Le relazioni dell’Amministrazione Nixon-Kissinger con l’Africa Subsahariana (1969-1974).

Ida Libera Valicenti

Sigle

FRUS: Foreign Relations of United States.

NARA: National Archives and Records Administration.

Abstract

Fino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, l’Africa non assunse un ruolo strategico nella politica estera americana. E fino a quando il processo di decolonizzazione non investì l’Africa Subsahariana e l’Urss ad interessarsi ai movimenti di liberazione nazionale, gli Stati Uniti guardarono all’Africa come ad una grande colonia europea. Un ripensamento a tale approccio ci fu in seguito al processo di autodeterminazione dei popoli. I leaders africani, nonostante il principio di non-allineamento, sancito dalla Carta dell’Oua, decisero di affiliarsi ad uno dei blocchi, per questioni ideologiche, in cambio di armi, utili alle lotte etniche intestine, o aiuti economici, per ottenere finanziamenti allo sviluppo da parte delle due superpotenze.

Abstract english

Relationship between Nixon-Kissinger Administration and Subsaharian Africa (1969-1974) Until the end of the Fifties, the African continent was of a little importance in American foreign policy. It stems from the fact that the majority of the continent’s countries were European colonies and until the decolonization process did not begin to accelerate in Subsaharan Africa and the Urss to show concern for national liberation movements, the U.S. believed that their interests could be safeguarded by the presence of the European countries. A rethinking of this approach was developed after the process of decolonization. African leaders, despite the non-alignment enshrined in the Charter of the Oua, decided to affiliate with one of the two blocks, for ideological reasons for strategic purposes, get weapons and investments from the two superpowers, or for economic reasons, financing allied governments.

Le relazioni tra Stati Uniti e Africa Subsahariana: il contesto generale

A partire dalla metà degli anni Cinquanta, mentre crescevano le spinte nazionalistiche in Africa, alcune isolate voci si levarono all’interno dell’Amministrazione americana a sottolineare la necessità di definire una nuova politica verso il continente, che prometteva di divenire un’area di scontro con il blocco sovietico: Henry Cabot Lodge, ambasciatore americano all’Onu, Mason Sears, rappresentante al Consiglio di amministrazione fiduciaria e Robert McGregor, console generale a Leopoldville, chiesero all’Amministrazione una forte presa di posizione in chiave anti-coloniale e una definizione del ruolo americano in Africa meno deferente verso gli interessi europei1.

Dopo il viaggio in Ghana nel 1957, Nixon, allora Vice-Presidente, si persuase della necessità di cambiare rotta. Nel suo rapporto al presidente Eisenhower, sottolineò la necessità di impegnarsi in Africa per mantenere buoni rapporti con gli Stati emergenti ed attrarli nel blocco occidentale, senza sottovalutare il fascino che l’Unione Sovietica e il suo modello di sviluppo potevano esercitare sul nazionalismo anti-occidentale di numerosi leaders del Terzo Mondo. Sollevò, poi, una questione cruciale nella politica americana verso l’Africa, quella dei rapporti razziali all’interno degli stessi Stati Uniti: “Non possiamo parlare di eguaglianza ai popoli africani ed asiatici e praticare, allo stesso tempo, l’ineguaglianza nel nostro paese”2; la contraddizione stava diventando anche un’arma formidabile per la propaganda sovietica.

Negli ultimi anni dell’Amministrazione Eisenhower, gli eventi che si susseguirono in Africa costrinsero ad un ripensamento del processo di decolonizzazione, del neutralismo e del nazionalismo, considerati, fino a quel momento, sottoprodotti del comunismo. Negli ultimi due anni della sua presidenza, Eisenhower offrì aiuti economici al Ghana, nonostante il neutralismo di Kwame Nkrumah e, dopo il massacro di dimostranti neri a Sharpeville, in Sud Africa, per la prima volta gli Stati Uniti sostennero la condanna dell’apartheid da parte delle Nazioni Unite. Nonostante simili aperture, però, la definizione della politica africana, fino al 1960, rimase saldamente nelle mani degli “europeisti” del Dipartimento di Stato, che continuavano a vedere gli interessi degli Stati Uniti attraverso il prisma delle necessità dell’Alleanza Atlantica; nel dicembre del 1960, la delegazione americana si astenne, dietro pressioni del Primo Ministro inglese Harold MacMillan, sulla Dichiarazione di concessione di indipendenza ai paesi e popoli coloniali, approvata dall’Assemblea Generale3. L’interessamento ufficiale statunitense nei confronti dell’Africa si concretizzò, nel 1958, con la creazione del Department’s Bureau of African Affairs4. L’istituzione di tale ufficio fu dovuta al Vice-Presidente Richard Nixon che, al ritorno dal viaggio in Ghana, di 22 giorni, nel 1957, dichiarò che “l’Africa, nell’opinione di molti americani, è considerata un continente remoto e misterioso, la regione di grandi cacciatori ed esploratori”5 e, di conseguenza, raccomandò all’allora Presidente Eisenhower la formazione di un’istituzione specializzata (Nixon 1957).

Gli anni della successiva Presidenza Kennedy segnarono l’avvio verso un concreto coinvolgimento statunitense in Africa. Kennedy riteneva la libertà e la pace in pericolo, in caso di sconfitta da parte degli Stati Uniti, e invitava i popoli dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa a guardare all’America e alle azioni del Presidente degli Stati Uniti piuttosto che a Kruscev o ai comunisti cinesi, di cui subivano l’influsso ideologico6.

Con la creazione dei Peace Corps, Kennedy aveva tentato di offrire un’assistenza di base e una militanza dinamica al continente africano; inoltre, egli riteneva che l’Africa dovesse avere un certo ruolo nella politica americana, in modo tale da offrire un fermo e vigile contenimento del comunismo e dell’espansionismo sovietico. Si tratta di un’opinione condivisa da tutti i Presidenti degli Stati Uniti nell’epoca bipolare e che servì da base per una vasta gamma d’interventi in Africa, che andarono dall’aiuto militare7 ed economico ad azioni di controspionaggio, dalle sovvenzioni ai movimenti di guerriglia al diretto invio di truppe all’interno dei contingenti Onu (Thompson 1996).

Le azioni politico-diplomatiche intraprese dall’Amministrazione Nixon-Kissinger.

Alla fine degli anni Sessanta, si verificarono diversi fattori che determinarono il diretto coinvolgimento degli Stati Uniti nell’Africa Subsahariana. Henry Kissinger, allora consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’Amministrazione Nixon, commissionò, il 10 aprile del 1969, uno studio speciale per l’Africa Australe e Subsahariana ad un’equipe composta da alti funzionari dello Stato e membri della CIA (Cohen, Schissel 1977). Tale rapporto prendeva in considerazione le principali prospettive e i maggiori problemi dell’area in questione, nonché i diversi interessi statunitensi nella regione; infine la gamma completa delle strategie e delle opzioni politiche a disposizione degli Stati Uniti.

Il documento che ne scaturì, il National Security Study Memorandum 39, (N.S.S.M. 39), meglio noto come Rapporto Kissinger, orientò la politica americana nei confronti dell’Africa durante gli anni di presidenza Nixon e Carter. Il Memorandum specificava chiaramente che gli interessi in quella regione erano importanti, ma non vitali; perciò, raccomandava di ridurre al minimo le possibilità di un intervento americano8, sostenendo piuttosto la necessità di “mantenere relazioni diplomatiche limitate, ma corrette, nei confronti del Paese, senza nascondere l’opposizione statunitense alla politica dell’apartheid9.

Tuttavia, il fiorire dei regimi marxisti-leninisti e la loro entrata nell’orbita d’influenza sovietica furono visti, dagli Stati Uniti, come il risultato di una sempre maggiore interferenza di Mosca, suscitando, di conseguenza, lo spettro della formazione di una vasta fascia di Stati satelliti filosovietici all’interno del continente africano. Pertanto, a partire dal 1975, gli Stati Uniti ritennero necessario l’impegno diretto nel conflitto regionale africano, in risposta a tale accerchiamento. L’Africa entrò, così, nell’agenda politica statunitense quale zona strategica politicamente vitale per i paesi occidentali. Fino ad allora, la politica americana nei confronti dell’Africa cercò di lasciarsi coinvolgere solo marginalmente e si mantenne oscillante tra sostegno e condanna dei regimi autoritari. Da una parte, le relazioni diplomatiche con questi Paesi non furono interrotte, dall’altra, l’Ambasciatore americano presso le Nazioni Unite, Adlai Stevenson, nei primi anni Sessanta, denunciò l’apartheid alle Nazioni Unite10.

Il governo di Washington tenne ben distinto il settore politico da quello economico e non proibì mai investimenti in Sudafrica, che subirono un incremento durante la presidenza Nixon, che considerava il Sudafrica “una miniera d’oro per gli investitori stranieri, uno di quei posti rari dove i profitti sono grandi ed i problemi piccoli, in cui il capitale non è minacciato da instabilità politica e dalla nazionalizzazione. Il lavoro è a basso costo, il mercato è in crescita, la moneta forte e convertibile”11.

Nel Rapporto U.S. Foreign Policy for the 1970’s, in occasione del sesto anniversario della fondazione dell’Organizzazione per l’Unità Africana, il 6 settembre 1969, il Presidente Nixon sostenne che “la visita del Segretario di Stato africano, conferma le ottime relazioni diplomatiche tra i due Stati”12. Nixon, inoltre, affermò che “dopo aver conquistato l’indipendenza, uno dei più drammatici e profondi cambiamenti degli ultimi dieci anni, oggi le nazioni africane sono sovrane ed orgogliosamente determinate a costruire il proprio futuro. E, contrariamente ai timori espressi al momento della loro fondazione, tali nazioni sono in grado di non soccombere alla sovversione comunista. L’Africa, dunque, è uno dei migliori esempi del fallimento dell’approccio comunista nei paesi di nuova formazione”13. Per quanto il dominio coloniale europeo fosse censurabile in linea di principio, i funzionari americani dovevano riconoscere che esso aveva mantenuto il continente africano libero dalle infiltrazioni comuniste. Ciò emerge, anche, dalla dichiarazione del Vice-Segretario di Stato George McGhee del 1951, secondo cui “in questi tempi difficili, è gratificante poter individuare una regione di dieci milioni di miglia quadrate in cui il comunismo non ha compiutoprogressi significativi, ed essere in grado di caratterizzare tale regione come relativamente stabile esicura”14.Il Rapporto Nixon evidenzia il sostegno americano alla politica di autodeterminazione del popolo africano, sollevando due aspirazioni fondamentali, relative al futuro dell’Africa: in primo luogo, la liberazione del continente dalla rivalità delle due superpotenze in modo da poter, in secondo luogo, acquisire ancor più rilevanza all’interno della comunità internazionale. In tal modo l’Africa non avrebbe rappresentato più solo un valido partner commerciale, ma avrebbe potuto svolgere anche un ruolo decisivo per il mantenimento di una pace duratura nel mondo15.

Tra le principali sfide rientrava la cooperazione per assicurare un rapido ed efficace sviluppo economico, al fine di aiutare il popolo africano a migliorare le proprie condizioni di vita, nonché liberare l’Africa dalla povertà, dalle malattie e dalla dipendenza economica e politica di potenze straniere. Come affermò il Segretario di Stato Rogers, durante una visita in Etiopia il 12 febbraio 1970, “in quanto nazione sviluppata ed industrializzata, abbiamo il dovere di contribuire allo sviluppo economico dell’Africa; a tal fine, nonostante le nostre risorse e capacità non siano illimitate, continueremo a ricercare i mezzi necessari, sia direttamente che attraverso la collaborazione con altre nazioni”16.

La seconda sfida degli anni Settanta era quella di evitare che il processo di integrazione tra popoli e culture disomogenee provocasse le tensioni ed i conflitti verificatesi in Congo ed in Nigeria (Zamponi 2006). Gli Stati Uniti sostennero il diritto all’indipendenza africana, non intervenendo, tuttavia, negli affari interni di ogni singola nazione, rispettando, dunque, l’integrità politica nazionale, a meno che non vi fosse la necessità di un intervento umanitario per porre fine alle sofferenze della popolazione civile17.

Come emerge dalla relazione al Congresso del 9 febbraio 197218, il Presidente Nixon espresse le proprie preoccupazioni circa i problemi che l’Africa Subsahariana si trovava ad affrontare, auspicando che le iniziative della politica americana potessero agevolare il progresso economico ed assicurare giustizia sociale19.

Nel rapporto al Congresso del 25 febbraio 197120, Nixon evidenziò il ruolo della diplomazia americana nel continente africano finalizzato alla creazione di un rapporto onesto con il popolo e con i governi e sostenuto da numerosi viaggi, affrontati personalmente dal Presidente, e dagli incontri con i delegati di circa 14 nazioni africane. Erano due i problemi principali che il continente africano doveva affrontare: in primo luogo, la scarsità di risorse economiche e di manodopera qualificata; quindi, la presenza, soprattutto nella parte meridionale del continente, di minoranze intransigenti nei confronti della maggioranza nera, nella ricerca di una piena partecipazione politica ed economica21.

Il processo di modernizzazione dell’Africa si diffondeva più rapidamente rispetto ai mezzi a disposizione per garantire la sua realizzazione. Per tale ragione, numerosi Stati africani (Nigeria, Congo, Madagascar, Camerun, Kenya, Ghana, Uganda, Angola, Mozambico, Rhodesia, Zimbabwe, Namibia, Zaire, Zambia, Tanzania) (Pallotti 2013) dovettero scegliere tra l’adozione di politiche di cooperazione con orizzonti di crescita economica e la gelosa custodia della sovranità assoluta22.

Tuttavia, sebbene la politica di Washington fosse orientata verso i nobili obiettivi dell’autonomia, della libertà, della democrazia e dei diritti umani, tali ideali furono messi in secondo piano dal timore dell’avanzata comunista, e la politica africana degli Stati Uniti, nell’epoca bipolare, considerò l’Africa come una semplice scacchiera le cui pedine erano rappresentate dagli Stati africani stessi (Pallotti, Zamponi 2010). Pur sostenendo a parole l’indipendenza delle colonie portoghesi e mantenendo un freddo distacco dalla politica di assimilazione di Lisbona, il Presidente Nixon non esitò, nel 1971, a fornire assistenza militare, per cinque anni, al regime portoghese di Salazar al fine di ottenere basi militari nelle Azzorre, indispensabili per i rifornimenti dei lunghi voli intercontinentali. In cambio, Nixon accordò un prestito al Portogallo di 436 milioni di dollari (Price 1977). In questo contesto, molti leaders africani approfittarono dello scontro tra i blocchi per ricevere aiuti da entrambi gli schieramenti, con comportamenti ambigui che facevano leva sulla rivalità tra le due sfere d’influenza (Zamponi 2012).

Durante l’Assemblea delle Nazioni Unite, nel 1970, gli Stati sviluppati promisero di destinare lo 0,7% del PNL all’Official Development Assistance (ODA). Venne riconosciuta, così, la fondamentale importanza del trasferimento di risorse finanziarie, da parte dei Paesi economicamente avanzati, nei confronti dei Paesi in Via di Sviluppo, fornite sotto forma di aiuto pubblico allo sviluppo23. Emerge, quindi, che gli anni del conflitto bipolare sono stati caratterizzati da una massiccia tendenza a fornire aiuti economici, i quali, però, avevano chiare implicazioni geopolitiche. Il dibattito congressuale servì a stabilire la necessità di ridefinire gli obiettivi e le tecniche di aiuti esteri24. La riforma del sistema di distribuzione di aiuti economici e commerciali fu criticata e respinta dai Paesi del Terzo Mondo, che esortarono gli Stati Uniti ad ampliare l’utilizzo degli investimenti privati, proponendo un nuovo ordine economico internazionale basato sulla regolamentazione delle forze del mercato globale nell’interesse del processo di sviluppo, mediante un programma di sussidi e sostegno alle esportazioni (Donno, Iurlano 2010).

I critici di tale proposta, come Nicholas Eberstadt25, sostennero che si trattava di un tentativo di sovvertire l’ordine economico liberale internazionale, aumentando, invece, la capacità degli Stati e l’autorità dei loro capi, di pianificare la propria economia locale, a spese dell’Occidente.

Nel 1973 venne emanato l’U.S.Foreign Assistance Act26, basato sui principi di sviluppo e cooperazione americani con i Paesi in Via di Sviluppo e rientrante nell’ambito delle riforme messe in atto agli inizi degli anni Settanta dagli Stati Uniti27, volte a garantire e promuovere i diritti ed i bisogni fondamentali delle popolazioni sottosviluppate, attraverso la fornitura di cibo, medicine e la costruzione di infrastrutture, in particolar modo nelle zone rurali28.

Nel 1970, gli Stati Uniti si rivolsero alla Banca Mondiale e alle agenzie economiche internazionali per l’erogazione multilaterale di aiuti finanziari. Durante il mandato di McNamara29 presso la Banca, dal 1970 al 1981, i tassi di incremento relativi ai prestiti statunitensi subì un incremento vertiginoso, passando da 883 milioni di dollari a 12 miliardi di dollari30.

Il picco di erogazione di assistenza economica e militare, che si è verificato, in particolar modo nel triennio 1971-1973, può essere attribuito alla “Dottrina Nixon” (Sorely 1983). Simile al “New Look” messo a punto dal Presidente Eisenhower31, la Dottrina Nixon aveva l’obiettivo di aumentare la sicurezza americana mediante un significativo incremento delle attrezzature militari e l’erogazione di borse di studio per le truppe statunitensi (Clarke, O’ Connor 1997). L’Amministrazione Nixon, così come le precedenti, si impegnò a fornire assistenza allo sviluppo, utilizzando le risorse finanziarie per dimezzare la povertà africana e per investire in progetti nel campo delle infrastrutture rurali ed urbane, dell’agricoltura, della salute, dell’educazione di base e specialistica, del miglioramento delle condizioni economiche, dell’eliminazione di ostacoli all’investimento privato, dello sviluppo di crediti agevolati, dell’aiuto alle organizzazioni della società civile africana, della leadership, delle istituzioni e delle ricerche e nell’apertura dei mercati all’esportazione32.

Dal 1960 ad oggi, l’Africa ha assorbito aiuti finanziati equivalenti a sei Piani Marshall. Tuttavia, le condizioni economiche e sociali, stagnanti, non hanno consentito al continente africano di sfruttare tali aiuti per creare condizioni di sviluppo e benessere a vantaggio dell’intera popolazione. Il sostegno economico e militare, pur inteso a proteggere ed aiutare gli Stati africani finì per distruggerli.Le guerre intestine scoppiate in Africa all’atto dell’indipendenza o nel corso del riassetto dei territori presentarono evidenti incroci con la direttrice Est-Ovest, anche se predominarono motivi interni. Le guerre in Africa reclutavano etnicismi e reti clientelari, ricorrevano a sostegni o aiuti esterni solo in via subordinata. Anche le guerre di secessione, mal sopportate perché sfidavano l’intangibilità delle frontiere, assunta come regola aurea dall’ordine africano, rientrarono nella dialitica tra processi di state-building e pressioni internazionali. Le potenze coloniali presidiavano gli ex-imperi ed aggiornavano le alleanze che perpetuavano la loro egemonia (Dumoga 1969). Gli Stati Uniti avevano a disposizione un ampio armamentario, dalle operazioni clandestine ai finanziamenti della Banca mondiale, per sostenere la loro espansione economica, politica e militare33.

Sul principio della sovranità e integrità territoriale dei Paesi in Via di Sviluppo, Usa e Urss avevano una linea molto simile. La crisi del Congo al momento della proclamazione dell’indipendenza fu un test importante anche per l’Onu, che allestì la prima operazione di grandi dimensioni in un paese del Terzo Mondo.

Durante il conflitto in Nigeria, scatenatosi a causa della proclamazione di indipendenza della regione orientale con il nome di Biafra, separata dal resto del paese, le divisioni della Guerra Fredda si presentarono sfuggenti o trasversali: con il governo federale si schierarono la Gran Bretagna e l’Urss, mentre il secessionismo degli Ibo fu incoraggiato ed aiutato da una coalizione impropria in cui figuravano alcune compagnie private (come la Union Carbide, la Foote Mineral, la General Motors, Polaroid), la Francia per smembrare o indebolire il “gigante anglofono” a favore dei suoi troppo piccoli clienti e il Vaticano per tutelare i cristiani del Delta dal predominio dell’oligarchia musulmana del Nord (Bellucci 2006).

Più evidente è stata la sovrapposizione del rapporto Est-Ovest nel Corno d’Africa, sia pure con l’impegno di Etiopia e Somalia a farsi garantire dalle potenze esterne i propri progetti nazionali piuttosto che subire i disegni globali delle superpotenze (Pierri 2008).

La fine della Guerra Fredda si rivelò a doppio taglio per la collocazione dell’Africa sulla scena internazionale. Dopo essersi cimentata come parte attiva o passiva nella tensione fra Est ed Ovest, l’Africa dovette confrontarsi con le gerarchie ed i divari a tutto campo che caratterizzavano la globalizzazione, partendo da una posizione di oggettiva debolezza. Con il disfacimento del sistema socialista e l’unificazione del mercato globale, l’ordine post-bipolare erose la piattaforma morale e concettuale del non-allineamento, cessò lo scontro di potenza, che infiammò i conflitti, ma anche la concorrenza fra le grandi potenze nel provvedere ai bisogni dei Paesi in Via di Sviluppo. La fine del sistema a due blocchi provocò nuove riflessioni sulle problematiche proposte da uno stato di crisi generale degli Stati africani, nel contesto del mutamento delle politiche internazionali: primato dell’Occidente senza rivali, nuova rilevanza geo-strategica dell’Africa nella guerra globale contro il terrorismo, riemergere delle rivalità interne a ciascun’entità statuale che pongono all’Onu e all’UA (erede riformata dell’Oua) crescenti problemi di innovazione delle modalità di intervento, per proteggere le popolazioni civili e al contempo ricomporre la stabilità politica interna. L’Africa, lungi dall’essere marginale nel contesto post Guerra Fredda, si impone come regione di rilevante interesse strategico, di nuovo terreno di competizione fra Occidente e paesi emergenti, Cina in primo luogo, per il controllo di risorse, in specie quelle energetiche (Gentili 2010).

 

Ambiguità diplomatica o realismo politico?

La storiografia delle relazioni tra gli Stati Uniti e il Sud Africa durante la Presidenza Nixon è risultata prevalentemente critica nei confronti della politica adottata dal Presidente. Numerosi studiosi, infatti, hanno condannato l’ipocrisia delle parole e delle azioni che sembravano avvicinare gli Stati Uniti ai governi africani che praticavano una politica di discriminazione razziale (Lake 1973). La politica estera americana, durante gli anni della Presidenza Nixon, è stata spesso accusata di aver sostenuto il regime di minoranza bianca a scapito degli interessi dei neri, nonché di essere stata guidata dal desiderio egoistico di mantenere una “morsa imperialista” all’interno del paese (Sparks 1990); di essersi mostrata, dunque, indifferente nei confronti del problema dell’apartheid, rafforzando le relazioni economiche e militari con i governi africani che praticavano tale politica di discriminazione razziale ed abbandonando, così, le questioni morali per concentrarsi sugli interessi strategici e le preoccupazioni di stabilità (Brandon 1974), tanto da ricevere l’appellativo di “Tar Baby”, in quanto si riteneva che l’Amministrazione americana fosse rimasta intrappolata in una miope ed ipocrita politica estera che impedì ai neri africani di lottare per l’uguaglianza, rafforzando al contempo la politica di apartheid. Nixon non poteva non condividere la posizione di Kissinger secondo cui, in fondo, l’interesse di Washington per il Sudafrica era strategico, mentre le questioni dell’ apartheid avevano un rilievo del tutto marginale nel frangente sempre più pressante del confronto con Mosca nella regione34. La capacità dell’Unione Sovietica di attirare a sé i movimenti di liberazione dei neri, giocando la carta ideologica, poneva Mosca in una posizione favorevole nei confronti di Washington, arroccata nella difesa di un regime razziale, ormai biasimato da gran parte degli Stati del mondo (Zamponi 2009).

L’opzione “Tar Baby35 emerse all’interno del National Security Study Memorandum 39, considerato il documento ufficiale della politica dell’Amministrazione Nixon nelle relazioni con il Sud Africa. Il “Tar Baby” può essere considerato una trappola all’interno della quale gli Stati Uniti rimasero bloccati, con gravi implicazioni per gli sforzi di liberazione da parte del Sud Africa.

Il mantenimento di buone relazioni tra gli Stati Uniti ed il governo sudafricano avrebbe assicurato interessi strategici nella regione, in particolare l’estrazione di uranio e cromo, considerate materie prime indispensabili per la produzione di armi nucleari, al fine di rafforzare l’arsenale nucleare americano ed ostacolare, al contempo, gli analoghi sforzi da parte dell’Unione Sovietica (Borstelmann 2001).

Dunque, la principale critica rivolta alle azioni che caratterizzarono la politica nixoniana negli anni Settanta riguardò la scarsa attenzione posta nei confronti della questione razziale, che lasciò ampio spazio al tema del comunismo e del timore di infiltrazioni comuniste, cose che, al contrario, dominarono l’agenda politico-diplomatica statunitense (Borstelmann 1993).

Nella guerra al comunismo ed all’Unione Sovietica gli Stati Uniti necessitavano di alleati (Bissel 1982), e nel mondo bipolare che caratterizzava la guerra fredda il governo sudafricano rappresentava un forte e tenace difensore del capitalismo.

Tra il 1968 ed il 1974, il sistema internazionale fu dominato dalla sensazione che le superpotenze, dopo aver creato le condizioni per la coesistenza competitiva, volessero trovare le regole della collaborazione o, addirittura, quelle di un “governo” comune del sistema internazionale (Williams 1985); una politica di potenza così accuratamente misurata da offrire, come Henry Kissinger aveva scritto in un celebre saggio sulla diplomazia di Metternich, l’accoglimento dei “valori critici” (Kissinger 1994), ossia degli interessi non rinunciabili, di tutti i maggiori soggetti internazionali, per evitare che questi, spinti fuori dal sistema relazionale, assumessero posizioni eversive, ossia destabilizzanti: è questo il trionfo della diplomazia come strumento migliore per governare la vita internazionale (Kissinger 1969).

 

Biografia

Ida Libera Valicenti (Policoro 1985) svolge attualmente un dottorato di ricerca in “Studi Politici”, indirizzo “Storia delle Relazioni Internazionali” presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” ed è stata borsista presso la Facoltà di Storia dell’Università di Bucarest. Ha conseguito la laurea specialistica in Scienze Politiche, Comunitarie e delle Relazioni Internazionali (Università del Salento) con tesi in Analisi del linguaggio politico e conseguito un diploma di master in Studi Diplomatici presso la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale di Roma. È, attualmente, direttore dell’Università Popolare del Pollino, con sede in Senise – Potenza. Ed è autore di: Dalla polis greca all’E-democracy, Collana GNOSEIS, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2014; Un espisodio poco conosciuto degli anni della seconda guerra mondiale: l’eccidio dei pugliesi di Crimea (1942 – 1945), in “Eunomia”, anno III, n. 1, giugno-luglio 2014; Stanley Hoffman e il dilemma della guerra fredda, Collana INERPOLIS, Edizioni Nuova Culura, Roma, 2014 – in pubblcazione.  

Biography

Ida Libera Valicenti (Policoro, 1985), is a PhD candidate in “Political Studies”, curricula “History of International Relations”, at the University “La Sapienza” of Rome. She is a scholarship holder at the Faculty of History of the University of Bucharest. She has awarded MA in Political Science and International Relations (University of Salento – Lecce), and she has achieved Master Degree in Diplomatic Studies at the SIOI (Italian Society of International Organization) of Rome. Actually she is Director of the Popular University of Pollino, in Senise – Potenza. She is also author of: Dalla polis greca all’E-democracy, Collana GNOSEIS, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2014; Un espisodio poco conosciuto degli anni della seconda guerra mondiale: l’eccidio dei pugliesi di Crimea (1942 – 1945), in “Eunomia”, anno III, n. 1, giugno-luglio 2014; Stanley Hoffman e il dilemma della guerra fredda, Collana INERPOLIS, Edizioni Nuova Culura, Roma, 2014 – being published.

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  1. Cfr. Memorandum by the Consul General at Leopoldville, December 28 1955, Foreign Relations, 1969-1973, in FRUS, Documents on Africa, 1973-1976, in http://www.state.gov/docuements/organization/56990.pdf. []
  2. Cfr., The Vice-President’s Report to the President on Trip to Africa, February 28-March 21, 1957, NARA, College Park, Record Group 59, April 7, 1957. []
  3. Cfr. N.J. HASHTON, Harold MacMillan and the Golden Days of Anglo-American Relations, 1957-1963, in http://eprints.Ise.ac.uk/archive/00000740. []
  4. Il Department’s Bureau of African Affairs è una divisione del Dipartimento di Stato americano la cui principale funzione è di consigliare il Segretario di Stato su questioni relative all’Africa Subsahariana. L’ufficio di presidenza ricerca soluzioni in tre aree chiave, quali il consolidamento delle conquiste democratiche tra le nazioni africane, l’espansione della crescita economica e la limitazione dell’espansione di gravi malattie. []
  5. Cfr. Memorandum From Roger Morris of the National Security Council Staff to the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger), Washington, May 13, 1969, in FRUS, Documents on Africa, 1969-1972, in http://www.state.gov/documents/organization/54520.pdf. []
  6. Cfr. National Security Memorandum, Foreign Relations, 1961-1963, Africa Region, Washington, February 13, 1961, in http://www.state.gov/r/pa/ho/frus/kennedyjf/50755.htm.

    L’intraprendenza degli Stati Uniti è stata più marcata nei possedimenti di paesi deboli come il Belgio, l’Italia e il Portogallo, che non vantavano un’adeguata strumentazione al servizio del neo-colonialismo. []

  7. Cfr. National Security Study Memorandum 201, Military Assistance and Arms Policy in Black Africa, Washington, 25 April, 1974, in http://www.nixonlibrary.gov/virtuallibrary/nssm/nssm_201.pdf. []
  8. 1 Cfr. National Security Study Memorandum 39, Southern Africa, cit., in http://www.nixonlibrary.gov/virtuallibrary/documents/nssm/nssm_039.pdf. []
  9. 2 Cfr. House Of Representatives, Report on Civil Rights Congress as a Communist Front Organization. Investigation of UN-American Activities in the United States, Committee on UN-American Activities, 18th Congress, 1st Session, 1945, in http://www.house.gov. []
  10.   []
  11. 3 Cfr. House Of Representatives, Report on Civil Rigths Congress as a Communist Front Organization. Investigation of UN-American Activities in the United States, Committee on UN-American Activities, 18th Congress, 1st Session, 1945, in http://www.house.gov.

    [1] Cfr. Memorandum From the Executive Secretary of the Department of State (Eliot) to the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger), Washington, June 1, 1973, in FRUS, Documents on Africa, 1969-1972, in http://www.state.gov/documents/organizations/66683.pdf. []

  12. Cfr. U.S. Foreign Policy for the 1970’s Building for Peace, A Report to the Congress by Richard Nixon, President of the United States, February 18, 1970, Foreign Relation, 1969-1973, in FRUS, Documents on Africa, 1969-1973, in http://www.state.gov/documents/organizations/54804.pdf. []
  13. Ibidem. []
  14. Ibid. []
  15. Ibid. []
  16. Cfr. U.S. Foreign Policy for the 1970’s Building for Peace, A Report to the Congress by Richard Nixon, President of the United States, February 18, 1970, Foreign Relations 1969-1973, in FRUS, Documents on Africa, 1969-1972, in http://www.state.gov/documents/organizations/54804.pdf. []
  17. Ibidem. []
  18. Cfr. U.S. Foreign Policy for the 1970’s, The Emerging Structure Of Peace, A Report to the Congress by Richard Nixon, President of the United States, February 9, 1972, Foreign Relations, in FRUS, Documents on Africa, 1969-1972, in http://www.state.gov/documents/organizations/53539.pdf. []
  19. Ibidem. []
  20. Cfr. United States Foreign Policy for the 1970’s, The Emerging Structure of Peace, A Report to the Congress by Richard Nixon, President of the United States, February 25, 1971, Foreign Relations, in FRUS, Documents on Africa, 1969-1972, in http://www.state.gov/documents/organizations/54531.pdf. []
  21. Cfr. Memorandum from the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger) to President Nixon, Washington, January 28, 1969, Foreign Relations, in FRUS, Documents on Africa, 1969-1972, in http://state.gov/documents/organizations/54569.pdf.

    25 Cfr. Briefing Memorandum from the Assistant Secretary of State for African Affairs (Newsom) to Secretary of State Kissinger, Washington, October 5, 1973, Foreign Relations of the United States, 1969-1976, in FRUS, Documents on Africa, 1973-1976, in http://history.state.gov/historicaldocuments/frus1969-76ve06/d11. []

  22.   []
  23. Cfr. Memorandum From the Executive Secretary of the Department of State (Springsteen) to the President’s Deputy Assistant for National Security Affairs (Scowcroft), Washington, August 29, 1974, Foreign Relations, 1969-1976 in FRUS, Documents on Africa, 1973-1976, in http://www.state.gov/documents/organization/66705.pdf. []
  24. Cfr. National Security Study Memorandum 89, U.S. Policy for Southwest Africa, Washington, February 12, 1970, in http://www.nixonlibrary.gov/virtuallibrary/nssm/nssm_089.pdf. []
  25. Cfr. il numero monografico di “Issue: A Journal of Opinion”, V, 3, Autumn 1975. []
  26. Cfr. Memorandum From the Deputy Assistant of State for African Affairs (Ross) to the Under Secretary of State for Security Affairs (Tarr), Washington, April 10, 1973, Foreign Relations, 1969-1976, in FRUS, Documents on Africa, 1973-1976, cit., in http://www.state.gov/documents/organization/66682.pdf. []
  27. Cfr. National Security Study Memorandum 4, U.S. Foreign Aid Policy, January 21, 1969, in http://www.nixonlibrary.gov/virtuallibrary/documents/nssm/nssm_004.pdf. []
  28. Cfr. Foreign Relations, 1969-1976, Documents on Africa, 1973-1976, Memorandum From the Executive Secretary of the Department of State (Eliot) to the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger), Washington, June 1, 1973, in FRUS, Documents on Africa, 1973-1976, in http://www.state.gov/documents/organizations/53903.pdf. []
  29. Robert McNamara occupò la carica di Segretario della Difesa degli Stati Uniti dal 1961 al 1968. []
  30. Cfr. Department Of Defence, The McNamara Era, Washington, 1970, in http://www.americanforeignrelations.com/A-D/Department-of-Defence-The-mcnamara-era.html. []
  31. All’inizio del 1953, l’Amministrazione Eisenhower, grazie anche alle idee ed ai suggerimenti di John Foster Dulles, propose il New Look, che segnò l’avvio di una profonda riflessione sulla strategia nucleare degli Stati Uniti e segnò l’inizio di una nuova politica estera, che abbandonava definitivamente i principi del containment, patrocinati dal presidente Truman, ed assumeva una condotta molto più rigida nei confronti dell’Unione Sovietica: una condotta definita di roll back, con l’obiettivo di far “rotolare all’indietro” il comunismo. []
  32. 8 Cfr. Foreign Relations, 1969-1976, Documents on Sub-Saharian Africa, 1969-1972, U.S. Foreign Policy for the 1970’s: Building for Peace: A Report to the Congress by Richard Nixon, President of the United States, Washington, February 25, 19 71, Foreign Relations, 1969-1976, in FRUS, Documents on Sub-Saharian Africa, 1969-1972, in http://www.state.gov/documents/organization/54531.pdf. []
  33. Cfr. Memorandum From the Assistant Secretary of Defence for International Security Affairs (Warnke) to the Deputy Secretary of Defence (Nitze), Washington, January 13, 1969, in FRUS, in FRUS, Documents on Africa, 1969-1972, in http://www.state.gov/documents/organization/54010.pdf. []
  34.   []
  35. L’opzione “Tar Baby” è una delle sei opzioni presentate nel National Security Study Memorandum 39, che valutavano un ventaglio di possibili interventi americani nell’Africa Australe, sulla base di una prudente ed attenta valutazione degli interessi statunitensi nell’area e degli eventuali rischi connessi. Tra le opzioni, la più favorita fu, appunto, la “Tar Baby” (letteralmente “bambola di pece”) e si riferisce al racconto di Br’ er Rabbit e di Br’ er Fox in Uncle Remus: His Songs and His Sayings (1880) di Joel Chandler Harris. L’appellativo “Tar Baby” dato alla politica afro-australe dell’Amministrazione Nixon-Kissinger stava ad indicare il fatto che, come Br’ er Rabbit, l’Amministrazione rimase intrappolata in una scelta miope e ipocrita. []