di Eleonora Belloni
Primo conflitto su scala mondiale, prima guerra “totale”, la Grande Guerra fu però ancora e soprattutto guerra europea, capace di scatenare per quattro lunghissimi anni uno scontro fratricida senza precedenti tra gli Stati-nazione del vecchio continente. Insieme al drammatico bilancio di morti, feriti, distruzioni e macerie, la guerra avrebbe lasciato in eredità un cogente interrogativo sul futuro di un’Europa da ridisegnare nei suoi confini ma soprattutto da dotare di istituzioni capaci di contrapporre alla forza distruttiva delle armi la stabilità di un pace duratura.
La questione non era di poco conto, e chiamava in causa un processo di ricostruzione di quell’ordine internazionale – fondato sul bilanciamento delle forze ma anche su una stabilità monetaria dove il gold standard aveva fatto da puntello alla quasi centenaria pax britannica – che la guerra aveva fatto venir meno, risvegliando bruscamente l’Europa della Belle Epoque dal suo sogno di una pace fondata sul progresso sociale e materiale.
Fu dunque già negli anni bellici, e poi a conflitto appena concluso, che molti intellettuali presero a interrogarsi sull’opportunità, sulle possibilità e sui caratteri di una nuova Europa, unita, integrata e (perciò) pacifica, e lo fecero spesso attingendo a quella lunga tradizione di pensiero “europeo” ed “europeista” che a partire dal XVIII secolo, traghettata da voci quali quelle di Rousseau e Kant, di Saint-Simon e Cattaneo, di Mazzini e Proudhon, si era andata consolidando assurgendo a progetto realizzabile all’interno di una visione positivista di progresso, sviluppo e modernizzazione.
Delle voci che si levarono in un’Europa messa a fuoco e fiamme, e delle idee che ne scaturirono, il volume offre un’ampia e approfondita panoramica. Si tratta di voci di intellettuali (Romain Rolland, Guglielmo Ferrero, Goldsworthy Lowes Dickinson), di uomini provenienti dal mondo dell’economia e dell’industria (Ettore Ponti, Luigi Einaudi, Giovanni Agnelli, Attilio Cabiati), di politici di diversa estrazione (Filippo Turati, Otto Bauer, Luigi Sturzo, Aristide Briand, Gustav Stresemann, Richard Coudenhove-Kalergi, Jean Monnet), di gruppi quali la Massoneria Italiana o quello raccolto attorno al periodico luganese “Coenobium”. Ciò che le accomuna, pur nel quadro di uno spettro molto ampio che va dal pacifismo più convinto all’interventismo più acceso, sembra essere la presa di coscienza della misura in cui nazionalismi recrudescenti, spesso prodotto di quello stesso processo di modernizzazione e di progresso su cui si era preteso di consolidarla, avevano mostrato i limiti entro i quali era naufragata l’utopia di un’Europa culla della “moderna civiltà”. Era dunque da quelle macerie, non meno pesanti di quelle materiali, che si doveva partire per ripensare la nuova Europa.
Un’idea, quella di “Europa” come spazio unitario di civiltà, che per alcuni aveva trovato origine negli anni precedenti il conflitto per poi rafforzarsi con l’inizio delle operazioni belliche (C.G. Lacaita, Ettore Ponti: una voce dell’europeismo liberale fra Otto e Novecento; M.A. Romani, Gli Stati Uniti del mondo, Luigi Einaudi e l’idea di Europa; M. Cuzzi, Il dibattito su guerra e futuro d’Europa nella Massoneria Italiana), per altri fu reazione immediata all’orrenda carneficina (R.H. Rainero, Romain Rolland dal pacifismo nella Grande Guerra all’idea dell’unità europea; E. Signori, Guglielmo Ferrero: l’interventismo, la federazione latina, la tragedia della pace; C.G. Anta, “Guerra alla guerra” e il nuovo ordine europeo: la lezione di “Coenobium”; D. Preda, Jean Monnet: cooperazione europea e integrazione), per altri ancora risultato di una riflessione che cercava di immaginare un nuovo ordine mondiale post-bellico libero da conflitti e divisioni (V. Castronovo, L’idea di un’Europa federale nel saggio di Giovanni Agnelli e Attilio Cabiati del 1918; M. Punzo, Solamente l’Internazionale può salvaguardare la pace. Turati, “Critica Sociale”, guerra e dopoguerra; C. Moos, Otto Bauer e l’Austria nell’Europa del 1918-19; A. Giovagnoli, Luigi Sturzo, la comunità internazionale e l’Europa; A. Castelli, La questione della pace e la scelta di Goldsworthy Lowes Dickinson; M. Ostenc, Aristide Briand, Gustav Stresemann, la pace e l’unione europea; P.S. Graglia, Le grandi paure dell’Europa. Coudenhove-Kalergi e Paneuropa tra sicurezza collettiva e perdita di centralità), ma che in tutti i casi dovette scontrarsi con la cieca ragione bellica, dapprima, e con l’incapacità di dar vita a una ricostruzione realmente improntata al superamento delle divisioni nazionali, poi.
Ci sarebbe voluta un’altra guerra, con tutta la sua carica ancor maggiore di distruzione e di morte, “per far muovere i ceti dirigenti e i decisori politici europei in una prospettiva non più solo nazionale ma anche continentale e unitaria” (p. 9).
Il processo, tuttavia, lungi dall’essere compiuto, ha continuato e continua a mostrare difficoltà e resistenze. Tanto più opportune e necessarie appaiono perciò iniziative come quelle rappresentate da questo volume; iniziative che, grazie a una ricostruzione puntuale e critica dell’ormai lungo passato del cammino europeo, non privo di ostacoli ma anche ricco di energie positive, possano aiutare a consolidare una cittadinanza europea consapevole e attiva, capace di guardare al suo futuro perché cosciente del suo passato.