard, diventa sodale di Orsini e abbandona Mazzini. Questi è sempre più in affanno perché vede la sua popolarità tra i rivoltosi scemare e constata amaramente come l’iniziativa unitaria sia ormai nella mani della Monarchia. Il tentativo di uccidere Napoleone III in un attentato progettato da Orsini con l’aiuto di Angelo non riesce. Il gruppo di attentatori viene catturato, processato e condannato a morte. Ad assistere all’esecuzione vi è anche Domenico. Il suo rientro in Italia lo porta a contatto con un Sud che viene colonizzato dai piemontesi e nel quale anche i patrioti si sentono umiliati. Mentre viaggia verso la Calabria, per unirsi alla spedizione garibaldina che voleva ricongiungere Roma all’Italia, incontra Saverio, il figlio di Salvatore, anche lui pronto a seguire Garibaldi. Il giovane viene processato e ucciso durante la repressione piemontese in quanto disertore. Domenico, ormai invecchiato, non può far altro che riflettere, in un parlamento spettralmente vuoto, sulla propria militanza tra le file repubblicane e sul modo in cui è stata raggiunta l’unità nazionale.

Ci voleva il 150esimo dell’Unità per ritornare a discutere di Cinema e Risorgimento. E il film di Martone nasce con questa ambizione.

In un anno di celebrazioni la forte vena polemica e revisionista del progetto dimostra il coraggio che il cinema italiano ha spesso dimostrato quando affronta soggetti storici.

In Italia infatti il rapporto tra settima arte e storiografia è stato, quasi sempre, a senso unico, con gli storici pronti ad approfondire spunti da registi e da film di successo.

È al cinema che nasce la narrazione resistenziale (con lo spirito CLNistico di Rossellini) ed è nel buio della sala che si osano riletture del passato più ardite di quelle proposte dalla storiografia. Sia sul primo conflitto bellico (con La grande guerra), che su altri importanti episodi della storia nazionale (oltre al tentato L’armata s’agapò bisogna ricordare Il generale della Rovere; Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato; il dittico di Visconti sul Risorgimento, ecc.).

Il film di Martone non è certo il primo che propone una lettura del presente filtrato dalla storia del Risorgimento (solo per citare il caso più recente, si pensi ai Vicerè di Faenza). Come ha scritto Brunetta, il cinema è fonte storica per la conoscenza del periodo in cui è stato prodotto più che per il soggetto cinematografico di cui tratta.

In un contesto come questo non credo sensato cercare di discutere la faziosità dell’autore o le eventuali imprecisioni. Più utile è invece cercare di capire da quali riferimenti culturali nasce il mondo che viene portato sullo schermo. Solo in questo modo il film storico può essere un utile strumento per interpretare il presente.

Martone esplicita alcuni dei suoi riferimenti. Tra questi cita l’esperienza traumatica dell’11 settembre 2001 (sineddoche del terrorismo internazionale) e la questione palestinese. Da qui è sorto il primo nucleo tematico: il rapporto tra identità nazionale e terrorismo. L’Italia risorgimentale, con le grandi battaglie, l’eroismo dei volontari e l’abilissima diplomazia, oggi sembrava raccontare una storia nota e noiosa, utile per contrattaccare i leghisti da salotto televisivo. Il film rispecchia fedelmente l’attuale contesto politico, un contesto in cui il Risorgimento non è più una delle grandi narrazioni storiche con cui si sono formate generazioni d’italiani. Il regista d’origine napoletana ha invece voluto dimostrare l’attualità del Risorgimento riflettendo e ripensando la stagione di formazione dello Stato alla luce dell’evoluzione che la sua storia ha avuto. Partendo dal presente del nostro Paese (dichiarazioni rilasciate in un’intervista effettuata da Fabio Fazio a Mario Martone il 7 novembre 2010 durante la trasmissione Che tempo che fa): “Dal malessere, da questo eterno conflitto che viviamo, mi son chiesto se ci sia stata una grande rimozione […]. Scavando nella storia del Risorgimento si scopre che la storia non è quella che ci è stata raccontata”. La cronica capacità italiana di dividersi ha radici molto più antiche di quanto il dibattito pubblico (che riesce a risalire, in alcuni momenti di elefantiaca memoria, fino al 1943 e agli scontri tra fascisti e antifascisti) lasci supporre. Per Martone questa nasce insieme al Paese, con la sua unificazione. Il suo film si basa sul “Fatto che siano esistiti due Risorgimenti, completamente contrapposti, poiché l’idea repubblicana era nemica giurata dell’opposizione monarchica. E Mazzini ha incarnato l’ostinazione repubblicana con una assolutezza priva di qualsiasi compromesso, mantenendo pura questa idea fino all’ultimo, sino a sconfinare in una dimensione di irrealtà […]. Perché è così importante, sul piano storico, questa contrapposizione tra monarchici e repubblicani? Perché, secondo me, è l’aspetto che contraddistingue tutta la storia d’Italia a venire, e il nostro stesso presente. Questa divisione si è ripresentata in tutte le sue forme che la nostra storia successiva ha conosciuto, passando ovviamente attraverso fascismo e antifascismo e arrivando fino ai nostri giorni. Un’idea d’Italia monarchica e autoritaria da un lato, e un’idea d’Italia repubblicana e democratica dall’altro. Un dualismo mai sanato” (Codelli, XI).

In questa ricostruzione un altro punto di riferimento importante è l’esperienza della galassia antagonista italiana degli anni ’60 e ’70. Nel film, soprattutto nella terza parte, quella dedicata ad Angelo, il paragone è centrale. La proposta di vedere in Mazzini un terrorista e un “cattivo maestro” è affascinante, ma ha subito provocato un alzata di scudi da parte degli storici (si veda l’articolo Un grande teorico del tirannicidio ma è assurdo evocare il “terrorismo” di Giovanni Belardelli pubblicato sul “Corriere della Sera” l’8 settembre 2010 a p. 1 e 52). Anche la scelta di girare la scena della ghigliottina nel carcere di Saluzzo sembra non estranea, nelle parole del regista, al fatto che il luogo sia stato una prigione di massima sicurezza fino agli anni ’70, nella quale furono rinchiusi “Diversi brigatisti, tra cui Curcio” (Codelli, XLVI). Sempre Martone ha affermato che “I patrioti mazziniani sono i progenitori dei partigiani ma anche dei movimenti degli anni ’60 e ’70” (Intervista citata).

Altro carattere di lungo periodo portato in luce dal film è il trasformismo (si pensi a Gallenga, a Crispi…). I personaggi che mutano radicalmente credo politico ci appaiono trasformati improvvisamente, lasciandoci all’oscuro di cosa li abbia spinti verso le loro nuove posizioni.

Tra gli altri elementi valutati di lunga durata della storia nazionale ci sono i cosiddetti “casi italiani” misteriosi tra cui Martone annovera la partecipazione di Crispi all’attentato a Napoleone III. In questa scelta emerge l’importanza del co-sceneggiatore De Cataldo, romanziere da sempre attento a questa tematica (presente sia in Romanzo Criminale che in Nelle mani giuste ).

A sottolineare quelle continuità considerate portanti della storia italiana, sono stati inseriti alcuni elementi dissonanti rispetto all’accurata ricostruzione. La cosa è voluta: “Sin dall’inizio, si vedono tracce di cemento, fili elettrici e altri elementi moderni che non sono stati coperti, né in fase di riprese né al computer […]. Credo siano segni molto sottili all’inizio, forse nemmeno così percepibili. Ricorrono poi con sempre maggiore evidenza, via via che il rapporto con la contemporaneità si fa più stringente. Tre momenti sono importanti: il primo è il garage in cui avviene la consegna della bomba a Crispi […]. C’è poi la scena della ghigliottina […]. Infine lo scheletro di cemento armato sotto il quale Saverio e Domenico si fermano a dormire” (Codelli, XLV-XLVI). I tre elementi visivi sottolineano una forte continuità nelle trame oscure legate alle stragi, nel sistema detentivo e nello scempio ambientale.

Valutando gli elementi che sono considerati di lungo periodo l’opera risulta leggibile, oltre che come film storico, anche come film di denuncia.

Due elementi ci sono parsi importanti. Il film è quello che meglio di altri ha centrato quanto il Risorgimento italiano sia figlio di una cultura europea. Nel film non si vede Roma ma i protagonisti si muovono tra l’Italia, Parigi e Londra. Parlano inglese e francese e sono a contatto con una cultura cosmopolita nella quale cercano d’inserire la questione italiana. Altra novità è la preminenza data al Sud. I tre protagonisti sono d’origine meridionale. Martone cita le varie fonti da cui questi personaggi nascono, ma l’ipotesi è che altrettanta importanza l’abbiano avuta le costanti critiche che diversi uomini politici hanno speso contro il Meridione e sul suo presunto impatto negativo sull’economia del Nord del Paese.

La proposta avanzata da Natalie Zemon Davis “Di considerare seriamente il cinema come fonte preziosa e perfino innovativa per immaginare la storia” (2007, 26) risulta valida se alle base delle sceneggiature vi è un lavoro come quello di Martone: “Ho sempre pensato di voler fare un film con un impianto rosselliniano. Nel senso che volevo utilizzare, secondo la lezione di Rossellini, gli elementi della Storia in quanto tali, evitando rielaborazioni artificiali. Ad esempio, i dialoghi di Mazzini nel film, per gran parte, derivano fedelmente dai suoi scritti” (Codelli 2010, XIX). In questo modo il cinema diventa una forma di racconto della conoscenza storia difficilmente eguagliabile per efficacia. Più complicato il capire i riferimenti storiografici degli sceneggiatori. Il richiamo a fonti esclusivamente dirette (gli scritti dei protagonisti del Risorgimento), il frequente accenno a riferimenti letterari e cinematografici fanno ipotizzare che manchi un confronto con la recente storiografia sull’argomento. In opposizione a quanto dichiarato da Banti e Ginsborg (2007, XXV), i quali hanno descritto il Risorgimento come un movimento di massa socialmente articolato, in sceneggiatura vengono marginalizzate le classi lavoratrici. Nonostante le dichiarazioni del regista, sorprende scoprire che i protagonisti del film non sono i ceti popolari ma gli intellettuali e i nobili.

A rafforzare questa tesi vi è la volontà di lavorare su periodi del Risorgimento considerati più oscuri, includendo alcuni moti falliti (quello dei Capozzoli nel Cilento e l’insurrezione in Savoia), la detenzione a Montefusco, la vita dei patrioti nell’esilio londinese, la strage di Parigi e dell’Aspromonte. Le scelte sono particolarmente originali rispetto ai temi trattati nei film e nel discorso pubblico sul Risorgimento. Altrettanto innovativo il progetto di costruire un film sul Risorgimento avendo come cardine Mazzini (e non Cavour, Vittorio Emanuele II o Garibaldi) e tre protagonisti d’origine meridionale senza misurarsi né con l’impresa dei mille né col brigantaggio.

Il film di Martone entra a pieno diritto tra i più importanti film sul Risorgimento italiano. La sua originalità e la sua vena critica potrebbero farlo diventare un’opera capitale anche per gli storici se questi lo affronteranno apertamente, usandolo come base, suggestiva, per nuove ricerche capaci di confutare o confermare le sue proposte. Solo il lavoro della comunità scientifica ci dirà se le interpretazioni lanciate da Martone produrranno una rivoluzione nel modo di raccontare la nostra storia.

Bibliografia

Banti A.M., Ginsborg P. (cur.)

2007                Storia d’Italia, Annali 22: il Risorgimento, Torino, Einaudi.

Codelli (cur.)

2010                Mario Martone parla di Noi Credevamo, Milano, Bompiani.

Davis N.Z.

2007                La storia al cinema: la schiavitù sullo schermo da Kubrick a Spielberg, Roma, Viella (ed. or. 2000, Slaves on screen: film and historical vision, Harvard University Press).

Fazio F.

2010                Intervista a Mario Martone, in Che tempo che fa, 7 novembre, in http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-3b3d14ff-1655-483a-8251-c40691cb0f7f.html#p=1