Sanjay Subrahmanyam, Alle origini della storia globale, Edizioni della Normale, Pisa 2016, pp. 56.

di Patrizia Fazzi

Abstract

Nella lezione inaugurale al Collège de France dal titolo Histoire globale de la première modernité, lo storico Sanjay Subrahmanyam rintraccia le origini della storia globale soffermandosi sulla varietà di contesti culturali e linguistici in un mondo, quello della prima modernità, segnato da esplorazioni e vasti imperi in grado di innescare varie tipologie di interazione: nuove forme di scambi e commerci, flussi migratori su vasta scala, diffusione di conoscenze al di là degli oceani e continenti1.

È da queste linee guida che nasce l’agile volume dal titolo Alle origini della storia globale, da cui si evince un modello di analisi più problematico, in grado di ampliare i tradizionali confini della storia eurocentrica. E ripensare il mondo in tale prospettiva, senza trascurare la molteplicità delle fonti necessarie allo storico per ricostruire la polifonia del passato, offre significativi spunti di riflessione a più livelli di analisi.

La lezione di Sanjay Subrahmanyam

Lo storico indiano Sanjay Subrahmanyam focalizza la sua attenzione sullo studio delle interazioni fra aree diverse e distanti tra loro: una ricostruzione che invita al confronto e alla ricerca di possibili intersezioni tra globale e locale, in altri contesti definite “storie in conversazione”2.

Gli attori sono in prevalenza mercanti, navigatori, viaggiatori e missionari che si muovono attraverso i confini delle civiltà e degli imperi. L’incontro con l’alterità nelle sue varie forme pone poi una sfida, che può essere subita, contrastata o raccolta, ma in ogni caso mette sotto pressione gli equilibri tradizionali. E nelle varie forme del “diverso” troviamo non solo il commercio, gli investimenti, le guerre, ma anche le migrazioni, le innovazioni tecniche e scientifiche, la propagazione di epidemie.

Ma chi pensa il mondo? Gli uomini del passato o gli storici del presente? Lo pensano entrambi, secondo l’autore, e i secondi spesso attraverso i primi3. Diventa dunque necessario, in quest’ottica, dare spazio al confronto attraverso un graduale ampliamento di prospettive, che richiede un’approfondita conoscenza delle fonti, delle lingue, degli usi e tradizioni dell’Asia, dell’Europa e delle Americhe, che Subrahmanyam ha acquisito nella sua lunga esperienza di studioso.

A conclusione del percorso, che si articola all’interno dell’unico capitolo di cui si compone il testo, emerge una storia delle reti e degli scambi di beni, della circolazione di idee, che si snoda tra miti, leggende e ideologie, in una prospettiva che va oltre i quadri geopolitici tradizionali soggetti al paradigma dello Stato-nazione.

Alla ricerca della xenologia: percorsi di storia dell’Altro

La lezione di Subrahmanyam è originale non tanto perché si rintracciano le origini della storia del mondo nell’antichità, percorso peraltro di lunga tradizione storiografica, ma per le prospettive inusuali, talora trascurate o assenti nello scenario occidentale, in grado di rompere il consolidato schematismo che oppone i “vinti” ai “vincitori”. Un esempio per tutti che appartiene all’antichità: il parallelismo tra Sima Qian e Polibio. Entrambi gli autori danno spazio al punto di vista dell’Altro, del diverso da sé: lo storico greco, vissuto nel secondo secolo a.C., focalizza la sua attenzione sull’egemonia dell’antica Roma, utilizzando il punto di vista dei latini e non quello dei greci sconfitti, mentre lo storico cinese Sima Qian, vissuto nella Cina antica, nel periodo compreso tra il secondo e il primo secolo a.C., pur rimanendo fedele alla storia imperiale come asse portante della sua narrazione, riporta significativi episodi di “barbarofilia”, che costituiscono il punto di partenza nella ricostruzione della storia globale.

Attraverso la produzione storiografica dei grandi imperi della storia: dall’impero cinese a quello ottomano, da quello cristiano occidentale al mondo islamo-persiano, si rintracciano i percorsi della storia dell’Altro, ossia della xenologia, che Subrahmanyam “connette” proprio con la nascita di una prima coscienza dell’unità del mondo, ciò che lo storico Serge Gruzinski ha definito prima globalizzazione4.

È nell’ambito della cultura storica indo-persiana di inizio Trecento che l’autore rintraccia le prime forme di xenologia legate all’intensificarsi degli scambi tra il mondo ilkhanide e la Cina, che peraltro superano il semplice riconoscimento dell’Altro presente nelle prime storie universali di Polibio o di Sima Quin, la cui estensione geografica coincideva di fatto con i confini della civiltà stessa.

Oltre il “racconto egoista”: un itinerario non lineare

La storia, ai suoi primordi, è definita dall’autore un “racconto egoista”, che trova i suoi punti di riferimento nella famiglia, nel clan e nell’etnia, per giungere poi alla città, alla patria o alla regione di appartenenza sino allo Stato-nazione. E lo storico che segue questa via, se poco attrezzato, rischia di diventare portavoce di un gruppo o di una sola posizione ideologica, in altri termini di un’unica identità tendenzialmente chiusa.

La proposta di Subrahmanyam è, invece, una storia di intersezioni, in grado di soffermarsi sugli anelli di congiunzione tra le più rilevanti civiltà, una narrazione capace di integrare, e dunque di andare oltre la “storia egoista”. Seguire questo modello presuppone tuttavia un cambiamento di metodo, che non significa il riferimento alla sola copertura geografica più estesa. E gli esempi non mancano nel corso della storia medievale: si spazia dalle opere enciclopediche di Isidoro di Siviglia, al tornante del VI secolo, a quelle di Tabari, erudito di Bagdad che si colloca tra il IX e il X secolo, per giungere poi al sapere xenologico prodotto da Abu Raihan al-Biruni, intellettuale khorezmiano vissuto ai margini del califfato abbaside, proprio quando bisognava rendere conto in modo più rilevante delle storie di altri popoli a seguito dell’espansione del mondo musulmano. Si tratta di tasselli significativi per comporre la xenologia araba dell’epoca, prevalentemente ripiegata su se stessa. Seguono le opere sorte nella corte dei ghaznavidi, una dinastia turca che governò il Khorasan, l’Afghanistan e il Punjab tra X e XII secolo, tra cui spicca la produzione di Baihaqi, autore di una delle prime cronache perso-musulmane di rilievo.

Nel corso del XIII secolo si rafforzò, in tappe successive, la storiografia indo-persiana nel Sultanato di Delhi, il primo regno musulmano dell’India, comprendente una vasta aggregazione politica che gradualmente sottomise tutti i potentati locali tradizionali. Le opere prodotte nelle principali città dell’India del nord mancavano, tuttavia, di apertura verso gli ambienti non musulmani del subcontinente e si soffermavano principalmente sulla vita interna alla comunità musulmana e sulle tensioni tra i differenti clan e gruppi etnici. Costituisce tuttavia un’eccezione la produzione del poliglotta Amir Khusrau Dehlavi, la cui riflessione xenologica può essere riscoperta a partire dalle sue epopee e poesie, che si aggiungono alla tradizionale narrazione cronachistica.

Alla caccia della “storia dei vinti”

Alla morte del carismatico Gengis Khan, l’immenso dominio mongolo, che nel periodo di maggiore splendore spaziava dal Mediterraneo al mar del Giappone, il più vasto impero della storia mondiale, perse la sua unità e fu diviso in quattro khanati, che mantennero tuttavia la coesione delle tribù. Nella corte del sovrano Ghazan Khan, il settimo sovrano dell’Ilkhanato, il cronista Rashid al-Din Hamadani iniziò a scrivere a fine Duecento La Somma delle Storie, opera che rappresentava ancora un esempio di storia universale con tutti i limiti del tempo, ma dagli orizzonti molto più ampi.

Appartenente anch’egli all’ambiente dei “vinti”, come peraltro Polibio, Rashid al-Din Hamadani non esitò a cogliere, nell’opera portata a termine nel secondo decennio del Trecento, gli aspetti positivi dei vincitori, proprio i mongoli che avevano inferto duri colpi durante la loro incessante espansione, di cui conosceva le tradizioni grazie alle narrazioni dei suoi predecessori. Lo storico si cimentò altresì in descrizioni istituzionali, politiche e geografiche dell’Europa, in particolare dei Franchi, a cui aggiunse analisi più dettagliate di altre società non musulmane come quelle dell’India, della Cina e dei mongoli preislamici.

Alle spalle dei mongoli vi era comunque la Cina, che aveva esercitato sulla Persia un’attrazione costante già molto tempo prima del periodo mongolo. L’importazione regolare di stoffe e porcellane cinesi, seguendo le rotte via terra o via mare, i percorsi costanti tra il mondo ilkhanide e quello della dinastia Yuan, o gli scambi di ambascerie, assunsero tuttavia una nuova ampiezza.

Storia globale agli albori dell’età moderna

Quello ilkanide fu un periodo che vide prosperi scambi e commerci con la Cina, noti in Occidente grazie alle testimonianze di Marco Polo; ma fu soprattutto alla giuntura del XV-XVI secolo che una più complessa visione del mondo prese forma, a seguito dell’integrazione sempre più stretta fra l’Europa, l’Asia, l’Africa e l’America.

La trasformazione di gran parte della xenologia cinese fu alimentata dalle spedizioni marittime allestite dalla dinastia Ming nell’Oceano Indiano nel primo terzo del Quattrocento, mentre gli scambi con la dinastia timuride, ossia con il potente capo turco Tamerlano e i suoi discendenti, permettevano ai cinesi di aggiornare la loro visione dell’Asia centrale. E se l’espansione mongola aveva favorito il moltiplicarsi di interazioni, il successivo declino dell’impero timuride esercitò una grande influenza sulle mire espansionistiche delle dinastie asiatiche.

Tuttavia, per comprendere nelle prima età moderna una nuova storia globale che si allontana dalla tradizione ricevuta dalla storia universale, bisogna partire dall’altro versante dell’Eurasia. Ed è proprio nella cultura iberica, in particolare nelle opere di João de Barros, studioso di testi nelle lingue più diverse, che si incontrano i percorsi intellettuali di Subrahamanyam e Gruzinski. Si sottolinea in particolare il percorso dello storico portoghese, vissuto tra il 1496 e il 1570, che cominciò a delineare un sostrato xenologico mediante l’acquisto di testi e manoscritti in Asia, ma anche di schiavi che potevano aiutarlo nella lettura.

Nonostante l’antisemitismo e l’“imperfetto umanesimo” tipico dell’ambiente di provenienza, João de Barros viene preso da Subrahamanyam come punto di riferimento per tre motivi: «la sua apertura verso le fonti storiche non europee; la sua volontà di abbandonare una storia universale e simmetrica nella sua forma, in favore di una storia globale e cumulativa, costruita intorno alle connessioni; e il fatto che la sua opera abbia permesso sintesi su più vasta scala»5.

Seguendo il filo che unisce le storie dell’Oriente islamico, del Giappone e della Cina, l’autore tralascia la più nota storiografia cinquecentesca europea per giungere alla conclusione del suo percorso che si ferma alla prima età moderna, quando i prodotti del Nuovo Mondo: dal peperoncino alla patata, dal tabacco ai metalli preziosi, erano ormai introdotti in India e in Cina. E mentre l’impero spagnolo proiettava la sua ombra sulla produzione storiografica nell’alveo del “racconto egoista”, sulla linea della curiosità xenologica si muoveva la storiografia nutrita di documenti, relazioni e lettere scritte da missionari, viaggiatori, navigatori, diplomatici e mercanti.

Riflessioni conclusive

Nella lezione inaugurale al Collège de France, Subrahamanyam non poteva non rievocare Fernand Braudel, peraltro titolare, dopo Lucien Febvre, della cattedra di Storia della civiltà moderna, lo storico che ha coniato il concetto di economia-mondo e lo ha usato al plurale per indicare la molteplicità di spazi economici relativamente chiusi e autonomi. Le sue opere sul Mediterraneo, sulla civiltà materiale e sul capitalismo nel XV-XVIII secolo hanno influenzato generazioni di storici e hanno dettato le linee guida per interpretare le reti mercantili e il loro dinamismo, oltre ai rapporti tra “mondi”, nazioni e regioni.

Malgrado l’enorme debito nei confronti del modello braudeliano, Subrahamanyam sottolinea in modo inequivocabile l’asimmetria nella concezione dello spazio, poiché il Mediterraneo era soprattutto un mare visto dal nord, analizzato a partire da fonti e prospettive europee. Quando Braudel si avventurava nell’oceano Indiano, le asimmetrie diventavano ancora più evidenti, vuoi per la mancanza di comunicazione fra le “tradizioni dotte”, vuoi per l’indifferenza verso talune storie.

L’autore invita dunque a intrecciare, moltiplicare o sovrapporre gli sguardi che vanno oltre le frontiere dentro le quali è stata troppo spesso rinchiusa la storia. Si possono modificare o capovolgere le prospettive di analisi per meglio comprendere ciò che ha contribuito a definire il nostro presente; si può vedere il mondo dall’alto e, allo stesso tempo, si possono ricostruire dal basso le interdipendenze attraverso l’incrocio della fonti, da cui ricavare quelle storie xenologiche che Subrahamanyam considera di fondamentale importanza per educare ai cambiamenti prospettici e, dunque, per maturare una visione dell’Altro che non sia esclusivamente asimmetrica.

2 Subrahmanyam S., Mondi connessi. La storia oltre l’eurocentrismo (secoli XVI-XVIII), Carocci, Roma 2014.

3 Cfr. Subrahmanyam S., Alle origini della storia globale, op. cit., pp. 22-23.

4 Gruzinski S., Les quatre parties du monde. Histoire d’une mondialisation, La Martinière, Paris 2004.

5 Subrahmanyam S., Alle origini della storia globale, op. cit., p. 38.