di Paolo Soave
Il 2 dicembre 2011 il Centro interuniversitario Osservatorio di Politica Internazionale-Opint ha tenuto presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Siena il suo convegno annuale su un tema di attualità politica internazionale, in questa occasione La Russia: uno di noi? Nel corso delle due sessioni di lavoro i relatori hanno approfondito i principali aspetti, culturali, geoeconomici, politico-diplomatici e strategici che nel presente scenario internazionale caratterizzano il complesso rapporto fra i paesi occidentali e la Russia, caratterizzato da prospettive di ulteriore avvicinamento e cooperazione ma anche da persistenti divergenze.
La dimensione culturale e psicologica, sempre influente nelle dinamiche storico-internazionali soprattutto nell’accezione di percezione fra attori ha costituito il fondamento della riflessione dei relatori. È ben noto come per l’Occidente risulti da sempre difficile circoscrivere anche geograficamente l’entità russa, caratterizzata dalla presenza di radici identitarie europee ma anche di tratti più marcatamente asiatici. La prof.ssa Valeria Fiorani Piacentini, dell’Università Cattolica di Milano, ha sostenuto che la Russia da sempre si autorappresenta quale polo europeo autonomo allo stesso tempo impegnato a instaurare solidi legami con il contesto euroatlantico, in qualche misura disturbati dalle interferenze americane, e a consolidare la propria sfera territoriale nel settore eurasiatico. Il persistere di questa seconda vocazione geopolitica è comprovata, anche in termini culturali, dalla provenienza russa di molte delle conoscenze occidentali sull’Asia centrale. Gli sviluppi storico-politici del ventesimo secolo hanno come noto accentuato il carattere critico di questa reciproca percezione, come ha evidenziato il Gen. Giuseppe Cucchi ricordando che durante la guerra fredda i due sistemi di alleanze della Nato e del Patto di Varsavia rappresentarono realtà del tutto speculari, apparentemente aggressive ma in realtà intimamente difensive. Per Lucio Caracciolo, direttore di Limes, l’era della contrapposizione bipolare favorì in generale l’incomprensione dell’identità russa: al tempo della campagna dell’Armata rossa in Afghanistan Mosca rivendicò, paradossalmente e senza essere compresa, il proprio impegno a difesa dell’Occidente “allargato” in nome delle comuni radici cristiane. Anche nel presente scenario internazionale, nonostante i maggiori antagonisti della Russia siano rappresentati dalle potenze asiatiche e dal radicalismo islamico, l’Occidente sembra persistere tenacemente nel non riconoscere in Mosca un partner prossimo e affidabile. A questa duratura diffidenza Cucchi aggiunge anche un minor interesse generale per la Russia, che con il tramonto della stagione dei “sovietologi” e dei “cremnilogi” sembra non rappresentare più una priorità culturale nei paesi occidentali. D’altra parte, il Gen. Fabio Mini ha respinto la visione di una Russia sempre più protesa verso Occidente e allo stesso tempo impegnata a contenere la Cina popolare. In realtà, ha sostenuto Mini, Mosca e Pechino sono accomunate da evidenti continuità gerarchiche nelle loro leadership e dall’essere gli anomali fuochi di due “imperi” non centralizzati, in cui le risorse, al contrario di quanto avviene in Occidente, affluiscono dal centro alle periferie.
Partendo da questo controverso dato culturale i relatori hanno illustrato i nuovi orientamenti geoeconomici e geostrategici della Russia. Essi paiono volti strumentalmente alla ricerca di forme di cooperazione sempre più strette in campo internazionale, come emerso dall’intervento di Putin in occasione del Forum economico di Davos del 2009. In quella occasione, ha sottolineato il prof. Giovanni Buccianti, Direttore dell’Opint, il leader russo è sembrato voler cogliere la circostanza storica del comune impegno per uscire dalla crisi finanziaria globale per rilanciare definitivamente la Russia come riemergente potenza geoeconomica nel contesto di un nuovo sistema multipolare. Il carattere meramente strategico con cui Mosca guarda ai nuovi assetti internazionali emerge in particolare, ha sottolineato Caracciolo, dal progetto di unione eurasiatica illustrato dallo stesso Putin su Izvestia il 4 ottobre 2011 e che trae ispirazione proprio dal modello di integrazione europea. Il processo mira al definitivo riconsolidamento di quella che fu la sfera eurasiatica di influenze sovietiche e proprio per questo suscita resistenze e diffidenze, in particolare nell’Ucraina, gelosa dell’autonomia recentemente riacquisita. Esso riveste una priorità assoluta nell’agenda del Cremlino, ha precisato Caracciolo, perché solo dopo che la Russia avrà ricompattato il proprio sistema geopolitico potrà proporsi come interlocutore pienamente credibile agli occhi degli altri grandi attori internazionali quali Stati Uniti, Ue e Cina popolare. In questa prospettiva assume per Caracciolo un’importanza centrale la questione storica dell’incompiuta modernizzazione della Russia, che Putin ha inteso sbrigativamente risolvere con la netta e arbitraria distinzione fra oligarchie buone, confacenti al consolidamento del potere, e cattive, ovvero antagoniste, in buona misura neutralizzate. Solo soddisfacendo questa istanza interna la dirigenza russa potrà ad esempio svincolarsi nel suo difficile approccio all’Europa dalla subalternità alla Germania. Analoghe considerazioni sono state proposte da Evgeny Utkin, giornalista ed osservatore economico, che ha sottolineato la preoccupazione che al Cremlino suscita la gravità della crisi finanziaria che ha colpito l’area dell’euro nel momento in cui, dopo ben diciotto anni di negoziati, la Russia si appresta ad entrare nel WTO e l’economia nazionale è impegnata nel tentativo di una significativa diversificazione rispetto all’attuale monopolio delle esportazioni di idrocarburi. Nella concezione strategica russa un ruolo di rilievo è da tempo attribuita, ha precisato il prof. Andrea Francioni, dell’Università degli Studi di Siena, anche alla partnership con la Cina popolare. Avviato da Gorbaciov, il ripristino di un rapporto costruttivo con Pechino fu intensificato negli anni del declino russo sullo scenario internazionale ed ebbe fra i principali promotori Primakov, fautore di un più stretto legame con la Cina a seguito del fallimentare approccio all’Occidente da parte di Eltsin. Dopo la nascita nel 1996 del gruppo di Shanghai, nel 2001 i due paesi sottoscrissero un partenariato strategico finalizzato soprattutto a garantire la sicurezza in Asia centrale. Tuttavia a seguito degli attentati dell’11 settembre Putin impose un drastico revirement alla politica estera russa, nuovamente orientata ad Ovest nella speranza che l’investimento in solidarietà agli Stati Uniti potesse procurare vantaggi. Nonostante l’ingresso nel G7 e l’accordo di Pratica di Mare, Mosca continuò a non godere di piena considerazione al punto che gli americani instaurarono influenze strategiche in Asia centrale, al punto che Putin decise di rilanciare nuovamente il partenariato con Pechino. Le evoluzioni invero poco lineari dell’attenzione russa per la Cina evidenziano appieno, ha concluso Francioni, la natura strumentale che Mosca attribuisce a tale partenariato, del resto pienamente condivisa a Pechino, che non ha inteso contrarre dipendenze dalla Russia né nel campo delle forniture energetiche, né in quello degli armamenti. In sostanza per entrambi la priorità internazionale è piuttosto rappresentata dai rapporti con le potenze occidentali.
Cercando di dare una risposta al quesito di partenza, ovvero se la Russia sia o meno “uno di noi”, i relatori hanno in particolare evidenziato le ragioni di una possibile integrazione economica di Mosca nell’Unione europea. A sostegno di questa ipotesi non militano le sole ingenti forniture energetiche garantite dalla Russia all’intero continente. Per il Gen. Cucchi l’ulteriore avvicinamento all’Europa rappresenta la sola forma di integrazione possibile per la Russia, grazie soprattutto alla particolare flessibilità dimostrata dal processo di integrazione europea. Anche per quelle che al momento sono le maggiori criticità russe l’Europa, che resta anche nella presente crisi una grande potenza economica, potrebbe rappresentare una soluzione, in particolare supplendo al grave impoverimento demografico russo, ma anche alla necessità di una modernizzazione interna ancora incompiuta e stimolando una diversificazione produttiva in campo economico rispetto al primato degli idrocarburi. Per contro la Russia si trova coinvolta in una serie di crisi regionali, in particolare quelle caucasiche, dalle complesse implicazioni per l’Ue, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con la Turchia. In particolare a suscitare perplessità e critica in Europa sono i caratteri del sistema politico russo e in tal senso le recenti elezioni, con nuove e significative espressioni di dissenso nei confronti del leader Putin, hanno confermato l’esistenza di una distanza ancora assai marcata in tema di democrazia e diritti. Su questo punto il prof. Matteo Pizzigallo, dell’Università Federico II di Napoli, ha invitato a non applicare rigorosamente i riconosciuti standard politici occidentali a contesti diversi, al fine di evitare gli errori di valutazione in cui l’Occidente è incorso, ad esempio con le cosiddette rivoluzioni arancioni dell’est e con la primavera araba. Pizzigallo ha inoltre sottolineato come proprio l’Italia abbia dimostrato in epoche diverse la capacità di perseguire con la Russia un fruttuoso rapporto bilaterale, dal lontano accordo di Racconigi, al riconoscimento da parte sovietica del Regno del Sud, alle intese economiche negoziate da Enrico Mattei. Anche in campo militare, ha sottolineato Cucchi, si intravede la possibilità di stabilire delle sinergie, in considerazione della disponibilità russa di uomini a fronte di un’Europa sempre più riottosa a fornire soldati. Questi elementi di potenziale complementarietà strategica, sottolineati anche dal prof. Gianluigi Rossi, Preside della Facoltà di Scienze Politiche della Sapienza di Roma, hanno indotto la prof.ssa Fiorani Piacentini ad auspicare che l’Europa non commetta con la Russia lo stesso errore di valutazione compiuto con la Turchia, il cui ingresso nell’Ue appare sempre più remoto.
Infine i relatori si sono confrontati sui possibili sviluppi nel campo dell’integrazione strategica fra Nato e Russia. Il prof. Buccianti ha ricordato come la National Security Strategy presentata dalla Casa Bianca nel maggio 2010, abbandonando definitivamente l’illusorio approccio unilaterale della precedente amministrazione abbia sostenuto la necessità di rafforzare alleanze strutturali come la Nato e le partnership con le maggiori potenze per conferire rinnovata stabilità al sistema internazionale. In particolare riguardo al rapporto con la Russia è stato volutamente fatto cadere qualsiasi riferimento all’ipotesi di ampliamento dell’Alleanza atlantica al Caucaso, che scatenò gravi tensioni con la Georgia, in favore di un rapporto più “stabile” con Mosca. Washington sembra in sostanza voler rafforzare la cooperazione nel quadro di un sistema di sicurezza allargato che dall’Atlantico si spinga fino alla Russia, con l’implicito riconoscimento del suo riemergere dal ventennio di isolamento internazionale conseguente al crollo dell’Urss. Peraltro la costituzione a Pratica di mare nel 2002 del Consiglio Nato-Russia non ha avuto un seguito significativo. Anche nella sua prima visita in Europa, avvenuta in Germania nel corso del 2008, Medvedev propose la costruzione di uno spazio euroatlantico da Vancouver a Vladivostok per la sicurezza europea riprendendo la visione gaullista dell’Europa dall’Atlantico agli Urali e quella successiva paneuropea di Gorbaciov. Questo ricorrente disegno fu illustrato in termini ancor più concreti nel febbraio 2009 da lord George Robertson, che in qualità di presidente dell’Institute for Public Policy Research in una intervista al Kommersant affermò che la Russia avrebbe finito con l’aderire a una Nato a sua volta destinata a evolvere in un nuovo organismo di sicurezza. Buccianti ha ricordato che attualmente esiste in seno alla Nato un gruppo di saggi guidato dalla ex segretario di Stato Usa Madeleine Albright incaricato di studiare i possibili sviluppi del piano Robertson. Secondo Giscard d’Estaing il piano potrebbe costituire il punto di svolta storica per trasformare, anche grazie alla Russia, l’Europa in entità federale. In sostanza in un’ottica ancora funzionalista il continente potrebbe compiere un decisivo progresso sul piano dell’integrazione anteponendo la questione strategica, come in passato fu per l’economia, a qualsiasi altra considerazione. Le ragioni per una piena integrazione strategica di Mosca nel sistema occidentale si impongono secondo Buccianti anche per la necessità di ricorrere al contributo russo per la risoluzione di crisi internazionali come quella rappresentata dal programma nucleare iraniano o dalla minaccia terroristica. Solo con l’estensione a Mosca giungerebbe a compimento il percorso storico di ampliamento ad est intrapreso dalla Nato dopo la fine del sistema sovietico, che altrimenti rischia di risultare irrimediabilmente ostile proprio nei confronti della potenza esclusa. In senso contrario Cucchi ritiene che una presenza istituzionalizzata della Russia all’interno della Nato sia da ritenersi fuori discussione per il persistere di quella reciproca diffidenza che ha caratterizzato i rapporti fra le parti sin dall’epoca dei blocchi contrapposti e che è storica, quindi tuttora esistente. Cucchi ha citato in particolare il precedente degli anni ’50, quando Stalin chiese provocatoriamente di poter aderire all’Alleanza atlantica e di fronte al rifiuto occidentale concluse che la Nato era ostile a Mosca sentendosi così giustificato a costituire lo speculare Patto di Varsavia. Analogamente, dopo il crollo del muro di Berlino, negli ambienti della Nato ci si chiese quanti paesi dell’ex blocco sovietico avrebbero dovuto essere inglobati nell’Alleanza per ridefinire la sua sicurezza. Anziché aprirsi subito alla Russia, la Nato scelse di seguire la via più facile ma progressiva dell’ampliamento agli ex satelliti. In sostanza la secolare e irrisolta questione della definizione dei confini europei e occidentali si ripropone ad ogni cambiamento, quando riemergono le ragioni storiche, culturali e strategiche in favore di un Occidente “allargato” ma anche quelle che inducono a respingere l’ipotesi di un pieno coinvolgimento russo. Anche il Gen. Mini ha sottolineato come tutte le ipotesi fin qui considerate di ampliamento della Nato ad est abbiano visto nella Russia non un possibile nuovo membro quanto piuttosto un antagonista da estromettere e isolare. La stessa cooperazione militare nei teatri di crisi del resto ha dato vita a non lievi incomprensioni fra le parti, come lo stesso Mini, al comando della forza alleata in Kossovo, ebbe occasione di sperimentare a Pristina. Infine, nel valutare qualsiasi ipotesi di allargamento alla Russia si dovrebbe tener conto con particolare attenzione delle conseguenti implicazioni nei rapporti fra Occidente e Cina, che percepirebbe una simile iniziativa come il tentativo ostile di ridurla all’isolamento internazionale. In conclusione, al di là delle persistenti diversità è sulla base dei rispettivi interessi strategici che Occidente e Russia dovranno anche in futuro, di volta in volta, verificare la possibilità di cooperare, come ha ben dimostrato nel 2008 il disimpegno atlantico nei confronti della sorte della Georgia, “sacrificata” proprio per non inaugurare una nuova stagione di contrapposizioni con Mosca. La Russia, in sostanza, hanno concordato i relatori intervenuti, può essere “uno di noi” a patto di individuare le forme di legame, più cooperative che istituzionalizzate, che tengano conto delle sue peculiarità e dei suoi caratteri storici.