Recensione di Vincenzo Schirripa
Margherita Zoebeli aveva trentatré anni quando, appena finita la Seconda guerra mondiale, giunse a Rimini, dove avrebbe fondato e diretto per molti anni il Centro educativo italo-svizzero. Nata a Zurigo nel 1912, aveva scelto molto presto la militanza socialista e il lavoro di comunità; nelle prime esperienze con il Soccorso operaio svizzero aveva già avuto occasione di misurarsi con le ferite di un’Europa colpita dalla crisi economica e avviata verso il secondo conflitto mondiale, consolidando sul campo quella profonda integrazione fra la dimensione etica, politica e culturale che avrebbe caratterizzato il suo profilo personale e professionale. Era stata in Spagna a occuparsi dei bambini vittime della guerra civile e nell’alta Val d’Ossola nel pieno della lotta partigiana. Da Rimini, dove restò fino alla morte (1996), fu fra gli animatori più autorevoli di un circuito di esperienze educative diverse ma accomunate dalla fiducia nella possibilità di costruire la democrazia a partire dai bambini e dalla costante attitudine degli educatori a lavorare su se stessi: una rete multipolare intenta a coltivare valori e strumenti della pedagogia attiva a dispetto di ritardi, lacune e persistenti incomprensioni che caratterizzavano il panorama educativo italiano. I protagonisti di questi ambienti erano riconducibili a un’area culturale piuttosto trasversale ma generalmente “terza” rispetto alle organizzazioni e alle politiche educative cattoliche e comuniste. Condividendo l’impegno di animare isole di pedagogia laica in contesti ambientali non favorevoli, essi si sostenevano a vicenda coltivando una consuetudine di rapporti formali e informali volti allo scambio di risorse formative “rare” – attraverso canali associativi vivaci quanto marginali rispetto, ad esempio, ai luoghi istituzionali della formazione dei docenti –, caratterizzati da una certa proiezione internazionale (il Ceis in particolare) e sostenuti da profonde e durature amicizie professionali.
Il volume curato da Carlo De Maria offre un contributo rilevante nel situare percorsi e presenze come quella del Ceis e di Margherita Zoebeli in un ambito, quello degli studi storici, che della ricostruzione di queste ed altre esperienze educative di base, al confine fra politico e prepolitico, sta cominciando gradualmente a intuire le potenzialità. Il libro raccoglie gli atti del convegno tenutosi al Centro il 7 maggio 2011, una delle iniziative proposte in vista del centenario dalla nascita di Margherita Zoebeli a cura dell’omonima Fondazione.
Le coordinate Per una biografia di Margherita Zoebeli sono tracciate da Carlo De Maria nel suo intervento introduttivo: il rapporto fra militanza politica, formazione culturale e vocazione professionale, il ruolo svolto dal Soccorso operaio nell’ambito del Dono svizzero in favore dell’Italia nel contesto della ricostruzione, le prime scelte relative all’allestimento degli ambienti, alla selezione e alla formazione degli operatori, al rapporto con il territorio e con gli interlocutori più affini nel campo della sperimentazione educativa (ma anche dell’animazione culturale, dell’intervento sociale e del lavoro di comunità); quindi l’impatto del clima della contestazione giovanile che, se da un lato sembrava recepirne le istanze antiautoritarie, dall’altro contribuì a determinare la crisi di quel movimento di rinnovamento educativo e sociale che nel Ceis aveva riconosciuto uno dei suoi luoghi significativi, mettendo oltretutto alla prova, sul piano personale e professionale, figure autorevoli come la sua fondatrice; infine il graduale passaggio di testimone a una successiva generazione di responsabili del Centro, che ella continuò ad affiancare con discrezione intensificando d’altra parte un impegno culturale e formativo all’esterno che la tenne impegnata ancora per anni.
A fianco di Margherita Zoebeli fu a lungo, fin dall’arrivo a Rimini, Deborah Seidenfeld, che in Italia visse una “seconda vita” – rimasta in ombra rispetto al suo passato cospirativo – dedicata nei primi anni all’impegno nel Ceis e poi alla tessitura di una serie di relazioni intellettuali orientate soprattutto al compito di fare luce sulla morte di Pietro Tresso, come compagna del quale era per lo più nota negli ambienti socialisti e libertari europei, e di onorarne la memoria: ne traccia un profilo il contributo di Patrizia Dogliani.
La proposta educativa di Margherita Zoebeli è invece oggetto dell’analisi di Tiziana Pironi: una “pedagogia dell’emergenza” che affonda le radici nell’Europa devastata dalla guerra e darà vita ancora in anni recenti a originali interventi di cooperazione internazionale in realtà di crisi; la fondazione del Villaggio di Rimini e il suo farsi centro di una vivace contaminazione di apporti teorici e sperimentali; i principi guida di un approccio al lavoro educativo che non venne mai codificato in una metodologia organica ma esprimeva le sue specificità attraverso uno stile che caratterizzava modalità relazionali, ambienti e percorsi dalla progettazione alla realizzazione. La disponibilità a “prendere sul serio i bambini”, costruendo con loro itinerari ispirati a un modello di conoscenza come produzione sociale di vicinanza, è un ulteriore elemento colto dalla relazione di Andrea Canevaro su Il Ceis, una scuola per tutti.
Anche il rapporto fra l’attività educativa e la progettazione degli spazi e degli ambienti fu al centro di un fecondo scambio di competenze interdisciplinari fin dalla fondazione del primo insediamento di baracche, disposte e allestite con un’intenzionalità che fin dai minimi dettagli esprimeva l’orientamento pedagogico del Centro. Il Villaggio restò poi un luogo attrattivo non solo per educatori e operatori sociali ma anche per architetti interessati alla sperimentazione: sull’impatto che questi contatti ebbero sulla cultura architettonica italiana si sofferma Monica Maioli.
Sull’attualità del Villaggio italo-svizzero si interrogano Giovanni Sapucci, che lo ha diretto negli ultimi anni e ne descrive l’attività più recente; Goffredo Fofi, che dalla testimonianza delle “minoranze pedagogiche”, come quelle che si raccolsero attorno al Ceis e ad altre esperienze analoghe, invita ad attingere le risorse per una “pedagogia della sfida” adatta al nostro tempo; Luigi Monti, che richiama la capacità di Margherita Zoebeli di attraversare gli steccati artificiosi e ideologici attorno ai quali si cristallizza talvolta il discorso pubblico sulla scuola e sull’educazione: l’urgenza che Lamberto Borghi esprimeva, negli stessi anni, di superare una connotazione autoritaria che non era circoscrivibile alla pedagogia fascista né esclusiva caratteristica di culture educative clericali o reazionarie – nemmeno le correnti più democratiche e progressiste ne erano, a suo dire, del tutto esenti – trovò ad esempio un corrispettivo sperimentale nelle pratiche colte e libertarie, politicamente fondate ma non ideologiche che si mettevano a punto nel circuito che si ritrovava attorno al Ceis e ad altre “isole” parimenti significative.
Con notevole lucidità arricchiscono il volume i contributi di alcuni testimoni privilegiati di quella stagione come Marcello Trentanove (Il movimento dell’educazione attiva nell’Italia del secondo dopoguerra), Grazia Honegger Fresco (La formazione di educatori e insegnanti), Giovanna Gervasio Carbonaro (Il Villaggio italo-svizzero: tra insegnamento e azione sociale), attraverso i quali si coglie ancor più compiutamente l’articolazione, la distribuzione territoriale e la ricca dimensione relazionale di un “movimento critico – ancora Monti, p. 171 – paragonabile (più per le istanze che lo muovevano, che per la capacità di incidere sulle strutture e il funzionamento della scuola pubblica) a quello delle ‘scuole nuove’ che tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 rinnovarono negli Stati Uniti e in molti paesi d’Europa il modo corrente di fare scuola”. Un movimento la cui vicenda ha ancora da offrire tanto alla riflessione pedagogica quanto ad una più larga comprensione della storia politica e sociale dell’Italia repubblicana.