Roberto Bruno, Ci chiamano barbari. Lotte sociali e movimento sindacale in Sicilia nel secondo dopoguerra (1943-1950) Roma-Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, 2011, pp. 287

di Salvo Torre

Il volume scritto da Roberto Bruno è denso di stimoli intellettuali e di riflessioni di ampio respiro, affronta l’analisi della difficile costruzione delle organizzazioni sindacali nel dopoguerra in Sicilia, partendo dalle peculiarità storiche di una struttura sociale e territoriale complessa, definita dalla presenza di un forte policentrismo urbano e da una distribuzione disomogenea delle attività economiche. Ciò che emerge dalla lettura del testo ha però anche un notevole valore per la comprensione dell’insieme dei percorsi della società italiana. Si può considerare infatti come campo privilegiato di indagine del volume l’interpretazione dell’ampio ed inedito processo di costruzione della democrazia, che ha determinato buona parte della storia successiva della Repubblica e che si è realizzato attraverso il conflitto tra le organizzazioni sindacali e il potere locale. I risultati dello studio rendono visibili non solo le modalità con cui si organizzò una struttura sindacale che per le proprie peculiarità poteva essere considerata un fenomeno inedito nell’isola del secondo dopoguerra, ma anche un insieme di vicende che rappresenta probabilmente uno dei nodi fondamentali per la costruzione della nuova società.

Il quadro che emerge è dunque innovativo rispetto a molte interpretazioni consolidate, soprattutto per la capacità di chiarire la consapevolezza politica che possedeva gran parte degli attori delle vicende narrate. I conflitti sindacali rappresentavano infatti in termini espliciti il luogo di edificazione di un sistema in cui il lavoro avrebbe dovuto possedere uno statuto diverso da quello che la società italiana aveva imposto nell’ultimo secolo, ne consegue che rispondere all’esigenza di ridefinire il ruolo del lavoro significava proporre un nuovo modello di organizzazione sociale.

Il lavoro di Roberto Bruno condensa dunque molte problematiche interpretative e pone domande forti a chi si occupa dell’analisi delle organizzazioni sindacali contemporanee. Tra le principali c’è sicuramente quella relativa al problema del fallimento storico, quel processo che ha portato alla crisi del movimento sindacale che l’autore colloca alla fine degli anni Quaranta del Novecento; periodo segnato nell’intero paese dalle scissioni sindacali, ma nel Meridione soprattutto dall’esplosione dei tassi migratori. Le lotte sindacali del dopoguerra avevano infatti l’intento tangibile di garantire un progresso generale delle condizioni di vita dei lavoratori e l’autore riesce a dimostrare come vi fosse un preciso dibattito all’interno del movimento sindacale che ruotava intorno al contrasto tra tale finalità e la realtà della Sicilia di quegli anni. Particolare è proprio l’individuazione della conclusione del dopoguerra nell’affermarsi di tale fenomeno, soprattutto per la possibilità di usare il conflitto sindacale come chiave di lettura dell’intera storia dell’isola. La migrazione segnò la conclusione dell’intera vicenda, colpì duramente tutte le categorie di lavoratori e gli stessi sindacalisti, finendo per sottolineare come la crisi strutturale dell’economia locale, sottovalutata dai ceti dirigenti, fosse in grado di chiudere definitivamente anche processi di lunga durata.

Ciò che viene tracciato nel volume è dunque un quadro complesso in cui l’organizzazione delle rivendicazioni bracciantili segna l’interpretazione storiografica del dopoguerra, rappresentando di fatto la punta delle rivendicazioni sindacali, ma anche l’elemento ispiratore sotto il profilo delle forme di organizzazione della contrattazione e della protesta e fornendo in buona parte un nuove ceto politico dirigente. Il comparto agricolo fornì infatti la quota preponderante dei gruppi dirigenti sindacali, ma determinava anche una buona parte delle relazioni nazionali, preparava inoltre il sostrato politico dell’intera esperienza sindacale. La rilevanza dell’organizzazione agricola, sotto il profilo della presenza numerica e politica, non rappresentava però un limite alla diffusione urbana; al contrario un fenomeno particolare individuato dall’autore sembra essere proprio la capacità che possedevano le rivendicazioni espresse nelle aree periferiche ed agricole di affermarsi nelle aree urbane maggiori, a volte di condizionare l’esperienza delle altre categorie di lavoratori, ribaltando le tradizionali relazioni tra centro e periferia.

Tale caratteristica movimentista rafforzava tutte le organizzazioni di categoria che agivano all’interno dei grandi conflitti sociali delle aree urbane siciliane, riuscendo a tracciare anche un metodo di difesa dalla dura repressione a cui andarono incontro tutte le forme di protesta di quegli anni. Una quota dell’attento lavoro dell’autore è dedicata a ricollocare anche il movimento sindacale nell’alveo della conflittualità aperta e diffusa che caratterizzava in modo nuovo il dopoguerra siciliano. Esisteva dunque una dimensione antisindacale diffusa, sottolineata nel volume dalla lettura di diversi documenti, che di fatto finì con il rappresentare il sostrato di azione degli omicidi politici realizzati dalle organizzazioni mafiose.

Nel complesso il volume è evidentemente il risultato di un notevole sforzo di indagine che possiede un’indubbia solidità scientifica, ma soprattutto rappresenta anche una chiave di ingresso alla lettura delle fonti provenienti dagli archivi sindacali, che per la loro natura sono ancora una fonte di informazioni poco privilegiata dagli studi storico-politici. Il confronto realizzato dall’autore con la documentazione proveniente dagli archivi istituzionali riesce inoltre a rendere chiaro un quadro articolato in cui spesso le fonti sono fortemente in contraddizione tra loro.

Le inchieste parlamentari condotte nei primi anni Cinquanta descrivono, ad esempio, in modo preciso le condizioni di vita della popolazione, ma si pongono chiaramente in opposizione alle letture espresse dal mondo sindacale. Come sottolineato nel testo, tale conflittualità riesce a spiegare quali fossero le motivazioni di fondo delle rivendicazioni degli anni precedenti, ma anche a quali risultati aveva condotto il fallimento delle lotte sindacali. La nuova lettura proposta da Roberto Bruno permette infatti di riallineare il caso siciliano, con tutte le peculiarità che sono state oggetto di svariati studi, ai processi europei dell’epoca, ricollocando la storia delle organizzazioni sindacali isolane tra quelle delle aree agricole periferiche e euromediterranee. Una breve fase, contenibile in meno di sette anni, tra il secondo conflitto e l’esplosione dei processi migratori, in cui l’espressione dei diritti si realizzava in un contesto di conflittualità forte, a volte armata, e in cui la principale novità era proprio la rivendicazione del ruolo del lavoro come processo costitutivo della nuova società.

Il testo si può quindi inserire a buon diritto tra quegli studi che negli ultimi anni stanno contribuendo a presentare un’idea diversa di cosa sia stato il secondo dopoguerra in Italia, come declinazione di differenze locali, ma anche come dimensione prolungata di instabilità del sistema sociale e istituzionale. Rimane ancora aperta la possibilità di accogliere il suggerimento, rivalutando il peso che l’esperienza della ricostruzione del movimento sindacale ha avuto nella costruzione stessa dell’identità repubblicana in Italia.