Alfredo Grilli
Tratto da Nel Giubileo della Patria, 9 luglio 1911, a cura del Comitato Costituzionale Imolese, Imola, Coop. Tip. Edit. Paolo Galeati, 1911.
La notte del 13 giugno, alle ore 11, il Governatore Distrettuale d’Imola Luigi Maraviglia, scosso se non impaurito dalle notizie sempre più gravi che da Bologna e da altre città di Romagna giungevano fino a lui, scriveva al nobil uomo signor conte Prospero Della Volpe, Gonfaloniere locale, la seguente preziosa letterina1:
Ill.mo Sr. Gonfaloniere
Poiche (sic) Bologna, Castel S. Pietro, Castel Bolognese, Faenza, Ravenna non hanno più la Pontificia Bandiera, e non volendo la Forza ed io con Essa esser presente al grand’avvenimento qui in Imola pel quale in questa sera sono fatte forti ed armate dimostrazioni, Le significo che all’impotenza delle cose noi cediamo e partiamo. Ella, Sr. Gonfaloniere, provegga al bisogno, ed alla pubblica tranquillità. Con sensi di profonda stima me Le protesto.
Devotiss.o Oss.o Servitore L. MARAVIGLIA Gov.
Il Gov. Maraviglia, (si direbbe che la fretta o la paura o, vogliam dire piuttosto, l’incalzar degli avvenimenti non gli lasciassero tempo e voglia di firmarsi distesamente Governatore) sul primo foglio di carta bianca che gli veniva tra mano, in quella notte minacciosa, attorniato dagli ufficiali della guarnigione, intenti se mai le “forti ed armate dimostrazioni” pigliassero a tumultuare, scriveva la più bella verità che forse in vita sua avesse mai detto.
Quello era in fatto un “grande avvenimento”, davanti all’“impotenza” del quale, come il fanciullo che chiude gli occhi a una minaccia o per non sentire un dolore, egli, governatore della città, con tutta la forza cedeva e partiva per non trovarsi presente.
L’avvocato Maraviglia (e non monsignore, come si scrisse in qualche giornale), che come governatore nello stato pontificio era una specie di giudice mandamentale, con la carica insieme di ufficiale di polizia, doveva essere in fondo un saggio e dabben uomo, perché, conscio fors’egli dell’inevitabile forza delle cose, non aveva sentito nemmeno il bisogno della più semplice protesta2.
Ma tanto a che pro? Il governo del papa era un governo stanco, che ogni giorno più fatalmente declinava verso la fine; disgregazione e sfacelo in ogni ramo dell’amministrazione pubblica e soprattutto sfiducia anzi diffidenza negli animi dei sudditi. Incapace ormai a reggersi da sé, si abbandonava alla protezione di due grandi potenze, l’Austria nelle Romagne e nelle Marche, la Francia a Roma e nel Lazio.
Ma l’incomodo patronato austriaco, di cui forse Roma stessa era insofferente e che avrebbe volentieri rimosso, fu una brutale occupazione straniera, “un’umiliazione perenne per il paese, una macchia alla dignità stessa del governo”, come in Bologna del ‘57 affermava Marco Minghetti nel suo colloquio con Pio IX felicemente peregrinante i suoi stati3.
Dal 1849 al 1859 fu veramente un decennio di dolori e di lagrime. Dal dì 16 maggio 1849 che il generale di cavalleria Gorzkowski e il generale Wimpffen entrarono in Bologna, col pretesto d’intervenire negli stati romani, ma in realtà per esercitare su di essi un diritto di conquista, ecco il disarmo generale, la legge marziale e stataria, lo stato d’assedio, e torture, violenze, minaccie, intimidazioni, sfregi, battiture, poi galera e morte. “Pareva che la società fosse diventata una caccia d’uomini: da una parte il generale disarmo che provocava a delinquere; dall’altra la strage dei delinquenti; o piuttosto la società si era convertita in un campo di battaglia; da una parte gli assassini che irrompevano contro di noi, dall’altra gli austriaci che irrompevano contro gli assassini. Contro di noi stavano le armi di costoro e i bandi degli austriaci”4.
Tale condizione di vita e il contegno tenuto dagli austriaci contribuirono fortemente ad alienare le popolazioni della Romagna e della Marca dal governo pontificio. Le quali, non potendo altrimenti protestare, perché con brutali modi coartate a soggiacere a due padroni, che erano sempre i vecchi ostacoli al conseguimento dell’indipendenza italiana e al costituirsi della nazionalità, per tradizioni cospiratorie, profondamente radicate, non avevano per sé – specialmente la Romagna – che la forza nascosta delle società secrete. Erano quindi parziali sommosse, represse naturalmente con reazione feroce; era una lotta sorda, sotterranea; un fuoco di rabbia tenuto acceso nell’ombra, che valse poi a diffondere nel popolo un odio vivissimo contro l’oppressione di un governo antinazionale.
E quest’odio, nelle città della nostra Romagna, incitava purtroppo le peggiori cospirazioni settarie e spingeva spesso all’assassinio politico; perché in realtà, se l’occupazione austriaca parve ristabilire l’ordine materiale col fucile e con la galera, l’ordine morale era profondamente turbato; e concorreva a ciò l’ignobile contegno del governo pontificio di fronte alle vessazioni dell’Austria, e la supina annuenza e sommissione dell’autorità legittima. E fu cosa più turpe, dice bene il De Cesare, che non si levasse in Europa un sol grido di orrore5.
Ma non importa: il grido di orrore lo lancierà il popolo a suo tempo; quella parte di popolo che, mantenutasi liberale e anticlericale anche dopo la caduta della repubblica, (perché gli anni famosi dal ‘46 al ‘49 come nella storia, così nel ricordo non si cancellano d’un tratto), aspettava con Mazzini e con Cavour l’ora del riscatto. Proclami, stampe clandestine, attentati, moti, cospirazioni, processi, combriccole repubblicane e carbonare, comitati regionali e sottocomitati nelle provincie dello stato, prima della vasta politica Associazione Nazionale del Mazzini, poi della Società Nazionale italiana del La Farina, preparavano lo spirito pubblico. Negli ultimi tempi particolarmente, avanti il ‘59, le associazioni segrete avevan fatto larghi progressi. Ogni città, ogni terra, ogni castello contava comitati e agenti in corrispondenza con le società centrali e coi comitati rivoluzionari; erano commissari che da Bologna si recavano in Romagna per comunicare istruzioni e messaggi, percorrendo armati la via Emilia, malsicura pei gendarmi pontifici.
Con questi preparativi era giunto il 1859. L’orizzonte politico sembrava rischiararsi: anno di grandi eventi si annunziava quello fin dal primo gennaio, dopo le famose parole di Napoleone III ai rappresentanti delle nazioni europee. Gli animi erano aperti a speranza, e le città delle Legazioni, ricche di teatri, di circoli, di accademie, forse in aspettazione di giorni migliori, si divertivano agli spettacoli scenici e ai veglioni più allegramente del solito. Intanto non si perdeva il tempo. Si emettevano boni per raccogliere denari a favore degli emigrati, dei volontari, dei disertori pontifici e austriaci, che accorrevano ad ingrossare l’esercito piemontese, già sceso in campo. Dal tetro della guerra le grandi notizie si diffondevano con fulminea rapidità: gli austriaci battuti a Magenta il 4 giugno; il giorno 8 ingresso di Napoleone III e Vittorio Emanuele in Milano; quindi gli austriaci ritirati sul Mincio e la Lombardia libera, e Modena e Parma senza il duca e la duchessa.
L’immensa letizia vorrebbe prorompere dall’animo popolare; ma il buon senso la comprime a scanso di rappresaglie, ogni volta che i bollettini manoscritti della guerra, insigniti di una coccarda tricolore, adornano muri e colonne. A Bologna, fin dalla sera dell’8 giugno, si manifesta nel popolo l’intenzione d’insorgere ad onta della presenza dei tedeschi. Qua e là risse parziali, riunioni di giovani, avvisi manoscritti sui muri e ai caffè con le parole ammonitrici: Siate pronti sì, ma calmi e disciplinati. E anche Imola, come forse tutte le città di Romagna, ebbe i suoi episodi per l’affissione nel palazzo comunale del proclama di Milano. Quale intima soddisfazione, quale fine compiacimento poter gettare, passando, uno sguardo furtivo a quei manifesti, e scrutare intanto la rassegnazione filosofica dei gendarmi pontifici, e l’irosa e ringhiosa intolleranza degli austriaci, che insegno di oltraggio vanno stracciandoli con le sciabole sguainate!
Se non che l’onta e lo sfregio ricadranno presto su loro. Le guarnigioni austriache, “incalzate dalla forza di meravigliosi eventi, sbalordite dalle vittorie delle armi italo-franche”, debbono abbandonare celermente e totalmente i presidi delle Legazioni. La prima a goder dell’esodo è appunto Bologna, per cui con l’alba della domenica 12 giugno si alzò su le due torri il sole della libertà. Erano dieci anni che il popolo di Romagna taceva avvilito e soffocava nell’anima i suoi prorompenti entusiasmi, i suoi liberi canti di gioia, e fu ben giusto che in quel giorno solenne spiegasse al vento le sue bandiere al grido fatidico: Viva l’Italia e Vittorio Emanuele!
L’avvenimento di Bologna fu la scintilla benefica che propagò al di qua e al di là dell’Appennino la gran fiamma della rivoluzione. Il primo paese, che a distanza di poche ore, seguisse il moto bolognese, fu Castel San Pietro, dove alcuni giovani, per mezzo del liberale Pietro Inviti, erano a contatto col comitato rivoluzionario di Bologna: anzi Pietro Inviti era l’informatore e il corriere tra i sottocomitati della Romagna e il comitato centrale6. Dopo Castel San Pietro, castel Bolognese, Faenza, Lugo, Ravenna, Forlì, e tutte le altre città poco di poi, e quindi Ferrara, donde non prima del 21 giugno partiva la guarnigione straniera.
Anche Imola fu tra le prime, certo per la sua vicinanza a Castel San Pietro, dove già alcuni paesani reduci da Bologna risorta, percorrendo la via Emilia con tre bandiere spiegate al vento sui loro biroccini, avevano dato il segnale della liberazione; e perché a pochi chilometri da Faenza, donde la magistratura municipale aveva spedito un corriere a Bologna, per sapere che cosa fosse per decidere quel municipio, essendo Faenza pronta a insorgere non appena l’avesse fatto quella città. Ed ecco la sera del 12 il messaggero entra in Faenza “a briglie abbandonate”, con la dolce novella che Bologna era libera7. Suonavano le undici di notte: E squillaron le trombe a parlamento! – Nella stessa sera a Lugo i liberali più noti si radunavano nella casa dei fratelli Gaspare e Andrea Lanzoni8; e da Ravenna la mattina del 13 Ippolito Gamba per la Giunta Provvisoria scriveva al governatore d’Imola, come vedremo. L’insurrezione quindi fu generale e quasi contemporanea in tutte le nostre città.
Le condizioni dello spirito pubblico in Imola erano press’a poco come quelle degli altri paesi di Romagna, eccetto forse Faenza che fu “il centro delle peggiori cospirazioni settarie e degli assassinii politici”9. Passioni partigiane anche qui e lotte intestine, e soprattutto un odio celato contro il governo dopo le troppe disillusioni patite e i danni sofferti. I vecchi e forti e onesti patriotti del trentuno e del quarantanove che formavano il partito d’azione, per quanto sfiduciati, eran tornati a cospirare nell’ombra pel trionfo della libertà; ma purtroppo spesso il loro sano movimento rovinava per le intemperanze di uomini audaci, ribelli, ignoranti e brutali. Poi, nel 1857, quando col sorgere della famosa Società Nazionale al grido di Indipendenza, Unificazione e Casa di Savoia, i mazziniani e i lafariniani di Romagna aderirono ad un programma che li conduceva direttamente verso ideali più pratici e reali, anche in Imola Massoneria e Giovane Italia costituirono un comitato della Società Nazionale, a cui, con gli agenti e addetti di tutta Romagna, sopravvegliava il comitato dirigente di Bologna.
Così la vita cittadina si svolgeva di giorno in giorno più composta e sembrava anche più tranquilla. Ma l’apparente torpore e quella specie di rassegnazione al giogo eran come l’afa che cova il temporale. E già, qualche segno foriero di tempesta erasi notato fin dalle dimostrazioni teatrali del luglio e agosto 1858. È noto come in quegli anni di compressione politica il sentimento liberale erompesse singolarmente nelle produzioni sceniche, e come i teatri fossero il campo aperto agli entusiasmi patriottici. In Imola si rappresentava il Nabucodonosor del Verdi e la censura aveva soppresso nel libretto di Temistocle Solera le parole: Morte allo stranier. Le quali peraltro, insistendo la popolazione e annuenti la deputazione dei pubblici spettacoli e il gonfaloniere, furono ugualmente cantate, con grandi evviva e segni di letizia universale. Onde nacque la reazione della polizia, la proibizione dello spettacolo e l’arresto di Paolo Galeati, del conte Alessandro Faella, di Francesco Gardenghi e di Francesco Masi, tradotti nelle carceri di Civitacastellana10.
La vita, diciamo così, teatrale del primo semestre del 1859 fu molto più quieta e tranquilla. Fin dal primo gennaio era incominciato un corso di rappresentazioni comiche e drammatiche della compagnia diretta da Luigi Codognola; nel carnevale poi si ebbero due tombole, due feste di ballo nelle sale del palazzo comunale, e per la fiera di S. Cassiano doveva agire la compagnia drammatica romana diretta da Luigi Domeniconi, ma in conseguenza dei fatti del giugno restò chiuso il teatro per una disposizione della Giunta Provvisoria di Governo11. Evidentemente lo spettacolo d’opera in carnevale, dopo le esperienze del ‘58, aveva fatto paura ai tutori dell’ordine pubblico, con quell’aria satura ormai di novità e così facilmente infiammabile, e quanto all’agosto forse non era improvvido e certo non inopportuno il divieto di ogni divertimento.
Ciò non di meno ogni precauzione di governanti, ogni oculatezza di gendarmi era vana. Gli avvenimenti incalzavano, e d’altra parte in Imola non si dormiva. Il comitato secreto di azione, in corrispondenza diretta con Bologna e forse anche con Ravenna (nella cui pineta è rimasta famosa l’adunanza vivacissima tenuta dall’avv. Camillo Casarini – che sarà poi della Giunta Provvisoria di Governo in Bologna – per ottenere l’adesione dei comitati romagnoli alla Società Nazionale), nell’imminenza della guerra, fin dai primi di marzo, aveva silenziosamente cooperato all’arruolamento de’ volontari per il Piemonte. E giorno per giorno, alla spicciolata, eran già partiti, fra gli altri, a combattere per l’indipendenza, Davide Baldinotti, Giuseppe Montanari, Giuseppe Benati, Clemente Montroni, Antonio Padovani, Vincenzo Campagnoli, Domenico Landi, Federico Bandini, Ignazio Baroncini, Giovanni Galvani, Francesco Lambertini, Davide Rocchi, Alessandro Salvatori, Battista Sabbioni, Antonio Carletti, Pietro Balestrazzi, Luigi Borzatta, Natale Betti, Carlo Castellani, Gioacino Margotti12.
Presiedevano e componevano il comitato imolese uomini educati da tempo all’attività delle lotte politiche e alla prudenza delle cospirazioni, e giovani animosi e risoluti: il dott. Pietro Toschi, Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini, il dott. Luigi Lolli, il conte Antonio Domenico Gamberini, l’avv. Alfredo Cardinali, Gaetano Calderoni, Odoardo Pirazzoli, Francesco Magrini, Ippolito Lucot Guichard, e altri ancora.
Fin dal pomeriggio almeno del giorno 12 Imola doveva essere consapevole dei fatti bolognesi, sia per la notizia, come abbiam detto, giunta nella mattinata a Castel San Pietro, sia per il passaggio del messo faentino, sia ancora perché la mattina del 12 si era visto transitare il Corriere con la scorta di pompieri di Bologna. E poi non era tutta una rete di comitati liberali sulla via Emilia e tutti in relazione fra loro? E non si sapeva che fin dal 10 giugno, occupata dagli italo-franchi Milano, erano state richiamate da Verona le guarnigioni austriache in Romagna?
Fu quindi unicamente per ragioni di avvedutezza e di ponderazione, e non per incertezza di eventi e contraddittorietà d’istruzioni, se soltanto al cader della notte del 13 gl’insorgenti, armati come meglio poterono di schioppe, di fucili, di pistole, di spade della guardia civica del ‘4813, si riunirono nel caffè Filippini, allora nazionale, all’angolo di via Emilia (ora Umberto I) e via S. Piero (ora XX Settembre); mentre la guardia nazionale si era accantonata in casa Galotti di faccia al seminario, in via Fortezza (ora Garibaldi), attendendo lo sgombro della rocca da parte dei papalini per prenderne il posto.
Durante quel lunedì 13, secondo giorno festivo di Pentecoste, dovette essere un lavoro febbrile di preparazione magari a una rivolta armata: la guarnigione di papalini, comandata da uno svizzero, il maggiore Gut, accresciutasi di qualche centinaio di uomini ritiratisi, credo, da Lugo e da Ravenna, che per mancanza di caserma bivaccavano con paglia sotto l’atrio del palazzo comunale, aveva un bel perlustrare le vie. Il covo, chi non lo sapeva?, era al caffè nazionale, ma era meglio mostrarsi prudenti e andar cauti per non provocar la rivolta. La quale sulle prime ore di notte del 13, con “forti ed armate dimostrazioni”14, come scrisse il governatore, proruppe. Così tutto fu risolto; e il più contento, starei per dire, fu lo stesso Maraviglia, che, a considerar bene la sua lettera, pareva si levasse un incubo triste dalla coscienza per espirare con più libertà; e forse invidiava in cuor suo quei gendarmi e quei pochi ufficiali, che sentivano il coraggio di mancar fede al papa, e prender soldo nella guardia nazionale15.
Partita la truppa pontificia coi gendarmi e il governatore Maraviglia, che, a piedi, era in testa della colonna, i liberali armati che stavano al caffè Filippini e in casa Galotti, occuparono la Gran Guardia e la Rocca, ove custodivasi un’ottantina di malfattori della peggiore specie. Una Guardia Nazionale provvisoria non fu organizzata che qualche giorno dopo, e la comandava Odoardo Pirazzoli.
La grande rivoluzione incruenta era dunque fatta; un governo millenario cadeva: or si trattava di ricomporne un altro migliore.
L’avvocato Maraviglia, cedendo il posto, aveva invitato, com’era naturale, il gonfaloniere a provvedere al bisogno e alla pubblica utilità. Ma il nobil uomo conte Prospero Della Volpe era noto reazionario, o almeno non nutriva sensi di simpatia per certe novità, e però subito la mattina del 14 cedeva la direzione della cosa pubblica con questo scritto, a tergo della stessa lettera ricevuta pocanzi dal governatore: “14 Giugno 1859. All’Anz.o Dr. Pietro Toschi perché prenda i necessarj provvedimenti. P. Della Volpe”.
Pochi in verità quella notte dovettero andare per dormire, e quei pochi forse non riposarono in pace. La parte liberale della popolazione aveva da festeggiare con canti, evviva e coccarde e vessilli e musiche il lieto evento; la truppa, i gendarmi e le autorità governative, radunate in fretta le cose loro, si disponevano alla partenza che non ebbe ritorno; i capi del movimento patriottico, Scarabelli, Lolli, Cardinali, Gamberini, raccolti a conciliabolo nel caffè nazionale, e seduti attorno a un tavolo discutevano e studiavano un manifesto da pubblicarsi l’indomani, la cui redazione fu poi quasi tutta di Luigi Lolli; alcuni liberali armati e soldati della guardia nazionale andavano in ronda per il mantenimento del buon ordine; il gonfaloniere pensava il suo rescritto per le dimissioni e la municipalità si veniva raccogliendo in residenza per le necessarie deliberazioni del momento.
L’invito era per le tre antimeridiane del martedì 14. Ma appena quattro furono gl’intervenuti a quella seduta antelucana, o meglio quattro furono i firmatari del verbale, che, sempre dal tergo del foglio contenente la lettera dell’avv. Maraviglia e la delegazione del conte Della Volpe, trascrivo integralmente:
Li 14 Giugno 1859. Visto il dispaccio del Sig.r Gov.e d’Imola col quale dichiara, che Egli, e la forza qui di Guarnigione vanno ad allontanarsi dalla Città cedendo il potere, di cui erano rivestiti, e chiamando il Gonfaloniere alla tutela dell’ordine. Visto il Rescritto qui a piedi dello stesso Sig.r Gonf.e che delega l’Anz.o Sig.r Dr. Pietro Toschi a prendere in oggetto gli opportuni provvedimenti. Considerato che in mancanza d’ogni Autorità la Municipale Rappresentanza è chiamata per legge a assumere le redini del Governo, onde evitare spiacevoli inconvenienti. La Magistratura radunatasi in via d’urgenza nel giorno d’oggi alle ore tre antimeridiane decretava la stampa dell’avviso di cui si unisce un esemplare, raccomandando la tranquillità e l’ordine. Ufficiava poscia l’Ill.mo Sig.r Giuseppe Scarabelli a recarsi a Bologna, e ripetere l’adesione all’Atto della Giunta del Governo provvisorio proclamato in questa Città, al quale effetto lo muniva di analoga credenziale, e ad invocare i necessarj (sic) provvedimenti. Pietro Toschi, Gio. Batta. Ginnasi, C. Salvigni, Francesco Ballarini
Nella stessa adunanza mattutina del 14, il dott. Pietro Toschi per il municipio alle 5 antimeridiane comunicava all’inclita Giunta Provvisoria di Governo in Bologna gli avvenimenti della notte trascorsa e la deliberazione “improvvisamente” seguita del governatore locale; esponeva che “nell’imminenza del caso” i rappresentanti del municipio avevano “assunto la direzione temporanea Governativa dandone avviso ai concittadini” con un manifesto di cui inviava esemplare a Bologna. “L’Ill.mo Sig. Giuseppe Scarabelli uno dei distinti cittadini da loro associato all’andamento della cosa pubblica” si recava a Bologna incaricato di ripetere a voce che gli imolesi intendevano di aderire formalmente al governo provvisorio proclamato quivi il giorno 12, e nello stesso tempo pregavano di suggerire quei provvedimenti che nella loro saviezza avessero riputati più idonei a stabilire un regolare provvisorio regime16.
Il manifesto che si affiggeva in Imola, come press’a poco quelli di tutte le città di Romagna, era calcato su l’esemplare del proclama del magistrato bolognese, col quale Giuseppe Ceneri, sobriamente e dignitosamente, aveva indicato la procedura della riscossa di tutta la regione; due erano quasi sempre i concetti che si esprimevano: sostituirsi all’autorità che abbandonava il suo posto, e creare un governo. E tale fu anche lo spirito del manifesto agli Imolesi, approvato nella residenza municipale la mattina del 14 giugno e firmato dal Toschi, dal Ginnasi, dal Salvigni e dal Ballarini17:
L’Autorità ha abbandonato il Governo, la Guarnigione il Paese. I Membri presenti del Municipio radunati ad urgenza, ai quali si associano alcuni distinti Cittadini, sentono il debito imperioso di provvedere immediatamente alla conservazione dell’ordine pubblico, e agl’interessi morali e materiali di questa popolazione. A tale effetto cedendo al voto universale, aderiscono pienamente all’Atto della Giunta Provvisoria di Governo in Bologna delli 12 Giugno corrente, e vanno ad invocare dalla Medesima i necessarii provvedimenti. IMOLESI! osservate pienamente l’ordine, e quella nobile calma senza della quale è impossibile il conseguimento della Nazionale Indipendenza.
L’ordine e la calma non furono infatti turbati, neppure in quel giorno, nel quale dovette esser grande l’eccitazione degli animi in una quasi anarchia do governo, per quanto il servizio pubblico fosse assunto alla meglio in via provvisoria da Gaetano Calderoni, dai due fratelli Trombetti, da Battista Balestrazzi e da qualche altro, all’ufficio di questore fosse chiamato certo Pasquali, o Pasqualis18, già impiegato in quel ramo sotto il governo pontificio, e allora a riposo. Nessun disordine, nessun tentativo settario, in senso repubblicano o reazionario; ma, a cominciare dal 14 giugno, una saggezza civile meravigliosa, come se nulla fosse accaduto. Intanto si pensava a togliere lo stemma pontificio dalla porta del palazzo comunale, e a murarlo su la facciata della chiesa del Suffragio, dove rimase poi per lunghi anni19.
Nel tempo che tutto questo accadeva in Imola, il municipio di Ravenna diramava un proclama, col quale avvisava la popolazione che, essendo rimasta la provincia senza il suo rappresentante, si credeva in dovere di nominare una giunta di governo nelle persone del sig. conte Gioacchino Rasponi, conte Ippolito Gamba e sig. Domenico Boccaccini. Questo proclama, che insinuava ai ravennati l’ordine e la concordia, era accompagnato da una lettera sottoscritta da Ippolito Gamba, nella quale faceva conoscere quello che si era praticato in Ravenna, e invitava i rappresentanti dei comuni della provincia a seguitarne l’esempio.
A Imola, che apparteneva allora al distretto ravennate, furono spedite due lettere in data 13, l’una al governatore, l’altra al gonfaloniere; ma come nessuno dei due all’atto del recapito era più in carica, le riscontrava poi, per la municipalità, Pietro Toschi.
Nella prima circolare il conte Gamba, a nome della giunta, incitava l’avv. Maraviglia a dichiarare se intendeva di aderire al nuovo ordine di cose, onde potesse il governatore stesso, in via provvisoria, proseguire nelle sue funzioni giudiziarie, lasciando al municipio o a chi per lui sarebbe incaricato l’esaurimento delle attribuzioni politiche ed amministrative; nella seconda sollecitava il gonfaloniere ad aderire al “pronunciamento” ravennate, nominando una giunta provvisoria, che s’incaricasse delle attribuzioni politiche ed amministrative che allora aveva il governatore; invitando quindi gli altri comuni subalterni, (ai quali contemporaneamente scriveva) a volersi unire e procedere d’accordo con Imola per la polizia e sicurezza pubblica. Infine inculcava di ricevere la consegna delle carte ed ufficio amministrativo e politico del governatore, a cui scriveva in proposito, e di sostituire altri al medesimo e al suo supplente per il giudiziario, se non approvasse il nuoco ordine di cose.
La municipalità imolese, che aveva capito di non esser stata troppo corretta ne’ suoi rapporti con Ravenna, subito, in data del 14 giugno, comunicava alla giunta della provincia come erano andate le cose: che cioè essa alla “inaspettata comunicazione” del governatore, (è curioso che anche la lettera alla giunta di Bologna incominciava: Improvvisamente la notte or ora trascorsa…) nella strettezza del tempo e nell’urgenza che premeva, aveva assunto la direzione della cosa pubblica. Sono poi particolarmente notevoli le parole che seguono, le quali dimostrano come in Imola non si avesse alcuna notizia del moto di Ravenna, e soprattutto che il comitato d’azione imolese era in relazione diretta coi liberali di Bologna: “Non avendo avuto alcun sentore che costì si fosse operato il mutamento di cui parlano i dispacci delle SS. LL. in data 13 corr. N. 15; ed esistendo già precorse intelligenze, abbiamo partecipato l’avvenimento alla Giunta provvisoria di Governo in Bologna disposti nello stesso tempo a ricevere norme e consigli nell’importante situazione presente”. Al qual fine si sarebbe mandato anche in Ravenna il “distinto cittadino” Giuseppe Scarabelli20.
Ma i ravennati, due giorni dopo, riscrivevano che, pur riconoscendo esser difficile, nei primi giorni in seguito a mutamento di governo, evitare un’alterazione dei rapporti amministrativi fra loro e le altre città della provincia; tuttavia pregavano a voler fare capo a Ravenna per tutto ciò che riguardava gli affari governativi, per “la necessità di non interrompere l’ordine amministrativo, e di non incontrare i danni gravissimi che ne deriverebbero”. “Analoghi concerti, dicevano, sono stati presi con Incaricati della Giunta Bolognese, dalla quale questa nostra provincia dovrà dipendere d’ora innanzi”21.
Dopo queste sollecitatorie, i componenti il municipio d’Imola, secondo le facoltà conferite loro dalla giunta provvisoria di governo in Ravenna, procedevano il 15 alla formazione della giunta per la città e comune d’Imola, eleggendo i signori Giuseppe Scarabelli, conte Anton Domenico Gamberini, avvocato Alfredo Cardinali, ai quali poi veniva subito partecipata la nomina. La stessa partecipazione si faceva due giorni dopo alla giunta di Ravenna, a cui, avendo essa chiesto in riscontro se si era provveduto anche alla parte giudiziaria, il 20 giugno si rispondeva essersi nominato a giusdicente civile e criminale il dott. Pietro Golinelli.
I membri della giunta, “per sempre più rassicurare alla patria nostra la tanto desiderata indipendenza”, non si sottrassero all’onore della carica. Sentivano senza dubbio la responsabilità dell’ufficio: “Questa missione è grande, dicevano nella lettera di accettazione, poche sono le nostre forze, e supplirà a questa la possanza della volontà”. Gli stessi concetti esprimevano nel manifesto del 16 ai Cittadini22:
Il voto del Municipio ci chiama a governare questa Città e Distretto. I solenni momenti in cui versa l’Italia ci fanno più che mai sentire la gravezza di quest’incarico, a cui male vi (sic) rispondono le nostre forze. Cittadini, noi dobbiamo dunque contare su voi! I vostro patriottismo e la vostra consueta rettitudine e moderazione ci siano di aiuto a compire la nostra difficile missione. Già la vittoria arride alla Causa Italiana, ed il fatto della nostra Indipendenza non è lontano a realizzarsi. Uniamoci pertanto, ed animosi e concordi cooperiamo risoluti alla santa impresa del riscatto italiano, che ci farà essere indipendenti e liberi.
Iniziato così il nuovo ordine di cose, la giunta fu per un mese intero coadiuvata dall’antica magistratura nel disbrigo degli affari municipali. Ma il 25 luglio il regio commissario straordinario della provincia di Ravenna Emanuele Rorà, in seguito al decreto 16 luglio del regio commissario straordinario in Bologna, invitava i consigli e le magistrature comunali a cedere il posto a Commissioni Provvisorie Amministrative. Quanto ad Imola, dopo aver debitamente ringraziato la rappresentanza municipale “per l’efficace cooperazione prestata al Governo in momenti così difficili”, chiamava a far parte della commissione suddetta i signori dott. Pietro Toschi, l’ingegner Giacinto Cerchiari e Carlo Salvigni. Se non che la magistratura d’Imola era ridotta ai minimi termini. S’è visto già che, nella seduta straordinaria della notte 14 giugno, degli otto anziani quattro soltanto si erano presentati a firmare il verbale; l’avvocato Giovanni Gamberini, il conte Luigi Compadretti, il conte Flaminio Zappi Recordati e il dottor Luigi Zotti non so perché (o forse si capisce bene!) non si erano fatti vivi, e il gonfaloniere Della Volpe aveva declinato ogni responsabilità. Ora dunque non rimanevano da ringraziare, per quanto avevano operato “a vantaggio dell’ordine e dell’amministrazione comunale nelle tristi cessate anormali contingenze”, che il conte Giambattista Ginnasi e Francesco Ballarini, e i membri di qualche altra deputazione dipendente dalla rappresentanza comunale e consiliare.
L’uomo del momento era, come si vede, il dottor Pietro Toschi. Passato attraverso lotte ben più aspre negli eventi più solenni della patria, medico, soldato, magistrato, speculum virtutis, come lo chiama il nipote Vincenzo23; si considerava allora come l’uomo di governo più attivo e più esperto, dopo l’ammaestramento che gli veniva dai fatti del ‘31 e del ‘49. Entrato in terna, nella seduta consiliare del 4 febbraio 1859 per la scelta di un anziano in surrogazione dell’avvocato cav. Giuseppe Fornioni rinunciatario, erasi trovato primo con Vincenzo Raffi e Vincenzo Dal Pero Bertini. Presentatasi, come di legge, la terna ad delegato apostolico, questi l’11 febbraio nominava il dottor Pietro Toschi che il 18 veniva installato. E doveva essere ben noto il suo pensiero apertamente liberale! Per ciò, come anziano, ebbe parte cospicua in tutti gli avvenimenti del ’59.
Intanto, sistemato così alla meglio l’ordine e provveduto alla direzione delle aziende comunali in giorni non scevri di sospetto e di difficoltà, riorganizzate le diverse amministrazioni e regolato il servizio di pubblica sicurezza, conveniva dar legge e norma allo slancio spontaneo di tutte le popolazioni della Romagna, che, condotta a termine la nobile impresa, anelavano di far parte in realtà del regno di Vittorio Emanuele II. A questo scopo fin dal 22 luglio si era costituito in Bologna un comitato pel voto nazionale24. Stabilita e formulata una Dichiarazione dei popoli delle Romagne a Napoleone III ed a Vittorio Emanuele II, nella quale concisamente erano espressi i voti del popolo, s’invitavano i cittadini a sottoscrivere le liste diramate per tutte le provincie unite. La sottoscrizione stette aperta dal 22 luglio al 12 agosto, e, nonostante le scomuniche e le maledizioni del clero minacciante dagli altari e dal pergamo, la Dichiarazione diretta ai due potenti sovrani rappresentava la volontà di più di 82 mila cittadini, non computando i ventimila circa volontari delle nostre provincie o in armi o reduci dal Piemonte. Imola con 9,321 abitanti offrì 3,626 firme.
Il rapporto del comitato pel voto nazionale insieme con le liste sottoscritte e con le corrispondenze fu consegnato il 1° settembre al governatore Cipriani, che aveva poco appresso surrogato il regio commissario Massimo D’Azeglio, richiamato dopo la pace di Villafranca.
Il popolo di Romagna aveva liberamente espresso il suo voto per l’annessione al Piemonte, ma, siccome speciali erano le condizioni di queste ex-legazioni pontificie e, con le oneste aspirazioni di moltissimi, non mancavano intemperanze di pochi ed energica opposizione da parte del clero; così si volle che i voti espressi dalle città romagnole venissero solennemente confermati da un’Assemblea legislativa, “che fosse la legittima rappresentanza di quel principio della volontà nazionale, in cui si fondono i più prosperi e civili governi d’Europa”25.
“Una Circolare del Ministro dell’Interno agli Intendenti ed ai Sott’Intendenti ed alle Commissioni Municipali in data del 22 agosto faceva appello alla pubblica opinione perché tutti i chiamati concorrano con frequenza ai collegi elettorali a compiere il nobile mandato, importando che la manifestazione della volontà nazionale sia coscienziosa ed assennata, e che vi concorra ogni ordine di cittadini”26. I collegi elettorali erano convocati per il 28 d’agosto, e poiché erasi decretato che gli eletti fossero uno per ogni 8,000 abitanti, così per tutta la popolazione delle Romagne di circa 1,050,000 dovevano essere 124 i rappresentanti e altrettanti i collegi27. Quattro furono in Imola e nel distretto i deputati eletti per l’assemblea28: Gamberini conte Anton Domenico, Lolli dottor Luigi, Scarabelli Giuseppe, Toschi dottor Pietro.
Gli eletti dovevano essere uno per ogni 8,000 abitanti. Ora il territorio imolese, secondo l’ultimo censimento, contava allora oltre 25,000 anime; fu dunque assegnato un rappresentante anche alla frazione che rimaneva. Dei deputati d’Imola, conforme la divisione in classi che presenta il Finali, Gamberini cadeva nella categoria dei ventotto conti, Lolli e Toschi in quella dei dieci dottori in medicina e Scarabelli nell’ultima dei ventitré proprietari, commercianti e industriali.
Le adunanze incominciarono il 1° settembre sotto la presidenza del comm. cav. Marco Minghetti, vice-presidenti Rodolfo Audinot e Giuseppe Scarabelli; e subito il giorno 3, seconda tornata dell’assemblea, veniva presentata da dieci deputati una Proposta, firmata anche dal superstite conte Gamberini; la quale, leggermente emendata negli uffici e votata con plauso entusiastico dall’assemblea nella seduta del 6, premesse dieci varie considerazioni, così con precise parole chiudevasi:
Noi rappresentanti dei popoli delle Romagne, convenuti in generale assemblea, appellandone a Dio della rettitudine delle nostre intenzioni: Dichiariamo che i popoli delle Romagne, rivendicato il loro diritto, non vogliono più governo temporale pontificio29.
Dichiarato dunque solennemente libero il paese dal caduto potere e manifestata l’assoluta volontà di non sottostarvi mai più, era giunta l’ora di esprimere il voto unanime e fermo di tutto un popolo per un governo, che assicurasse l’indipendenza nazionale, l’uguaglianza civile e la libertà; e però i rappresentanti dichiaravano: “Che i popoli delle Romagne vogliono l’annessione al Regno Costituzionale di Sardegna, sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II”. La sera del giorno 7 settembre e tutta la notte Bologna fu in festa; la grande notizia trasmessa già dal telegrafo commoveva ed esaltava gli animi più lontani e tutta la Romagna acclamava il Re Galantuomo. La commissione municipale d’Imola pubblicava la mattina dell’8 il suo manifesto esultante e invitava la cittadinanza a festeggiare lo storico avvenimento “con una splendida a generale illuminazione”.
Ma in quel mese non si dormiva sugli allori, né si cedeva di soverchio alla più giusta esultanza: momenti d’azione e di generose audacie e nello stesso tempo di soddisfazioni indicibili! Erasi appena diffusa la notizia che a Monza la mattina del 24 settembre la deputazione dell’assemblea delle Romagne era stata accolta dal re, e che all’indirizzo letto dallo Scarabelli, invocante l’annessione al Piemonte, S. M. aveva benignamente risposto, accogliendo i voti delle ex-legazioni; quando nelle città della Romagna i comizi elettorali si formavano le rappresentanze municipali, e soppresse le Giunte e le Commissioni provvisorie, i comuni riprendevano il loro normale andamento.
Già nel luglio era stata promulgata una legge elettorale per il nuovo ordinamento dei municipii30, (legge che servì poi anche per le elezioni politiche) ed erasi posto mano alla compilazione delle liste degli elettori e degli eleggibili. Ma un dispaccio dell’Intendente di Ravenna del 7 agosto ordinava che il corso degli atti relativi all’adunanza per la formazione del consiglio e delle magistrature fosse sospeso, per dar mano e ultimare quelli che avevan rapporto alla nomina dei deputati all’assemblea nazionale per le Romagne. Un altro dispaccio governativo del 18 settembre disponeva che le elezioni avessero luogo il 25 dello stesso mese. E così fu.
In Imola si dovevano eleggere 57 consiglieri. La legge elettorale 20 luglio 1859 all’art. 8 n. 2 stabiliva che i comuni, aventi una popolazione di oltre 25,000 persone avessero diritto alla rappresentanza di 48 consiglieri oltre il gonfaloniere ed otto anziani. Il comune imolese, secondo l’ultimo ruolo, contava appunto nel 1859 una popolazione di oltre 25,000 anime, e quindi gli competeva una rappresentanza del numero che abbiamo detto.
La domenica 25 dalle 8 alle 2 pom., previo il suono della campana della pubblica torre che durò più di un’ora, nel teatro comunale, a tal uopo destinato a norma delle prescrizioni superiori, dovevano svolgersi i lavori delle elezioni. Assunse la presidenza provvisoria il dott. Pietro Toschi come capo della commissione municipale; il quale, salutato con opportune parole i convenuti, ordinò la prima votazione per le cariche, da cui risultò presidente del seggio (diremmo noi adesso) il conte cav. Giambattista Dal Pozzo. Ma la prima votazione non riuscì bene, perché, mentre la lista degli elettori ammontava al numero di 1317, soltanto 343 schede erano state deposte nell’urna, e però, non avendovi partecipato almen un terzo degli elettori, l’atto delle elezioni non era valido.
L’indomani, lunedì 26, dalle ore 10 alle 4 pomeridiane, con le stesse norme e le stesse disposizioni, si procedette ad una seconda elezione, quale riuscì valida avendovi partecipato 415 votanti. Il lavoro di spoglio delle schede fu enorme, perché, incominciato alle 4½ pom. del 26, proseguì “senza interruzione” fino alle 4½ pom. del 27 settembre; ventiquattro ore precise! Il povero presidente e gli scrutatori e i segretari, “trascorse più che 30 ore di consecutivo lavoro ed oppressi perciò dalla stanchezza”, avevano ben ragione di sospendere l’adunanza fino alle 3 pom. del 28 settembre. Anche il lavoro di proclamazione dei componenti la rappresentanza municipale fu lungo, e finì con l’abbruciamento delle schede, presente tutto l’ufficio e vari elettori, nella pubblica piazza del teatro alle 11½ di notte31.
Il nuovo consiglio si radunò la prima volta la mattina dell’8 ottobre alle 9½ per la nomina del gonfaloniere e degli otto anziani, e da quella seduta con 46 voti su 49 votanti uscì gonfaloniere della città e comune d’Imola Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini, e magistrati furono: Toschi dott. Pietro, Lolli dott. Luigi, Cerchiari ing. Giacinto, Berti Carlo di Luigi, Salvigni cav. Carlo, Dal Monte Casoni avv. Tommaso, Dal Pozzo conte cav. G. Battista, Mambrini Marco.
L’indomani della prima seduta dei rappresentanti il corpo municipale d’Imola, un’altra solenne cerimonia doveva allietare i cittadini, le feste per l’innalzamento dello stemma sabaudo. Già la commissione municipale provvisoria32, nel nome del suo presidente aveva pubblicato il 6 ottobre la seguente patriottica notificazione agli imolesi33.
Lo Stemma della Gloriosa CASA DI SAVOIA, che come Simbolo della Indipendenza e unificazione italiana sorge ovunque in queste Provincie dell’Italia centrale, sarà innalzato solennemente nel giorno di domenica 9 del corrente alle ore 11 antimeridiane sulla porta maggiore di questo pubblico Palazzo. A festeggiare questo Atto di devozione e sudditanza a quel GRANDE che sì benignamente accolse e coronò i voti delle Romagne, questa Commissione Municipale dispone: che con apparato festivo di tappeti a tutte le case, coll’intervento della Guardia Cittadina e delle Truppe di Guarnigione, al suono della Banda musicale e della Campana di questa torre, venga onorevolmente compiuta la fausta Inaugurazione. Nel pomeriggio dello stesso giorno vi sarà una corsa di cavalli barberi; nella sera una generale illuminazione, e nelle ore più tarde il Municipio accoglierà i Cittadini a pubblico ballo con maschera nel Teatro Comunale, destinando il prodotto dell’ingresso a quei BRAVI NOSTRI CONCITTADINI che hanno combattuto a fianco dei VALOROSI SOLDATI DEL RE GUERRIERO e del magnanimo suo ALLEATO la guerra dell’INDIPENDENZA ITALIANA.
Ma, se dignitosa e solenne riuscì la dimostrazione del mattino allo stemma piemontese, che dominava ormai il luogo donde caddero un giorno le chiavi papali, (oh, come mi ritornano alla memoria i versi del poeta34:
Or, desio de’ nostri morti,
De’ viventi amore e gioia,
Bianca Croce di Savoia
Tu sorridi al nostro ciel …
Dio ti salvi, o cara insegna,
Nostro amore e nostra gioia!
Bianca Croce di Savoia,
Dio ti salvi! e salvi il re!)
la corsa dei cavalli barberi, si disse per la coincidenza di più altre in altri vicini paesi nello stesso giorno, andò totalmente deserta e nessun proprietario di cavalli si presentò. Più animato dovette riuscire, e per il genere di divertimento e lo scopo altamente nobile di sussidiare i militi congedati dall’armata sarda, che avevano ripreso servizio nell’armata delle Romagne35, il veglione mascherato al teatro.
Coll’insediamento del nuovo consiglio, ogni altra autorità comunale veniva di fatto a cessare e l’organismo pubblico, dopo tante vicissitudini, prendeva stabile forma e regolare andamento. Cominciava quella ch’è veramente la vita normale del comune, senza peraltro che si dimenticassero le grandi idealità di patria e di redenzione. La nostra causa guadagnava ogni giorno più attenzione e di credito presso le potenze europee. Ma tuttavia bisognava tener desta la scintilla; altre regioni d’Italia, e specialmente le Marche e l’Umbria, “collegate a noi per lunga storia, per memorie talora gloriose, più spesso infelici”36, anelavano ancora, oppresse da una reazione sanguinaria, alle sorti della nostra libera Romagna. Giuseppe Garibaldi percorreva allora le nostre città e i nostri paesi incitando l’entusiasmo e l’operosità nei popoli.
Il grido lanciato dall’Hôtel Brunn in Bologna alla turba acclamante con fiaccole e musiche ed evviva la notte del 24 settembre, era la traccia di tutti i suoi discorsi in quei giorni: “Se veramente vogliamo non più cadere sotto al cessato governo, e non più vedere austriaci, non feste dobbiam fare ma armarci”37. Ciò che consigliava lo stesso Napoleone III con le famose parole: “Organizzatevi militarmente… non siate oggi che soldati, per essere domani liberi cittadini di un grande paese”38.
Garibaldi faceva dunque appello agli italiani tutti, e specialmente alle provincie romagnole, per l’acquisto di un milione di fucili, “onde assicurare la comune patria da ogni eventuale assalto contro la nazionale indipendenza”39. E l’appello trovò eco anche nel municipio imolese, dove se il magistrato proponeva una sottoscrizione di L. 2500, il consigliere ing. Domenico Casati, sembrandogli tenue la somma dichiarata, esortava che fosse portata a L. 5000. E il consiglio nella seduta del 29 novembre approvava con voti 34 contro 11 neri40.
Il terzo oggetto della stessa adunanza riguardava una duplice testimonianza di gratitudine a due pubblici funzionari. Presiedeva al governo della Provincia ravennate il marchese Emanuele di Rorà “magistrato integerrimo, e quanti altri mai custode zelante dell’ordine e della pubblica tranquillità”. Il comune d’Imola, che, in varie circostanze aveva sperimentato la benevolenza dell’intendente generale e si era valso in momenti dubbi del suo aiuto e del suo consiglio, lo acclamava a titolo di gratitudine e di ringraziamento Nobile imolese. Anche l’avv. Raffaele Feoli, che tenne il regime della città e del distretto, quale Sotto-Intendente, e “con senno e con ogni premura resse i comuni a lui affidati, ne prevenne i bisogni, ne soccorse di consigli, ne diresse l’andamento, sicché per di lui opera si mantenne imperturbato l’ordine pubblico”, era dal consiglio acclamato cittadino imolese41.
Con queste testimonianze pubbliche di riconoscenza e con pochi altri atti si chiudeva l’opera del primo consiglio e della prima magistratura. Un trimestre appena di governo, e già l’anno volgeva al termine. Quali meravigliosi eventi aveva maturato il ’59! E quale senso di concordia e di abnegazione e di saviezza civile e di senno politico aveva governato in questi mesi difficili il popolo di Romagna! “La Provvidenza favorisce talvolta i popoli, come gl’individui, dando loro occasione di farsi grandi d’un tratto, ma a questa condizione soltanto, che sappiano approfittarne”, diceva Napoleone III rivolgendosi col suo proclama agli Italiani. E il popolo di Romagna approfittò sapientemente dei fatti, e fiero e robusto come egli è, e bollente d’animo e pronto all’ira, non trascorse a vendette ignobili nel suo risorgere a libertà.
Ma quali dolorose sorprese per il pontefice romano, che due anni prima aveva creduto scorgere neì suoi popoli amore e devozione inalterabili alla sua tiara! Visto che tutto crollava, con lo stato in fiamme e le legazioni perdute, ricorse egli alle armi spirituali per protestare, intimorire e commuovere. Ma invano: le allocuzioni, le encicliche, le note diplomatiche, le scomuniche, le accuse non approdarono a nulla. Ormai era fatale: il governo pontificio, tetragono per tradizione millenaria ai colpi di fortuna, ignobilmente cadeva; cadeva con le baionette austriache in soli undici giorni!42.
E il popolo di Romagna poteva finalmente gridare col poeta all’Europa43:
Oh, chi mi noma
Servo mai più? fine a l’oltraggio vile!
Contenuti correlati
- Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XV: Magistrati e funzionari pubblici, 1859. La presente lettera fu pubblicata, credo per la prima volta, da Angelo Negri nel suo utilissimo e prezioso volume: Il Comune d’Imola dalla costituzione del Regno alla fine del secolo XIX. 1859-1900. Notizie storiche e statistiche, Imola, Coop. Tip. Edit. Paolo Galeati, 1907. E poiché mi si dà qui l’occasione favorevole di nominare il Negri, mi è grato fin dal principio di questo lavoro rivolgergli il mio più affettuoso ringraziamento per i lumi e i consigli che mi ha dato, per i libri e i documenti del suo archivio che ha messo a mia disposizione. In verità Angelo Negri è, nella sua modestia, uno dei pochi imolesi che conosca minutamente la storia cittadina dell’ultimo cinquantennio, e l’unico forse che con cordialità generosa sia sempre disposto ad aiutare gli studiosi come e dove può. [↩]
- Luigi Maraviglia lo troviamo governatore e nello stesso tempo gonfaloniere a Faenza, dove era stato mandato il 12 luglio, per il ferimento del governatore Antonio Giri da Osimo, avvenuto il 27 giugno 1853. Cfr. Antonio Messeri, Pasqua di liberazione a Faenza, in “La Romagna”, a. VI, fasc. 10-11, ottobre-novembre 1909. [↩]
- Cfr. R. De Cesare, Roma e lo stato del Papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre, Vl. I. 1850-1860, Roma, Forzani e C. Tipografi editori, 1907. [↩]
- Così – e mi par giustamente, per quanto le circostanze e il tempo e le patite vessazioni potessero di soverchio eccitare gli animi degli scrittori contemporanei – l’importantissimo opuscolo: Lo sgombro degli austriaci dalle legazioni, sindacato dell’ultima loro occupazione, discorso dell’avvocato Giacinto Calgarini socio corrispondente dell’Accademia di legislazione di Tolosa. Bologna, Tipografia dell’Ancora, 1859. Cfr. ancora: Delle nuove speranze d’Italia parallelo tra il 1848 e il 1859 per Biagio Caranti, Torino, 1859, Tip. Subalpina editrice di Zoppis e Comp., via Alfieri, n. 24. Le Romagne per Cesare Orsini, Roma, Forzani e C., Tipografia del Senato, 1883. Roma e Bologna nel 12 giugno 1859. Bologna, Tipografia governativa della Voilpe e Sassi. Le accuse delle Romagne. Bologna, Tipi governativi Della Volpe e Sassi, 1859. Cronaca degli avvenimenti d’Italia nel 1859 ecc. per cura di Antonio Zobi. Il Governo Pontificio e lo Stato Romano. Documenti preceduti da una esposizione storica e raccolti per decreto del governo delle Romagne da Achille Gennarelli, Prato, Tip. F. Alberghetti e C., 1860. Tozzi Condini G. Battista, Gli ultimi aneliti del Governo Pontificio. Poggi Enrico, Del dominio temporale dei papi a proposito della legge sulle annessioni. Firenze, Le Monnier, 1860. Costa Della Torre conte Ignazio, Gli Stati Pontificie e gli stati sardi. 1859. Note circulaire adressée par le Gouvernement des Romagnes à ses Agents à l’étrenger. Bologne 1859, Imprimerie du Gouvernment. Mèmoire addressé par le Gouvernement des Romagnes aux Puissances ed aux Gouvernemens de ‘Europe. Bologne 1859, Imprimerie du Gouvernement. Questi e altri notevoli opuscoli abbastanza rari, che si trovano quasi tutti tra i volumi dell’importantissima donazione Gamberini nella Comunale d’Imola, ho avuto modo di leggere o di sfogliare nella compilazione del presente saggio. Li noto convinto di non fare cosa inutile. [↩]
- Cfr. R. De Cesare, Roma e lo stato del Papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre, Vl. I. 1850-1860, Roma, Forzani e C. Tipografi editori, 1907. [↩]
- Cfr. in “Il Resto del Carlino”, a. XXV, n. 157, 8 giugno 1909, l’articolo: Il 12 giugno 1859 a Castel San Pietro. [↩]
- Cfr. Antonio Messeri, Achille Calzi, Faenza nella storia e nell’arte, Faenza, Tipografia faentina di Edoardo Dal Pozzo, 1909. [↩]
- Cfr. Fausto Balbo, Lugo nel 1859, in “La Romagna”, a. VI, fasc. 12, dicembre 1909. [↩]
- Cfr. R. De Cesare, Roma e lo stato del Papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre, Vl. I. 1850-1860, Roma, Forzani e C. Tipografi editori, 1907. [↩]
- Cfr. nei giornali d’Imola: “Il Diario”, a. X, n. 25, 19 giugno 1909, gli articoli: Caduta del governo austriaco, in “La Lotta”, a. XII, n. 25, 19 giugno 1909: Il 1859, e finalmente in “Il Resto del Carlino”, a. XXV, n. 161, Bologna 12 giugno 1909: Il 1859 a Imola. Su le dimostrazioni teatrali poi nel 1859 darò quanto prima notizie più particolareggiate e precise di quelle divulgate fin qui, con accenni speciali alla prigionia del rinomato tipografo Paolo Galeati. [↩]
- Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XXVI: Spettacoli e divertimenti pubblici, 1859. [↩]
- Non pretendo, naturalmente, di aver dato qui, seguendo il numero già citato di “Il Diario”, l’elenco compiuto dei volontari per il Piemonte; l’avrei tuttavia desiderato se avessi avuto modo di farlo, perché è giusto e decoroso che ogni città ricordi anche gli oscuri militi, che in qualche maniera cooperarono alla nostra redenzione. So di certo che mancano molti, moltissimi nomi dei giovani accorsi ad arruolarsi in Piemonte e in Toscana per la guerra d’Indipendenza, e manca tra gli altri il nome del soldato Angelo Ghetti, morto a S. Martino, e di Antolini ferito in quella battaglia. [↩]
- Cfr. “Il Resto del Carlino”, 12 giugno 1909. [↩]
- Veramente pare non vi fossero dimostrazioni armate prima della partenza della truppa e del governatore; il quale facendone cenno nella sua lettera al gonfaloniere, allude certo alle radunate del caffè Filippini e di casa Galotti, di cui ebbe senza dubbio sentore. Forse, per evitare un conflitto, pensò alla ritirata, e fu meglio. [↩]
- Quale fosse il sentimento del Maraviglia per la rivoluzione delle Romagne nel ‘59, si rileva facilmente dalla lettera riprodotta più sopra. Intanto non avevo mal giudicato, ritenendo il governatore d’Imola un uomo tollerante e forse nel suo pensiero annuente alle aspirazioni dei liberali contro il governo ch’egli rappresentava. A questo proposito mi piace riprodurre quanto gentilmente mi scriveva, dietro mia richiesta, il conte Alessandro Alessandretti; il quale, per esser stato testimonio oculare di quegli avvenimenti e per la parte ch’ebbe poi nelle cose del comune, è uno dei pochi che possa offrire estesi e sicuri particolari. Né di questi soltanto io son tenuto ringraziare il nobil uomo, ma di molte altre piccole notizie, di cui mercé sua ho potuto valermi nel mio lavoro. “L’avv. Maraviglia (egli mi scriveva) non lasciò a Imola cattiva memoria di sé. Cercava, per quanto poteva, di cattivarsi l’animo della popolazione, ed era con tutti, anche liberali, in buone relazioni. Nell’allegrissimo carnevale del 1859, prese larga parte a feste, veglioni, corsi mascherati, ecc. Nel 1860, era governatore di non so quale città delle Marche, o dell’Umbria, ed anche là fu raggiunto dalla rivoluzione. Non so se Lorenzo Valerio, o Gioacchino Pepoli commissari del Re, il primo per le Marche, il secondo per l’Umbria, pubblicarono molti documenti del governo Pontificio trovati in quelle provincie. Tra questi era una lettera del Maraviglia al suo governo nella quale faceva viva e coraggiosa critica ai metodi di governo del Papa, e lo accusava quasi d’essere causa della propria rovina. I giornali liberali dell’epoca riprodussero quella lettera, e lodarono la schiettezza coraggiosa dell’autore. Forse quella lettera si trova nei documenti pubblicati da Achille Gennarelli”. [↩]
- Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XV: Magistrati e funzionari pubblici, 1859. [↩]
- Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XV: Magistrati e funzionari pubblici, 1859. [↩]
- Il commissario (questore) si firmava Pasquali. Il figlio, che dirigeva anni sono una tipografia a Fano, si firmava Pasqualis. Quale dei due nomi è più esatto? [↩]
- A questa faccenda aveva in qualche modo cooperato anche il conte Giambattista Dal Pozzo, il quale, presentatosi, non desiderato, la notte del 13 giugno 1859, in pieno assetto di guerra, e udendo che si cercava un muratore per quell’opera, per mezzo di un suo servo che l’accompagnava fece chiamare il muratore di cui era solito servirsi. Ho scritto: Non desiderato, perché non poteva in fatto esser ben visto e non giudicato intruso dai veri liberali chi, nel maggio 1849, aveva ospitato il generale Wimpffen e si era scusato con lui, non richiesto, di aver coperto nel 1848 il grado di colonnello della Guardia Civica per forza di avvenimenti e per quieto vivere! Così purtroppo qualche volta s’improvvisano i liberali. [↩]
- Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XV: Magistrati e funzionari pubblici, 1859. [↩]
- Cfr. Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XV: Magistrati e funzionari pubblici, 1859. [↩]
- Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XV: Magistrati e funzionari pubblici, 1859, e il volume del Negri (Il Comune d’Imola dalla costituzione del Regno alla fine del secolo XIX. 1859-1900, Notizie storiche e statistiche, Imola, Coop. Tip. Edit. Paolo Galeati, 1907) a p. 45, dove il manifesto è stato per la prima volta pubblicato. [↩]
- Cfr. il volumetto, ricco di notizie biografiche e storiche che interessano la nostra città, dal titolo: Questa raccolta di Ricordi è consacrata alla memoria di Pietro Toschi medico soldato magistrato speculum virtutis. Ottobre MCMI, Imola, Cooperativa Tipografica Editrice; e dello stesso autore l’opuscolo, estratto da “La Romagna” (a. I, p. 300): All’onorevole Signore Sig. Toschi Dott. Pietro Rappresentante del Popolo all’Assemblea delle Romagne-Imola. [↩]
- Cfr. Rapporto del Comitato pel Voto Nazionale al Signor Col. Cav. Lionetto Cipriani governatore generale delle Romagne. Bologna, Tipografia di Giacomo Monti al sole, 1859. [↩]
- Cfr. l’importantissimo volumetto: L’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo delle Romagne, (Bologna, Tipografia governativa della Volpe e del Sassi, 1859) contenente una minutissima relazione storica dei fatti avvenuti dal 12 giugno fino al 20 settembre, per cura dell’ancor vivente Gaspare Finali, con la raccolta di tutti glia Atti dell’Assemblea. [↩]
- Cfr. L’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo delle Romagne, Bologna, Tipografia governativa della Volpe e del Sassi, 1859. [↩]
- Cfr. L’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo delle Romagne, Bologna, Tipografia governativa della Volpe e del Sassi, 1859. [↩]
- Cfr. in un foglio a stampa senza indicazione di tipografia, l’Elenco alfabetico de’ Signori Deputati per l’Assemblea delle Romagne coll’indicazione della Provincia cui appartengono. [↩]
- Cfr. L’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo delle Romagne, Bologna, Tipografia governativa della Volpe e del Sassi, 1859. [↩]
- Decreto del 20 luglio 1859 emanato dal Regio Commissario straordinario delle Romagne l’illustre cav. Massimo D’Azeglio, che Vittorio Emanuele aveva mandato a Bologna per il concorso alla guerra ed il mantenimento dell’ordine, dopo che una Deputazione di romagnoli era andata ad offrirgli la suprema autorità col voto di 82000 cittadini. Nel D’Azeglio aveva rimesso i poteri anche la Giunta Centrale di quella città. Ma dopo le vittorie di Solferino e San Martino, conclusasi tra i due imperatori la pace di Villafranca, Vittorio Emanuele, per osservanza ai patti di quella pace, fece richiamare poco appresso il suo inviato. Fu quello un momento di trepidazione per il nostro paese. Rimasto per un po’ di tempo il governo in mano del ministero, fu subito mandato a reggere gli stati ex-pontificii un governatore generale nella persona del cavaliere Colonnello Lionetto Cipriani, altamente encomiato per risolutezza di propositi e per inalterabile devozione alla causa italiana, per il trionfo della quale, attraversato l’Atlantico e abbandonate domestiche e care affezioni, era corso ad offrire mente e braccio a Vittorio Emanuele II. (Passim dal Rapporto del Comitato pel voto nazionale al Signor Col. Cav. Lionetto Cipriani governatore generale delle Romagne. Bologna, Tipografia di Giacomo Monti al sole, 1859 e da L’Assemblea dei Rappresentanti del popolo delle Romagne, Bologna, Tipografia governativa della Volpe e del Sassi, 1859. [↩]
- Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XV: Magistrati e funzionari pubblici, 1859, 1859. Per l’elenco degli eletti nelle votazioni comunali del 1859 vedi A. Negri, Il Comune d’Imola dalla costituzione del Regno alla fine del secolo XIX. 1859-1900. Notizie storiche e statistiche, Imola, Coop. Tip. Edit. Paolo Galeati, 1907, pp. 45-46. [↩]
- La Commissione provvisoria era ancora in carica, nonostante l’avvenuta elezione della magistratura, e dovette rimanervi fino al 17 ottobre, giorno in cui, installato il nuovo governo, si assegnarono le ponenze e si nominarono le deputazioni coadiutrici dei singoli anziani preposti ad esse. [↩]
- Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XXVI: Spettacoli e divertimenti pubblici, 1859. [↩]
- Cfr. G. Carducci, Alla Croce di Savoia, in Poesie, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1901, pp. 225-226. [↩]
- Secondo un elenco in data 19 dicembre 1859, gli individui beneficati furono 46 con una spesa di scudi 251. Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XXVI: Spettacoli e divertimenti pubblici, 1859. [↩]
- Parole di Marco Minghetti pronunziate al chiudersi della tornata del giorno 7 settembre. Cfr. L’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo delle Romagne, Bologna, Tipografia governativa della Volpe e del Sassi, 1859, p. XXIX. [↩]
- Cfr. “Gazzetta del Popolo”, a. I, n. 40, Bologna, 26 settembre 1859. [↩]
- Cfr. Proclama agli italiani dell’8 giugno 1859. [↩]
- A questo fine, a vantaggio cioè della soscrizione per i fucili promossa da G. Garibaldi, anche la poesia Alla Croce di Savoia del Carducci, era stata cantata in un’Accademia della sera 4 dicembre 1859 al teatro Pagliano. Cfr. Carducci, Poesie, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1901, p. 263. [↩]
- Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XV: Magistrati e funzionari pubblici, 1859. [↩]
- Cfr. Archivio degli Atti del Comune d’Imola, Titolo XV: Magistrati e funzionari pubblici, 1859. [↩]
- L’ultima città abbandonata dalle truppe pontificie fu Rimini il 22 giugno. Cfr. per questo e per altro l’opuscolo: Conto Amministrativo attivo e passivo del quadrimestre da giugno al 30 settembre 1859, e Bilancio preventivo attivo e passivo dall’ultimo trimestre corrente 1859. Presentato a S. E. il signor governatore generale delle Romagne dal ministro delle Finanze con suo rapporto in data 4 novembre 1859. Tip. Gov. della Volpe e del Sassi; e vedi, per Rimini specialmente il numero unico pubblicato il 22 giugno 1909 per cura dell’Associazione monarchica costituzionale democratica, dal titolo: Cinquantenario della liberazione di Rimini. Rimini, premiata Tipografia Giuseppe Benzi, 1909. [↩]
- Cfr. Carducci, Poesie, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1901, p. 220. [↩]