di Michelangela Di Giacomo
Tre anni fa, sulle pagine di questa stessa rivista, avevamo osservato come la storia delle migrazioni stesse prendendo corpo in Italia sulla scia di alcuni affermati studiosi che sempre più stavano avvicinando le scienze storiche ai cosiddetti migration studies, considerando le mobilità umane come un punto di osservazione privilegiato per la comprensione delle dinamiche storiche della nostra Penisola. Oggi possiamo affermare che quel filone – allora ancora quasi appena percettibile – è fecondamente aperto e sondato da storici di varia formazione e di generazioni differenti. Il 2012 ha visto in particolare l’uscita di due volumi, entrambi nella collana “Quadrante” per i tipi Laterza, che tentano proficuamente di definire dei quadri d’insieme delle migrazioni interne ed internazionali in Italia, valutando fenomeni di spostamento di popoli sul tempo lungo dei secoli o addirittura dei millenni.
Paola Corti e Matteo Sanfilippo, tra gli studiosi delle migrazioni due tra quelli di più lunga data e già curatori nel 2009 dell’imponente 24° Annale della “Storia d’Italia” Einaudi proprio alle migrazioni dedicato, fanno ora nell’agile L’Italia e le migrazioni (Roma-Bari, Laterza, 2012) un bilancio di un percorso di studi pluriennale. Il che consente loro di guidare il lettore in un excursus dalla preistoria ai giorni d’oggi descrivendo il territorio italico come un crocevia di popoli, un continuo rimescolarsi di genti che finisce per presentarsi forse come il più profondo tratto unificante dell’Italia. Obiettivo – raggiunto – del volume è tentare di comporre un quadro d’insieme dei risultati di una disciplina ancora molto settoriale. La giovane età degli studi migratori in Italia ha infatti implicato la necessità di affrontare la questione per piccoli passi, ciascuno studiando una determinata epoca, un determinato tipo di migrazione, una determinata area geografica. Anche quando più si è tentato in passato di superare la settorialità, il risultato sono state raccolte di saggi iper-specialistici – volumi dunque che più che restituire la concomitanza o correlazione di fenomeni distinti, finivano per peccare di disomogeneità e al tempo stesso di eccessiva minuziosità di dettaglio. Il lavoro di Corti e Sanfilippo permette invece un approccio globale alle tematiche migratorie, un volo radente – ma non per questo superficiale – rivolto ad un pubblico di specialisti ma anche ad un lettore meno addentro alle letture storiografiche. E soprattutto permette di ridefinire il peso attribuibile ai singoli fenomeni migratori evitando quelle enfatizzazioni che ne hanno negli anni sedimentato una lettura distorta: solo per dire dei più eclatanti, è il caso della emigrazione transnazionale a cavallo tra XIX e XX secolo o dell’immigrazione extracomunitaria degli ultimi vent’anni. Al tempo stesso, trovano una nuova luce degli aspetti spesso più marginali, come le migrazioni interne, senza la cui valorizzazione perdono di senso anche altre tendenze più o meno spontanee della demografia italiana e dei suoi processi di sviluppo economico e sociale – e non ci si riferisce solo agli spostamenti di questo secondo dopoguerra, ma anche al fortissimo rimescolamento di popolazione che interessò la Penisola in epoca medievale. La periodizzazione del volume è vastissima, s’è detto, ed era impossibile per gli autori addentrarsi in scelte cronologiche ardite. L’Otto-Novecento ha uno spazio maggiore, lasciando forse scontenti quanti maggior curiosità sentono per le epoche precedenti, ma, se ne giustificano gli autori stessi, la scarsità di studi disponibili – e non colmabili in un lavoro “compilativo” come è il caso del presente – rendeva quasi impossibile dilungarsi nella loro trattazione. A parte dunque le ovvie disparità di trattamento riservati a ciascuno, il volume riesce fruttuosamente a tenere insieme quanti più aspetti possibili delle migrazioni che hanno interessato il territorio italiano e i popoli che vi hanno vissuto. Una ricostruzione non semplicemente enumerativa ma che tenta di focalizzare l’attenzione del lettore su aspetti che gli studi storici stanno solo recentemente vagliando, quali quelli legati alla gestione politica o amministrativa delle mobilità umane – per dare un esempio, dai meccanismi di registrazione nella Roma di Cicerone al riconoscimento di cittadinanza nei paesi della Comunità Europea. Spunti interessanti vengono anche dal volume quando tenta la compenetrazione con altre discipline – si vedano i riferimenti alle ultime acquisizioni della genetica storica sull’origine e la diffusione dell’umanità, all’archeologia, alla letteratura mitologica e non: un tentativo di mostrare come l’uomo non solo si è sempre mosso, ma ha anche sempre ragionato sulla propria propensione allo spostamento, facendone mito fondativo o oggetto di studio. L’aspetto religioso e linguistico non è lasciato a margine: l’identificazione del diverso e la sua più o meno accettazione in tempi e società differenti è un argomento che gli studi migratori non possono non considerare, fosse solo come sottofondo, come strumento euristico – rimanda cioè alla domanda “che cos’è un emigrante/un immigrato?” e dunque all’oggetto di studio stesso. Assimilare le diversità – caso esemplare il regno di Federico II nel Sud – o mantenerli distanti – la nascita dei ghetti ebraici, la deportazione dei mussulmani nella conquista normanna? E così anche il tema del colonialismo – ben oltre gli aspetti otto-novecenteschi ed i cui fili si riannodano nell’antica Roma, nell’arrivo di popoli “barbari”, nei regni medievali. Questioni che la storiografia ha già frequentato, soprattutto all’estero, e di cui gli autori non mancano di far menzione e di render conto dei risultati più avanzati degli studi. Così come ricchissimo è il panorama bibliografico offerto dagli autori al momento di trattare le emigrazioni degli italiani, anch’esse ben oltre quegli stereotipi dell’Italiano in Argentina o alla dogana di Ellis Island con le valigie di cartone. Un esodo seguito dall’età preunitaria, segnalando come proprio sui rapporti costruiti all’estero dalle comunità di mercanti italiani si svilupparono reti poi fruttuosamente sfruttate in tempi post-unitari per cercare altre occasioni di lavoro. Il che richiama anche la questione del concetto di Stato e di territorio – così dalle osservazioni degli autori risulta semplice desumere come senza una legislazione e una organizzazione statuale, anche le migrazioni appaiano ben meno percepite o significative. Nonostante ciò, il rapporto tra istituzioni e movimenti di popolazione non è tra gli aspetti più studiati dai migrazionisti. Una lacuna ancora tutta da colmare.
Migrazioni economiche, migrazioni politiche, migrazioni individuali o di popoli, migrazioni di donne o di uomini, arrivi e partenze e spostamenti circolari: senza essere esaustivo, il volume ha il pregio di rendere la complessa interazione tra tutti questi modelli migratori differenti, cercandone di mettere in luce punti comuni, differenze ed evoluzioni. Il buon risultato è dato senza dubbio dalla lunga esperienza degli autori, dalla loro frequentazione con la letteratura, dal loro essere promotori e attivi collaboratori di centri studio, musei e riviste dedicate al tema migratorio. Una lettura, dunque, utile e piacevole. In qualche modo, nel suo essere molto meglio documentata di volumi con analogo spirito onnicomprensivo usciti negli anni passati, un’edizione che mancava e di cui cominciava a sentirsi l’esigenza.
Come si diceva, Corti e Sanfilippo sottolineano l’assenza di una panoramica sulle migrazioni interne italiane, tema che già in altre occasioni avevamo notato essere alquanto trascurato dalla letteratura storiografica. Un buon passo avanti si compie dunque con Senza attraversare le frontiere. Le migrazioni interne dall’Unità ad oggi, di Stefano Gallo (Roma-Bari, Laterza, 2012), ricercatore indipendente di quella nuova generazione di studiosi che sta aggiornando con coraggio gli studi storici italiani. Il volume è dedicato alle sole migrazioni interne, risalendo indietro nel tempo sino alla formazione dell’Italia unita. Tornano i temi già presenti nel lavoro di Corti e Sanfilippo e che un’attenta storiografia non può non tenere in conto: pluralità degli spostamenti, legiferazione appropriata, definizione dei confini amministrativi e sociali. Un approccio più macroeconomico e istituzionale rispetto a quello che la storia delle migrazioni in Italia ha sondato prevalentemente. Storia orale, storia di genere, networks sociali, microstoria, storia culturale: questi i temi che saggiamente questo libro evita, essendo già stati oggetto della maggior parte delle – pur numericamente scarse – riflessioni sulle migrazioni interne italiane. Il lavoro di Gallo è un primo approccio, con volontà di sguardo d’insieme, ad un modo nuovo di compenetrare ambiti storiografici differenti e che sembra dare in tempi molto recenti dei risultati alquanto interessanti. Come egli stesso sottolinea nell’introduzione al volume, “non è solo una questione di scala. Vuol dire iniziare a porsi problemi di ordine diverso” (p. X). Considerare le forme con cui le amministrazioni e la politica si sono interessate alle migrazioni porta a ridefinire l’oggetto di studio, a travalicare quelle differenze tra “interne” ed “internazionali” cui ci si riferiva per ingenuità di analisi, prima, e per comodità, poi. I confini del mondo urbano e del mondo rurale, per esempio, risultano dallo studio delle migrazioni molto meno netti di quanto non possano apparire in narrazioni che se ne servono come dicotomie nette. Mentre essi appaiono piuttosto ricomprensibili in grandi “sistemi migratori”, in cui le città erano inserite in un tessuto di spostamenti ben più ricco che il semplice passaggio campagna-città e così stabili da essere rintracciabili dall’età napoleonica fino ai più recenti periodi in cui ancora il mondo rurale si manteneva predominante. Nel momento in cui gli stessi confini statali si considerino come una contingenza e si allenti il peso loro attribuito, che cosa è interno? Sono più interni, si chiede Gallo, movimenti da un capo all’altro della penisola che coprono migliaia di chilometri o i movimenti da un lato all’altro delle Alpi, ad esempio, dunque in un unico comprensorio geografico pur separato amministrativamente? O quante volte allargandosi o restringendosi i confini di uno Stato le popolazioni hanno cambiato di status? Dunque la questione, opportunamente posta e affrontata nel volume, diventa valutare quanto le scelte politiche abbiano influito sulle scelte migratorie di persone e comunità – un tipo di studio che in altri contesti, quale quello statunitense, ha dato vita addirittura alla possibilità di creare dei nuovi modelli di rappresentazione delle migrazioni (creare, indirizzare e trattenere i flussi). Gli spunti interpretativi brillanti e nuovi non mancano nel volume, che, a volerne evidenziare un limite, può tacciarsi forse di un’eccessiva rapidità in alcuni punti, che si basano solo su una letteratura ampia ma non sterminata, o di essere squilibrato verso temi per cui l’autore mostra maggior dimestichezza e simpatia – con capitoli sull’Italia repubblicana che hanno come fonti anche archivi e documentazione a stampa periodica, frutto evidentemente di precedenti ricerche. La ripartizione temporale, anche qui, è usuale: fase post-unitaria, anni inter-bellici, secondo dopoguerra. L’ultima parte forse la meno originale, per quanto ammirevole la capacità dell’autore di spaziare in senso geografico e tematico in lungo e largo per la penisola sino ad ammiccare ai più recenti contributi sociologici sulle migrazioni interne odierne – fenomeno come è noto tutt’altro che terminato con la presunta “trasformazione” dell’Italia in terra d’immigrazione. Con ciò non si intende affatto sminuire il lavoro presentato nel volume, che si sforza anzi di evidenziare le mobilità umane apparse in maniera più o meno residuale in studi di altra natura che, per la loro rilevanza, non hanno potuto non citarle pur senza farne centro dell’attenzione. Il migrante è inevitabilmente presente nei momenti cruciali di cambiamento economico e sociale, ma ben difficilmente l’ottica migratoria è stata usata per valutare quelle transizioni. Così come un’attenzione speciale, e crediamo ben riposta, è data da Gallo alla questione urbana, alla recettività di territori e popolazioni al contatto con migrazioni di provenienza rurale – all’evoluzione delle città sono dedicati appositi capitoli per ciascuna delle ripartizioni temporali definite dall’autore. Un volume, per così dire, più di metodo che di sostanza, prodotto senza dubbio di uno studio attento e di una non breve riflessione sugli argomenti qui gestiti. Così, per tornare sulla sopravvalutazione della “Grande migrazione” transoceanica, l’autore avverte che per impetuosa che essa apparve anche agli occhi dei contemporanei, non si impiantava su una società statica. Anzi, era una società che basava il suo principale settore, agricolo, sulla mobilità della manodopera che vi si dedicava – spostamenti continui, giornalieri o stagionali che seguivano le esigenze della morfologia del terreno o della circolarità delle produzioni: un vero e proprio animus migrandi, come lo definisce l’autore, che predisponeva i lavoratori italiani a ricercare opportunità di lavoro in spazi differenti. Così come è da sfatare il mito della disperazione e della miseria di chi partiva. Un’emigrazione di qualità, di saperi, è stata sempre altrettanto presente di quella dell’altro tipo. Il che, si evince dal ragionamento proposto dall’autore, impone ad esempio una certa cautela al momento di gridare alla “fuga dei cervelli” come si suole ultimamente leggere su molta stampa. O ancora, da approfondire sarebbero le suggestioni proposte dall’autore sul rapporto tra organizzazioni dei lavoratori, sistema di gestione della manodopera e movimenti della medesima – il riferimento è ad esempio alla Federterra dei primi del secolo che per prima ragionò sulla creazione di strumenti di razionalizzazione della mobilità territoriale rurale, in chiave di opposizione a dei proprietari terrieri che proprio quelle migrazioni sfruttavano abilmente in chiave antisindacale. Mettere in luce questi aspetti di lunga durata permette all’autore di fornire anche un nuovo giudizio sulle soluzioni di controllo della mobilità e della manodopera operate dal Fascismo – che tentarono di frenare quel rimescolamento demografico operato dalla Grande guerra su una scala nazionale e molto più completa di quanto accaduto in passato.
In conclusione, il volume di Stefano Gallo riesce bene nel suo intento di porre all’attenzione di lettori e studiosi quanto le migrazioni interne siano state sostanzialmente sottovalutate, offuscate nell’immaginario collettivo, nella stampa e nella letteratura scientifica dalle migrazioni internazionali. Come premesso, l’intento è quello di aprire la strada a chi voglia approfondire le singole tematiche trattate ed è esattamente questo il risultato: un volume utile per un suggestivo approccio al tema, una guida con cui incamminarsi in personali percorsi di approfondimento.