di Carlo De Maria
L’importante volume di Tiziana Pironi tematizza il rapporto tra educazione ed emancipazione della donna durante l’età giolittiana, quando prese piede – nell’ambito di un più generale processo di modernizzazione della società – il primo femminismo italiano. Ormai da tempo Pironi (ordinaria di storia della pedagogia all’Università di Bologna) si sta impegnando in un originale percorso di ricerca che ha come fulcro la nascita dell’emancipazionismo femminile, tra Otto e Novecento, nel quadro più generale dei conflitti politici e sociali di quegli anni. Si veda, a questo proposito, anche il suo precedente Cambiare gli occhi al mondo intero. Donne nuove ed educazione nelle pagine de L’Alleanza, 1906-1911 (con A. Cagnolati, Milano, Unicopli, 2006). In questi lavori l’autrice parte dalla consapevolezza del fatto che non sia possibile individuare la cifra specifica del femminismo se lo si isola dalla forte avanzata dei movimenti popolari, socialista e cattolico; se cioè si prescinde dal passaggio epocale, allora in atto: da un assetto liberale a una pur debole e incerta liberal-democrazia.
I primi tre capitoli del libro sono dedicati ai congressi promossi dall’associazionismo femminile tra il 1907 e il 1908. Dalle pagine di Tiziana Pironi emergono le protagoniste note ma anche quelle meno note, qui meglio illuminate anche grazie a uno scavo bibliografico caparbio e all’uso di fonti inedite. In quelle assise, del resto, le donne misero in campo “tutta la loro carica progettuale nell’affrontare una serie di problematiche in merito a cittadinanza, educazione, istruzione, cultura, assistenza, previdenza, condizione giuridica ed emigrazione” (p. 15). Pironi guarda con particolare attenzione al congresso tenutosi a Milano nel 1908, organizzato dall’Unione femminile nazionale e dalla sua fondatrice, Ersilia Bronzini Majno, moglie dell’avvocato socialista Luigi Majno. I lavori furono dedicati alla dimensione sociale e lavorativa della donna, considerata nei suoi diversi ambiti e impegni, oscillanti tra sfera pubblica e sfera privata. A essere dibattuti, forse per la prima volta in modo così efficace, furono i problemi legati ai percorsi femminili dalla famiglia alla politica e dalla sfera domestica a quella professionale e dei pubblici uffici.
Milano era allora il più grande centro industriale italiano, con tutto ciò che ne seguiva: lo sviluppo delle scienze sociali, le indagini sull’ambiente urbano e sulla condizione operaia. Una vera e propria palestra nella quale cominciare a misurarsi con le sfide della modernizzazione e del cambiamento sociale. Sono anni di piena attività, ad esempio, per la Società Umanitaria, che proprio tra il 1907 e il 1908 dedicò parte importante dei suoi sforzi al mondo del lavoro femminile, allora in una fase di importante transizione. Le donne tradizionalmente destinate al lavoro a domicilio cominciavano, invece, a far registrare una presenza sempre più consistente nel settore dei servizi. In quel frangente il cosiddetto “femminismo pratico” contribuì in maniera notevole allo svecchiamento dell’assistenza pubblica. Una forte unità di intenti consolidava i rapporti e gli scambi di Ersilia Majno con figure dell’importanza di Alessandrina Ravizza e Anna Kuliscioff. Ma queste reti di impegno al femminile travalicavano decisamente l’Italia, se è vero che il congresso milanese si apriva alla dimensione internazionale assegnando la presidenza onoraria a Ellen Key, una intellettuale e scrittrice svedese la cui influenza nel nostro paese non è stata fino ad ora adeguatamente studiata e sulla quale, invece, Tiziana Pironi insiste da anni, ricostruendone i rapporti con Sibilla Aleramo e con la stessa Majno.
In Ellen Key (a cui è dedicato l’intero capitolo quarto) la problematica emancipativa e quella pedagogica si intrecciavano strettamente, nella convinzione che si potesse rigenerare l’umanità solo collocando l’infanzia al centro di ogni interesse sociale. Nel Secolo dei fanciulli, pubblicato nel 1900, l’intellettuale scandinava puntava il dito contro le istituzioni educative tradizionali colpevoli di formare “uomini-gregge” invece che personalità libere e indipendenti. Posizioni che furono raccolte e sviluppate in Italia da Maria Montessori e che si ritrovano applicate già nell’esperimento pedagogico delle Case dei bambini, realizzate anche nei quartieri di edilizia popolare costruiti a Milano dall’Umanitaria (si veda a questo proposito il quinto capitolo del libro).
Pochi anni più tardi, durante la Grande guerra, Montessori si impegnerà nella formazione di personale educativo specializzato nella cura dei bambini traumatizzati dalla guerra, non trovando però le necessarie sponde istituzionali. Un impegno d’avanguardia, da parte della grande pedagogista di origine marchigiana, che verrà idealmente ripreso e sviluppato al termine della Seconda guerra mondiale da istituzioni e realtà associative europee, quali il Soccorso operaio svizzero, i Cemea (Centres d’entraînement aux méthodes d’éducation active), le Sepeg (Semaines internationales d’études pour l’enface victime de la guerre), la Fice (Fédération internationale des communautés d’enfants, legata all’unesco), e da figure come Margherita Zoebeli, educatrice e militante socialista zurighese, fondatrice nel 1946 del Centro educativo italo-svizzero di Rimini. Esperienze di intervento sociale ed educativo in parte ancora vive ed esistenti, alle quali la stessa Pironi ha dedicato attenzione in altre sedi editoriali, allungando in questo modo i suoi studi anche sulla seconda metà del Novecento.