Le domande Quando nasce la rivista? In quale clima politico e culturale si inserisce? Quali indirizzi storiografici intende accostare e con quali avere, invece, un rapporto più marcatamente dialettico? Che tipo di “gruppo” raccoglie nella redazione e tra i collaboratori? Quali ne sono le caratteristiche formative, generazionali, e come risponde agli interessi storiografici espressi dalla rivista? Se volessimo tratteggiare in uno spazio breve una sorta di “storia della rivista”, quali elementi indicherebbe per caratterizzarne l’evoluzione, quali i problemi affrontati, e quali gli esiti più rilevanti delle scelte editoriali fatte? Cosa significa fare oggi una “rivista di storia”? Quali problemi gli storici si trovano ad affrontare nel nuovo scenario disegnato dalla trasformazione non solo della scienza storica, ma più in generale dei mezzi e dei metodi attraverso i quali procede oggi la ricostruzione storica? Come Direttore di una rivista di storia ritiene che sia condivisibile il segnale d’allarme da più parti lanciato a proposito di una “crisi della scienza storica” ed addirittura di una “inutilità del mestiere di storico”? Quale rapporto ritiene che possa esistere oggi tra la storia concepita e fatta a livello scientifico e la divulgazione che ormai sempre più si affida a mezzi e soggetti che rischiano di eroderne la legittimazione?Domande
1.La prima serie della Rivista di Storia Economica (RSE) nasce nel 1936. La rivista viene fondata da Luigi Einaudi quando il regime fascista fa sospendere la pubblicazione della rivista La Riforma Sociale. Secondo Einaudi, la pubblicazione della Rivista di Storia Economica “parve forse ai governanti del tempo meno fastidiosa a cagione della sua limitatezza”.
Nel 1984 Pier Luigi Ciocca e Gianni Toniolo lanciano una nuova serie della RSE che viene pubblicata dapprima da Einaudi e successivamente dal 1997 da Il Mulino. L’indirizzo “storiografico” della nuova serie della RSE riprende in molti punti l’approccio non dogmatico di Luigi Einaudi nei confronti della storia economica: la storia economica viene vista come una disciplina in constante interazione con l’economia e la storia. In particolare, da Einaudi si riprende l’ idea della necessità per lo storico economico di costruirsi una griglia interpretativa “robusta” tramite la quale leggere le fonti storiche. Nel caso della storia economica la costruzione di questa griglia interpretativa non può non tener conto degli sviluppi teorici che si verificano nell’ ambito delle scienze economiche. Si tratta di una prescrizione metodologica molto semplice che per molti versi può essere vista come una anticipazione della rivoluzione della “new economic history” degli anni 1960 e 1970. Questa visione della storia economica può considerarsi il vero e proprio filo rosso che passa tra la prima serie e la seconda serie della RSE.
2.Dal 1984 al 2015 la RSE è stata diretta da Pier Luigi Ciocca, Gianni Toniolo e Giovanni Federico. Nel 2016 vi è stato un cambiamento importante nella struttura organizzativa della RSE. Il nuovo comitato editoriale è composto da Alessandro Nuvolari (Scuola Superiore Sant’Anna), Brian A’ Hearn (Pembroke College, Oxford), Giovanni Vecchi (Università “Tor Vergata”- Roma) e Giovanni Federico (Università di Pisa). Il nuovo comitato editoriale è stato selezionato in modo tale da garantire la copertura di una vasta gamma dei temi che sono toccati dalla storia economica (agricoltura, industria, commercio internazionale, tecnologia, popolazione e demografia, moneta e finanza, etc.).
3.Facendo riferimento alla seconda serie (quella di Ciocca e Toniolo) dal 1984 al 2015 si possono individuare tre elementi che caratterizzano la linea editoriale della RSE. Il primo è la proiezione internazionale della rivista. I primi volumi della rivista contengono un numero “internazionale” in cui i principali articoli vengono tradotti in inglese. Successivamente la rivista pubblicherà articoli sia in italiano che in inglese. Grazie a questa scelta la rivista ha potuto pubblicare articoli scritti da autorevoli storici economici internazionali quali Bob Allen, Knick Harley, David Landes, Kevin O’Rourke. Il secondo elemento è la pubblicazione di articoli che discutono nel dettaglio il passaggio dalle fonti storiche alla costruzione del dato statistico. In genere, questi dettagli nell’elaborazione delle fonti non trovano molto spazio in altre pubblicazioni, mentre la RSE ha guardato invece con grande attenzione a questa componente del lavoro di storico. Il terzo elemento è il dibattito e il confronto scientifico (anche vivace) tra diverse interpretazioni. Un esempio è il recente scambio tra Paolo Malanima e Vittorio Daniele e Emanuele Felice a proposito del volume di Felice, Perchè il Sud è rimasto indietro (Bologna, 2013) pubblicato nel 2014.
4.La sfida più importante per lo storico è quella di rimanere in costante contatto con gli sviluppi che si verificano nelle altre scienze sociali. Questi sviluppi possono offrire allo storico nuove chiavi interpretative. Spetta allo storico però valutare fino a che punto questi sviluppi nelle altre scienze sociali siano più o meno adeguati per rispondere efficacemente ad un dato problema storiografico. In altre parole, il problema sembra essere quello di trovare una giusta distanza e interazione tra la storia e le altre scienze sociali. Purtroppo questo pare essere un equilibrio difficile da conseguire e in molti casi sembra prevalere o il rifiuto dogmatico nei confronti degli sviluppi più recenti delle scienze sociali oppure l’applicazione acritica di nuovi metodi suscitata dall’ entusiasmo dei neofiti.
5.Penso che il recente libro di Alessandro Barbero, I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle (Roma-Bari, 2012) illustri in modo emblematico la questione del rapporto tra la storia fatta a livello scientifico e quella per non specialisti. Grazie soprattutto alla diffusione e alla crescita di internet è aumentata in modo esponenziale la produzione e il consumo di “storia” ad opera di non specialisti. Da un certo punto di vista si tratta di un trend positivo che rivela un rinnovato interesse verso la storia presso l’opinione pubblica. Tuttavia, come dimostrato da Barbero, si corre il rischio di una completa perdita di contatto tra la storia accademica e quella per non specialista. Questo aspetto è chiaramente molto pericoloso e può essere evitato solo per mezzo di una opportuna attenzione all’ aspetto divulgativo da parte degli storici “professionisti” accompagnato da un opportuno rigore da parte degli operatori culturali che si occupano di divulgazione storica.