di Marco Bizzocchi
Giovanni Carbone è approdato alla terza edizione di questo testo, pubblicato per la prima volta nel 2005, apportando all’originale diverse migliorie; prima di tutto è stato aggiunto un capitolo intero, il sesto, intitolato Tigri, leoni e dragoni: il rilancio dell’Africa, dove viene evidenziato il sorprendente rilancio economico del continente africano e le scelte politiche adottate da alcuni paesi quali Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e soprattutto Cina durante e dopo la guerra fredda.
In più, rispetto all’edizione originale, la nuova veste del libro presenta aggiunte e precisazioni nelle note di ciascun capitolo (ad eccezione del I) e un’aggiornata bibliografia.
Il proposito di Carbone è quello di fornire una prima introduzione alla storia politica del continente sub-sahariano ma come egli precisa subito, “benché venga qui adottato un approccio politologico, le problematiche su cui si concentra questo volume non possono essere isolate del tutto da un più ampio contesto storico, sociale, culturale ed economico” (p. 7). La straordinaria varietà di realtà sociali, culturali e storiche presenti nel continente africano non permettono in alcun modo un approccio uni disciplinare, e chiunque voglia porsi di fronte ad una qualsiasi problematica africana non può prescindere dal fondamentale contributo che a questo tema hanno dato storici, antropologi, economisti e scienziati sociali. Appare evidente inoltre come nell’Africa il concetto di confine politico ereditato dalla nostra storia e storiografia europea non ci aiuta a comprendere le singole e complesse realtà africane. Soltanto infatti un approccio maggiormente legato al concetto di “regione” portato avanti dalla nuova storiografia interdisciplinare della world history può portare realmente dei netti benefici; lo stesso Carbone sostiene indirettamente questo quando, di fronte al fallimento del concetto tradizionale di confine politico nella spiegazione dei conflitti nella regione dei Grandi Laghi, rimanda ripetutamente ad una metodologia d’indagine “regionale”.
Dopo una veloce e personale premessa, la struttura di questa terza edizione si articola in sei capitoli ben strutturati, accompagnati da alcune cartine tematiche del continente africano atte a fornire una veloce inquadratura visiva delle molteplici realtà politiche presenti, e ogni capitolo è accompagnato da alcuni “quadri” nelle quali l’autore, presentando casi specifici di realtà interne a singoli paesi o singole regioni del continente, tenta di evitare che le spiegazioni teoriche del capitolo “restino troppo astratte e prive di riferimenti empirici” (p. 8).
Passando a fornire una veloce descrizione dei capitoli, nel primo, intitolato Le origini degli stati africani: potere, istituzioni e confini, Carbone evidenzia le caratteristiche delle formazioni politiche prima dell’indipendenza, soffermandosi in particolare sulla tesi che le entità politiche pre-coloniali differivano in grande misura dallo Stato moderno e che quest’ultimo, in sostanza, è stato esportato in Africa dal colonialismo europeo. Il secondo capitolo, intitolato Autoritarismo, corruzione e instabilità politica nell’Africa indipendente, vengono analizzate alcune caratteristiche comuni degli Stati africani indipendenti sottolineando in particolare l’eredità che questi neo-governi hanno ricevuto dagli ex colonizzatori in relazione alle effettive capacità governative, amministrative e culturali degli africani, evidenziando soprattutto la grande difficoltà che questi hanno avuto nel gestire un “pacchetto politico” per il quale si trovavano ad essere assolutamente impreparati. Ne deriva la descrizione di una situazione politica fortemente instabile foriera di continue guerre civili.
Instabilità e conflitti che sono alla base del terzo e quarto capitoli, rispettivamente intitolati Lo stato africano tra crisi, conflitto e crollo e Le cause delle guerre civili; nel primo, Carbone si sofferma su alcune possibili cause che hanno decretato in pochissimo tempo la crisi e, a volte, il crollo completo dello Stato in alcuni paesi africani. Una tesi molto interessante è quella del riconoscimento della formale sovranità territoriale di uno Stato africano, da parte della comunità internazionale a prescindere dalla presenza o meno di effettive strutture di governo sull’intero territorio. Questo, secondo Carbone, avrebbe innestato un processo psicologico nei leader, che ha ridotto “drasticamente la loro necessità di affermarsi come entità dotate di solidi apparati istituzionali e burocratici nonché il bisogno di acquisire una più piena legittimità interna” (p. 101). Inoltre il continuo sostegno esterno da parte della comunità internazionale ha impedito il fiorire di un corposo state-building interno rivelando la fragilità di tutto il sistema nel momento stesso che questi aiuti esterni sono stati ridotti o cancellati, facendo ripiombare le società africana in una continua guerra civile per l’acquisizione del potere o per il predominio di un clan rispetto agli altri.
Il quarto capitolo ospita una critica molto serrata del criterio di analisi del conflitti civili in Africa adottato dalla State Failure/Political Istability Task Force che si limita alla semplicistica distinzione tra conflitti politici ed etnici. Carbone prima sostiene l’inconsistenza di tale schema esplicativo, poi passa a proporre un alternativo “catalogo” nel quale compaiono guerre di liberazione, movimenti secessionisti, ribellioni riformiste e conflitti tra “warlords”, ed infine elenca alcune delle principali cause e conseguenze delle quali questi conflitti sono “figli e padri”.
Nel quinto capitolo, Le riforme democratiche: tra continuità e mutamento, vengono descritte le riforme democratiche che, prima lentamente poi via via sempre più frequentemente, invadono il continente africano a partire dai primi anni Novanta. Carbone ci descrive le realtà di alcuni stati che prima di altri hanno adottato formule governative multipartitiche inneggiando nello stesso tempo alla cautela, sostenendo che molte di queste riforme democratiche sono solo un’immagine di facciata atta a nascondere retroscena e dinamiche in realtà autoritarie, repressive di clientelismo e corruzione. Come una litania di sottofondo, sempre presente in tutto il capitolo, c’è l’ammonimento di Samuel Huntington : “gli uomini possono certo avere l’ordine senza la libertà, ma non possono avere la libertà senza l’ordine. L’autorità deve esistere prima di poter essere limitata” (p. 174). Quello che il testo vuole dirci, in sostanza, è che la democrazia non è un pacchetto di facile esportazione; gli apparati amministrativi o la stessa procedura elettorale non hanno alcuna possibilità di conservazione se dalla popolazione non viene colto il senso esistenziale della democrazia. In questa direzione Carbone ci propone l’analisi di inchieste svolte su suolo africano atte a dimostrare che in molti paesi dell’Africa (naturalmente non in tutti), la popolazione non ha una chiara idea di che cosa sia veramente la democrazia nonostante vengano adottate procedure e amministrazioni di stampo democratico. Il punto è che una forma di governo così complessa come la democrazia non è facilmente esportabile ma necessità di un apprendistato che soltanto la consuetudine sa dare.
Questo non significa che la democrazia di stampo liberale sia la forma di governo conclusiva di un processo inevitabile, ma anzi Carbone conclude il capitolo quinto soffermandosi sulla cosiddetta “zona grigia”, uno spazio in cui sono poste tutte quelle realtà politiche che si trovano a metà strada tra le realtà pienamente poliarchiche e i regimi di tipo dittatoriale sostenendo che non dobbiamo valutare queste forme di governo come una fase di transizione dalla dittatura alla democrazia, ma dobbiamo iniziare a considerare un paradigma alternativo dove queste “semidemocrazie” possono trovare un loro indipendente equilibrio e mantenersi.
Si conclude il testo con in mente più domande di quando si era partiti, quale sarà il futuro del continente africano? Come evolveranno sul lungo periodo le sue forme di governo? Ci troviamo di fronte ad un classico processo di maturazione della forma democratica oppure gli Stati africani svilupperanno una loro “via alla democrazia”? Domande importanti e necessarie, tanto più se inserite in un contesto globale nel quale l’Africa acquista sempre più importanza a dispetto di una storiografia italiana restia ad occuparsene.