di Marco Bizzocchi
Il Casellario Politico Centrale in breve
Il Casellario Politico Centrale venne fondato con la circolare riservata della Direzione Generale di P.S. n. 5343 dell’1 giugno 1896 sotto il governo di Francesco Crispi. Si trattava di uno schedario gestito dalla Polizia Statale in cui venivano registrati tutti i cittadini che, per motivi politici, venivano considerati potenziali sovvertitori dell’ordine costituito; inizialmente sotto “l’occhio vigile della legge” rientravano gli affiliati a movimenti e partiti socialisti, repubblicani od anarchici, ma successivamente, specialmente durante il Fascismo, le categorie tenute sotto vigilanza aumentarono fino ad includere ogni forma di dissidenza verso il regime. Il cittadino sospetto o reo di appartenere ad una di queste categorie veniva prima iscritto nel registro, accompagnato da dati anagrafici ed una breve biografia, poi, in base alla gravità dei reati ascrittigli, poteva o essere immediatamente incarcerato, o subire il confino di polizia oppure, nel migliore dei casi, tornare alla propria vita quotidiana a condizione di interrompere qualsiasi attività illecita. Indipendentemente da dove il cittadino veniva “smistato”, il suo destino era quello di venire periodicamente vigilato dalla Polizia Statale, spesso anche per decine di anni.
L’aggiornamento delle singole schede biografiche era un lavoro fondamentale e, almeno per i personaggi giudicati più pericolosi, svolto con rigore e precisione. I metodi con i quali la Polizia entrava in possesso di informazioni sui “sovversivi” erano molteplici: o l’ufficiale andava a controllare di persona il “modus vivendi” del sorvegliato, oppure era quest’ultimo che, periodicamente, doveva recarsi alla stazione di Polizia per rispondere ad alcune domande. La Polizia inoltre disponeva di agenti in borghese, vere e proprie spie, che venivano infiltrati negli ambienti giudicati più sospetti per raccogliere informazioni altrimenti difficili da ottenere. Specialmente durante il Fascismo, inoltre, quando la macchina del consenso lavorava a pieno regime, la Polizia riceveva informazioni direttamente da altri civili che compivano vere e proprie soffiate. Mi sono capitati molti casi, proprio a Rimini, in cui individui venivano registrati al Casellario soltanto perchè al tavolo dell’osteria avevano tiepidamente mosso obiezioni sulla condotta politica del regime. In genere in questi casi le informazioni alla polizia venivano dal gestore, da un altro cliente del locale che casualmente aveva ascoltato la conversazione, o addirittura da un amico del “maldicente” seduto allo stesso tavolo. Queste dinamiche possono essere, in parte, comprese riferendosi alla fede politica allineata di chi riferiva le informazioni, ma in molti casi queste soffiate sono da spiegare con lo stato di perenne sorveglianza nel quale si trovavano i cittadini.Il regime fascista, ma anche, in misura minore, il precedente governo liberale, avevano adottato delle strategie atte a creare “terra bruciata” intorno al sovversivo. Infatti se quest’ultimo era il soggetto privilegiato della stretta vigilanza, anche conoscenti, parenti ed amici potevano, per motivi banali, finire nella lista dei sospettati.
La conseguenza più ovvia di questo stato di cose era l’isolamento sociale in cui il sovversivo si veniva a trovare o, come nel caso sopra esposto, finire vittima di soffiate allo scopo di dimostrare un’impeccabile fedeltà al regime politico. In questo senso possiamo dire che per lo Stato il sovversivo era paragonabile ad una malattia infettiva o ad un incendio, il cui unico rimedio consisteva nel bruciare una striscia di bosco attorno per impedire che il fuoco trovasse nuova legna da ardere. Per i soggetti più pericolosi, inoltre, era prevista l’ammonizione, cioè una specie di marchio sociale che sanciva l’obbligo, per il sovversivo, di non contrarre alcun rapporto sociale con altre persone sospette. Nei casi più drastici si ricorreva al confino di polizia, in cui il sovversivo veniva direttamente deportato in luogo fortemente vigilato e ben lontano da ogni conoscente.
Ma venendo al cuore della presente trattazione, la continua vigilanza svolta dagli operatori della Polizia si traduceva nel costante aggiornamento dei fascicoli personali di un sovversivo tanto che, come ci informa il sito internet ministeriale, ora l’Archivio Centrale dello Stato dispone di 152.589 fascicoli
“con documentazione prevalentemente compresa tra il 1894 e il 1945. I fascicoli contengono note informative, relazioni verbali di interrogatori, provvedimenti di polizia, indicazioni di iscrizione nella Rubrica di frontiera o nel Bollettino delle ricerche e spesso una scheda biografica che riporta sinteticamente e cronologicamente tutta l’attività dello schedato”.
Il Casellario Politico Centrale a Rimini
Nel 1980 l’Istituto Storico della Resistenza e della Guerra di Liberazione del circondario di Rimini decide di allestire una mostra dedicata ai sovversivi riminesi, con particolare attenzione al periodo fascista (Istituto Storico della Resistenza di Rimini 1982). Per tale evento i ricercatori dell’Istituto si recarono all’Archivio Centrale dello Stato e fotocopiarono tutti i documenti dei fascicoli del Casellario riferiti ai sovversivi “più noti” del riminese. Il fondo, custodito ora all’Istituto e nato da questo lavoro di scavo archivistico e nel tempo ampliato, consta di oltre 11.500 documenti (fotocopiati) riferiti a 266 casi di individui giudicati “sovversivi” dal regime politico. Collocati in sei cassetti divisi per fascicoli in ordine alfabetico, essi rappresentano una fonte di assoluto prim’ordine per uno studio ad ampio raggio della società riminese e non della prima metà del XX secolo. La natura delle fonti richiama certamente l’attenzione sull’apparato repressivo del Fascismo, anche in una realtà provinciale come quella di Rimini, ma quello che, forse, rende più prezioso questo schedario è la possibilità di cogliere la dimensione del “chi” e del “come” di una opposizione politica che altrimenti risulterebbe essere ben compresa sul piano morale e filosofico, ma perdere consistenza nella dimensione pratica. Dalla consultazione dei fascicoli è possibile risalire, oltre ai dati anagrafici, anche a dettagli, spesso personali, della vita quotidiana del sorvegliato: il loro lavoro, l’adesione politica, lo stato civile, le abitudini sociali (luoghi di intrattenimento, intimità, svago). La dimensione politica è, naturalmente, preponderante e una dettagliata analisi dei documenti illumina il panorama di opposizione nel riminese, con le tre maggiori forze sociali, anarchici, comunisti e socialisti, che a volte collaborano e a volte si contendono il primato in tale ambito. Nè va sottovalutata la grande quantità di informazioni che è possibile reperire sulle micro-dinamiche interne ai partiti o movimenti politici locali: oltre a sapere, spesso, nome e cognome di chi faceva parte di una determinata opposizione, è possibile reperire le modalità di riunione, i luoghi di incontro, i pamphlet distribuiti, le abitudini da associazione o partito politico clandestino. Naturalmente, come già aveva sottolineato Stefano Pivato (1982), si tratta di una fonte “del tutto particolare” e bisogna accostarvisi con le dovute precauzioni. Chi si accinge ad utilizzare le fonti deve rendersi conto che la realtà riportata dalle schede è viziata da un punto di vista, quello istituzionale, quasi mai neutro o imparziale, e che quindi la realtà che ne viene dipinta molto probabilmente non è quella effettiva. Ci sono cose però che, pur passando attraverso i filtri di un punto di vista viziato, non possono essere alterate o che comunque la trasfigurazione che subiscono non ne altera l’essenza. Mi riferisco di base ai semplici dati anagrafici, o ad avvenimenti che l’istituzione non aveva alcuna motivazione ad alterare: per esempio il fatto che la P.S. ha fatto irruzione in una riunione di socialisti in una determinata villa nelle colline riminesi ci regala diverse informazioni indirette, come per esempio i partecipanti, il luogo della riunione, gli orari ecc..,e si può essere abbastanza sicuri della loro attendibilità. Naturalmente, nonostante queste premesse, un vaglio della fonte, effettuato con le regole che la metodologia storica insegna, è sempre necessario. Inoltre non bisogna dimenticare le fonti fotografiche che, spesso, accompagnano le schede personali dei sovversivi. Anche in questo caso l’alterazione è evidente; le fotografie sono, in genere, più di una e riportano il ritratto in primo piano, uno di profilo e uno di profilo con cappello. I lineamenti autentici del soggetto sono nascosti dalla rigida maschera istituzionale in cui sono obbligati a posare ma non si può in alcun modo negare, che si tratti essenzialmente del volto del sorvegliato, con tutte le informazioni che possiede.
Lo schedario ci offre preziose informazioni anche sull’attività dei sovversivi riminesi in altre città italiane ed all’estero. Molti cittadini, per sfuggire dalle maglie della sorveglianza governativa, tentavano di trovare lavoro od ospitalità in altre città italiane. I più intraprendenti (non erano pochi) tentarono anche la via della clandestinità rifugiandosi in paesi europei e non. Gli Stati di maggiore affluenza furono senza ombra di dubbio la Francia, la Germania, gli Stati Uniti e l’Argentina. Considerando che gli uffici che gestivano l’aggiornamento del Casellario Politico Centrale disponevano, per l’Italia, di una rete nazionale capillare, e per le nazioni estere si appoggiavano alle locali ambasciate italiane,i sovversivi continuavano ad essere ricercati nonostante il trasferimento o la fuga in altre nazioni. Ne viene che nelle carte custodite a Rimini si possono trovare moltissime informazioni riguardo ad attività politiche sovversive svolte da riminesi e non all’estero: progetti politici, volantini, pamphlet, organigrammi di associazioni politicamente schierate di italiani all’estero (come la U.P.I., Unione Popolare Italiana, o l’Associazione Ex-Combattenti Italiani Antifascisti di Parigi), circoli culturali spiccatamente antifascisti, come quello di Annemasse, in Francia. Inoltre, prezioso risulta lo schedario anche per quanto riguarda il contributo fornito dai riminesi alla guerra civile spagnola.
Quanto è stato effettivamente fotocopiato dai ricercatori dell’Istituto Storico di Rimini è soltanto una parte del materiale disponibile all’Archivio Centrale dello Stato. Una veloce consultazione, infatti, della nuova interfaccia sul sito internet ministeriale ci informa che, soltanto per la città di Rimini, sono presenti 499 nominativi. Mentre, come già riportato, all’archivio dell’Istituto Storico di Rimini sono presenti soltanto 266 nominativi per i quali il luogo di nascita non si riferisce alla sola città di Rimini ma all’intero circondario. Questo dato ci sprona a portare a termine, in un futuro non troppo lontano, la raccolta delle carte riferite ai cittadini del riminese.
Per concludere, al momento lo stato fisico delle copie possedute dall’Istituto Storico di Rimini è ancora più che accettabile, ma il deterioramento delle stesse è visibile in molti fogli, spesso illeggibili nella totalità od in una parte. In questo senso la tecnologia può venirci in aiuto e un discorso sensato sarebbe quello di provvedere ad una totale digitalizzazione dell’intero materiale disponibile a Roma, ed una eventuale pubblicazione online dello stesso.
Bibliografia
Istituto Storico della Resistenza di Rimini, Biblioteca Civica Gambalunga (cur.)
1982 Sovversivi: militanza politica e schedatura poliziesca nel riminese: mostra documentaria, Rimini, Pubblicazioni dell’Arengo.
Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea della Provincia di Rimini (cur.)
2011 La nostra storia. Quarant’anni. 1971-2011, Rimini, Panozzo Editore.
Pivato S.
1982 I documenti del Casellario Politico Centrale, in Istituto Storico della Resistenza di Rimini, Biblioteca Civica Gambalunga.
Turchini A.
2011 Storia, storiografia e memoria nella vita dell’Istituto, in Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea della Provincia di Rimini
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