Gli “spazi” provinciali a confronto (1914-1922) Il caso Terra d’Otranto

Maria Marcella Rizzo

Il testo che qui si pubblica è stato argomento della relazione presentata in occasione del Convegno di studi Roma e la sua “megaprovincia” nella crisi del sistema liberale. Progettualità politica e gestione del territorio (1914-1922), promosso dal Dipartimento di Studi storici geografici antropologici dell’Università degli Studi “Roma Tre”, 15-16 ottobre 2009.

Gli studi che hanno privilegiato le analisi ravvicinate sulle amministrazioni locali nell’Italia unita, hanno progressivamente evidenziato il ruolo importante svolto dall’istituto Provincia nel mediare le istanze economico sociali di un territorio in una dimensione “sovralocale”, dal momento che gli insediamenti “minori” dovevano pure rapportarsi nelle esigenze di ascolto delle proprie aspettative di natura diversa (agricola, commerciale, industriale, di rete di servizi) con uno maggiore (con il capoluogo e non solo) e questi a sua con “altri ancora più grandi”1 e con il governo centrale.

Venuto meno il giudizio riduttivo espresso soprattutto dagli storici dell’amministrazione su tale organismo come “ente secondario, artificiale e burocratico” (Antonacci 2001, VI), l’attenzione si è spostata sul funzionamento di una realtà che è risultata di fatto partecipe della natura dei Comuni e dello Stato, poiché “corpo civile”, unione ed espressione di più comunità ed allo stesso tempo “inseparabile dal territorio” e quindi dallo Stato stesso.

Il riconoscimento del ruolo per compiti ed attribuzioni richiama inoltre un altro elemento, quello dell’importanza della rappresentanza, degli uomini eletti nel Consiglio provinciale, con particolare attenzione ai processi di mobilità nella sua composizione, dal momento che tale materia attiva ulteriori e importanti valenze. Il seggio provinciale costituisce infatti un passaggio significativo nel cursus honorum delle carriere politiche, ma soprattutto – come dimostrano le ricerche sul ceto politico, sulle elezioni e sulla costruzione del consenso – offre molteplici opportunità. Intanto la conoscenza diretta dei bisogni di un territorio e dello stesso funzionamento dell’Ente; permette di affinare competenze; consente di costruire ed allargare reti di relazioni spendibili anche ai fini delle ascese nel professionismo della politica, senza che questo risvolto sia necessariamente e meccanicamente rapportato a esercizio di pratiche clientelari.

Con tali presupposti introduttivi, velocemente richiamati, ho cercato di rispondere, nell’economia di tale intervento, ai quesiti posti dai promotori delle giornate di studio su Roma e la sua “megaprovincia” per il periodo 1914-1922 in una prospettiva comparatistica sul Centro-Sud2. Le problematiche sottoposte a riflessioni, sono le seguenti:

  • quali sono le continuità e quali le novità in termini di questioni territoriali e di personale politico nei diversi comparti provinciali, rispetto alla situazione anteguerra?
  • quale percezione ha la popolazione delle esigenze complessive del territorio e quali sono le ricadute di tale visione sui programmi elettorali e poi nelle sedi decisionali (Comune, Provincia, parlamento)?
  • quale l’efficacia degli interventi dei poteri centrali e locali per la soluzione di questioni annose o contingenti, in considerazione anche degli interessi di gruppi politici, o di classe o clientelari?

Per rispondere occorre intanto risalire, anche qui, alle stagioni diverse che segnano il cammino dell’ente/Provincia tenendo conto sia della normativa intervenuta nel tempo che delle modificazioni politiche, sociali ed economiche.

In una prima fase, quella dei decenni immediatamente post-unitari, la Provincia è espressione dei soli contribuenti, è il periodo delle “élites agro-urbane” (dei proprietari e professionisti), destinate in alcune realtà a permanere anche quando in altre sono in parte scalzate. La legge del 1865 rispetto a quella del 1859 rafforza i poteri deliberativi del Consiglio provinciale; di fatto stabilisce identità tra elettorato comunale e provinciale. La circoscrizione territoriale per l’elezione dei consiglieri è il mandamento; le finanze provinciali sono legate a quelle statali con la compartecipazione alle imposte dirette statali per autonomizzarle dai Comuni (le entrate sono assicurate dalla sovrimposta fondiaria). La Deputazione provinciale, che è l’organo esecutivo, esercita il controllo sui Comuni e sulle Opere pie.

Il cambiamento avviene con le riforme crispine del 1888-89. L’elettorato amministrativo è equiparato a quello politico. Le province nelle intenzioni di chi governa (a dirlo è Francesco Crispi) non sono più un’associazione di soli “contribuenti”, ma vogliono essere l’“Unione di tutti i cittadini per l’ordinato esercizio degli Uffici sociali”, quindi un’istituzione consorziale di interessi più o meno vasti, ai quali corrispondono bisogni legittimi e necessari” (Antonacci 2001, 17).

In età giolittiana aumentano (rispetto alla complessità della vita organizzata) le attribuzioni dell’ente/Provincia con potere di mediazione tra capitale e lavoro e con possibilità di promozione diretta delle attività economiche. La legge 19 giugno 1913 estende all’elettorato amministrativo le disposizioni della legge elettorale politica che aveva introdotto il suffragio quasi universale maschile. Vengono ammessi al voto tutti i cittadini maschi che abbiano compiuto 30 anni e quelli compresi tra i 21 e i 30 che abbiano prestato il servizio militare, anche se analfabeti.

Nel primo dopoguerra, con il successo dei partiti di massa, la Provincia perde il rapporto diretto di interprete degli interessi territoriali soprattutto in quelle realtà dove più evidente è il tramonto dell’egemonia borghese e dove si affacciano e/o si rafforzano le tendenze “classiste” delle nuove maggioranze.

La funzione mediatrice verrà recuperata dal fascismo (come vedremo per il caso dello smembramento della provincia di Terra d’Otranto) per una serie di fattori concomitanti, tra i quali gioca un ruolo forte quello politico di controllo delle periferie attraverso le riforme dell’amministrazione locale. Ed è opportuno ricordare che con la legge 16 dicembre 1918 il diritto di voto è esteso anche ai combattenti di età compresa tra i 18 e i 21 anni e, in quanto al sistema con il quale si vota, mentre le elezioni del 1919 si svolgono con la proporzionale, quelle del ’20 si svolgono con il maggioritario.

Delineato il contesto generale di riferimento, è opportuno poi sottolineare che, per quanto riguarda il bilancio degli studi relativi alla Puglia, si è dispiegata nell’ultimo ventennio una densa stagione di progetti di ricerca finalizzati anche – a partire dagli ultimi anni Novanta – all’uso dell’applicazione delle pratiche informatiche alla storia per costruire banche/dati storico geografiche con l’obiettivo di leggere le modificazioni territoriali, comprese quelle di ordine amministrativo3.

Venendo così alle problematiche rispetto alle quali sono chiamata a dare un contributo comparativo, dobbiamo intanto ricordare che concluso il processo unitario, dopo il 1870 le province erano 69 divise al loro interno in circondari (284), in mandamenti (1806) e in comuni (da 8381 nel 1871 a 8323 nel 1914). La 59° provincia, quella di terra d’Otranto, era divisa in 4 circondari: Lecce, Gallipoli, Brindisi e Taranto, in 42 mandamenti4 e 130 comuni. Sino alle elezioni del 1920 i mandamenti rimangono invariati nel numero e nella estensione territoriale, mentre i comuni passano da 130 a 136.

Interessanti le dinamiche demografiche che investono i mandamenti rispetto anche alle diverse peculiarità economiche e sociali. Nel periodo 1861-1921 i collegi di Brindisi e Taranto conoscono un incremento della popolazione rispettivamente del 74,31 e del 74,91%. I 50 consiglieri del 1865 (con una preponderanza di rappresentanza proveniente dai circondari di Gallipoli e Lecce per il 58%) diventano per Terra d’Otranto 60 nel 1905, con uno spostamento numerico a vantaggio di Brindisi e Taranto che da 10 e 13 seggi salgono rispettivamente a 13 e 16 rispetto ai circondari di Lecce e Gallipoli che hanno solo 2 consiglieri in più ciascuno. Dati quantitativi questi che evidenziano rilevanti spostamenti nelle gerarchie territoriali e le cui motivazioni risalgono ad un prima (anche lontano) nel tempo.

Già negli anni Trenta dell’Ottocento Terra d’Otranto (che aveva una connotazione economica tra produzione e mercantilizzazione) vede il suo porto di Gallipoli, scalo oleario per eccellenza, perdere di importanza rispetto a Bari, mettendo così in difficoltà lo stesso ruolo del capoluogo (Lecce), città di forte urbanità per la quale si profila un destino “terziario”. Nella seconda metà dell’Ottocento, tra gli anni Settanta e Ottanta, prima la grande depressione agraria e poi la politica doganale e la crisi vinicola selezionano le aree agricole della Puglia, consacrando la maggiore vivacità di alcune zone: basso Tavoliere, costa barese, entroterra brindisino e tarantino rispetto al subappennino e al basso Salento. Il triangolo più dinamico, anche ai fini del processo di industrializzazione, risulta essere quello di Bari-Brindisi-Taranto: nella città dello Jonio tra l’82 e l’88 (dalla fase progettuale alla realizzazione) viene costruito l’Arsenale militare, installato il Dipartimento marittimo; nel 1914 sarà la volta dei cantieri navali Tosi. In quanto a Brindisi, si delinea la vocazione commerciale dello scalo portuale, ma anche il ruolo strategico sull’Adriatico per i collegamenti marittimi sia per il traffico passeggeri (si pensi all’Oriente, al tragitto della Valigia delle Indie già negli anni Sessanta), sia per le strategie funzionali ad ambizioni imperialistiche.

La dinamicità di tale area (Bari-Brindisi-Taranto) viene sancita e ulteriormente favorita dalle opere pubbliche infrastrutturali (ferroviarie e stradali) e dai ritardi di chi non si riallaccia tempestivamente ai poli più trainanti, come accade per la zona del leccese. C’era chi aveva visto giusto: un leader come Gaetano Brunetti, entrato in parlamento nel 1863, capo indiscusso della Sinistra salentina dalla metà degli anni Settanta, consigliere provinciale dal 1865 al 1900, presidente della Provincia dall’81 al ’90, aveva chiesto dal parlamento e dal seggio in Consiglio provinciale, un sistema di collegamenti che garantisse alla città un ruolo di centralità sul territorio, in modo che Lecce raggiunta dalla linea adriatica (Bologna-Otranto) fosse messa in comunicazione con il porto di Gallipoli (centro di smercio della produzione del basso Salento) e con l’area tarantina attraverso la trasversale Brindisi-Taranto. I due tronchi necessari sarebbero stati invece realizzati con ritardo solo a metà degli anni Ottanta, a 15 anni di distanza dalla costruzione dell’arteria adriatica. Anche perché contemporaneamente (sempre tra gli anni Settanta e Ottanta) partivano pressioni cittadine per un velleitario ancoraggio a San Cataldo (a 10 km. dal capoluogo) di cui pure, per ragioni evidenti di consenso, si rendeva portavoce Brunetti presso i ministeri e le commissioni competenti.

Questioni significative che gettano luce su come Lecce sia città in affanno e debba giocare di rimessa. Gli inizi del secolo sanciscono ulteriori difficoltà in sede di equilibri provinciali per la difesa delle aspettative del capoluogo, che pure conosce nella stagione di fine secolo un forte attivismo municipale con un sindacato, quello di Pellegrino che persegue il disegno della “città che si fa industria”. Poiché se l’avvenire di Taranto appare sempre più legato alla presenza della marina militare e dell’Arsenale e quello di Brindisi al traffico commerciale e turistico del suo porto, Lecce non può perdere il controllo del basso Salento, che intanto vive un certo dinamismo intorno al settore della tabacchicoltura lanciato dall’onorevole Alfredo Codacci Pisanelli, che aggrega in un Consorzio gli interessi dei proprietari terrieri della zona del Capo di Leuca attraendo l’attenzione e la presenza di soggetti stranieri (svizzeri e tedeschi) per la lavorazione e la commercializzazione del prodotto. Né può permettersi l’antico capoluogo di svolgere un ruolo secondario nel perseguire in una prospettiva regionale alcuni obiettivi nei confronti del governo entrale, quali le richieste della realizzazione dell’Acquedotto pugliese, delle bonifiche, del rilancio del settore agricolo, della costruzione del doppio binario Bologna-Lecce.

Come vengono gestite tali problematiche nel periodo qui considerato?

Tra il 1914 e il 1920, le vicende belliche favoriscono strategicamente le posizioni di Taranto e Brindisi, assecondando i propositi autonomistici. Dal punto di vista degli equilibri provinciali, si pensi (facendone un osservatorio privilegiato) alla composizione dell’organismo, all’entità degli avvicendamenti e alla misura con cui si modifica la rappresentanza degli interessi. In occasione delle elezioni del giugno-agosto 1914 (dal 14 giugno al 2 agosto quando vengono eletti 2 del mandamento di Brindisi), su 60 consiglieri eletti, 28 sono matricole, pari al 46,67%; nel 1920 i nuovi sono 42 su 60, ma 9 di essi avevano già fatto parte del Consiglio, con un ricambio quindi del 55%. Rispetto al profilo sociale e ai processi rilevabili di mobilità sociale, spicca la figura dell’avvocato: nel 1914 sono 27 (il 45 %), di cui però certamente scorrendo i nomi, 1/3 identificabile con la figura del professionista/proprietario terriero. Se poi a quest’ultimo dato aggiungiamo i nomi di coloro che sono elencati come proprietari puri (17), più almeno 3 che svolgono altre attività professionali (di ingegnere; di agronomo; di notaio), noi giungiamo ad un dato, quello del 48,33% di rappresentanti della proprietà terriera. Nel 1920 gli avvocati sono 29 (due in più rispetto al ’14), di cui però solo 8 sicuramente anche possidenti terrieri; i proprietari puri scendono a 14, più altri 2 che esercitano altra professione liberale (ingegnere, agronomo). Per un totale, diciamo, della rappresentanza di un settore tradizionale, quello agricolo, affidata al 40% dei presenti.

Altro elemento: sia nel 1914 che nel 1920, le attività prevalenti risultano quelle delle professioni liberali (avvocato, medico, notaio, ingegnere, farmacista). Troviamo 2 diplomati (in ragioneria), 2 indicati genericamente come professori. Nessun commerciante, nessun artigiano, nessun operaio, né imprenditore. Rispetto alle carriere politiche, ricorrono nomi che sono esempi di iter che si dipanano tra seggio al Comune, alla Provincia e poi, in alcuni percorsi, fino al parlamento nazionale5.

In quanto alle dislocazioni politiche (è sempre della rappresentanza del Consiglio che stiamo parlando), nel 1914 è l’appartenenza al partito ministeriale che prevale; sono presenti rappresentanti del partito radicale6 e di quello repubblicano, ma le spie più interessanti delle tendenze in movimento riguardano l’impegno politico del laicato cattolico. Nel 1907 è nata l’Associazione cattolica salentina forte subito dell’adesione di 700 soci e di un organo di stampa, “L’Ordine”, che finiscono con il giocare un rilevante peso ai fini dell’accordo nello stesso anno tra cattolici e democratici contro la corrente radical/massonica.

In occasione delle amministrative del ’14, sono eletti nel Consiglio provinciale personaggi rappresentativi di tale associazione: per il circondario di Lecce, tre aristocratici-proprietari terrieri ed un professionista (un avvocato)7. Per il mandamento di Mottola (TA), Giulio Sansonetti, uno dei fondatori nel 1919 del Partito popolare italiano in Terra d’Otranto e delegato della Dc al Congresso del 1944 a Bari, dove pure ritroveremo tra le forze antifasciste in qualità di delegato del Pli, un altro consigliere del ’14: Alfredo Fighera per il mandamento di Martina. Altri li troveremo approdati al fascismo: Francesco Marangi, Michele Maggi, Nicola D’Ammacco.

Più mosso politicamente il Consiglio del 1920: intanto sono eletti i leader del Psi nel Salento: Felice Assennato (mandamento di Brindisi); Edoardo Sangiorgio (Castellaneta); Giuseppe Del Prete (Copertino), Luigi Senape (Gallipoli), Giuseppe Scarano (Massafra,), Donato D’Ippolito (Mesagne), Edoardo Voccoli (Taranto). Un liberale amendoliano a Sava (si tratta di Agilulfo Caramia). Del Prete e Voccoli saranno arrestati nel 1926 a Taranto per attività antifascista. Questi ultimi provengono dal brindisino e dal tarantino: dalle aree più mosse socialmente.

Si può parlare di ricambio del gruppo dirigente provinciale con le amministrative del 1920?

Certamente assistiamo ad un turnover generazionale pari al 55%; molto più discutibile risulta la questione dal punto di vista della mobilità sociale e dell’affermazione di figure nuove nei partiti appena nati. Di fatto il Partito popolare e il movimento fascista, due realtà sorte con l’obiettivo di rompere con la politica tradizionale, poi si servono delle istituzioni esistenti e dei loro uomini più influenti per ottenere la rappresentanza al parlamento e al municipio.

Nel 1920 alle elezioni amministrative del 31 ottobre i popolari si presentano su posizioni autonome, ma alla Provincia e al Comune capoluogo entrano in sostanza per il Ppi esponenti provenienti dall’associazionismo liberale e legati soprattutto agli interessi degli agrari. Solo in alcune zone del barese (Andria), del foggiano (Cerignola), del basso Salento (Ugento), e dell’area tarantina (Lizzano), il partito riesce a crearsi una base popolare facendo proprie le rivendicazioni demaniali delle masse contadine.

Il più suffragato dei popolari al municipio di Lecce e alla Provincia (al Comune di Lecce è l’unico popolare tra i primi 24 consiglieri) è un amministratore di lungo corso ed ex radicale (Francesco Zaccaria Pesce, eletto già nel 1899, rieletto per l’Associazione radicale nel 1903). Per il Consiglio comunale del capoluogo anche gli altri eletti sono ex amministratori, mentre gli esponenti che vengono considerati l’espressione più autentica del Partito popolare li troviamo tutti dal 25° posto in poi.

Come si può rilevare noi assistiamo ad un lento declino del ceto politico liberale. Da questo punto di vista c’è un elemento significativo da segnalare: il popolare (Zaccaria) consigliere alla Provincia e al Comune, è presidente dell’Associazione commercianti. Negli anni 1919-20, i ceti medi (quelli della burocrazia e dei commerci) insieme agli ex combattenti sono particolarmente vivaci nel far sentire il loro malessere rispetto ad alcune emergenze: caroviveri; bisogno di case economiche; assenza o carenza dei servizi. Nel tarantino e nel brindisino sono più forti le pressioni dei ceti proletari. A Taranto il movimento operaio è costituito soprattutto dagli arsenalotti, dai metallurgici dei cantieri Tosi e Salerni, dai lavoratori del mare, dai ferrovieri; a Brindisi da operai e portuali, i quali pongono all’attenzione delle amministrazioni locali, problemi drammatici: quello dell’aumento dei beni di prima necessità; quello dei quartieri fatiscenti e della mancanza di abitazioni per i ceti popolari; di un tetto dignitoso (che non sia un sottoscala) per un sottoproletariato ormai presente; il problema degli affitti (che scontenta proprietari e inquilini), le questioni di ordine igienico.

Nel 1919 nella città ionica si diffonde il vaiolo e la febbre. Nel ’20 c’è anche la prima grave contrazione subita dalla classe operaia tarantina con il licenziamento degli operai avventizi in forza dal 1914 in poi. La crisi del dopoguerra mette in difficoltà anche il destino della Tosi.

Le condizioni delle aree agricole per lo stesso esodo dei lavoratori durante la guerra e poi per le conseguenze del conflitto, non sono meno gravi. La testata cattolica “L’Ordine” informa i lettori sulle iniziative e le cerimonie, in occasione delle quali sono state segnalate e premiate le donne (con elenco dei loro nomi) che hanno sostituito gli uomini nei lavori agricoli. Nel giugno 1917 vengono premiate 18 donne con medaglia d’oro e 29 con quella d’argento (cfr. “L’Ordine”, 6 luglio 1917). L’attivismo femminile è tale che il giornale si preoccupa anche di sottolineare come tali esperienze possano allontanare la donna dalla famiglia, “dall’intima poesia degli affetti” e le facciano scoprire altri orizzonti8.

Quando la guerra finisce esplodono nelle campagne altre gravi situazioni: abbondanza di manodopera, bassi salari, invasione delle terre, lavori abusivi. Fenomeni più facilmente riscontrabili nella zona centro-occidentale del Basso Salento, nella fascia a nord di Brindisi, nella zona a nord di Taranto comprendente le alture delle Murge.

Quale eco e quale risposte trovano le attese dei territori nella provincia, tenendo anche presente il profilo della rappresentanza di cui abbiamo parlato?

Dalla consultazione degli Atti del Consiglio e della Deputazione9, si ricava che sono ricorrenti le questioni relative all’ammodernamento del settore agricolo (pensando anche ai settori più nuovi: bachicoltura e tabacchicoltura) e ai lavori per le opere di bonifica, i cui interventi previsti (con la legge Sacchi del 1911) erano stati interrotti prima dalla guerra di Libia, poi dalla Grande guerra. Nel 1921, nella sessione straordinaria del 31 maggio, il consigliere provinciale di Galatina (l’ingegnere Antonio Vallone) propone alla Deputazione di nominare due commissioni che nella prospettiva della riorganizzazione tecnica e sociale del mondo agricolo salentino, presiedano ai problemi dell’irrigazione e delle bonifiche alla luce però di un riesame e di un “riordino” degli studi (come chiede e come ottiene con un odg dello stesso giorno il nobile Sebastiano Apostolico Orsini).

Alla fine del 1921, mentre viene riproposta dal delegato del mandamento di Lecce (da Apostolico) la necessità di una verifica e di un aggiornamento degli studi fatti, il consigliere del mandamento di Taranto avanza la proposta della creazione di un Ente autonomo per i lavori di bonifica. Altro argomento ricorrente è quello dell’Acquedotto pugliese (vero tormentone): nella seduta del 4 aprile 1915 si dice che la Società con il budget forfettario concessole dal governo riuscirà a completare i lavori nelle due province di Foggia e Bari, ma lascerà “scoperti e per lungo tempo inseguiti quelli del leccese”. Nel 1919 e nel 1920 il Consiglio chiede una rapida ripresa dei lavori, ricordando tra l’altro che la Puglia ha un “diritto patrimoniale acquisito” di prelazione sulle forze motrici ricavabili dai salti motori lungo l’Acquedotto. In quanto poi all’irrigazione delle campagne, il Consiglio vuole la trivellazione e la ricerca delle acque sotterranee (22 aprile 1915), ma anche la nascita di una Sezione idraulica presso l’Ufficio tecnico della Provincia per lo sfruttamento anche delle “acque di rifiuto” dell’Acquedotto pugliese. Nel 1921 (il 31 maggio) si fanno auspici (lo chiede Apostolico Orsini) per la presentazione di un disegno di legge che introduca l’obbligatorietà dei Consorzi di irrigazione.

Rispetto alle tensioni emerse nelle campagne, è da sottolineare che il 27 aprile 1922 Antonio Vallone (Galatina) e Raffaello Garzia (Maglie) domandano un pronunciamento contro il disegno di legge del ministro dell’Agricoltura del 15 dicembre 1921 che introduceva l’esproprio del latifondo se abbandonato o insufficientemente coltivato e peroravano la “colonizzazione interna”.

Altre tematiche ricorrenti sono quelle relative all’istruzione e ai settori della beneficenza e dell’assistenza, con particolare riferimento agli interventi necessari per gli istituti provinciali già esistenti a favore dell’infanzia abbandonata, degli orfani, dei mendici e poveri, degli ammalati.

In quanto poi alle istanze più incalzanti legate ad economie e a dinamiche sociali diversificate già evidenti nei decenni precedenti ed esplose durante e dopo il conflitto (più classe operaia a Taranto e a Brindisi, più ceto medio a Lecce), il Consiglio risulta soprattutto organismo destinatario di cahiers de doleances, più che soggetto propositivo per le soluzioni.

Significativa la stessa diversa pressione demografica sulle aree della provincia: tra il 1911 e il 1921, nel circondario di Lecce la popolazione presente cresce del 9,61%; in quello di Gallipoli del 10,37%; in quello di Brindisi del 12,23%; in quello di Taranto del 25,38%. In quanto ai numeri dei capoluoghi tra i due censimenti: gli abitanti presenti a Lecce aumentano dell’8,47; a Gallipoli dell’11,27%; a Brindisi del 25,36%; a Taranto del 49,84%.

Ci sono certamente mali comuni: occupazione, casa, caroprezzi, servizi. Ma di carattere e proporzioni differenziate. Nel febbraio-giugno 1919 per l’autonomia del circondario ionico partono le pressioni del Comune di Taranto, della rappresentanza nella Deputazione provinciale (con una petizione appoggiata dal senatore D’Ayala Valva), della stampa per iniziativa del giornale “Voce del popolo” a favore di un progetto complessivo di crescita pensato per Taranto (porto marittimo, militare, commerciale). È messo sotto accusa il centralismo di Lecce a svantaggio anche dei paesi interni e costieri del circondario in tema rispettivamente di trasporti, di interventi per sanare le terre paludose, di scuole, di servizi pubblici (De Giorgi 1994, 35-36). Nelle cronache giornalistiche del periodo e nelle carte d’archivio, ricorrono toni di allarme per le tensioni sociali, per la presenza di un numeroso sottoproletariato, per le precarie condizioni igieniche, per le epidemie. Per i Comuni che si dibattono tra i “flagelli” da affrontare, la ristrettezza delle risorse e la difficoltà di nuove imposizioni, nel dopoguerra si apre un periodo di grave instabilità amministrativa come dimostra l’alto numero di municipi amministrati con i poteri dei commissari prefettizi.

a risposta per il Circondario di Taranto è la concessione dell’autonomia che giunge per sancire un esito che è nello svolgimento dei tumultuosi processi di crescita, ma anche nella duplice esigenza da parte del fascismo di semplificare l’amministrazione periferica e di vigilarne, governarne la fascistizzazione. Con decreto 2 settembre 1923 sarà istituita la “Provincia dello Jonio” (denominazione mantenuta fino al 1951) che comprendeva il circondario di Taranto con 27 comuni e una popolazione pari a 279.005 abitanti.

Nel 1927 sarà la volta della elevazione di Brindisi (che aveva acquisito con il suo porto sull’Adriatico particolare rilievo per gli eventi bellici) per effetto del provvedimento del 2 gennaio che abolì i circondari e quindi le sottoprefetture (3 le nuove province nel Mezzogiorno: Brindisi, Pescara e Matera).

Tra il ’24 e il ’27 l’antica provincia di Terra d’Otranto subisce così quella che dai leccesi viene ritenuta una duplice “mutilazione”. Un solo altro caso nel Paese: Genova che perde nel ’23 La Spezia e nel ’27 Savona. Lecce destinata ad un destino terziario sarà “risarcita” nel 1931 con l’istituzione della sezione della corte di Appello.

Guardando poi al resto della Puglia, alle dinamiche delle altre due province (quelle di Capitanata e di Terra di Bari) dobbiamo riconoscere che alla classe provinciale di Terra d’Otranto manca il disegno per uno sviluppo integrato delle diverse aree: vuoi per la difesa di posizioni centraliste, per ambizioni egemoniche, per reciproche diffidenze, per difetto di progetti lungimiranti e per mancanza della necessaria determinazione nel perseguirli quando vengono indicati con lucidità di analisi e di prospettive.

Nel periodo qui considerato, nell’Italia liberale, la provincia di Capitanata dopo il provvedimento di affrancazione già avvenuto nel 1865, affronta soprattutto un lungo percorso che fa perdere la predominante connotazione pastorale staccandosi dall’Abruzzo e dal Molise, per legarsi sempre di più alla granicoltura con l’ascesa di Manfredonia (scalo di lunga tradizione mercantile) che vuole diventare il porto concorrenziale di Barletta per l’imbarco dei cereali.

In quanto all’amministrazione provinciale di Bari, essa riesce almeno fino ai primi decenni del Novecento a mettere in relazione “le due principali realtà socio-territoriali che la componevano, la città e l’azienda latifondistica, i centri costieri e le agrotowns interne, il Barese mercantile e il Barlettano-Altamurano agrario, la borghesia urbana e la possidenza fondiaria”10. Fino alla seconda metà del secolo scorso, quando si sarebbe dipanata un’altra storia che avrebbe fatto nascere la sesta provincia pugliese, l’attuale BAT (Barletta, Andria, Trani).

Bibliografia

Antonacci N.

2001                La Provincia di Bari dal 1861 al 1914. Amministrazione e rappresentanza nell’Italia liberale, Bari.

Basso R. (cur.)

2009                Donne e giornali. La rappresentazione del femminile in alcuni periodici salentini (1884-1943), Numero monografico della rivista “Studi Salentini”, LXXXIV-LXXXV/2007-2008, a cura del Centro Studi Salentini, Galatina (Le), 2009.

Belardinelli M., Carusi P. (cur.)

2008                Roma e la sua provincia (1904-1914). Poteri centrali, rappresentanze locali e problemi del territorio, Roma, CROMA-Università degli Studi Roma Tre.

Carusi P. (cur.)

2006                Roma in transizione. Ceti popolari, lavoro, territorio nella prima età giolittiana, Roma, Viella

Cezzi F.

1992-1993       Provincia di Lecce. Profilo storico delle amministrazioni. Volume primo (1861-1922), Volume secondo (1923-1990), Galatina (LE), Congedo.

De Giorgi M. (cur.)

1994                Per una storia delle amministrazioni provinciali pugliesi. La provincia di Terra d’Otranto (1861-1923), Manduria, Lacaita.

De Giorgi de Notaristefani M.

2010                Per una rappresentazione del consenso: il consiglio provinciale di Terra d’Otranto, in Denitto.

Dell’Aquila M., Salvemini B.

1994                Storia di Bari, L’Ottocento, Roma-Bari, Laterza.

De Lorenzo R. (cur.)

2007                Storia e misura. Indicatori sociali ed economici nel Mezzogiorno d’Italia (secoli XVIII-XX), Milano, Franco Angeli.

Denitto A.L.

2005                Amministrare gli insediamenti (1861-1970). Il caso della Terra d’Otranto, Galatina (Le), Congedo.

2010 (cur.)      ATLAS, Atlante storico della Puglia moderna e contemporanea. Materiali su amministrazione, politica, industria, Bari, Edipuglia.

Masella L., Tateo F.

1997                Storia di Bari, Il Novecento, Roma-Bari, Laterza.

Mercurio F. (cur.)

2002                La provincia a 50 anni dalla prima elezione a suffragio universale, Catalogo della mostra documenti, Foggia.

Orlando V.E.

1892                Principii di diritto amministrativo, Firenze.

Pasimeni C. (cur.)

2009                1927-2007. L’amministrazione della provincia di Brindisi, Oria (Br), Hobos Edizioni.

Rizzo M.M. (cur.)

1992                Storia di Lecce. Dall’Unità al secondo dopoguerra, Bari, Laterza.

Russo S. (cur.)

1992                Storia di Foggia in età moderna, Bari, Edipuglia.

  1. Secondo il commento di V.E. Orlando (1892, 133) citato da Antonacci 2001, dove l’autore ricostruisce il quadro interpretativo del ruolo dell’istituto Provincia nell’Italia liberale.  []
  2. Rispetto ad un articolato progetto di ricerca che ha già prodotto, per le stagioni precedenti, interessanti esiti editoriali, cfr. Carusi  2006; Belardinelli, Carusi 2008. []
  3. Penso agli esiti editoriali sul sistema urbano pugliese: in ordine temporale la prima è di Rizzo 1992; Russo 1992; Dell’Aquila, Salvemini 1994; Masella, Tateo 1997. Sulle storie delle amministrazioni pugliesi sia dal punto di vista metodologico (quello delle fonti e degli strumenti disponibili) che delle riflessioni storiografiche nell’intento di proporre una dimensione più dinamica dell’ente rispetto ai tempi e alle funzioni, per meglio comprendere cambiamenti e persistenze (rispetto anche alle vicende del nostro Mezzogiorno), sono da segnalare De Giorgi 1994; il già cit. volume di Antonacci per la provincia di Bari e, per Foggia, Mercurio 2002. Più vicini al percorso, all’evoluzione e alle suggestioni scientifiche derivate dal progetto interdisciplinare e internazionale Storia (Storia di Terra d’Otranto: risorse, istituzioni, ambiente), sono i volumi: Denitto 2005; De Lorenzo  2007; il recente catalogo di una mostra con diversi saggi introduttivi a cura di Pasimeni 2009. []
  4. I collegi elettorali sono però 41 poiché nel leccese i mandamenti di Vernole e Carpignano costituiscono un solo collegio. Cfr. De Giorgi de Notaristefani 2010, 29-39. Il contributo ha come esito la produzione di immagini cartografiche che intendono visualizzare tre aspetti: lo spazio elettorale, la distribuzione della rappresentanza, la partecipazione. []
  5. È il caso, per esempio, di Giuseppe Pellegrino, di Sebastiano Apostolico (nel 1914 sindaco e consigliere provinciale), Vito Fazzi, Federico Balsamo, Carlo Fumarola, Antonio Vallone, Francesco Troylo (sindaco di Taranto e consigliere provinciale), Antonio Dell’Abate. []
  6. Nel 1910 era sorta per iniziativa dell’avvocato Antonio Dell’Abate l’“Unione radicale popolare” sulle ceneri della preesistente associazione guidata dal radicale Carlo Russi. []
  7. In quanto ai nobili, sono eletti per Lecce, il barone Sebastiano Apostolico Orsini e il conte Pasquale Romano; per il mandamento di Martano, il barone Angelo Comi, azionista dal 1904 della banca Piccolo Credito Salentino. L’avvocato è Nicola Bodini. []
  8. La missione della donna dopo la guerra, in “L’Ordine”, 17 agosto 1917. Sul ruolo delle presenze coniugate al femminile in tale congiuntura, cfr. Basso 2009. []
  9. Conservati presso la Biblioteca provinciale di Lecce “N. Bernardini” (fino al 1911) e presso l’Archivio di Stato di Lecce (fino al 1926). Per uno spaccato storico delle attività dell’ente, cfr. Cezzi 1992-1993. []
  10.         Cfr. N. Antonacci, cit., p. 77. []