Recensione di Giuliana Bertagnoni
Il nuovo volume di Maurizio Degl’Innocenti, La società volontaria e solidale. Il cantiere del welfare pubblico e privato, edito da Lacaita, offre al mondo della ricerca legato al welfare, all’associazionismo e alla cooperazione il supporto di un’opera di sintesi, che raccoglie studi di respiro ampio e articolato. Con l’obiettivo, dunque, di presentarne i tratti fondamentali utili a chiunque affronti lo studio di questa materia, o ne voglia approfondire la conoscenza, ripercorriamo brevemente i principali temi toccati dal volume.
L’impianto del libro si sviluppa in tre parti. La prima, Mutualità e società industriale, è concentra su un’articolata analisi dell’evoluzione della mutualità, sviluppatasi in senso vero e proprio dalla seconda metà dell’Ottocento, trattata nei primi quattro capitoli, che passano in rassegna paradigmi e strumenti elaborati all’interno dello Stato liberale per difendere gli individui dalle contraddizioni insite nei processi otto-novecenteschi di modernizzazione, in particolare legati all’industrializzazione e all’urbanizzazione. La materia, a detta dello stesso Autore, si può anche considerare il completamento dei suoi studi già condotti “sulla razionalità dell’azione pubblica con la nascita e lo sviluppo dello Stato nazionale territoriale in Identità nazionale e poteri locali in Italia tra ’800 e ’900 (Lacaita 2005) e Il Governo del particolare. Politiche pubbliche e comunità locale (Lacaita 2008)” (p. 26).
In questa prima parte del libro il contesto, è bene sottolinearlo, è quello europeo fra ’800 e ’900, quando le Esposizioni universali erano i luoghi dello scambio intellettuale, della formazione di un senso comune internazionale, con ricadute sui processi economici e sociali interni alle nazioni. L’analisi del rapporto fra l’organizzazione pubblica della solidarietà e lo Stato procede attraverso la storia delle società di mutuo soccorso, facendo emergere le peculiarità del caso francese, belga, svizzero, tedesco, inglese. Si passano poi in rassegna le categorie professionali coinvolte, gli obiettivi e i risultati legislativi ottenuti, le ideologie e i principali teorici, da Ulisse Gobbi e il dibattito in Italia in età giolittiana (p. 91), all’inglese William Beveridge, economista e amministratore, al cui nome è legato il famoso rapporto Social Insurance and Allied Services del 1941-42 (noto più semplicemente come “Piano Beveridge”), che identificava “nella lotta alla Miseria, alla Malattia, all’Ozio, allo Squallore, all’Ignoranza”, in sostanza nella liberazione dal bisogno, una riforma previdenziale unificata e obbligatoria per tutti i cittadini, che comprendesse pensioni e assicurazioni sociali, e fosse capace di coprire i pericoli di “interruzione o perdita delle capacità di guadagno” (p. 130). Uno spazio di rilievo è dedicato anche a Cheles Gide, al quale si attribuisce l’accezione moderna dell’economia sociale. Questa, affermatasi all’esposizione del 1900, teorizzata dagli economisti tedeschi, alimentata dal liberismo pragmatico inglese, fu sottoposta per la prima volta a una sistemazione classificatoria in Francia, nel tentativo di legittimarne lo status (p. 174).
La seconda parte del volume, Le macchine del progresso sociale, raccoglie saggi e testi prodotti in tempi e occasioni diverse. Il filo rosso che lega i contributi è la ricostruzione dell’azione dei “volenterosi” generata per vocazione alla mutualità o al benessere collettivo. Questa sezione del libro si apre passando in rassegna i nodi evolutivi della società cooperativa in Italia, dalla seconda metà dell’800 in avanti; ripercorrendo le tappe dell’attenzione per il fenomeno prestata da autorità pubbliche e commissioni governative, sollecitate dagli studi di personaggi come Francesco Viganò, Ugo Rabbeno, Aristide Ravà; analizzando i principali provvedimenti legislativi.
Si entra poi nel merito dell’organizzazione cooperativa – nel suo stretto rapporto con il territorio –, della sua identità come impresa – in una logica di sistema, ma anche di movimento –, del problema della sindacalizzazione.
Un capitolo a parte è dedicato a Luigi Luzzati, universalmente riconosciuto, già dalle fonti dell’epoca, il padre della cooperazione italiana. L’Autore ricostruisce il suo percorso e il suo pensiero, analizzando la sua funzione di tramite con l’accademia e l’esperienza europee, nonché la sua influenza sulla cultura della cooperazione italiana e nella definizione del “quadro generale, anche sul piano giuridico, entro il quale il movimento cooperativo mosse i primi passi e poi si sviluppò” (p. 239).
Due saggi sono dedicati al rapporto della mutualità e della cooperazione con il movimento socialista italiano da una parte, ripercorrendo le tappe dell’avvicinamento reciproco; con il fascismo dall’altra, ripercorrendo gli aspetti del riformismo previdenziale fascista.
La sezione finale di questa seconda parte consistente in due corposi capitoli, dedicati a temi non meno rilevanti: l’importante funzione svolta dall’associazionismo attraverso le università popolari e la storia delle case del popolo in Italia, dalle origini alla prima guerra mondiale.
La terza parte del volume, La cometa del terzo settore, analizza il terzo settore nella sua attualità, prendendo in considerazione tre componenti fondamentali: “il volontariato e la generalizzazione del dono, l’impresa cooperativa, il circolo e la società di mutuo soccorso in relazione alla sanità integrativa” (p. 27). Data la centralità del tema “terzo settore”, oggi di estrema rilevanza nella ridefinizione dei rapporti tra pubblico e privato, l’Autore perimetra subito le dimensioni del fenomeno, in Italia e in Europa, sottolineando come esso sia ovunque in aumento.
Un capitolo successivo analizza poi il concetto di volontario, respingendo la teoria che differenzia il volontario e il militante (che attribuisce al primo il sostegno dell’altro da sé, e al secondo l’impegno per la comunità di cui fa parte) ed entrando nel merito del ruolo assunto nell’attualità da chi si impegna in questa attività e della sinergia prodotta con l’iniziativa pubblica.
Segue un capitolo sull’impresa cooperativa oggi attiva, i numeri delle aziende, la complessità e molteplicità delle forme societarie (dalle cooperative spurie, ai grandi gruppi), la difficoltà di conciliare solidarietà e mercato, che ormai nessuna realtà mette più in discussione.
Concludono il volume due ultimi saggi, uno dedicato alla sanità integrativa e uno alla riflessione sul “problema italiano” ai fini della ridefinizione dei rapporti pubblico/privato nella prospettiva del welfare.
Su questi temi vogliamo soffermarci. Infatti, oltre a mettere insieme, in un percorso unitario ed organico, la complessità degli argomenti e problemi rilevanti per la storia del welfare, dell’associazionismo e della cooperazione, il volume ha il merito di creare un collegamento con il presente politico e sociale, anticipato nelle riflessioni introduttive.
In apertura, infatti, l’Autore, analizzando i tratti salienti dell’Italia attuale nel contesto europeo, riconnettendo questa sua analisi al pensiero e ai passaggi storici analizzati nel volume, di cui si è detto, osserva come il disorientamento generale, provocato dalla crisi dei partiti e delle organizzazioni degli interessi, abbia determinato una diseducazione del cittadino nei confronti del bene collettivo, cancellando il concetto di giustizia sociale ancorata al complesso dei diritti acquisiti, estesi anche alle relazioni sociali e industriali. Nel bisogno di ricostruire un nuovo modello di welfare, fra pubblico e privato, mantenendo al centro la persona e le sue relazioni (famiglia, lavoro, comunità e territorio), in una logica che coniughi l’azione spontanea del singolo e il soddisfacimento dei suoi bisogni, all’utilità generale e ai bisogni collettivi, i corpi intermedi assumono un ruolo determinante. Mentre questi, rimasti senza la mediazione della politica, sono sempre più esposti ai rischi di autolegittimazione e corporativismo.
A questo proposito, con le parole dell’Autore, “non si è mai abbastanza riflettuto sul fatto che l’origine della democrazia in Europa si intrecciò con le vicende dell’associazionismo su basi volontarie, di natura mutualistica e cooperativa, al cui interno già a metà dell’800 il voto a testa era pratica diffusa al di là di ogni differenza di razza e religione, di condizione sociale e di genere […]. E neppure sull’importanza che, in virtù della sua natura mutualistica, esso introdusse il principio della interconnessione tra diritti e doveri, premessa al senso di responsabilità che è alla base della società civile. Nell’associazionismo mutualistico c’era la solidarietà reciproca, simmetrica tra i soci […], in connessione a principi della porta aperta e della diffusione della cultura cooperativa. […] La matrice era il mettersi insieme, premessa e condizione dell’autoemancipazione. E, ciò che conta, questo lo si faceva di fronte al bisogno, alla difficoltà percepita così acutamente da non essere affrontata a livello individuale” (p. 20).
Per questo, “in tempi di globalizzazione e di capitalismo finanziario”, di crisi generazionale determinata dall’incerto futuro delle giovani generazioni chiamate ad affrontare il peso dell’egoismo delle generazioni precedenti, “può rivelarsi non priva di significato la conoscenza dell’universo associativo prodotto dalla modernità” (p. 25).