di Daniele Valisena
Si è concluso il 24 novembre il colloquio organizzato dalla Cité Nationale de l’Immigration di Parigi, intitolato Mémoires des migrations et temps de l’histoire. Una tre giorni densa di interventi, che ha riunito al Palais de la Porte Dorée giovani storici, ma anche antropologi, sociologi, studiosi di forme politiche ed enti museali.
Il fil rouge delle tre giornate di studio sono stati mémoires et recits, la memoria, o meglio, le memorie migratorie e la loro trasmissione, tema che ha permesso ai relatori e agli organizzatori di concentrare le discussioni, oltre che sulle ricerche in sé, soprattutto sulla metodologia di ricerca, argomento che non sempre trova spazio nelle discussioni pubbliche di questa parte delle Alpi, mentre in certi ambienti francesi, in particolare quando si tratta di histoire du temps présent e di migrazioni, costituisce uno dei principali spazi euristici della ricerca stessa.
Studiosi, professori ed esperti con competenze e domini di ricerca diversi e provenienti da Francia, Germania, Italia, Portogallo, Inghilterra, ma anche dal Brasile e dagli Stati Uniti, si sono confrontati apertamente a partire da 32 lavori, realizzati in seno alle proprie università o ai propri istituti di ricerca nel corso di studi di laurea specialistica, dottorati, o come ricercatori. Folta la delegazione di studiosi afferenti all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, ma il dato più “incoraggiante” è stato la giovane età dei ricercatori, quasi tutti under 35, con poche eccezioni.
La prima giornata, giovedì 22 novembre, è stata dedicata alle Mémoires des migrations et construction des mémoires nationales. Come già indicava Durkheim, il processo di “interiorizzazione” dell’eredità storica e culturale che si sviluppa nelle trasmissioni tra una generazione all’altra, è un tema chiave nell’analisi dei processi di lunga durata, che si complica ulteriormente nel caso dei processi migratori. La riflessione è partita dalla “memoria collettiva” dell’Irlanda e dal ruolo che l’emigrazione ha giocato, e gioca ancora, nelle sue dinamiche migratorie interne. Da un paese che fu di emigrazione si è passati poi a due paesi di immigrazione per eccellenza, Canada e Australia, analizzando questa volta il ruolo che i processi migratori giocano nel “racconto” ufficiale della storia del Paese e l’analisi di una delle forme di riconoscimento ufficiale da parte dello Stato, l’Australia Day, analizzato confrontando narrazione ufficiale e narrazione “au ras du sol”, utilizzando le fonti della storia orale. Si è poi discusso sulla memoria negata dell’immigrazione attuata dal governo britannico per decenni, oltre che sul ruolo e gli effetti dell’azione degli agenti pubblici nella costruzione delle “politiche memoriali” sulla storia degli immigrati e sui loro discendenti in Francia. Si è poi affrontato l’argomento del passaggio tra l’autorappresentazione pubblica imperiale del Portogallo alla “diaspora” (categoria interpretativa che offre strumenti di analisi molto validi nello studio dei fenomeni migratori concernenti gruppi etnici o nazionali, ma che, come è emerso nel corso dei dibattiti, non sempre è applicabile) dei suoi lavoratori negli anni della dittatura. Ad animare questa parte del dibattito sono stati per lo più sociologi britannici o appartenenti al mondo accademico anglofono, ma non solo.
Nel pomeriggio si è discusso di Mémoires de guerre et des migrations forcée, tema che è stato affrontato sul piano del racconto e della trasmissione delle eredità memoriali, e sul ruolo che questi processi di trasmissione hanno giocato sul piano della memoria collettiva di alcuni gruppi di migranti. Dopo l’intervento di Patrizia Audenino, che ha discusso del rapporto tra “dolore privato e memorie pubbliche” nelle vicende di alcuni rifugiati europei, particolare interesse ha destato l’intervento della tedesca Nicole Immig, che ha esposto i risultati delle sue ricerche sulla memoria dei Greci del Ponto in Germania. La Immig ha evidenziato come l’anomia – intesa nella sua accezione durkheimiana – tra l’autorappresentazione delle popolazioni del Ponto greco espulse dalla Repubblica Turca e la “narrazione ufficiale” della migrazione accettata dalla Repubblica ellenica, (corrispondente a ben precisi status e livelli di integrazione nello Stato greco, in opposizione alle vicende riguardanti i Greci della costa ionica), abbia provocato una rottura e favorito, se non costretto, questi “greci non greci” a migrare in Germania, dove i rapporti con lo Stato tedesco e la comunità greca “ufficiale” continuano ad essere influenzati da questa eredità.
Molto proficua è stata poi la discussione sulle apparenti incongruenze originatesi nell’interiorizzazione e nella trasmissione del fatto migratorio, partendo dai racconti di alcuni protagonisti dell’emigrazione forzata degli ebrei austriaci in Canada nel corso della Seconda guerra mondiale, condotta da Andrea Strutz. In particolare, si è evidenziato come i processi memoriali dei singoli, se “provocati” e fatti riemergere attraverso i processi di indagine microstorici, siano fondamentali per decostruire e poi ritrovare i percorsi attraverso cui “la mémoire fait le térritoire”. Tema questo che è stato approfondito nell’ultima sessione della prima giornata, a titolo Catégorisations: entre héritages e contraintes, in cui hanno trovato spazio anche le “narrazioni perdute” dei migranti cinesi in Francia durante la Grande guerra e alcune categorie migratorie “dimenticate” o “fagocitate” entro criteri analitici troppo stretti e poco attenti alle complessità delle dinamiche sociali, come l’opposizione – spesso forzosa – tra “emigrazione economica” ed “emigrazione politica”. Interessante l’intervento di Aurélie Le Lièvre attorno al tema del “silenzio nelle testimonianze memoriali”.
La seconda giornata, venerdì, è stata dedicata alle “Memoires en diaspora”, affrontando in principio il caso delle comunità armene emigrate in Etiopia e allo scarto tra il racconto ufficiale dello Stato africano e la traccia nelle memorie collettive private; il secondo intervento, di Irène Dos Santos, ha toccato invece il tema della trasmissione tra i francesi “lusodiscendenti” e i portoghesi, affrontando in particolare il tema del lungo periodo e le forme pubbliche di memoria e identificazione, dai circoli sociali alle forme di sociabilità politica. Di qui il dibattito è proseguito toccando le “Mobilisations militantes et usages publics de la mémoire”, analizzando casi poco affrontati in sede accademica come quello dei migranti del Sud Sudan in Israele, l’utilizzo del mezzo giornalistico nel caso delle lotte operaie francesi negli anni ’80 del ‘900 e la codificazione memoriale privata e pubblica, in senso politico, della figura dell’eroe armeno Manouchian, nel contesto della “causa armena”.
Si è quindi proseguito con l’illustrazione di alcuni casi di “Transmissions familiales”, toccando i temi dell’esilio, dell’emigrazione forzata e dell’emigrazione dimenticata. Molto interessante il lavoro svolto da Fanny Jedliki sulla costruzione dell’identità intergenerazionale da parte di alcuni esiliati politici cileni in Francia, che ha dato adito a una ricca discussione concernente le modalità di trasmissione dell’eredità memoriale e le possibilità di “intercettare” i racconti secondo diverse tipologie di ricerca. Molto interesse ha suscitato altresì la ricerca di Paolo Guerios, che ha analizzato le “condizioni della dimenticanza”, ossia l’assenza di memoria nel racconto pubblico_ o meglio, la sua interruzione _ sull’origine di un gruppo di brasiliani dello Stato del Paranà di origine rutena. Si è poi toccato il tema del colonialismo e la sua “incorporazione nella storia dei paesi di accoglienza” a partire da alcune interviste rilasciate da migranti o francesi di origine maghrebina in Francia.
Da ultimo si è infine affrontato in profondità il tema del “racconto di sé”, l’influenza dei processi di interiorizzazione e dell’ ”identificazione nella rottura” provocata dal fatto migratorio, osservata nei casi dei migranti cambogiani e polacchi in Francia.
Sabato infine, nella terza giornata del colloque, la discussione ha gravitato attorno ai temi delle “productions culturelles”, rapportate con le memorie migranti. Dall’importanza e i contenuti delle canzoni della tradizione yiddish a New York, si è passati alla produzione filmica di alcune registe francesi di origine maghrebina, le quali hanno realizzato dei documentari sulle proprie madri. Si è inoltre analizzato il rapporto tra le produzioni cinematografiche e giornalistiche in seno alla comunità russa emigrata a Parigi dopo l’Ottobre e l’autorappresentazione dei migranti, che con questi documenti avevano un rapporto dialettico, venendone in parte influenzati e in parte rigettandoli, mentre, sul piano ufficiale, questi non facevano che avvallare e diffondere, anche tra gli stessi migranti, stereotipi e pregiudizi condivisi e approvati dall’opinione pubblica dominante.
In ultimo, il convegno ha dato spazio a una riflessione sulla museologia della migrazione, esplorando il rapporto tra indirizzi culturali statali e rappresentazione memoriale dei gruppi migranti e dei loro discendenti. Tra gli interventi, quello di Paola Corti, che ha confrontato gli indirizzi dati ai musei delle migrazioni argentini e italiani, criticando la direzione seguita dalle istituzioni dello Stivale (citando il caso di Roma) incapaci di “dare l’opportunità ai visitatori di mettere in moto i propri racconti soggettivi”.
In seguito all’incontro è stato lanciato un libro, la cui realizzazione è curata da Irial Glynn e J. Olaf Kleist, intitolato “History, Memory and Migration”, edito da Palgrave Macmilan.