di Tito Menzani
Nel 2012, anno che le Nazioni Unite hanno voluto dedicare alla cooperazione, gli appuntamenti convegnistici, seminariali e culturali in genere dedicati a questo tipo d’impresa sono stati davvero consistenti. Uno dei più importanti e forse meglio riusciti, per i contenuti che ha espresso e l’alto numero di partecipanti, è stato l’evento organizzato a Ribolla dalla Fondazione Memorie Cooperative.
Circa 200 persone hanno riempito il Teatro del paese, noto per il suo passato minerario e per la sciagura che nel 1954 portò alla morte di 43 lavoratori, quando una fuga di grisù produsse uno scoppio in una galleria. L’eclissi della tradizione mineraria e lo smantellamento di tutte le strutture da parte della Montecatini, società che gestiva l’estrazione della pirite, ha determinato una trasformazione delle caratteristiche economiche di questo territorio, ma anche una propulsione associazionistica che si è concretizzata nel rafforzamento della tradizione cooperativa, in particolare nel segmento del consumo.
Unicoop Tirreno è una delle nove grandi cooperative di consumo italiane che condividono il marchio Coop. Opera nella Toscana marittima, dove ha uno storico radicamento nelle province di Livorno e Grosseto, ma anche nel Lazio, in Campania e in parte dell’Umbria. Alcuni anni fa, ha inaugurato il proprio Archivio storico proprio nella cittadina di Ribolla, nella palazzina che fu centro direzionale della Montecatini.
Questo luogo non è rimasto confinato alla semplice conservazione di un patrimonio documentale, ma è presto divenuto un centro per ricerche scientifiche, attività didattiche e formative, eventi culturali pubblici rivolti alla cittadinanza. Per gestire questa crescente mole di impegni è stato prima creato un blog (www.memoriecooperative.it) e poi, nel 2011, è nata la Fondazione Memorie Cooperative. Tra i primi obiettivi concreti che si è posto questo soggetto c’è la realizzazione di una rivista on line, che divenga un luogo di dibattito e di confronto fra tutti coloro che si interessano di cooperazione e di consumo, ma anche di economia sociale e società civile in genere.
Di fatto, quindi, l’iniziativa pubblica del 26 ottobre 2012 ha avuto un duplice valore: in primis presentare alla comunità locale e nazionale questo impegno, e di conseguenza ragionare – in chiave archivistica, storica e culturale – sul significato di questo patrimonio e sul ruolo attivo che la memoria può avere. Se si considera che l’incontro si è svolto di venerdì mattina, in un luogo abbastanza isolato come Ribolla, e in diretta streaming su internet, i tantissimi intervenuti hanno certamente dato la misura del grande successo dell’evento e della domanda di storia locale e coltivazione della memoria che c’è in un territorio come quello maremmano. Non a caso, su questo evento si è concentrata anche la stampa, con varie testate come il Manifesto, il Corriere della Sera o il Tirreno, solo per citarne alcune, che si sono interessate al tema e hanno dedicato uno spazio considerevole all’iniziativa nei giorni immediatamente precedenti alla medesima.
Simonetta Radi, vicepresidente del consiglio di sorveglianza della Fondazione Memorie Cooperative, ha aperto i lavori ricordando il grande sforzo che questa neonata istituzione sta facendo per valorizzare un patrimonio e, in senso più spicciolo, per fare cultura e attività di ricerca scientifica. È stata poi la volta dei saluti istituzionali dei tre soggetti che hanno patrocinato l’iniziativa, per cui sono intervenuti Giancarlo Innocenti, sindaco del Comune di Roccastrada, di cui Ribolla fa parte, Leonardo Marras, presidente della Provincia di Grosseto, e Diana Toccafondi, soprintendente archivistico per la Toscana.
Poi è stato presentato il progetto culturale della Fondazione Memorie Cooperative, con gli interventi del suo direttore scientifico, Enrico Mannari, della responsabile dell’archivio, Antonella Ghisaura, e di uno dei più attivi collaboratori, Marco Gualersi. In particolare, è stato illustrato il grande lavoro di riordino e sistematizzazione archivistica impostato tre anni fa attorno ai tanti materiali delle storiche cooperative di consumo che poi hanno unito le proprie esperienze e dato luogo a Unicoop Tirreno. Si tratta di un archivio particolarmente ampio, il cui inventario – oltre che le scansioni dei documenti più importanti – è oggi disponibile gratuitamente on line all’indirizzo
http://archivioweb.memoriecooperative.it/AriannaWeb/main.htm. Il medesimo inventario, corredato da una serie di saggi di commento, è stato pubblicato nel libro Custodire il futuro. L’archivio storico di Unicoop Tirreno, curato da i tre studiosi testé citati, e uscito all’inizio di ottobre per la milanese Mind Edizioni.
Nell’ambito di questa fase di lavori, è stata data la parola anche a Filippo Iannitelli, ribollino e figlio di minatori, che ha offerto un’appassionata e toccante testimonianza: dal ricordo delle 43 bare dei minatori deceduti nel 1954 e raccolte nel teatro del paese – lo stesso che ospitava l’evento – al racconto della febbrile attività per sviluppare la cooperazione di consumo. Poiché la cooperativa di Ribolla aveva avuto sede legale in casa di Iannitelli, fra gli applausi del pubblico, egli ha consegnato alla Fondazione Memorie Cooperative alcuni importanti documenti dell’epoca che aveva conservato, i quali sono andati così ad implementare il patrimonio archivistico di cui si è detto sopra.
La discussione intorno a questa dimensione archivistica e al progetto scientifico ad essa correlato è proseguita attraverso ulteriori interventi, che si sono focalizzati principalmente sul rapporto tra movimento cooperativo italiano e impegno culturale, ma anche sui bisogni che un territorio, una comunità, e una rete di persone hanno in termini di memoria e spessore storico. Hanno preso la parola Antonella Mulè, responsabile della Direzione generale per gli archivi del Ministero per i beni e le attività culturali, Walter Dondi, direttore della Fondazione Unipolis, Mauro Giordani, presidente della Fondazione Ivano Barberini, Enrico Parsi, direttore della Scuola Coop, e Luca Toschi, docente ordinario di sociologia presso il Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università di Firenze.
In particolare sono emersi tre elementi cruciali. Il primo è che gli archivi d’impresa rappresentano un patrimonio non solo delle imprese stesse, ma anche di carattere pubblico, perché rimanda a quel concetto di responsabilità sociale che di recente sta trovando grande riscontro. Di qui, dunque, anche l’interesse istituzionale verso questo genere di materiali, concretizzatosi, ad esempio, nella creazione di un portale ministeriale dedicato agli archivi d’impresa
(http://www.imprese.san.beniculturali.it/web/imprese/home).
Il secondo aspetto importante è che tutto questo lavoro fatto dalla Fondazione Memorie Cooperative deve essere considerato costantemente in progress, sia perché nuova documentazione su queste esperienze continua ad emergere dai territori livornese, grossetano, laziale, campano, ecc., sia perché l’archivio corrente continuerà a versare a quello storico, sia perché, infine, il progetto portato avanti con convinzione e determinazione dalla Fondazione può rappresentare un modello per altre realtà cooperative, e dunque ampliarsi ad altri soggetti interessati a condividere e valorizzare il proprio percorso sociale ed imprenditoriale.
La terza ed ultima direttrice riguarda il binomio tra lavoro e cultura. In vari hanno ricordato come gli attacchi alla cultura non si siano solo alimentati di tagli continui operati sul versante pubblico (ma anche privato), ma anche di affermazioni sotterranee e velenose, per cui, ad esempio, si è dichiarato che l’imprenditoria e la dimensione tecnica possono fare a meno della cultura. A detta del mondo cooperativo si tratta di un’affermazione pericolosa, irresponsabile e assolutamente fuorviante, perché le imprese sono fatte dalle persone che quasi mai vi apportano un lavoro di carattere asettico o meccanico, ma vi infondono una parte del proprio bagaglio personale, dello stile di vita, della propria visione del mondo, delle proprie sensibilità e della dimensione etica intima. Di qui, dunque, l’importanza di avere una classe dirigente, un popolo di lavoratori e lavoratrici, una cittadinanza che abbia avuto una formazione culturale – scolastica ed extrascolastica – di grande qualità.
In chiusura dell’incontro, ha preso la parla Sergio Costalli, storico dirigente della cooperazione di consumo toscana, amministratore delegato e vicepresidente di Unicoop Tirreno e presidente della Fondazione Memorie Cooperative. Il suo intervento ha mirabilmente sintetizzato i principali spunti emersi dalle relazioni precedenti e focalizzato alcuni snodi principali, a partire dai temi economici di stringente attualità. Il concetto forse più importante citato da Costalli è stato quello di rete, inteso come valore aggiunto che le organizzazioni culturali della cooperazione – come le Fondazioni che hanno partecipato all’incontro o la Scuola Coop, anch’essa presente – devono sfruttare per fare massa critica, sviluppare sinergie, condividere idee e risorse.
È questo, in estrema sintesi, uno dei grandi obiettivi che il movimento vuole porsi per fare della cultura uno snodo cruciale della propria mission, perché questa non sia ancillare all’attività imprenditoriale, ma in stretta correlazione con essa. In tal senso, ragionare ad ampio raggio e in maniera ordinata e coordinata su questi argomenti consentirebbe di mettere in campo progetti di alto livello e di sicuro impatto, al di fuori di logiche particolaristiche, localistiche o di piccolo cabotaggio, che in anni precedenti hanno talvolta drenato risorse non commisurate ai risultati ottenuti, perché questi sono rimasti confinati entro un perimetro angusto.
Di fatto, quindi, sono stati lanciati i semi perché il rapporto tra patrimonio archivistico e sviluppo culturale e, con esso, imprenditoriale e socio-territoriale divenga una delle direttrici principali lungo la quale la memoria, l’identità e le radici debbano trovare spazio per una maturazione convincente. Il tutto, naturalmente, non deve intendersi come un patrimonio “esclusivo”, ma anzi – proprio perché il tema dell’apertura e della condivisione sono nel dna della cooperazione – “inclusivo”, per estendere valori e scelte etiche dalla base sociale delle imprese cooperative al resto della comunità.