Annarita Gori
Nell’ambito di un programma di scambi bilaterali tra le Università di Arezzo- Siena e dell’Université de Poitier, è stato promosso nei giorni 13 e 14 aprile 2010 un ciclo di conferenze su L’immagine della politica nell’Italia repubblicana, organizzato dal Dipartimento di Studi storico sociali e filosofici dell’Università di Arezzo. Relatore del ciclo di lezioni è stato il professor Luciano Cheles docente di studi italiani all’Université di Poitiers, Departement d’Etudes Italiennes, storico dell’arte, in particolare di Piero della Francesca e studioso di iconografia politica, con interessi per il linguaggio visivo della propaganda nei manifesti del periodo repubblicano. Tra i suoi lavori più noti, citiamo, Lo studiolo di Urbino. Iconografia di un microcosmo principesco, Modena, Panini 1991; Neo-fascism in Europe scritto con Ronald Ferguson e Michalina Vaughan per Hardcover nel 1991, e il più recente The Art of Persuasion: Political Communication in Italy from 1945 to the 1990s, scritto con Lucio Spinosa ed uscito per la Manchester University Press, nel 2001.
Il ciclo di conferenze si è aperto con una lezione pomeridiana dal titolo Il ritratto del leader, nella quale è stato compiuto un excursus storico sulla immagine del leader politico nei manifesti di propaganda italiana dal 1946 ad oggi. Cheles ha subito messo in luce le differenze nelle campagne elettorali dei primi anni repubblicani in confronto a quelle più recenti, evidenziando come nelle prime, a causa di una stretta vicinanza temporale con il periodo fascista, l’uso della figura del candidato fosse accantonata a scapito di simboli e icone che riguardassero l’ideologia che il partito intendeva veicolare. In particolare, ha spiegato, fino agli anni ’80 la rappresentazione del capo del partito avveniva in modo intensivo solo per avvenimenti tragici o luttuosi, come nel caso di Palmiro Togliatti all’indomani dell’attentato, di Aldo Moro e di Enrico Berlinguer dopo la morte. Una prima svolta nell’utilizzo dell’immagine del candidato politico sarebbe avvenuta nei primi anni ’80 in seguito alla discesa in campo di Bettino Craxi nel 1981. I manifesti stessi cambiano, il personaggio è rappresentato in atteggiamenti rilassati e con un sorriso aperto simbolo di ottimismo, e trovano i loro corrispondenti nelle campagne presidenziali Usa. Il “modello Craxi” ha avuto un incremento nelle campagne politiche attuali, soprattutto per quanto riguarda la Casa delle libertà. Silvio Berlusconi, infatti, grazie al suo passato nel campo mediatico e pubblicitario ha avuto a disposizione un team di semiotici e pubblicitari che hanno realizzato delle campagne elettorali molto convincenti anche grazie al ricorso a simboli inconsciamente noti al grande pubblico. Lo studioso di iconografia politica, infatti, analizzando i manifesti del partito del Cavaliere ha evidenziato che alcuni elementi tipici della tradizione iconografica cristiana-cattolica ricorrono spesso, come la fronte illuminata, simbolo di una elezione divina, la posizione assisa, tipica dei ritratti papali, la presenza sullo sfondo di stelle, come a voler testimoniare la provvidenzialità del candidato. La conferenza è proseguita con un’analisi semiotica comparativa anche dei manifesti elettorali delle altre forze politiche. In particolare è stata notata l’evoluzione della comunicazione visiva del partito comunista dagli anni ’80 fino alle campagne del Partito democratico, sottolineando la progressiva perdita di importanza del simbolo del partito (la falce e il martello prima, il ramo d’ulivo poi) a scapito della figura del candidato a premier. In particolare per tutte le forze politiche analizzate è emerso che ad uno studio attento delle figure e delle fotografie proposte, si possono riscontrare due livelli di lettura, uno immediato, esplicito, di portata generale, e uno implicito legato ad una serie di segni e simboli che ad un livello inconscio o subliminale agiscono da catalizzatore politico verso il partito o il personaggio che si intende propagandare. Infine la conferenza si è chiusa con un alcune suggestioni comparative sul caso francese, soprattutto per quanto riguarda la costruzione della figura dei leader della nuova destra moderata, che intendono porsi come difensori della famiglia, della sicurezza e della tranquillità. In particolare queste campagne, simili in Italia e in Francia, puntano su una figura forte che dia anche una sensazione di serenità e di pace, grazie ad una scelta cromatica basata su colori freddi come il blu e l’azzurro – tipici colori della tradizione iconografica mariana – e l’uso di uno sfondo agreste.
Nella seconda conferenza dal titolo Anni Settanta: gli “anni di piombo” nella grafica, Luciano Cheles ha ripreso alcune ipotesi interpretative affrontate nel saggio Le noir et le rouge: les année de plomb dans l’affiche, uscito nel volume L’Italie des anneés de plomb curato da Marc Lazar e Marie-Anne Matard-Bonucci, uscito per i tipi della Autrement questo aprile; spiegando come i manifesti affissi durante il terrorismo si possano iscrivere in una tradizione che è ben radicata nella storia culturale italiana grazie al patrimonio artistico e iconografico riscontrabile già negli affreschi nelle chiese intesi come biblia pauperum, e alla forte funzione sociale e politica rappresentata dalla piazza, vero e proprio palcoscenico della vita delle persone. L’uso dei manifesti in segno di lutto e di sdegno verso le azioni terroristiche costituirebbe quindi una forma di riappropriazione dei luoghi pubblici che la violenza ha deturpato. In particolare è stato messo in luce il ricorso alla simbologia religiosa tramite l’utilizzo della iconografia dell’Ecce Homo. I casi illustrati sono stati molteplici, dal più noto manifesto della democrazia cristiana dopo l’assassinio di Aldo Moro, ad alcuni manifesti del Msi riguardanti piazza della Loggia e la strage della stazione di Bologna. In tutte i manifesti i soggetti hanno il capo chinato in avanti, la luce aureolare sul volto, e gli occhi che guardano verso il basso, come a ricordare la derisione del Cristo sulla croce. Grazie all’analisi delle diverse iconografie utilizzate dai partiti di destra e sinistra durante gli anni Settanta. Cheles ha messo in evidenza come in entrambi i casi si tenda a dare una visione del terrorismo a “senso unico”, cercando di demonizzare le azioni violente della controparte e di mitizzare come moderni martiri laici i propri simpatizzanti deceduti negli scontri. Un aspetto questo portato in evidenza grazie allo studio non solo di casi di strage collettiva o di avvenimenti noti del periodo (Bologna, l’Italicus, Piazza della Loggia), ma anche grazie all’attenzione posta su fatti “minori” e meno noti, come le uccisioni di Acca Laurenzia a Roma. Nel corso della conferenza, inoltre, sono emerse alcune differenze tra le rappresentazioni dei due diversi schieramenti. Gli ambienti di sinistra – partiti, formazioni extraparlamentari, sindacati e amministrazioni locali – tendono a utilizzare la fotografia (per attirare l’attenzione sulle vittime come nel caso delle foto usate come sorta di necrologi laici per Giorgiana Masi), le immagini evocative (come nel caso dell’orologio fermo per la strage di Bologna), oppure solo parole su uno sfondo rosso e nero. In ogni caso la scelta della sinistra è quella di mantenere un tono di tipo “evocativo” come a voler porre l’accento sul carattere di ingiustizia delle tragedie. A destra invece, è stato riscontrato un linguaggio simbolico è molto diverso. Cheles, infatti, rintraccia nei manifesti del periodo, un discorso più aggressivo, con la scelta di immagini forti e che recano delle allusioni velate al fascismo, come il ricorrere a termini come “onore”, “camerata”, “presente”. In questa maniera, la nuova destra degli anni Settanta riesce a comunicare, grazie all’utilizzo di un metalinguaggio immediatamente comprensibile a pochi, il proprio attaccamento ad un passato fondativo che acquisisce un alone di miticità.
Il rapporto tra passato e nuova destra è stato al centro dell’ultima conferenza del ciclo delle lezioni, dal titolo L’immagine della Destra da MSI ad AN. Cheles ha iniziato con un paragone tra l’utilizzo delle immagini del Msi prima e dopo la presidenza Almirante. In particolare ha messo in rilievo come prima del 1969 la grafica del partito è dichiaratamente ispirata al movimento mussoliniano, tramite l’uso di immagini che richiamano la virilità (uomini prestanti, camice scure aperte per mostrare il petto, simbolo di forza e fierezza), il patriottismo e il militarismo. La propaganda degli anni Cinquanta e Sessanta, dunque, si presentava come una lotta simbolica molto forte dettata da un clima di allerta contro il pericolo rosso e da questa costante tensione riceveva un tono drammatico e estremamente violento. Con l’avvento di Almirante, invece, la grafica diventa più accettabile e il riferimento al fascismo è più velato: la grafica diventa meno “neorealista” e si fa più attuale, spariscono le camice brune e i fez, l’uomo dei cartelloni pubblicitari non è più un “superuomo” ma diventa un italiano qualunque. Quello che cambia, essenzialmente, è la immediatezza del messaggio. Cheles ha dimostrato, tramite l’uso delle immagini, che i temi mussoliniani restano, solo sono riproposti in un linguaggio non immediato e i manifesti acquisiscono una doppia chiave di lettura: se apparentemente non sono più presenti fasci littori, saluti romani e altri elementi cari al fascismo, questi sono riproposti in maniera sottintesa, in modo da creare un linguaggio subliminale nella massa e un messaggio simbolico per il vertice del partito. La conferenza è poi proseguita con l’analisi del passaggio a cura di Gianfranco Fini da Msi ad Alleanza nazionale. Il leader di An, infatti, ha tentato, da metà anni novanta in poi, di rendere il partito una forza di destra di tipo moderato ed europeo pur non rinunciando a richiami alla sua storia, come nel caso dell’utilizzo ancora oggi della fiamma nel logo del partito. Cheles si è poi spinto oltre mettendo in luce anche altri elementi simbolici legati più direttamente al fascismo, come il richiamo costante alla romanitas, e la presenza di accennati saluti romani nei manifesti elettorali sia di Fini che di Alemanno. In particolare questa sua interpretazione ha trovato una rispondenza ancora maggiore nei cartelloni delle associazioni giovanili del partito come Azione giovani e nei raggruppamenti di destra più radicali come Forza nuova. Inoltre, è stato messo in luce, come questi movimenti utilizzino un linguaggio che si richiama al Ventennio, tramite l’uso di parole chiave già ricordate (fede, orgoglio, presente), e utilizzino simbologie legate anche all’utilizzo della svastica celata sotto altri movimenti rotatori. Infine un’ultima suggestione che è emersa dalla conferenza è il ruolo della donna nella iconografia della destra italiana. La rappresentazione della donna, infatti, assume sempre un ruolo stereotipato di madre, di moglie oppure di oggetto del desiderio. La donna di destra è quasi sempre rappresentata con la gonna, è di solito di statura inferiore all’uomo e ha costantemente un aspetto dimesso; lo sguardo è rivolto verso il basso, le sue labbra sono serrate, come ad esprimere una riverenza, o una sudditanza, nei confronti del maschio. Nei recenti casi di candidature femminili per il partito la donna ha acquisito la duplice caratteristica di donna bella e pudica, come nel caso di Renata Polverini che assume una postura delle mani simile a quella della venere del Botticelli, oppure si è puntato molto sulla propria avvenenza fisica, elemento molto sfruttato nel caso di candidate del partito particolarmente attraenti, come nel caso dei manifesti elettorali di Alessandra Mussolini.
La attualità dell’argomento, l’utilizzo del supporto delle immagini, la vivacità discorsiva e la disponibilità al confronto di Cheles hanno permesso al termine di tutte le conferenze un interessante dibattito tra lo studioso di Poitier e gli studenti, i dottorandi e il corpo docente intervenuto, specialmente durante la prima e la terza lezione. In particolare sono emerse delle interessanti suggestioni circa la possibilità di uno studio comparativo con la realtà francese e delle ultime campagne della destra di Sarkozy, e sono stati affrontati interessanti raffronti con le dinamiche destra/sinistra dei primi decenni repubblicani.