Le domande Quando nasce la rivista? In quale clima politico e culturale si inserisce? Quali indirizzi storiografici intende accostare e con quali avere, invece, un rapporto più marcatamente dialettico? Che tipo di “gruppo” raccoglie nella redazione e tra i collaboratori? Quali ne sono le caratteristiche formative, generazionali, e come risponde agli interessi storiografici espressi dalla rivista? Se volessimo tratteggiare in uno spazio breve una sorta di “storia della rivista”, quali elementi indicherebbe per caratterizzarne l’evoluzione, quali i problemi affrontati, e quali gli esiti più rilevanti delle scelte editoriali fatte? Cosa significa fare oggi una “rivista di storia”? Quali problemi gli storici si trovano ad affrontare nel nuovo scenario disegnato dalla trasformazione non solo della scienza storica, ma più in generale dei mezzi e dei metodi attraverso i quali procede oggi la ricostruzione storica? Come Direttore di una rivista di storia ritiene che sia condivisibile il segnale d’allarme da più parti lanciato a proposito di una “crisi della scienza storica” ed addirittura di una “inutilità del mestiere di storico”? Quale rapporto ritiene che possa esistere oggi tra la storia concepita e fatta a livello scientifico e la divulgazione che ormai sempre più si affida a mezzi e soggetti che rischiano di eroderne la legittimazione?Domande
1. Il primo numero di Storia urbana. Rivista di studi sulle trasformazioni della città e del territorio in età moderna è stato pubblicato nel 1977, accompagnato da un editoriale dal titolo Perché una rivista di storia urbana, che metteva in evidenza alcune linee di fondo del progetto allora avviato. La storia urbana era ancora agli esordi. Alcuni passi importanti erano stati compiuti negli anni immediatamente precedenti. Nel dicembre 1973, Alberto Caracciolo e Pasquale Villani, avevano organizzato a Sorrento un convegno di storia urbana a cui avevano partecipato anche studiosi stranieri, in particolare Harold Jim Dyos, animatore delle ricerche di storia urbana presso l’Università di Leicester. I risultati di quell’esperienza di studio trovarono spazio prima in un numero del 1974 della rivista Quaderni storici, poi nel volume Dalla città preindustriale alla città del capitalismo, pubblicato nel 1975 a cura di Alberto Caracciolo. Sempre nel 1975 si tenne a Lucca il primo convegno internazionale di storia urbanistica, che vide la partecipazione di studiosi internazionali di rango come Harold J. Dyos, Marcel Roncayolo, David Herlihy, Wolfgang Braunfels. L’anno seguente cominciò le sue pubblicazioni la rivista Storia della città. Rivista internazionale di storia urbana e territoriale. Si può dire che i tempi fossero ormai maturi per dare avvio a una nuova esperienza di studio che intendeva programmaticamente, sin dai suoi esordi, porsi in una prospettiva interdisciplinare. Nella presentazione del primo numero di Storia urbana si riconosceva che la crescita di «interesse per i problemi del territorio e della sua evoluzione nello spazio e nel tempo» fosse «il frutto di una maggiore apertura dell’indagine storica», che si coniugava con interessi e strumenti critici di diverse discipline: la geografia umana, l’economia, la demografia, l’urbanistica, la sociologia urbana e rurale. Si denotavano però anche i limiti della situazione attuale, che consisteva principalmente nell’isolamento delle iniziative di studio intraprese e nel divario ancora esistente tra studi di ispirazione “storica” e studi di ispirazione “urbanistico-architettonica”. La rivista nasceva con l’ambizione di avviare un dibattito sui fondamenti metodologici, che contribuisse anche a fornire una visione di insieme, un quadro sistematico alle molte ricerche empiriche già avviate.
2. Il nucleo originario della rivista raccoglieva studiosi di diversa provenienza: Lando Bortolotti, Carlo Carozzi, Valerio Castronovo, Franco Della Peruta, Lucio Gambi, Alberto Mioni, Renato Rozzi, Ercole Sori. La composizione di questo gruppo di ricerca rifletteva una varietà di interessi che spaziava dall’urbanistica alla storia economica, alla geografia. Coerentemente con le premesse di metodo la rivista ha cercato di porsi come polo di aggregazione per gli studiosi provenienti da molteplici esperienze di ricerca. Nei casi in cui le collaborazioni sono diventate più frequenti, gli autori o i curatori dei numeri monografici sono entrati a far parte del comitato scientifico, che vede attualmente presenti, accanto ai fondatori Lando Bortolotti e Carlo Carozzi, Giulio Ernesti, Riccardo Redaelli, Renato Sansa, Gian Paolo Treccani. Nelle trasformazioni avvenute nel corso degli anni una costante pare essersi mantenuta: la pluridisciplinarietà della rivista.
3. Nel numero 144 della rivista, penultimo numero del 2014, sono stati pubblicati gli indici di Storia urbana. Un articolato lavoro di catalogazione dei millequarantatre saggi fino allora pubblicati, che è stato anche l’occasione per riflettere sul percorso compiuto dalla rivista nel corso di trentasette anni di pubblicazione. Nel saggio introduttivo alla pubblicazione degli indici, a cura di Nino Sulfaro, si evince come, rispetto alle dichiarazioni programmatiche, nelle quali emergeva un interesse prevalente alla «trattazione degli aspetti fisico-insediativi ed economico-sociali», si siano avute conferme e innovazioni.
Se la categoria pianificazione urbana e territoriale, con 135 saggi, pari al 12% del totale di quelli pubblicati, risulta quella maggiormente rappresentata, nell’ultimo decennio (2001-2014) sono emerse nuove linee di ricerca rappresentate dalla concentrazione di un numero rilevante di saggi nelle categorie Conflitti interetnici e comunità etno-nazionali, Beni ambientali, architettonici e culturali, Iconografia e rappresentazioni. Per quanto riguarda la categoria Conflitti interetnici e comunità etno-nazionali è possibile stabilire un rapporto tra le vicende che hanno interessato i Balcani e il Medio oriente e l’intensificazione della produzione saggistica. Nella categoria Iconografia e rappresentazioni hanno avuto un peso numeri monografici dedicati alla rappresentazione della città nella produzione cinematografica e al tema dei Viaggiatori, relazioni e diari di viaggio. La categoria Beni ambientali, architettonici e culturali si è giovata tra l’altro di un rinnovato interesse per i processi di ricostruzione in seguito a eventi naturali (terremoti) o a eventi bellici, quest’ultimo tema molto caro a Gian Paolo Treccani. In flessione invece la categoria Bibliografie, fonti e rassegne di studi, di cui si era avvertita la necessità nella fase iniziale di consolidamento delle ricerche nel campo della storia urbana e del territorio.
La svolta più marcata rispetto agli intenti esplicitati nella presentazione della rivista si è avuta con il passaggio da una focalizzazione sugli ultimi secoli della storia italiana a una dimensione internazionale. Allo stato attuale le ricerche su temi italiani hanno riguardato circa il 50% del totale dei saggi pubblicati, affiancate da un 23% di saggi su territori europei e 21% di saggi su territori extraeuropei, tra questi ultimi una grande rilevanza hanno assunto i saggi riservati al continente africano.
4. La rivista ha sperimentato come una possibile risposta alle sfide poste dall’evoluzione della conoscenza storica la costante apertura ai temi, agli spazi, alle domande nuove, anche a metodologie di ricerca nuove.
Storia urbana, nata su una linea di confine, ha deciso da anni di volgere la sua attenzione anche a temi che riguardano le vicende storiche e spaziali di altri continenti, pur essendo stata concepita con l’intenzione di guardare in particolare ai temi da casa nostra. Una prima rivoluzione è stata proprio quella di proporre ai lettori temi e punti di osservazione rivolti all’esterno.
Su un altro versante la sfida è stata giocata sull’ambiente interdisciplinare della rivista, che è proprio dei suoi editori, dei suoi autori e del suo pubblico. Un imperativo categorico è stato quello di mantenere alto il livello di attenzione verso temi molto variegati e al tempo stesso pretendere che gli articoli pubblicati su Storia urbana fossero redatti in una forma, in primis un italiano, leggibile, cercando di restare alieni a quel linguaggio troppo specializzato che non consente ai non addetti alla materia di comprendere quanto si intende comunicare. In altri termini nella prassi redazionale si cerca di tenere a bada quegli esoterismi linguistici, comprensibili ai soli adepti a un determinato filone della ricerca. Storia urbana, pur nella sperimentazione di temi e metodi nuovi, vuole essere compresa da un pubblico vasto.
5. Crisi della scienza storica: siamo sicuri sia una novità assoluta della più cogente attualità? Già nel corso dell’Ottocento, sotto i colpi del positivismo dilagante, la disciplina, con uno statuto allora più incerto, sembrava soffrire assai. Valga fra tutte la difesa accorata che ne fece Benedetto Croce nella prima metà del Novecento: «ogni genuina conoscenza è conoscenza storica». La scienza storica: ecco l’origine di molti inestricabili equivoci. Il difficoltoso rapporto delle discipline umanistiche, e non solo la storia, con le cosiddette scienze esatte, competitrici battagliere e dalle armi affilate.
Forse sarebbe più opportuno utilizzare l’espressione “ricerca storica”, allora, arcana magia delle parole, si comprende con maggiore facilità come le domande del presente non possano trovare compimento in risposte dal fiato corto. Anche dal nostro particolare punto di vista, quello della storia della città e del territorio, capiamo che le rappresentazioni del passato, a fine divulgativo, anche ottenute con le tecniche più sofisticate, dicano in fondo poco, se non sono accompagnate da una ponderata ricerca sulle trasformazioni di lungo periodo. Qualsiasi trasformazione, anche “violenta”, del tessuto urbano operata nell’attualità, finisce per essere percepita in rapporto a quanto continua a esistere (resistere?) come altro da sé. Qui si gioca il ruolo, l’utilità, della ricerca storica, che non può mai venire meno, fintanto che non vengano meno i tanti presenti che si susseguono nell’attualità.
Piuttosto la questione reale, e drammatica, è costituita dalla riduzione degli spazi (leggi finanziamenti) per la ricerca umanistica, soprattutto per quella che non produce risultati immediatamente visibili per un pubblico generico. La questione sul tavolo è politica, la soluzione anche. Con un’accortezza, per sopravvivere in tempi di crisi si deve valorizzare la qualità.