di Daniele Valisena
Camminando nei dintorni di Porchiano del Monte, frazione del comune di Amelia, in provincia di Terni, v’è un piccolo bosco, trasformato in parco da una trentina d’anni, e una casetta, utilizzata come luogo di convivialità e socialità dagli abitanti. Passeggiando tra gli alberi, si incontra un masso erratico su cui campeggia una A cerchiata, al di sotto del quale sono incise queste parole: “Ho combattuto per la libertà e la giustizia/ho conservato la speranza e il sorriso/le offro a voi nel nostro comune giardino”. È questo il lascito di Mattia Giurelli: migrante, operaio, sindacalista rivoluzionario, imprenditore, è stato lui, una volta ritornato dagli Stati Uniti, a donare alla popolazione di Porchiano il parco che oggi porta il suo nome, portando anche tra le colline dell’Umbria la forza delle idee e delle azioni che hanno segnato il corso della sua vita. La sua figura riassume in sé alcune tra le diverse facce dell’emigrazione italiana, e oggi come trent’anni fa, la sua attualità e la forza del suo esempio si avvertono alla luce delle dinamiche migratorie presenti, che vedono l’Italia di nuovo protagonista, anche se in un ruolo diverso rispetto a quello che ha occupato per più di un secolo. Giurelli non è mai stato un leader a rigor di termini; non ha dimostrato di possedere doti o qualità individuali particolarmente rare e molti degli ideali per cui ha combattuto nel corso della sua vita non si sono mai pienamente realizzati. Eppure quella di Mattia è un’esperienza molto significativa: attraverso la sua vicenda, attraverso le sue parole e le sue lotte, le sue iniziative e le sue sconfitte, è possibile attraversare un secolo di storia delle migrazioni, un secolo di storia italiana e mondiale, ma anche l’evoluzione di un realtà come Porchiano, l’impatto delle “idee nuove” riportate da Giurelli e l’impronta che ancora oggi esse hanno lasciato. Ecco perché il Museo dell’Emigrazione e l’Istituto Storico dell’Umbria Contemporanea hanno deciso di stampare nei loro Quaderni un volume, a cura di Alberto Sorbini, che riassume gli atti della giornata di studi su Mattia Giurelli svoltasi il 30 aprile 2010 a Porchiano. Un cammino e una ricerca che hanno radici ben più antiche, che vanno a toccare temi di grande respiro, dalla storia delle migrazioni alla storia del movimento antifascista, passando per il sindacalismo americano dell’Iww, la geostoria, la storia sociale e le forme della sociabilità in alcune comunità italiane emigrate negli Stati Uniti, ma anche la storia italiana e la microstoria, incrociando il cammino di ricerca con i percorsi di personalità quali Aldo Garosci, Gaetano Salvemini e Gaetano Bresci. Come ha scritto in uno dei saggi pubblicati all’interno del volume Maria Grazia Ruggerini, questo lavoro ha la forza di “far sì che una biografia singola ponga interrogativi alla storiografia nel suo complesso.[…] Mattia è dunque una memoria presente, che impone di fare i conti con l’oggi, senza ignorare il passato”.
Nel primo saggio Antonio Canovi ricostruisce il quadro geostorico della realtà umbra e porchianese al tempo della Grande Migrazione, in cui Giurelli, emigrato nel 1913 a sedici anni, rientra. Il suo tragitto migratorio, che si inserisce nell’ambito dell’emigrazione clandestina, attraversa Svizzera e Francia prima di condurlo in America. Un percorso il suo simile a quello di “tanti altri paesani”, come afferma lo stesso Giurelli nell’intervista concessa a Sandro Romildo (e riportata nella straordinaria documentazione d’epoca raccolta nel cd allegato al volume), ma che è significativa per le modalità e il “colore” dei personaggi che aiutano e circondano il giovane Giurelli. Il barbiere socialista che gli prepara i documenti, l’osteria del padre, sede del circolo socialista locale, la filiera piemontese emigrata dal biellese per trascorsi nel sindacato rivoluzionario anarchico a cui si accompagna Mattia: una rete che, passando per Arnold, sobborgo di Pittsburgh in Pennsylvania, si riunisce a Paterson, New Jersey, la capitale dell’industria serica americana e una delle “capitali dell’anarchismo” a livello mondiale, come spiega nel suo saggio Stefano Luconi. Qui Giurelli compie il suo “apprendistato politico”, che lo porterà a militare come membro attivo in vari circoli anarco-socialisti e a ingaggiare battaglie sindacali in seno all’Iww (Industrial Workers of the World, il sindacato rivoluzionario americano) venendo anche arrestato nel 1920 sull’onda della Red Scare. Nonostante il rischio di espulsione, Giurelli prosegue la sua lotta, che negli anni ’20 lo vide tra i fondatori della Lega Antifascista del New Jersey. Il suo è un esempio di quel “paradigma transnazionale” teorizzato da Donna Gabaccia e che ha segnato tanti altri emigrati non solo negli Stati Uniti, come ricorda Elisabetta Vezzosi, e che ricollega la vicenda di Giurelli a un quadro internazionale di mobilità e costruzione identitaria che ha segnato un’epoca, e che ancora oggi contraddistingue i tragitti di migliaia di migranti. Carlo De Maria affianca poi le vicende di Mattia a quelle del piemontese Alberto Guabello, tramite cui Giurelli entra in contatto con Aldo Garosci, fuggito in America dalla Francia in seguito all’invasione tedesca. Nel Dover Club, che ha preso il posto degli altri circoli politico-sociali che animavano la realtà di Paterson, si perpetua quell’opera di acculturazione, socializzazione e militanza politica che aveva contraddistinto questi ultimi, in cui anche Giurelli si era formato; oltre all’autore della “Storia dei fuorusciti” si incontrano personalità che hanno animato la lotta antifascista e il dibattito culturale e politico italiano e internazionale, quali Gaetano Salvemini, fondatore della Mazzini Society di New York, Parri, ma anche la vedova di Carlo Rosselli, in un intreccio di percorsi individuali e collettivi che non è certo casuale.
Nel secondo dopoguerra, dopo varie vicende personali e non che lo coinvolgono, accompagnate sullo sfondo, dall’evoluzione della lotta sindacale americana e dalle vicende storiche e sociali che culminano con il Sessantotto, Giurelli, dopo un primo viaggio, ritorna a Porchiano, solo. Può apparire un ritorno di uno sconfitto, di un uomo che ha visto scadere non solo gli ideali, ma un vero e proprio mondo, degradato e dimenticato dalle generazioni successive alla sua. Invece è qui che sta l’eccezionalità della figura di Giurelli che, come nota Andrea De Santis, “prova a trapiantare nel tempo presente la portata critica e conflittuale della sua presenza”, e lo fa nella sua terra natale, ricostruendo lì quelle forme di socialità in cui era sempre stato immerso, trasferendovi quei valori che avevano segnato la sua esistenza tra le due sponde dell’oceano. Un’esperienza quindi che non viene rievocata in nome di un passato nostalgicamente lontano, ma attualizzata e resa operativa in una realtà che non era mai stata abituata ad aprirsi veramente al moderno. Attraverso la fondazione del circolo Arci, l’acquisto del parco e la sua trasformazione in uno spazio di sociabilità condivisa, Giurelli riesce a realizzare qualcosa che va ben al di là del salvataggio di una propria memoria storica e politica, ma che ha a che fare con il presente tanto quanto con il passato. È il segno di un sistema condiviso di simboli, di azioni e di luoghi, che da Porchiano rimanda direttamente alla sua Paterson, unendole in un comune sentire, in un comune insieme di pratiche che vanno trascendono i paletti culturali e sociali tradizionali, ma che attraversano le nazioni, la storia e toccano il percorso di costruzione identitaria di società e singoli. Spazio transnazionale, identità multiple, lotta politica e senso del sociale sono i tratti principali che hanno accompagnato Giurelli nel corso dei suoi 82 anni di vita. Le stesse vicende e le stesse questioni che hanno attraversato il Novecento, e che ancora oggi, nel parallelismo tra il suo percorso e quello delle migliaia di emigrati che giungono sulle coste italiane spingono a riflettere e a confrontarsi con tematiche di assoluta, bruciante attualità.