di Franco Verri
La fortuna della storia locale si è molto modificata nel volgere degli ultimi anni. Un tempo era il campo d’azione esclusivo di eruditi che si dedicavano alla raccolta di ogni informazione disponibile sul loro paese, spesso alla ricerca di un qualche primato di cui fregiarsi e soprattutto della continuità culturale e dell’integrità monumentale. Essi sono stati in questo benemeriti, per aver rivendicato l’importanza delle piccole storie nei confronti della grande storia nazionale, delle grandi sintesi degli storici accademici. In molti casi tuttavia veniva a mancare il quadro di riferimento più generale e si rischiava di individuare particolarità localistiche anche là dove sarebbe stato possibile inquadrarle, senza per questo negarle, in movimenti più ampi, in tendenze di più lunga durata.
Il merito di aver superato questo modo di intendere la storia locale si deve ad una schiera di nuovi studiosi locali, che affiancano al lavoro d’archivio, minuzioso e per quanto possibile completo, alla conoscenza degli indirizzi storiografici più consolidati. Questo ha mutato anche la considerazione, da parte degli storici di professione, nei confronti di questi lavori, ora apprezzati per il loro valore di studi che possono fornire la conferma per così dire “sul campo” di quanto la grande storia ha elaborato oppure spunti di riflessione per nuovi ambiti di ricerca.
In questo nuovo modo di intendere la storia locale si inquadra il bel volume di storia del comune di San Possidonio, che viene ripercorsa dalla nascita dell’istituzione municipale fino ai giorni nostri.
I tre autori si sono appunto sforzati di delineare una sintesi significativa e vivace del percorso di crescita civile e sociale di quella piccola comunità, non perdendo di vista i rapporti tra queste vicende e la storia nazionale, con cui condivideva le idealità politiche, la provenienza sociale e culturale delle classi dirigenti e le difficoltà di una nazione che ha costruito in un secolo e mezzo la propria unità, trasformando la propria economia e società da agricola ad industriale.
Il saggio di Cesare Malagoli è dedicato agli anni dall’Unità alla Prima guerra mondiale, anni in cui si gettavano le basi della nostra identità nazionale. L’attenzione dell’autore insiste sui passaggi cruciali della progressiva estensione dei diritti politici a fasce sempre più ampie della popolazione e del contemporaneo accrescersi degli ambiti di autonomia locale.
Il Comune di San Possidonio venne istituito dal Farini Decreto del 4 dicembre 1859, distaccando il territorio dal municipio di Concordia. Quel provvedimento estendeva le province da lui governate, in attesa dei plebisciti di annessione al regno sabaudo della legge comunale e provinciale La Marmora-Rattazzi, che poi la Destra storica (i seguaci di Cavour) estese a tutto il Regno. Essa attribuiva la nomina dei sindaci ai prefetti, pur in presenza di un consiglio comunale eletto a suffragio ristretto su base censita ria. La classe dirigente locale rimaneva così limitata ad un ristretto numero di possidenti terrieri, che, almeno per i primi anni, avevano ricoperto analoghi incarichi amministrativi anche per il Ducato estense. La vita politica locale era quindi caratterizzata da scontri personali, piuttosto che da sostanziali divergenze politiche, che non potevano esistere stante la omogeneità sociale dei consiglieri comunali. Gli storici hanno individuato nella ristrettezza di questa base elettorale (171 aventi diritto su 2.773 abitanti) e nei limiti puramente amministrativi in cui si muoveva l’amministrazione comunale le ragioni della disaffezione al voto: a San Possidonio alle prime elezioni votarono solo 41 persone.
Solo con l’allargamento del suffragio contenuto nella nuova legge del 30 dicembre 1888 la politica locale assunse un nuovo e più ampio respiro. Lo scrutinio di lista costringeva gli schieramenti a delineare con più precisione le rispettive visioni politiche, differenziandosi per ambiti sociali di riferimento. I Sindaci vennero resi elettivi (ma a San Possidonio, piccolo comune, solo dal 1896) e i poteri dell’amministrazione locale estesi e rafforzati. Con il sindaco Alberto Bernini prevalse l’idea che il comune non dovesse solo ben amministrare le poche risorse finanziarie a disposizione, ma promuovere lo sviluppo economico e civile del paese, anche a costo di aumentare le imposte locali. Il centro urbano si ampliava, così come i settori di intervento dell’amministrazione municipale: dalla salute, con l’istituzione del medico e del veterinario condotti, all’istruzione, con la creazione di nuove scuole elementari.
La crescita del movimento operaio e bracciantile spingeva le classi dirigenti liberali a ricompattarsi in un programma che non si limitasse a difendere la propria egemonia sociale, ma che indicasse alla popolazione, anche la più povera, prospettive di crescita e di benessere. Ma le difficoltà di una economia prevalentemente agricola e la ristrettezza delle risposte delle amministrazioni liberali spingevano il Partito Socialista su posizioni massimalistiche, che esplosero dopo il primo conflitto mondiale in una forte conflittualità sindacale. L’amministrazione guidata dal Bernini rimane in carica fino al 1920, ma le elezioni comunali del 1920 vedono la vittoria dei socialisti, che terranno il comune per pochi mesi, cedendo infine alle violenze fasciste nell’aprile 1921.
Fabio Montella si assume il carico di raccontarci il ventennio fascista, mantenendo l’impostazione di coniugare la storia locale con il quadro nazionale. I primi anni sono dominati dalla figura del sindaco Vico Bellini (podestà dal 1926, con la nuova legge comunale che tornava ad attribuire al prefetto la nomina dell’amministrazione comunale), un possidente che, come in tutta l’area padana, aveva trovato nel fascismo il braccio armato per riconquistare il controllo assoluto della vita politica e sociale. Di nuovo lo sviluppo del paese viene ancorato al settore agricolo, mentre il Municipio cercherà di lenire la disoccupazione con opere pubbliche, che dovevano esaltare la fascistizzazione della società locale (Palazzo Littorio, campo sportivo, Casa del Fascio) e con lo sviluppo edilizio.
La grande crisi del 1929 segnerà la sconfitta di questa troppo ristretta visione del futuro dell’Italia e di San Possidonio, troppo timorosa di cambiamenti radicali che potessero mettere in discussione il predominio locale dei proprietari agrari. Nel 1930 il comune accresce il numero dei capifamiglia iscritti alla lista dei poveri da 56 a 107. Il podestà è costretto a rimanere nell’ambito della pura amministrazione, a causa delle ristrettezze finanziarie. Chiudono anche le due fornaci, uniche iniziative industriali presenti nel comune.
Montella chiude il suo intervento ricordandoci l’epopea resistenziale e lascia a Luca Marchesi il compito di proseguire nella stessa linea il racconto della storia dell’amministrazione possidiese nel secondo dopoguerra, fino ai nostri giorni. La ricostruzione è saldamente guidata dal Partito Comunista. I primi sindaci che si susseguono (Remo Medici, Lottario Ascari, Ivo Benetti e Arrigo Medici), una volta superata la fase della ricostruzione, cercano di inserire San Possidonio nella trasformazione del paese dall’economia agricola a quella industriale, individuando aree per insediamenti artigianali e industriali. Ma l’emigrazione falcidia la popolazione: dai 4.565 abitanti del 1951 ai 3.458 nel 1970.
Con l’elezione di Lorella Zeni San Possidonio sale agli onori della cronaca nazionale: ha diciotto anni, è il sindaco più giovane d’Italia ed è donna. L’attenzione dell’amministrazione è sempre più centrata sull’incremento dei servizi ai cittadini, in particolare agli anziani, che si avviano a diventare una parte sempre più consistente della popolazione. Una linea che verrà confermata dalle altre due giovani sindachesse Barbara Bulgarelli e Tanja Lugli. La Bulgarelli è anche il primo sindaco che supera la barriera ideologica tra ambienti socialcomunisti e cattolici, dopo la fine della Guerra fredda. Dal 2009 lascia la guida del comune a Rudi Accorsi, sempre sostenuto da una coalizione di Centrosinistra.