Territorio o nazione? Uno studio sul concetto di ojczyzna (patria) nella pubblicistica polacca di Vilna del primo Novecento

di Andrea Griffante

Abstract

Dopo l’insurrezione polacca del 1863, l’intellighenzia di lingua polacca dei territori dell’ex Granducato di Lituania divenne uno dei principali oggetti delle politiche repressive zariste. A inizio ’900, quando l’intellighenzia di lingua polacca poté ritornare alla politica attiva, la sua identità nazionale denotava significativi cambiamenti. Le trasformazioni sociali, la progressiva perdita di importanza del ceto dei boiardi, nonché l’apparizione di nuovi attori sociali e la politicizzazione dei movimenti nazionali di origine contadina (in primis, relativamente ai territori della Lituania storica, quello lituano) stimolarono l’adattamento delle categorie del linguaggio politico alla nuova situazione. Il concetto di patria (“ojczyzna”) registrò chiaramente i cambiamenti dell’autopercezione nazionale e territoriale dei soggetti di lingua polacca di quelle terre.

 

Abstract english

Territory or country? a study on the notion of ojczyzna (homeland) in the early 1900s poland

After the Polish uprising of 1863, the Polish-speaking intelligentsia living in the territory of the former Gran Duchy of Lithuania became the object of a repressive tsarist policy. At the beginning of the XX Century, when the Polish-speaking intelligentsia could finally participate in the active political life, its national identity had changed quite strongly. Social changes, the progressive transformation of a gentry-based social system as well as the emergence of new social actors and the politicization of national movements (first of all, of the Lithuanian one within the territories of historical Lithuania), stimulated the process of conceptual change in the local political discourse. The change of national and territorial self-perception was quite clearly recorded in the concept of fatherland (“ojczyzna”). 

Quali testimoni del passato storico e strumenti dialettici, i concetti impiegati nel discorso politico sono caratterizzati, come ebbe a osservare R. Koselleck, da una doppia dimensione. Da un lato, i concetti registrano lo “spazio di esperienza” ovvero il vissuto storico di una comunità linguistica. Dall’altro, essendo fondamento del discorso politico, i concetti divengono il ricettacolo dell’“orizzonte di aspettativa”, ossia registrano i nuovi spazi della progettualità sociale e politica (Koselleck 2007, 304-309). Nelle prossime pagine illustreremo come pur essendo legati a un campo semantico comune a tutta la comunità linguistica, i concetti siano oggetto di significativi mutamenti dipendenti dallo specifico contesto storico, sociale e politico in cui essi vengono utilizzati. Più precisamente, illustreremo come nell’intervallo 1905-1915 il concetto di ojczyzna (patria) utilizzato nella stampa di Vilna abbia registrato significativi cambiamenti connessi al mutamento dei rapporti sociali ed economici nei territori dell’ex Granducato di Lituania (Gdl).

L’intervallo analizzato è stato scelto per due motivi. In primo luogo, esso rientra nel periodo (1890-1920) recentemente indicato da K. Palonen (2005) come centrale per la trasformazione delle basi concettuali del discorso politico in Europa. In secondo luogo, tale periodo coincide con la nascita delle prime formazioni politiche moderne nel Severo-zapadnii krai (Territori del Nordovest)1 e con la parziale liberalizzazione del regime politico della Russia zarista. Già negli anni a cavallo tra XIX e XX secolo, i territori della Lituania propria2 (Medišauskienė 1999) avevano visto la nascita dei primi partiti politici etnicamente lituani, il Partito socialdemocratico lituano (1896) e il Partito democratico lituano (1902). Nello stesso torno di anni, il Partito socialista polacco aveva visto la luce proprio a Vilna e contendeva il predominio sulle masse locali ai socialdemocratici lituani. Nella stessa Vilna, uno dei più importanti centri ebraici dell’Europa orientale, era nato nel 1897 il Bund, il movimento socialista ebraico. A Vilna, inoltre, si era formato il primo piccolo movimento nazionale bielorusso. Accanto alla nascita di varie altre piccole formazioni politiche, i primi anni del ’900 videro anche la rinascita dell’attivismo dei membri del ceto dei boiardi dopo quarant’anni di forzato silenzio. In particolare, la revoca del divieto di stampa del lituano in caratteri latini nel 1904 e la prima concessione per la stampa in loco di un quotidiano in lingua polacca dopo quarant’anni (Kurjer Litweski, 1905), segnarono la rinascita del discorso pubblico nel Severo-zapadnii krai e riassegnarono a Vilna il ruolo di principale centro editoriale e intellettuale della regione. L’analisi del concetto di ojczyzna limitatamente alla stampa vilnense d’inizio ’900 permette di analizzare i mutamenti dell’identità degli intellettuali di lingua polacca in un contesto locale, quello del Severo-zapadnii krai, caratterizzato da una specifica e crescente frammentazione nazionale e politica.

Del contesto linguistico

Nel contesto socio-linguistico polacco dell’800, il concetto di patria (ojczyzna) era andato subendo un processo di trasformazione che ancora all’inizio del ’900 non poteva dirsi concluso. Durante i secoli di esistenza della Repubblica nobiliare polacco-lituana, pur essendo culturalmente e linguisticamente polacca, la classe nobiliare del Gdl si caratterizzò per uno spiccato senso di identità regionale. Lungi dal frazionare la totalità, il senso di appartenenza territoriale ampliava lo spettro dell’identità politica polacca, strutturandola secondo un modello a doppio registro che sottolineando l’identità regionale, non intaccava l’unità del corpo politico della nazione (Bardach 1988). In tal senso, l’identità della classe politica del Gdl, riassunta nel celebre motto Gente Lithuanus, Natione Polonus, accentuando l’appartenenza storica e territoriale dei suoi membri al Granducato, non ne metteva in discussione la partecipazione a una comune nazione politica. Durante l’esistenza della Repubblica nobiliare, il concetto di ojczyzna riassunse la struttura complessa di tali legami.

Le spartizioni della Polonia-Lituania e la nuova organizzazione amministrativa delle terre toccate alla Russia sancirono la separazione dei territori dell’ex Gdl dalle altre terre della Polonia zarista. Se il mutato contesto implicò, specialmente dopo il fallimento delle insurrezioni del 1831 e del 1864, il progressivo decadimento delle prerogative politiche del ceto nobiliare, esso non comportò netti cambiamenti nella definizione dell’identità territoriale dei suoi membri. Significativamente, poco prima dell’insurrezione del 1864, il Dizionario della lingua polacca definiva l’ojczyzna come “Il territorio (kraj), la terra (ziemia) in cui qualcuno è nato e a cui lo lega la famiglia, il vicinato, la nazione tutta (cały naród), gli usi, le leggi e i costumi” (Słownik języka polskiego 1861, 592). L’ojczyzna continuava a rappresentare l’insieme dell’identità regionale (“il territorio”, “la terra”), senza che ciò rompesse il legame con la nazione politica, garantito attraverso i legami familiari e i vincoli sociali. Pur risentendo del crescente influsso del concetto etnico, il termine naród (nazione) continuava altresì a indicare “il ceto di origine (stan urodzenia)”, (Słownik języka polskiego 1861, 733).

All’inizio del XX secolo, nonostante il campo semantico dell’ojczyzna apparisse ancora legato alla genealogia familiare e il termine venisse presentato come “il territorio natale (kraj rodzinny), la terra dei padri (ziemia ojczysta)” (Karłowicz, Kryński, Niedźwiedzki 1904), la mancanza di riferimenti espliciti alla nazione testimonia dei cambiamenti sociali intervenuti nella società di lingua polacca dell’epoca. Con il venir meno delle lealtà cetuali, il naród aveva continuato a essere il soggetto della legittimità politica, ma era cambiato il suo contenuto. Suo fondamento, infatti, non erano più solamente le reti familiari sulla cui base il naród aveva espresso la volontà di un ceto fondato sul possesso della terra, ma con sempre maggior forza quella comunità storico-linguistica che aspirava a diventare il detentore dei diritti politici (Pepłowski 1961). La mancanza di riferimenti al naród nella definizione di ojczyzna non esprime tanto la mancanza di legami tra i due, (Wierzbicka 1999, 475), quanto piuttosto pone l’accento sulla instabilità semantica della seconda. Tale variabilità era stata causata, in primo luogo, dalle politiche di “russificazione” delle autorità zariste (Staliūnas 2007) e dalla messa in discussione dell’unità dei territori storici della Repubblica nobiliare per opera dei nuovi movimenti etno-nazionali. Dopo la repressione dell’insurrezione del 1863-1864 le autorità russe avevano introdotto nei confronti dei polacchi di tutti i territori dell’ex Rzeczpospolita limitazioni tali da decretare la quasi completa morte politica del ceto boiardo. Le politiche zariste si erano inoltre dirette verso una progressiva acculturazione della popolazione di lingua lituana e slava in chiara funzione antipolacca. La tendenza antipolacca propria del movimento nazionale lituano fin dalla sua fase culturale secondo-ottocentesca, andò concretizzandosi nei primi anni del XX secolo in forme politiche, finanche alla saldatura elettorale ebraico-lituana in occasione delle elezioni alla Duma di Stato (Staliūnas 1994a). In secondo luogo, le trasformazioni dell’ojczyzna erano derivate dalla crescente differenziazione della struttura economica dei territori dell’ex Gdl, in cui la persistenza di un’economica quasi esclusivamente agricola aveva maggiormente favorito il mantenimento delle élite economiche tradizionali, da quella dei territori del Regno di Polonia / Territori della Vistola, in cui l’industrializzazione aveva subito un fortissimo avanzamento.

Oltre il Granducato di Lituania: l’ojczyzna tra storia e nazioni

Nonostante lo sfaldamento della società cetuale e la lenta ma costante trasformazione del sistema delle lealtà politiche che l’Ottocento aveva accompagnato nelle terre occidentali della Russia zarista (Beresnevičiūtė-Nasálová 2001), il ceto fondiario di lingua polacca dei territori dell’ex Gdl aveva conservato parte dei suoi caratteri storici. Durante i secoli di esistenza della Repubblica delle due nazioni, il ceto boiardo del Gdl aveva identificato la propria ojczyzna con il territorio del Granducato (kraj), in particolar modo con le sue regioni storiche e con i legami familiari a esse connessi. Il kraj, a sua volta, si presentava legato all’ojczyzna “maggiore” ovvero ai vincoli politici e culturali del ceto nobiliare che riconoscevano nello Stato lituano-polacco il campo della propria sovranità politica.

Quando, a inizio ’900, i boiardi, che assieme a tutti gli altri soggetti sociali presenti sul territorio avevano attivamente partecipato all’insurrezione, ritornarono politicamente attivi, il contesto sociale e politico risultava, tuttavia, ben diverso da quello di quarant’anni prima. In primo luogo, la storica identità territoriale era legata alla principale unità economica presente sul territorio: il latifondo. Sebbene dopo l’abolizione della servitù della gleba la situazione fondiaria non avesse subito radicali cambiamenti, la rottura del secolare sistema che legava il latifondo, il proprietario fondiario (di lingua e cultura polacca) e il contadiname (solitamente di lingua lituana o generalmente slava), compromise le basi economiche del tradizionale rapporto tra il territorio e il sentimento di appartenenza. In secondo luogo, i cambiamenti della struttura sociale intervenuti nei territori dell’ex Granducato avevano stimolato la crescita di nuovi soggetti sociopolitici. Nei territori del Severo-zapadnii krai il più attivo e diffuso risultava essere il movimento nazionale lituano che nonostante le limitazioni imposte alla sfera culturale (in primis la proibizione di pubblicare testi con l’alfabeto latino) aveva elaborato le prime basi del suo progetto politico. L’idea di unità territoriale dell’ex Gdl su cui l’identità regionale dei boiardi polacchi si era basata, veniva di fatto minata dalla presenza di un immaginario antagonistico e di un concorrente politico avente come obiettivo la costituzione di un’unità autonoma (la cosiddetta Lituania etnografica) all’interno della Russia zarista. Le opposizioni in campo religioso con i polacchi, che si protrassero fino alla Prima guerra mondiale, di fatto impedirono che la comune fede cattolica divenisse la base su cui dare vita a un comune Stato su base confessionale.

La rinnovata possibilità di intervenire attivamente nella realtà politica, d’altro canto, non fu sinonimo di un’unità di visioni nemmeno tra boiardi. Diversi furono, in concreto, la concezione delle proprie funzioni politiche e sociali nella nuova stagione del parlamentarismo russo e il ruolo assegnato ai soggetti sociopolitici emergenti. A distanza di quarant’anni dalle ultime insurrezioni polacche, il gruppo di boiardi di vedute sociali maggiormente conservatrici e legato al mondo del latifondo e delle campagne (noti alla storiografia col nome di krajowcy conservatori) (Szpoper 1999) fece la sua prima apparizione nella sfera pubblica di Vilna. Il 23 ottobre 1904 un manipolo di boiardi si presentò all’inaugurazione del monumento a Caterina II recando una dichiarazione di fedeltà all’Impero e dando il via alla tradizione lealista che accompagnò i boiardi conservatori del Severo-zapadnii krai fino allo scoppio della Prima guerra mondiale. In seguito alla svolta liberale del 1905 e in preparazione alle elezioni dell’anno successivo, il gruppo trovò nel neonato quotidiano vilnense Kurjer Litewski il proprio laboratorio ideologico (Jurkowski 1983). Pur riconoscendo l’irreversibilità dei cambiamenti sociali intervenuti nel territorio, il movimento intese la nuova apertura delle autorità centrali come la possibilità di riorganizzare la centralità del proprio ruolo di rappresentanza politica nel territorio. L’apparizione sulla rinnovata scena politica di una formazione chiaramente lealista, di fatto, fornì una nuova base politica all’identità territoriale storica, rimasta monca dopo le spartizioni tardo settecentesche della Repubblica nobiliare.

Nei quarant’anni di assenza forzata dalla scena politica, tuttavia, erano cambiate le precondizioni del conservatorismo. Come il latifondista Roman Skirmunt sottolineò in un pamphlet del 1905, lo stesso carattere bipartito della ojczyzna era mutato con il mutare della situazione geopolitica generale:

Quando assieme ai territori della Corona formavamo un grande Stato, l’amore per la Patria (ojczyzna) appariva come una sorta di patriottismo provinciale (patriotyzm prowincjonalny). In sostanza, si trattava di un senso di appartenenza alla terra natia. La Repubblica nobiliare costituiva la nostra Patria politica e culturale, un triplice legame che non soffocava le individualità nazionali.

Tuttavia, a inizio Novecento, mutate le precondizioni sociali e politiche, “[…] il patriottismo provinciale non ha più senso alcuno, […] la nostra terra patria (ziemia ojczysta), al cui bene ci adoperiamo e, voglia Iddio, si adopereranno le generazioni future, sono la Lituania e la Rus’” (R. Skirmunt 1905, 29-30). La perdita della comune “patria politica”, percepita a inizio ’900 come definitiva e irrecuperabile, aveva ridotto l’ojczyzna alla sua dimensione regionale. Sebbene il campo semantico continuasse ad avere sullo sfondo la Lituania storica e la svolta lealista non avesse comportato tout court un acritico “riorientamento” dell’ojczyzna verso la Russia, il concetto rifletteva una duplice presa di coscienza. In primo luogo, la crescita del senso di unità culturale dei gruppi un tempo subalterni e la crescente centralità del fattore etnolinguistico anche tra gli stessi partiti polacchi rendeva l’ojczyzna fondata sul legame cetuale un’idea politicamente inutilizzabile. In secondo luogo, i krajovcy conservatori dimostrarono di comprendere perfettamente che l’utilizzo di concetti etnici risultava necessario al fine di mantenere il proprio storico ruolo di legittimi rappresentanti politici del kraj. L’utilizzo di un concetto etnico inclusivo diveniva particolarmente importante per contrastare elettoralmente, dopo la creazione della Duma, i sostenitori di un’autonomia per la “Lituania etnografica” che avrebbe compromesso l’unità dei territori occupati dai latifondi. D’altro canto, la speranza che l’amministrazione locale (zemstvo) potesse essere finalmente introdotta anche nei territori occidentali della Russia e che in essa un posto di rilievo fosse assegnato ai latifondisti di lingua polacca come segno di fiducia nel loro lealismo, rendeva il confronto e l’utilizzo di concetti etnici indispensabile alla costruzione di una “identità boiara” “moderna” e “comprensibile” anche alle masse popolari.

Sullo sfondo di una supposta continuità storica che li rendeva “figli della Lituania e costruttori della Lituania futura” (K. Skirmunt 1906), i krajowcy conservatori continuarono, pertanto, a perorare le ragioni di un’ojczyzna i cui confini ricalcavano il territorio di diffusione dei latifondi. L’ojczyzna, tuttavia, non veniva descritta come un costrutto tout court storico, ma come il risultato dello sviluppo di un comune nucleo etnico (“jednoplemienność” – R. Skirmunt 1904, 14), non riconosciuto solo da una piccola parte di boiardi conservatori (I. Korwin Milewski 1911, 2), il quale aveva assunto differenti forme culturali. Storicamente legati al territorio, i boiardi portavano in sé non solo i segni della comune matrice etnica, ma anche del rapporto con le varie nazioni culturali sviluppatesi entro i confini dell’ojczyzna. Tale idea fu chiaramente espressa nel 1906 da Kostancja Skirmuntt:

Nei territori dell’ex Granducato di Lituania, i nostri boiardi sono il risultato di due o tre elementi nazionali, presenti nella società della regione (kraj). Ciascuno di noi, non essendo una creatura venuta dal nulla, porta con sé qualcosa di lituano, bielorusso o russino. In funzione di ciò, ognuna di queste tre nazioni e peculiarità (nazionali) ha diritto di cittadinanza sul nostro territorio. […] Noi siamo prima di tutto parte integrante della Lituania e della Bielorussia [ovvero della Lituania storica, N.d.A.], legata alle peculiarità nazionali (locali) e avente nei loro riguardi degli impegni irrinunciabili (K. Skirmuntt 1907, 50-51).

La differenza linguistica e la crescita di gruppi linguistici e nazionali separati, secondo K. Skirmunt, rappresentava il risultato del processo storico e di una divisione in ceti che lo sviluppo dell’autocoscienza culturale delle varie comunità subalterne aveva ricevuto in eredità (K. Skirmuntt 1913, 89-100). In relazione alla crescita delle richieste di autonomie territoriali su base etnica, e in particolare di quella avanzata dal movimento nazionale lituano, l’argomento della comune origine si doveva presentare come una base sufficiente per controbilanciare le spinte del movimento nazionale lituano, basato su un più stretto legame tra lingua e etnia (K. Skirmuntt 1907, 32-33). Se l’argomento della comunanza etnica doveva garantire l’unità dell’ojczyzna, una nuova gerarchizzazione su base non più cetuale, ma culturale, aveva il compito di garantire la gerarchia sociale esistente. K. Skirmunt illustrò il concetto di cultura ricorrendo a uno schema a due livelli: come base culturale (“kultura zasadnicza”) e cultura individual-nazionale (“kultura narodowo-indywdualna”). Come base culturale, la cultura, di fatto, coincideva con l’insieme di “fondamenti e ideali” propri della “cultura latina”, i cui pilastri, secondo K. Skirmunt, corrispondevano alle libertà individuali, all’eguaglianza degli individui e ai diritti di proprietà. In altri termini, i diritti del liberalismo europeo venivano riconosciuti quali elementi basilari di civilizzazione (Szpoper 1999, 25). Si trattava di valori strettamente legati al cattolicesimo che pur essendo esplicitamente presenti nel discorso dei krajowcy conservatori, risultarono particolarmente accentuati nei testi programmatici del Partito cattolico costituzionale di Lituania e Bielorussia, creatura del vescovo di Vilnius E. Ropp che nelle sue file fu eletto durante le elezioni alla prima Duma (Nasze Credo 1906; Staliūnas 1994b). Alla “cultura latina” veniva significativamente contrapposta la “cultura orientale”, che riproponeva i classici argomenti (Chabod 1959) del dispotismo e del collettivismo di cui la Russia era l’esempio di riferimento. Come costrutto individual-nazionale, invece, la cultura riassumeva quell’insieme di caratteri individuali, in primo luogo la lingua, espressione di un’unità nazionale (nazione culturale), facente a sua volta parte di una determinata base culturale (K. Skirmuntt 1907, 41-42).

La distinzione tra base culturale e individualità culturali rivela la doppia struttura del concetto stesso di ojczyzna. In primo luogo, come erede del Granducato, l’ojczyzna rimaneva legata al ruolo “civilizzatore” della cultura polacca che attraverso la cristianizzazione aveva legato quelle terre alla “cultura latina” (R. Skirmuntt 1904, 16). Sebbene il “diritto di cittadinanza” fosse esteso alle culture lituana, bielorussa e polacca, tuttavia la cultura polacca poteva implicitamente fregiarsi di un ruolo moralmente superiore. In secondo luogo, il basso livello di sviluppo di una coscienza culturale bielorussa e la diversità confessionale del “popolo bielorusso” rendeva la presenza della cultura polacca necessaria per evitare l’avanzata della “russificazione” di parte dell’ojczyzna. Per quanto i cambiamenti della struttura sociale rendessero l’aggiornamento delle categorie culturali inevitabile, l’ojczyzna continuava a essere percepita – specialmente sulla base delle politiche antipolacche della seconda metà del XIX secolo – come un terreno di confronto tra civiltà. In esso, la stessa esistenza delle differenti nazioni culturali risultava legato al ruolo difensivo e implicitamente antirusso della cultura polacca.

L’ojczyzna come spazio multiculturale entro confini etnici

La rinnovata versione “culturale” dei krajowcy conservatori non rappresentò, tuttavia, l’esclusiva espressione dell’appartenenza territoriale dei boiardi che guardavano a Vilna come al baricentro simbolico del proprio territorio. Sulla scorta dei tentativi di evitare soluzioni etnocentriche dopo che le richieste d’autonomia per la cosiddetta Lituania etnografica erano state ufficializzate (1905) da parte dei lituani, nel febbraio del 1906 apparve sotto la direzione dell’avvocato Michał Römer il quotidiano Gazeta Wileńska. Risultato del lavorio dell’intellighenzia progressista di Vilna che già dalla fine del secolo precedente aveva coltivato l’idea della convivenza tra differenti comunità linguistico-culturali, il giornale ebbe tuttavia vita breve per problemi legati al suo finanziamento. La sua tradizione, espressione della corrente nota alla storiografica sotto il nome di krajowcy democratici rimasta minoritaria nel panorama d’inizio ’900, venne ricuperata nel 1911 e nel 1912, quando presero a essere editi rispettivamente il settimanale Przegląd Wileński e il quotidiano Kurjer Krajowy. Diversamente dalla corrente conservatrice, sempre ben rappresentata alla Duma di Stato (Gaigalaitė 2006), i krajowcy democratici non solo non poterono contare su effettivi successi elettorali, ma si presentarono come un gruppo per cui simpatizzavano elementi di differente estrazione sociale e ideologica. In ragione di ciò, l’identità intellettuale del gruppo rimase piuttosto fluttuante tra le tendenze chiaramente liberali e democratiche del suo più celebre esponente, M. Römer, e l’indirizzo chiaramente socialista della redazione di Kurjer Krajowy.

Condividendo con i krajowcy conservatori la propria estrazione sociale, i krajowcy democratici fondarono il concetto di ojczyzna su una differente base. Cresciuti come un’unica entità politica, i territori dell’ex Granducato avevano vissuto nel corso del XIX secolo mutamenti sociali che, a detta dei krajowcy democratici, avevano cambiato non solo l’autopercezione nazionale dei loro abitanti, ma anche i concetti di territorio nazionale e di ojczyzna. A differenza del tardo ’700, quando la Repubblica nobiliare cessò la sua esistenza, i territori della Lituania storica si presentavano a inizio ’900 come la somma di due distinte unità non più di matrice storica ma “etnografica” – Lituania e Bielorussia. Ciascuna di esse rifletteva la presa di coscienza di due distinte nazioni “etnografiche” – i lituani e i bielorussi. Come nel caso dei krajowcy conservatori, l’unità etnica costituiva il nucleo dell’idea di ojczyzna. Le sue dimensioni risultavano tuttavia differenti. Riconoscendo l’esistenza di due separate nazioni lituana e bielorussa (Römer 1912; 2006, 15), la stessa unità della Lituania storica veniva definitivamente scalfita. La “rottura” dell’ojczyzna tradizionale appare evidente dall’emergere nel discorso dei krajowcy democratici del concetto di Lituania etnografica con cui venne identificata la “nuova” ojczyzna:

Con Lituania non intendiamo il territorio storico-politico nel quale si trovano oggi la Lituania e la Bielorussia proprie, ma esclusivamente quella società che possiede una cultura individuale (kultura indywidualna) e forma così una compatta unità nazionale (jednolita jednostka narodowa) (Römer 1906a, 3).

Diversamente dai krajowcy conservatori, i krajowcy democratici descrissero l’ojczyzna affiancando costantemente all’idea di unità etnica quella di società (społeczeństwo) (Pietkiewicz 1907). Presentata ormai totalmente spogliata dei residui cetuali, la società

non è un oggetto creato da Dio, ma il risultato di un processo di trasformazione infinita, il risultato di un grande sforzo di armonizzazione che […] con un grado di chiarezza sempre maggiore diviene unità armonica e dà sempre maggiori frutti di civiltà e cultura. La società è un risultato pienamente umano, legato alla necessità di garantire agli individui la vita in presenza di determinate condizioni (Römer 1906b).

La lenta ma irreversibile presa di coscienza culturale da parte del popolo (“lud”) e la crescente perdita di centralità economica e sociale da parte del ceto boiardo avevano cambiato radicalmente il panorama sociale della Lituania storica. La formazione di due società unitarie entro territori “etnografici” circoscritti (la Lituania e la Bielorussia) era diventata la base per la formazione di due unità territoriali separate e autosufficienti. Dipendendo dal concetto “mobile” di società, l’ojczyzna di fatto perdeva il suo carattere retrospettivo o storico per diventare un progetto rispondente ai bisogni della società (Römer 1913a). La nascita di due differenti ojczyzny corrispondenti ai territori di due comunità etniche un tempo subalterne (il contadiname di lingua lituana e bielorussa) testimonia di come la base dell’ojczyzna fossero divenute le masse popolari, soggetto di un irreversibile crescita sociale ed economica (Römer 2000, 200).

Il concetto di società risulta necessario anche per la comprensione della naturale multiculturalità del’ojczyzna. Retaggio storico del Gdl, la varietà culturale risultava un dato connesso alla sfera “privata” dei gruppi, ma totalmente slegato dal concetto di società alla base dell’idea di ojczyzna. Quali parti fondamentali per il funzionamento della società, ciascuna comunità linguistico-culturale aveva, secondo i krajowcy democratici, pieno diritto di cittadinanza territoriale. Nel panorama della Lituania etnografica, l’ojczyzna era la casa comune di “lituani, polacchi, bielorussi, russi, lettoni, ebrei, tedeschi” (Römer 1913b), uniti dall’appartenenza a una comune società.

Risulta chiaro dalla presenza di un concetto unitario di società, pur nel rispetto della differenza culturale dei suoi membri, che l’ojczyzna dei krajowcy democratici rappresentava non una rinuncia ai principi di cittadinanza territoriale dell’ex Gdl, ma il loro “adattamento” alle mutate dinamiche sociali. Tuttavia, sebbene il contributo di M. Römer e dei suoi compagni rappresenti uno degli sforzi più originali per evitare l’avanzata di contrapposti modelli etnocentrici, esso rimane la testimonianza di una storia intellettuale dai pochi risultati reali. La poca attrattiva dell’idea può essere imputata non tanto a questioni “strutturali”, quanto piuttosto al contesto politico in cui essa emerse. Privi di rappresentanze ufficiali e di strutture partitiche, i krajowcy democratici legarono la propria attività a singole individualità o a iniziative editoriali di alto livello intellettuale, ma poca “spendibilità” politica. In un versante storico caratterizzato dall’accelerazione del processo di “nazionalizzazione” e politicizzazione delle masse contadine e dalla ricerca di una nuova identità politica da parte dei boiari, l’ojczyzna dei krajowcy democratici risultava una costruzione troppo intellettualistica. Il principio di multiculturalità poteva difficilmente concorrere con l’identità di lingua, cultura e territorio etnico proclamata sia dagli esponenti del movimento nazionale lituano, sia dagli esponenti polacchi di Narodowa demokracja (Nd). La negazione del “determinismo” storico e i suoi riflessi territoriali, d’altro canto, non potevano riscontrare i favori dei latifondisti, interessati all’ottenimento della gestione delle proprietà entro una comune entità amministrativa.

Al tentativo di rispondere alla debolezza del movimento, alla volontà di frenare l’avanzata dell’etnocentrismo tanto lituano che polacco (Römer 1996, 219-220) si deve l’idea di ojczyzna di Ludwik Abramowicz, fluttuante per tutto il primo decennio del XX secolo tra l’ala democratica e quella conservatrice del movimento. Apertamente favorevole della collaborazione tra gli ambienti più progressisti della szlachta e le forze “democratiche” lituane e bielorusse, L. Abramowicz (1906; 1913b) descrisse l’ojczyzna appoggiandosi alla stessa concezione territoriale dei krajowcy democratici. Nettamente diverso risultava, tuttavia, il concetto di società. La crescita separata delle identità culturali di lituani, bielorussi polacchi nei territori della Lituania e della Bielorussia etnografiche non risultava sufficiente, agli occhi di L. Abramowicz (1912; 1914), per dedurne due società unitarie. Il riconoscimento dell’unità etnografico-territoriale dell’ojczyzna si riduceva in tal modo al riconoscimento di una matrice etnica comune a tutti gli abitanti senza che a ciò corrispondesse l’idea di un unico complesso sociale. Il tessuto sociale dell’ojczyzna diveniva così un soggetto mediato da comunità linguistiche separate costantemente volte al raggiungimento di un “compromesso” (Abramowicz 1907) capace di garantirne la pacifica convivenza. Il frazionamento dell’ojczyzna in comunità linguistiche e culturali giustapposte era inoltre dettata, secondo L. Abramowicz, dal ragioni di calcolo politico. La necessità di opporsi alla crescente preponderanza delle posizioni di Nd e dei lituani etnici nelle terre della Lituania storica rendeva “necessario dividere le sfere d’influenza, cosa che influenzerà positivamente il bilancio dei rapporti nel territorio” (Abramowicz 1912).

Il tatticismo di L. Abramowicz, tuttavia, non fa che rendere più chiaro come a inizio XX secolo una riformulazione convincente del principio di cittadinanza dei territori dell’ex Granducato su base democratica fosse un’operazione molto complessa. La difficoltà di concepire un’ojczyzna corrispondente al territorio etnografico lituano e in cui i diritti di “cittadinanza” appartenessero alla “società” nel suo complesso senza che ciò implicasse un’univocità linguistico-culturale, si riflesse nell’ulteriore frammentazione delle file dei krajowcy democratici. Specialmente dopo il sempre più chiaro appoggio accordato dal settimanale Przegląd Wileński, di orientamento democratico, alle richieste di indipendenza della Polonia dalla Russia zarista e la creazione per opera di L. Abramowicz della Lega Democratica Polacca di analoga tendenza (Sawicki 1994, 49), le divergenze tra L. Abramowicz e M. Römer si fecero ancora più chiare. Le posizioni di L. Abramowicz e, sulla sponda opposta, quelle dei bielorussi della redazione di Kurjer Krajowy, maggiormente interessati a sottolineare il ruolo moralmente superiore dei bielorussi e dei lituani nei confronti dei polacchi, spinsero verso un progressivo indebolimento del principio di cittadinanza territoriale. Tali posizioni non solo distruggevano, secondo M. Römer, la nuova ojczyzna frammentandola in uno sterile trialismo di sapore etnico, ma legittimavano la crescita degli stessi partiti “etnici”:

Questo patriottismo territoriale (krajowość) è semplicemente una forma di nazionalismo stretta entro determinati confini territoriali, è uno sterile sentimento di appartenenza locale (tutejszożć). Al contrario, il fondamento della cittadinanza territoriale (obywatelstwo krajowe), così come si mostra nella pratica sociale e politica, si basa sull’esistenza di una compatta comunanza territoriale (jednolita społeczność krajowa) […]. Il patriottismo territoriale (stanowisko krajowe) è il progetto di un singolo complesso sociale, non la collezione di tante capanne nazionali3

Proprio il trionfo delle “capanne nazionali” avrebbe caratterizzato il periodo interbellico, quando la contrapposizione tra gli stati nazionali polacco e lituano e il trionfo della nazione chiusero ogni spazio di trattativa già in precedenza fortemente compromesso. Ancor più che durante il crepuscolo dell’Impero, le circostanze politiche del dopoguerra trasformarono l’opzione territoriale in un’idea cara solo a una piccola élite praticamente priva di peso politico.

L’ojczyzna come spazio della nazione

La diversità di vedute emersa tra M. Römer e L. Abramowicz rivela, d’altro canto, come anche nelle file dei krajowcy democratici la crescita del nazionalismo etnico – o almeno i sospetti da esso alimentati – avesse già modificato la base territoriale dell’ojczyzna. Dopo il 1905, l’introduzione del sistema parlamentare aveva rappresentato, seppure entro i limiti imposti dal sistema elettorale, un ulteriore impulso alla politicizzazione delle masse contadine. Per quanto i krajowcy abbiano dato un apporto teorico di notevoli dimensioni, tuttavia la loro origine cetuale e il loro legame a concetti di cittadinanza che ancora risentivano della tradizione del Granducato non consentirono di conseguire la diffusione sperata tra le masse contadine. La sempre più estesa equazione tra lingua e comunità etnica e la sua elementare comprensibilità furono alla base del maggior successo di formazioni di matrice etnica quali il movimento nazionale lituano e Nd. Nel Severo-zapadnii krai, Nd diventò una forza di rilievo fin dalla relativa liberalizzazione del sistema politico d’inizio novecento. Chiare simpatie per Nd dimostrò parte della locale szlachta, addirittura la metà nei governatorati di Grodno e Kovno e solo un po’ meno, circa un terzo, nella gubernia di Vilna (H. Korwin Milewski 1930, 186-187). La sua influenza tra le masse contadine, che specialmente nie governatorati di Vilna e Grodno denotavano una debolissima coscienza nazionale, crebbe nel corso del decennio che precedette lo scoppio del Primo conflitto mondiale grazie a una capillare attività editoriale e propagandistica spesso condotta con l’ausilio della chiesa (Merkys 2006).

Le posizioni di Nd e della stampa a essa legata, come i quotidiani Dziennik Wileński (1906) e Goniec Wileński (1908), si presentarono in diametrale contrasto con i principi del patriottismo territoriale espresso dai krajowcy. Legati alla crescita di una borghesia moderna e chiaramente ostile alle persistenze della società nobiliare, gli ambienti vicini a Nd imperniarono il loro concetto di ojczyzna attorno a due elementi tra loro complementari e chiaramente legati all’idea di uniformità del popolo (“lud”): l’indivisibilità della nazione etno-culturale e l’uniformità del territorio della Repubblica nobiliare.

Come membri di un’unica entità non frammentabile in segmenti territoriali (Hłasko 1912b), i “polacchi” furono addotti, nel discorso di Nd, all’elemento basilare per la definizione dell’ojczyzna. I confini dell’ojczyzna raggiungevano tutte le terre sulle quali la nazione si trovava, causando, di fatto, la sovrapposizione delle due idee. Il problema risultava, tuttavia, complesso. Diversamente dai krajowcy, la nazione non veniva definita univocamente in termini culturali, ma presupponeva l’esistenza di elementi di carattere storico-politico. I soggetti di lingua polacca dei territori dell’ex Granducato e di Polonia furono definiti parte integrante di un’unica comunità etnicamente e culturalmente polacca, ripulita degli accenti cetuali che ancora ne accompagnavano il nome. Ciò nonostante, la presenza di una comunità etno-culturale costituiva solo la premessa per la formazione della nazione. Una comunità culturale poteva, infatti, dirsi nazione solo grazie alla sua capacità di essere, nella storia o nel presente, un corpo politico. Nel caso in analisi, la nazione corrispondeva alla somma degli eredi della nazione politica dello Stato polacco-lituano nel suo complesso (Siemienicki 1907). Grazie a tale politicizzazione dell’idea di nazione, il concetto di ojczyzna si trasformava in un costrutto di carattere storico-politico in grado di abbracciare tutti i territori dell’ex Rzeczpospolita:

Senza tradizione statale-nazionale, non c’è nazione. Un lituano che voglia sbarazzarsi dell’antica tradizione che lo lega al passato nazionale-statale dei lituani, rifiuta anche l’antica statualità polacca e, a causa della mancanza di una statualità lituana,si appropria, volente o nolente, un’altra. Avendo compreso il senso delle tradizioni statali-nazionali, […], alcuni lituani la ricercano nella Lituania pagana e barbara dei granduchi e rifiuta le più vivaci tradizioni dell’unione lituano-polacca. […]. Non esiste una nazione lituana (narodowość litewska), ma esistono i lituani o, meglio, i lituano-polacchi. E questo perché qualsiasi lituano, addirittura quello che non conosce il polacco e non ha mai abitato nel Regno [di Polonia], non è solo lituano, ma anche polacco se solo […] sa e onora le tradizioni storiche lituane, connesse con le memorabili lotte con i polacchi della Rzeczpospolita in nome della comune libertà (Studnicki 1907).

La definizione della nazione in termini storico-politici paradossalmente non rappresentava la premessa per la formazione di un nazionalismo civico, ma la base per una nuova gerarchizzazione delle comunità culturali presenti entro i confini dell’ojczyzna. Nonostante la presenza di una distinta individualità culturale, i lituani, secondo W. Studnicki, non potevano vantare un’individualità politica sviluppatasi distintamente da quella dei polacchi. In ragione di ciò, parlare di una distinta ojczyzna lituana risultava impossibile. Quale riflesso della diffusione della comunità politica e culturale della Rezeczpospolita e del suo sviluppo storico (Studnicki 1906), il concetto di ojczyzna continuò ad abbracciarne, nella pubblicistica vicina a Nd, tutti i territori storici. A livello politico, tali posizioni si riflettevano nell’opposizione degli ambienti di Nd alla formazione di un separato gruppo parlamentare nella Duma di Stato e negli auspici di uno sforzo unitario da parte delle forze “polacche” impegnate nel parlamento (Hłasko 1907a). Il riconoscimento dell’esistenza di altri gruppi culturalmente differenti dai polacchi nei territori della comune ojczyzna, a sua volta, rimandava discorsivamente all’unità della base sociale di riferimento (Baranowski 1907). Il discorso degli ambienti nazionalisti, difatti, rifletteva principalmente la coscienza nazionale e la volontà della borghesia, nuovo soggetto economico in continua crescita, interessato alla politicizzazione delle masse in opposizione alla nobiltà terriera e alle sue rinnovate velleità politiche. Quale base dell’ojczyzna, i membri dell’antica nazione politica era oggetto di pari diritti culturali. Tuttavia, l’insufficienza della cultura quale base per la formazione della nazione e una sempre maggiore caratterizzazione in senso etnico polacco della storia della Repubblica lituano-polacca, prefiguravano l’assegnazione alla comunità culturale polacca, cosciente del suo passato storico, di un ruolo politico e sociale preminente (Hłasko 1907b). La stessa ojczyzna, pertanto, lasciava intravedere una sempre maggiore caratterizzazione in senso etnoculturalmente polacco, dando adito a una costante crescita della tensione tra lituani e polacchi nei territori della “Lituania etnografica” fino allo scoppio della Prima guerra mondiale.

Conclusioni

Il concetto di ojczyzna utilizzato nella pubblicistica vilnense d’inizio ’900 illustra chiaramente i mutamenti intervenuti nel tessuto sociale dei territori della Lituania storica nel corso della seconda metà del XIX secolo. Sebbene la memoria della comune esperienza politica di età moderna appaia chiaramente in tutti i casi analizzati, differente risulta il suo impiego discorsivo. Nel caso del movimento dei krajowcy, la comune memoria si limita a fornire una base storica alla molteplicità culturale dell’ojczyzna, ma non concorre alla determinazione dei diritti soggettivi nella contemporaneità. Nel caso degli ambienti vicini a Nd, invece, l’esperienza storico-politica risulta uno dei principi fondativi del concetto di ojczyzna dal quale dipendono i diritti dei soggetti che in essa si trovano. In secondo luogo, la concezione dello spazio dell’ojczyzna evidenzia una distinta concezione dei rapporti sociali e dei diritti dei soggetti presenti al suo interno. Nel caso dei krajowcy conservatori, ojczyzna è un concetto territoriale in cui la limitazione etnica corrisponde alla volontà di parte della szlachta di conservare la base della propria forza economica (il latifondo) entro confini comuni nei quali rivendicare un rinnovato ruolo politico. Nel caso dei krajowcy democratici, ojczyzna è un concetto eminentemente territoriale ma legato alle necessità economiche delle classi inferiori. La limitazione dello spazio attraverso l’utilizzo di criteri etnici rimane di fatto solo sullo sfondo, mentre i diritti soggettivi si presentano legati al concetto progressivo di società. Nel caso di Nd, ojczyzna appare, invece, come un concetto personale, legato cioè non al territorio ma ai soggetti della nazione etno-culturale e alla loro disseminazione nel territorio, che esprime le necessità di una borghesia in crescita e interessata a sostituire come forza politica ed economica i membri del ceto boiardo ancora politicamente ed economicamente attivi nei territori storici.

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Biografia

Andrea Griffante (Schio, 9 dicembre 1980). Dopo aver conseguito il diploma di maturità al Liceo G. Zanella di Schio si iscrive alla Facoltà di Storia dell’Università di Trieste. Nel 2004 si laurea in Storia della Storiografia Moderna e Contemporanea con una tesi dal titolo Confine. Una nazionalità aperta in Stasys Šalkauskis? (relatrice G. Valera). Nel 2003 (settembre-novembre) e nel 2004 (settembre-dicembre) è borsista ministeriale presso l’Università di Vilnius. Nel 2006 è borsista dell’Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei di Gorizia. Nel 2011 ottiene il dottorato di ricerca presso l’Istituto Lituano di Storia di Vilnius e l’Università di Klaipėda con una tesi dal titolo Vie nazionali attraverso la varietà. Trieste, Vilnius e l’“identità di frontiera” (relatore V. Sirutavičius). Ha all’attivo una dozzina di articoli pubblicati su riviste italiane e straniere. Ha curato la raccolta di saggi Confini della Modernità. Lituani, non lituani e Stato nazionale nella Lituania del XX secolo (Gorizia 2010). Il suo ambito di ricerca è principalmente legato all’area del Baltico orientale e del confine nordoccidentale della Russia. Andrea Griffante

Biography

Andrea Griffante graduated in Modern and Contemporary Historiography History at the University of Trieste. He was a scholarship holder at the University of Vilnius (2003-2004) and at the Institute for Central European Cultural Meetings in Gorizia (2006). He holds a Ph.D. (2011) at the Lithuanian Institute of History and at the University of Klaipėda; he published a dozen articles on Italian and international journals, and edited the collection of essays Confini della Modernità. Lituani, non lituani e Stato nazionale nella Lituania del XX secolo (Gorizia 2010). His current research interests mainly involve the eastern Baltic area and the north-western Russian border.

  1. Regione corrispondente ai governatorati di Vilna, Kovno e Grodno. []
  2. Regione etnografica estesa ai governatorati zaristi di Vilna, Kovno, Suwałki e Grodno. []
  3. M. Römer, nota del diario (1911) conservato nella Sala manoscritti della Lietuvos Mokslų akademijos biblioteka (Vilnius), fondo 138-2229, p. 89. []