Recensione di Stefano Maggi
La “macchina” – termine diventato sinonimo di automobile – ha influenzato in maniera esemplare tutto il XX secolo, come oggi continua a influenzare il XXI, “investendo – scrive Daniele Marchesini – non soltanto la dimensione economica ma anche quella sociale, politica e culturare” (p. 8).
I passaggi principali di questa epopea, avviata nel periodo del “miracolo economico”, sono ben ricostruiti nel libro di Marchesini, articolato in 9 capitoli, il primo dei quali è dedicato alla “ricerca dell’auto per tutti”; il secondo capitolo ripercorre le vicende dell’automobilismo nel periodo fascista, il terzo e il quarto sono dedicati rispettivamente al dopo-guerra e al sogno dell’auto, mentre il quinto e il sesto ricostruiscono “l’età dell’abbondanza” e il pubblico dell’utilitaria; il settimo capitolo è specifico sulla Fiat 500, mentre nell’ottavo e nel nono scorrono le tappe della “civiltà dell’auto”.
Realizzato con un ampio utilizzo di fonti storiografiche, documentarie, letterarie, audiovisive, il libro appassiona il lettore, preso fra ricordi personali e scoperte di cose inedite su un fenomeno che ha riguardato la vita di tutti noi e delle nostre famiglie nel secondo Novecento. Un fenomeno tanto importante e visibile che spesso non si è riflettuto abbastanza sui suoi contenuti, proprio perché assuefatti alla continua crescita della circolazione di autoveicoli.
Soltanto di recente si è cominciato a studiare l’automobile e i suoi enormi effetti sulla società; effetti che sono da ascrivere prima di tutto alle auto piccole, particolarmente in Italia, dove nel 1964, all’inizio della motorizzazione di massa, i due terzi del parco circolante aveva una cilindrata non oltre i 1.000 “centrimetri cubici”. La cilindrata, cioè il volume complessivo dei cilindri del motore, rappresentava il metro di misura e di confronto con cui allora si iniziò a dare una scala di valore all’automobile.
Il termine “utilitaria” – tutto italiano – fu utilizzato per la prima volta in un vocabolario del 1938, nel quale si definiva la “vettura utilitaria” come auto “di poco prezzo, piccola, poco consumo e poco tassata, solitamente guidata dal proprietario”, in un epoca in cui avere lo chauffeur era ancora un segno di distinzione sociale.
Il periodo fascista registrò il primo sforzo tecnico e commerciale finalizzato a produrre auto per tutti, con la Fiat Balilla del 1932 e poi con la Fiat Topolino del 1936, ma il tentativo non ebbe successo, perché l’Italia non era ancora entrata nella civiltà dei consumi, che arrivò invece a metà anni ’50 con il “miracolo economico”. Fu allora che la Fiat 600 (uscita nel 1955), e la Fiat 500 (prodotta dal 1957), portarono in Italia la motorizzazione di massa, o – come dicono i francesi – l’automobilisation.
L’inizio del consumismo fece entrare gli italiani in contatto con i beni durevoli che prima non c’erano, come la televisione, il frigorifero, la lavatrice, il giradischi, ma soprattutto l’automobile, dopo una breve parentesi post-bellica di diffusione di massa e di predominio nella motorizzazione da parte di Vespe e Lambrette.
Le due utilitarie, la 600 e la 500, causarono un’enorme espansione della Fiat, che fra il 1950 e il 1961 arrivò a quadruplicare la sua produzione, coprendo oltre il 90% del mercato italiano, una situazione di monopolio che non aveva eguali all’estero, spesso denunciata da partiti e sindacati.
Il lancio della 600, all’inizio del 1955, fu un’operazione importante e molto attesa, con la consapevolezza di quante novità tale automobile avrebbe potuto portare nella storia della Fiat. Furono prodotti opuscoli in varie lingue, tavole tecniche, cinegiornali, modellini giocattolo. Inoltre innumerevoli 600 sfilarono “in parata trionfale per le vie centrali delle principali città a offrirsi allo sguardo ammirato dei passanti” (p. 131).
Nel gennaio 1956 arrivò la 600 Multipla, una sorta di precursore delle monovolume, che ebbe un forte successo nella critica internazionale, poiché era allora l’unica utilitaria a 6 posti,
Nel luglio 1957 fu poi la volta della “nuova 500”, nuova rispetto alla Topolino del 1936, che era anch’essa una 500. La “nuova 500” venne presentata come “l’auto sempre più per tutti”, con il suo costo di 416.000 lire nella versione iniziale più economica, contro le 653.000 della Fiat 600.
La combinazione di vari elementi, come il ribasso dei listini di prezzo, la piena occupazione dei lavoratori e soprattutto la crescita dei redditi, portava in quegli anni un allargamento inedito nel mercato dell’auto verso il basso, ai ceti della piccola borghesia e ai ceti operai. Insomma, l’automobile cominciava a riguardare le masse, che in essa trovavano una forte identificazione, con una sorta di emancipazione dai mezzi pubblici, che permetteva di entrare a pieno titolo nella società di massa e nei suoi contenuti, come il turismo e l’industria del tempo libero.
Per le nuove generazioni, a partire dagli anni ’60, non era più tanto importante raggiungere la maggiore età per poter votare, ma raggiungere i 18 anni per poter guidare, ormai era la guida dell’autoveicolo il simbolo dell’età adulta, della vita collettiva e individuale “da grandi”.
Per comprendere quale fosse il rapporto dell’Italiano medio con l’automobile, in confronto ad altri cittadini europei, Marchesini riporta un’interessante citazione tratta dalla rivista “Quattroruote” del settembre 1957, che scriveva:
“Gli americani vivono in automobile, gli inglesi e i francesi si servono dell’automobile, gli italiani adorano l’automobile… La maggioranza assoluta che pure adopera la macchina tutti i giorni per il lavoro non la considera ancora un oggetto di uso corrente, come l’ascensore o il telefono: l’automobile è sì una macchina, ma è anche l’espressione della personalità del proprietario” (pp. 216-217).
Il successo dell’utilitaria fu superiore alle stesse aspettative della Fiat, tanto che l’amministratore delegato Vittorio Valletta prevedeva una circolazione di automobili in Italia di 6 milioni nel 1970, mentre si arrivò a 10 milioni. Della 600, prodotta dal 1955 al 1969, furono venduti 2,7 milioni di esemplari, della “nuova 500” vennero venduti ben 3,7 milioni fra il 1957 e il 1975.
Furono queste auto a cambiare la mobilità e la mentalità degli italiani, facendo incamminare l’Italia verso i primi posti mondiali per rapporto fra autoveicoli e abitanti, con una diffusione di automobili divenuta a fine Novecento davvero soffocante.