Maria Pia Donato
All’indomani del riordino dei corsi universitari di scienze della formazione primaria intervenuto dopo l’entrata in vigore della legge Gelmini del 2009, in un articolo pubblicato su “Storia e futuro”, Flavia Marostica (2011) ha analizzato in modo lucido e puntuale le ingiunzioni paradossali e i problemi aperti sottesi alla nuova normativa, già paventata da altri specialisti di pedagogia e didattica (Panciera 2009).
In particolare, a fronte delle ambizioni delle Indicazioni nazionali, dell’insistenza sulla necessità “che la storia nelle sue varie dimensioni – mondiale, europea, italiana e locale – si presenti come un intreccio significativo di persone, culture, economie, religioni … per la comprensione del mondo attuale globale”, che il ragionamento sui fatti storici rappresenta il fondamento di un abito critico e tollerante solo se informato dagli sviluppi recenti della storiografia esperta (Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, DM 254 del 16 novembre 2012), Marostica avanzava delle perplessità sulla realtà capacità delle università italiane di fornire la preparazione che un tale impianto, di per sé condivisibile, presupponeva, e si chiedeva “quanti insegnamenti su queste nuove prospettive della storia le nostre Università possono mettere a disposizione della formazione iniziale dei docenti, ma anche quanti insegnamenti di didattica della storia, quanti insegnamenti che trattino in specifico dello statuto epistemologico della disciplina e mettano in grado di analizzare le discipline storiche” (Marostica 2011).
I nuovi percorsi quinquennali di Formazione primaria sono stati attivati nel 2011-12, ed è presto per emettere un giudizio definitivo. Nondimeno, alcuni limiti si stanno già profilando. Presentati a livello ministeriale come un salutare ritorno all’insegnamento disciplinare, sono ispirati a un generalismo che non potrebbe non essere necessariamente avversabile se fosse costruito in maniera maggiormente interdisciplinare e non dimostrasse una volta di più alcune distorsioni dell’autonomia universitaria all’italiana. Infatti, la griglia ministeriale è sufficientemente rigida per impedire percorsi formativi di ampio respiro ma non abbastanza per non lasciare alle differenti sedi la possibilità di operare scelte non sempre meditate e senza gran riguardo per la coerenza culturale del corso.
Nello specifico delle discipline storiche, il passaggio da 8 a 16 CFU nei nuovi percorsi si rivela un incremento più apparente che reale, se si tiene conto del fatto che gli insegnamenti disciplinari nel loro complesso sono molto deboli e senza una caratterizzazione specifica. Così, una minoranza assoluta di università ha organizzato corsi integrati dall’antichità al contemporaneo. In alcune gli insegnamenti sono in alternativa, ma nella maggior parte l’offerta si limita a uno o due settori disciplinari, spesso neanche in successione. Inoltre, si rimarca una notevole instabilità dell’offerta formativa, con una certa tendenza dei corsi a cambiare da un anno all’altro gli insegnamenti impartiti in funzione della disponibilità di docenti e delle sollecitazioni esterne. Eppure è evidente che solo una formazione storica a tutto tondo può mettere in grado i docenti di fare fronte con competenza ai diversi aspetti dell’insegnamento della storia e di tutte quelle attività trasversali come l’educazione alla cittadinanza che rientrano nell’ambito storico.
Dalla constatazione delle carenze è dunque nata l’idea di costruire un coordinamento informale dei docenti di discipline storiche nei corsi di scienze della formazione primaria. La lettera aperta che qui si pubblica rappresenta una prima iniziativa in attesa di ulteriori futuri approfondimenti sulle problematiche specifiche della formazione storica iniziale degli insegnanti del primo ciclo.
Qualche precisazione merita forse l’insistenza sulla storia dell’arte. Com’è noto, l’abolizione dell’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole secondarie ha suscitato un acceso dibattito pubblico e una forte mobilitazione, tanto che l’attuale Ministra Stefania Giannini ha promesso il ripristino della materia, e annunciato varie misure per favorire l’educazione al patrimonio di concerto con il MIBACT. Raramente, tuttavia, l’attenzione si focalizza sulla formazione dei docenti.
Com’è noto, le Indicazioni nazionali del 2007, riprese senza grandi modificazioni nel 2012, insistono sul legame tra storia e patrimonio storico e artistico, assegnando alla scuola il compito di tutelarlo. Tale insistenza è il risultato della riflessione sulla didattica della storia degli ultimi due decenni, e le indicazioni ministeriali risentono di queste esperienze, in particolare attraverso l’impegno del Centro internazionale per la didattica della storia dell’Università di Bologna e di singoli esperti come Ivo Mattozzi, che è da tempo un autorevole sostenitore di un insegnamento della storia intrecciato con l’educazione al patrimonio (Bortolotti, Calidoni, Mascheroni, Mattozzi 2008; Borghi 2008; Borghi, C. Venturoli 2009). Ciò nel quadro di una precisa azione di incoraggiamento della Commissione Europea relativamente alle politiche educative dei paesi membri (cfr. http://www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/heritage/). Il riferimento all’esperienza concreta che pure era già presente come indicazione di massima nei documenti ministeriali precedenti, diventa così operativo, e apre la strada a una didattica di tipo esplorativo che permette ai piccoli di capire il mutamento osservandone le tracce, e al contempo di scoprire le loro città, le loro comunità.
Ora, ancora una volta, sia nell’attività in classe che quando si va alla scoperta del patrimonio storico e artistico, i docenti dovrebbero essere in grado di fare quel che si chiede loro. Ma purtroppo, a tante situazioni di eccellenza dove si intesse il dialogo tra insegnanti, università e associazioni locali (da Clio92 e la “Storiainrete” a Milano fino “Historia ludens” a Bari), corrispondono molte più situazioni di afasia. Da qui l’esigenza di una riflessione della formazione universitaria degli insegnanti anche in ambito storico-artistico. Non è inutile rammentare che quasi nessun corso di Scienze della formazione primaria prevede oggi insegnamenti storico-artistici.
Non deve essere taciuto, comunque, che una parte dei problemi dei corsi di Formazione primazia deriva, in definitiva, dalla attuale sistemazione dei cicli scolastici. Indubbiamente, l’università ha molte responsabilità nel non sostenere le innovazioni ordinamentali della scuola dell’autonomia, nel non fornire una preparazione iniziale adeguata, nel non impegnarsi nel fornire strumenti didattici innovativi e favorire la trasmissione delle conoscenze acquisite dalla ricerca per “smontare” topoi persistenti nella narrazione storica diffusa (Brusa 2014). Tuttavia, a mio avviso, si dovrebbe prendere atto anche delle difficoltà intrinseche del modello di insegnamento della storia proposto dalla normativa vigente. Non è il caso di ripercorrere le vicende della fallita riforma De Mauro tra 2000 e 2001 e dei successivi interventi e modifiche. Fatto sta che, poiché non si è potuto modificare l’istruzione superiore, si è creato un percorso che scandisce l’arco cronologico-sequenziale della storia tra IV classe della primaria e ultima classe delle secondarie inferiori. Nonostante gli auspici, però, scuola primaria e secondaria inferiore restano profondamente distinte per approcci, metodi, formazione dei docenti, maturazione degli alunni. Perciò la nuova scansione cronologica è artificiosa. È vero che non esiste più un programma inteso come elenco prescrittivo di argomenti universalmente valido, e che le indicazioni ministeriali sui contenuti didattici permettono di “affrontare i momenti della contemporaneità che si ritengono utili [… e ] di recuperare in una sorta di laboratorio del tempo presente, le ricorrenze memoriali o di particolare impatto sociale, all’interno di finestre di studio, anche interdisciplinari, apribili in qualsiasi momento della programmazione” (Brusa, Cajani 2008). Ma ciò non toglie che le indicazioni siano troppo ampie e generiche per non essere disattese in una scuola che è sottoposta a ingiunzioni contraddittorie. Poiché l’unica cosa certa è che bisogna “fare” la preistoria e la storia antica, il resto, indefinito e difficile da attuare, viene troppo spesso accantonato, con buona pace degli obiettivi formativi dichiarati e della funzione di educazione alla critica e alla cittadinanza che si attribuisce alla storia sin dalla scuola primaria. E questo fa anche sì che la formazione iniziale degli insegnanti sia globalmente trascurata con l’idea implicita (o talvolta esplicita, in certi contesti accademici) che, in fondo, basta fornire pochi elementi di storia antica e al resto provvederanno i servizi didattici dei musei o le associazioni.
Non è certo auspicabile un ritorno al passato, ma appare urgente tanto riqualificare la formazione iniziale degli insegnanti, quanto rivedere l’organizzazione dei cicli perché la scuola primaria sia davvero il primo momento di scoperta della storia e di presa di coscienza del divenire e della collettività.
Bibliografia
Borghi B. (cur.)
2008 Un patrimonio di esperienze per la didattica del Patrimonio, Bologna, Patron.
Borghi B., Venturoli C. (cur.)
2009 Patrimoni culturali tra storia e futuro, Bologna, Patron.
Bortolotti A., Calidoni M., Mascheroni S., Mattozzi I.
2008 Per l’educazione al patrimonio culturale. 22 tesi, Milano, Franco Angeli
Brusa A.
2014 Il curricolo verticale di storia nella scuola di base. Problemi, contenuti e metodi, http://www.historialudens.it/didattica-della-storia/142-il-curricolo-verticale-di-storia-nella-scuola-di-base.html (ultimo accesso 26 giugno 2014).
Brusa A., Cajani L. (cur.)
2008 La storia è di tutti, Roma, Carocci.
Marostica F.
2011 Qualche riflessione sul nuovo modello di formazione iniziale degli insegnanti (di storia), in “Storia e futuro”, n. 27.
Panciera W. (cur.)
2009 La formazione degli insegnanti di storia. Tradizioni, esperienze, prospettive, Atti del convegno promosso dalla Società italiana per la storia dell’età moderna, Manfredonia 27 marzo 2009, in “Mundus. Rivista di didattica della storica”, n. 3-4.